Codice di Procedura Penale art. 570 - Impugnazione del pubblico ministero.

Raffaello Magi

Impugnazione del pubblico ministero.

1. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale e il procuratore generale presso la corte di appello [51] possono proporre impugnazione [581 s.], nei casi stabiliti dalla legge, quali che siano state le conclusioni del rappresentante del pubblico ministero [53]. Salvo quanto previsto dall'articolo 593-bis, comma 2, il procuratore generale può proporre impugnazione nonostante l'impugnazione o l'acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento 1.

2. L'impugnazione può essere proposta anche dal rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni.

3. Il rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni e che ne fa richiesta nell'atto di appello [594] può partecipare al successivo grado di giudizio quale sostituto del procuratore generale presso la corte di appello. La partecipazione è disposta dal procuratore generale presso la corte di appello qualora lo ritenga opportuno. Gli avvisi spettano in ogni caso al procuratore generale 2 .

 

[1] Comma modificato dall'art. 200, d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto dalla data indicata sub art. 6. Successivamente comma modificato dall'articolo 1, comma 2, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, che ha sostituito le parole «Salvo quanto previsto dall'articolo 593-bis, comma 2, il procuratore generale» alle parole «Il procuratore generale».

[2] Per il procedimento davanti al giudice di pace, v. art. 36 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.

Inquadramento

L'art. 570, che costituisce completamento e presidio del principio di tassatività delle impugnazioni (Bargis, 905), individua, per la parte pubblica, i titolari della facoltà di impugnare. L'esercizio del potere è subordinato alla ricorrenza dell'interesse (art.568) e risente, nella sua costruzione normativa, di più fattori ordinamentali e processuali, che disegnano un istituto a geometria variabile, stante la concorrenza di più soggetti legittimati. Le norme attribuiscono la facoltà, in via generale, al titolare dell' ufficio di Procura, presso il Tribunale o la Corte di Appello (da individuarsi in stretta correlazione con l'ufficio giudicante che ha emesso il provvedimento impugnabile) con previsione aggiuntiva di due fattispecie derogatorie. La prima riguarda il Procuratore Generale presso la Corte di Appello, titolare del potere di impugnare anche le decisioni emesse in primo grado, nonostante l'acquiescenza (o l'avvenuta impugnazione) da parte dell'ufficio del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento (sorta di attribuzione funzionale verticale, giustificata dalla sovraordinazione gerarchica).  La seconda concerne il rappresentante del pubblico ministero che ha formulato le conclusioni in udienza (art.53 comma 1). Tale soggetto ha una legittimazione propria, che secondo la dottrina (CORDERO  Commento, 644) deriva esclusivamente dalla soccombenza formale rispetto alle conclusioni (ma tale orientamento risulta disatteso in sede di legittimità), lì dove - invece - il potere del titolare dell'ufficio e del Procuratore Generale può essere esercitato «quali che siano state le conclusioni» del sostituto presente in udienza (con richiesta, pertanto, che sottintende o esprime un diverso apprezzamento rispetto ai contenuti delle conclusioni medesime) .Il potere viene conferito dal legislatore al capo dell'Ufficio, che lo esercita personalmente o a mezzo delega (art. 70 comma 3, r.d. n. 12 del 1941). Disposizione speciale è quella relativa al ricorso per cassazione in tema di misure cautelari personali (art. 311). Si ritiene che la legittimazione omnibus del Procuratore Generale presso la Corte di Appello non sia tale da ricomprendere i provvedimenti emessi dal giudice della esecuzione, con impugnabilità correlata alla qualità di parte nello specifico procedimento (da ultimo, Cass. I n. 15853/2020). La previsione del comma 3 realizza una esigenza di economicità nella gestione delle risorse umane degli uffici di procura, consentendo la partecipazione del pubblico ministero del primo grado, ove impugnante, al giudizio di secondo grado.  

Va precisato, altresì, che l'intervento legislativo realizzato con l'emanazione del d.lgs. n. 11/2018 (di attuazione della delega exart. 1 commi 82, 83, 84 l. n. 103/2017), ha ridimensionato l'estensione della facoltà di impugnazione riconosciuta al Procuratore Generale presso la Corte di Appello. Il rinvio interno - a quanto previsto dall'art. 593-bis comma 2 - consente di affermare che in relazione alle decisioni terminative del giudizio di primo grado la facoltà di impugnazione del Proc. Gen. può essere esercitata solo nell'ipotesi di avvenuta avocazione (poiché in tal caso il potere si ricollega alla partecipazione diretta al procedimento) o di acquiescenza da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale. Viene dunque evitata la proposizione di più impugnazioni avverso il medesimo provvedimento. E' evidente, peraltro, che per consentire l'esercizio della facoltà da parte del Proc. Gen., l'acquiescenza deve essere espressa - da parte del Procuratore presso il Tribunale, in tempo utile. Non deve trattarsi, in altre parole, di una acquiescenza per facta concludentia ma di una acquiescenza espressa, posto che in caso contrario lo spatium deliberandi spettante all'organo di vertice potrebbe essere insufficiente, dato che il termine per esercitare la facoltà di impugnazione decorre in ogni caso, per il Proc. Gen., dall'avviso di deposito previsto dall'art. 548 comma 3. Per tale ragione risulta inserita - dal medesimo d.lgs. n. 11/2018 (art. 8) la previsione di cui all'art. 166-bis disp. att., tesa a regolamentare le modalità di comunicazione, tra i diversi Uffici, della volontà di proporre o meno l'atto di impugnazione.

Sul punto, tuttavia, è emerso un contrasto interpretativo (relativo alla possibilità o meno del Procuratore Generale di proporre l'atto di appello anche in assenza di una manifestazione espressa di acquiescenza alla decisione da parte del Procuratore della Repubblica e su temi correlati), rimesso alle Sezioni Unite con ordinanza Sez. V n.46038/2022.

Gli uffici del pubblico ministero titolari del diritto all'impugnazione

Nel giudizio di cognizione, l'impugnazione è proponibile esclusivamente dai soggetti espressamente indicati dalla legge, che sono il procuratore della Repubblica presso il tribunale che ha adottato il provvedimento impugnato, il procuratore generale presso la corte d'appello che giudica quale giudice dell'impugnazione (Cass. V, n. 7114/1999) e il rappresentante del pubblico ministero che ha rassegnato le conclusioni nel giudizio all'esito del quale è stato pronunziato il provvedimento gravato). Si ritiene che la possibilità di proporre impugnazione derivi, in caso di difformità con le conclusioni, dalla generale titolarità di attribuzioni correlate alla tutela della legalità della decisione (art. 77, r.d.n. 12/1941) anche in riferimento all'esame complessivo del provvedimento emesso (Cass. II, n. 142/2011). La giurisprudenza, inoltre, ha riconosciuto (in difformità da opinioni dottrinali) l'esistenza della facoltà anche in capo al pubblico ministero autore delle conclusioni accolte (Cass. I, n. 5579/1996; Cass. I, n. 1391/2000). 

In particolare, il procuratore generale ed il procuratore presso il tribunale sono titolari del potere di impugnare le sentenze pronunziate dal giudice di pace (Cass. S.U., n. 22531/2005) e le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti (Cass. S.U., n. 5/2000), mentre solo il procuratore generale ha il potere di impugnare le sentenze pronunziate dalle sezioni distaccate della corte d'appello (Cass. VI, n. 15806/2014; Cass. II, n. 25786/2012).

In tema di messa alla prova, il Procuratore Generale presso la Corte di appello è legittimato ad impugnare l'ordinanza di accoglimento dell'istanza di sospensione del procedimento unitamente alla sentenza con la quale il giudice dichiara l'estinzione del reato per esito positivo della prova, qualora non sia stata effettuata nei suoi confronti la comunicazione dell'avviso di deposito dell'ordinanza di sospensione (Cass, I n. 43293/2021)

Il rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni

Il magistrato del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni, anche se nel frattempo trasferito ad altro ufficio (Cass. VI, n. 45203/2013), può proporre appello avverso la sentenza che abbia definito il giudizio (Cass. I, n. 35730/2013) e chiedere al procuratore generale di essere autorizzato a sostituirlo nell'udienza d'appello, anche se si tratti di giudizio di rinvio (Cass. V, n. 4340/1998), ma trattandosi di norma di stretta interpretazione deve ritenersi che egli non possa, nemmeno se autorizzato, proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che abbia rigettato il gravame (Cass. S.U., n. 6402/1997; Cass. IV, n. 14141/2015), sebbene si registri un orientamento contrario che si fonda sul rilievo per cui il magistrato che abbia sostituito il procuratore generale in appello ha presentato le conclusioni, sicché in tale qualità avrebbe autonomo potere di impugnazione della sentenza per cassazione (Cass. I, n. 27549/2010). Peraltro, l'autorizzazione del procuratore generale è legittima anche in assenza di richiesta nell'atto di appello, che configura una mera irregolarità (Cass. I, n. 19613/2006). Lo stesso potere spetta al magistrato che ha rassegnato le conclusioni quando, trattandosi di reati attribuiti alla competenza della direzione distrettuale antimafia, il procuratore distrettuale abbia delegato per l'udienza il magistrato del pubblico ministero circondariale presso il giudice del dibattimento competente (Cass. I, n. 35730/2013; Cass. I, n. 8777/1999). Quando il magistrato che ha rassegnato le conclusioni sia stato successivamente applicato o trasferito alla procura generale, quivi è in servizio e di conseguenza, quale sostituto del procuratore generale, ha il potere di impugnare la sentenza, anche per cassazione, indipendentemente da qualsivoglia autorizzazione (Cass. S.U., n. 45276/2003), perché il suo potere riposa sul fatto che egli è sostituto del procuratore generale, non sul fatto che ha presentato le conclusioni nel giudizio di primo grado.

Dubbi sono stati sollevati in dottrina circa il potere d'impugnare in capo al sostituto procuratore che non abbia presentato le conclusioni e non sia stato espressamente delegato all'impugnazione dal procuratore della Repubblica, e la dottrina più avvertita ritiene che tale potere non sussista in assenza di delega (Cordero, 1095).

Va tuttavia precisato che la giurisprudenza tende a negare rilievo processuale all'eventuale mancanza di prova della delega, in ragione del fatto che trattasi di atto interno all'ufficio di procura,  di cui va presunta l'esistenza,  e della cui assenza l'imputato non ha legittimazione a dolersi, ferma restando l'eventuale responsabilità del sostituto che non abbia osservato le direttive, sul punto, del Procuratore (Cass. II, n. 46/2014). 

Non ha potere di proporre impugnazione, invece, il vice procuratore onorario che abbia presentato le conclusioni in udienza, dal momento che non esiste una espressa norma attributiva di tale potere (Cass. V, n. 11962/2005; Cass. III, n. 3364/2005).

Le procedure cautelare ed esecutiva

Nelle procedure diverse dalla cognizione, il procuratore generale, che esercita funzioni di pubblico ministero presso la corte d'appello e non presso il tribunale, non è titolare del potere di impugnare le ordinanze emesse dal tribunale del riesame o dell'appello cautelare avverso ordinanze cautelari emesse dalla corte di appello, a meno che egli stesso abbia chiesto l'applicazione della misura (Cass. S.U., n. 31011/2009; Cass. III, n. 16618/2015; Cass. III, n. 13541/2009). Nemmeno ha il potere di impugnare i provvedimenti emessi dal tribunale quale giudice dell'esecuzione, mentre può impugnare i provvedimenti emessi dalla corte d'appello nella stessa qualità (Cass. I, n. 15853/2020; Cass. I, n. 6324/2013; Cass. I, n. 1375/2011). In base allo stesso principio, nei procedimenti per reati previsti dall'art. 51, comma 3-bis, titolare del potere di impugnare le ordinanze del tribunale del riesame o dell'appello cautelare è esclusivamente il pubblico ministero distrettuale, anche per i reati comuni connessi (Cass. II, n. 9797/2009; Cass. VI, n. 2499/2004), dal momento che esso è sia l'organo richiedente sia il pubblico ministero presso il tribunale distrettuale, né rileva la delega rilasciata al pubblico ministero circondariale, essendo essa limitata alle funzioni requirenti per il solo dibattimento (Cass. S.U., n. 3/2000; Cass. VI, n. 632/2000). Anche in materia cautelare il potere d'impugnazione prescinde dalle conclusioni rassegnate dal rappresentante del pubblico ministero in udienza (Cass. VI, n. 30891/2008).

La sentenza di applicazione della pena su richiesta

Si ritiene che la particolare natura del rito negoziale del patteggiamento comporti limitazioni alla generale rivedibilità della condotta tenuta in udienza dal rappresentante dell'accusa, non potendosi ammettere un recesso postumo dall'accordo (Cass. III, n. 41137/2013). Il ricorso del pubblico ministero è pertanto ritenuto ammissibile esclusivamente nel caso in cui la sentenza contenga statuizioni diverse dall'accordo raggiunto tra le parti (Cass. VI, n. 42837/2013; Cass. IV, n. 38286/2002; Cass. IV, n. 4195/2000) o la pena sia illegale e non meramente illegittima (Cass. VI, n. 44909/2013; Cass. VI, n. 37949/2007;) o ancora lì dove si censuri, ricorrendo l'interesse della parte pubblica, il mancato controllo da parte del giudice sulla qualificazione giuridica del fatto (Cass. S.U., n.5/2000). V. sub art. 448.

L'autonomia del rappresentante dell'accusa in sede di trattazione del giudizio.

In sede di trattazione del giudizio di impugnazione il rappresentante della pubblica accusa, incardinato presso il giudice ad quem, non è vincolato alla prospettazione introdotta con l'atto di impugnazione e ben può formulare richiesta di conferma del provvedimento impugnato o di rigetto dei motivi di ricorso, non potendosi ritenere tale condotta processuale come manifestazione della volontà di rinunzia (Cass. III, n. 1591/2010; Cass. I, n. 4512/2011; Cass. II, n. 49038/2014).

Bibliografia

Bargis, Impugnazioni, in Conso-Grevi-Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, 2012 ; Cordero, Procedura penale, Milano, 2012.

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