Codice di Procedura Penale art. 576 - Impugnazione della parte civile e del querelante.

Sergio Beltrani

Impugnazione della parte civile e del querelante.

1. La parte civile [76 s.] può proporre impugnazione [581 s.] 1 contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile [538-541, 600] e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio [529-531]. La parte civile può altresì 2proporre impugnazione contro la sentenza pronunciata a norma dell'articolo 442, quando ha consentito alla abbreviazione del rito.

2. Lo stesso diritto compete al querelante condannato a norma dell'articolo 542 3.

 

[1] Le parole «, con il mezzo previsto per il pubblico ministero», che figuravano dopo le parole «proporre impugnazione», sono state soppresse dall'art. 6 1 lett. a) l. 20 febbraio 2006, n. 46.

[2] Le parole «La parte civile può altresì» sono state sostituite alla parole «Con lo stesso mezzo e negli stessi casi può» dall'art. 6 1 lett. b) l. n. 46, cit.

[3] Per il procedimento davanti al giudice di pace, v. art. 38 d.lg. 28 agosto 2000, n. 274.

Inquadramento

L'art. 576 disciplina le  impugnazioni proprie della parte civile e del querelante che sia stato condannato al pagamento delle spese e dei danni, facendo riferimento anche alla sentenza di merito pronunciata dal giudice dell'udienza preliminare, ove l'imputato, in udienza preliminare, nel caso in cui l'imputato abbia in tale sede richiesto la decisione con giudizio abbreviato: «l'estensione alla pronuncia sull'an debeatur deriva dalle decisioni  della Corte cost. n. 1/1970 e Corte cost. n. 29 del 1972, che ritennero l'illegittimità dell'esistenza di limiti alla proponibilità del ricorso per cassazione della parte civile contro le disposizioni della sentenza riguardanti i suoi interessi civili. Come è noto, nonostante tali decisioni riguardassero il solo ricorso per cassazione, già in sede di lavori preparatori della precedente delega si rilevò come dovesse ritenersi incoerente un sistema che consentisse, nelle ipotesi predette, il ricorso e non l'appello della parte civile. Questo perché la norma è ora formulata in sede di disposizioni generali, con riferimento perciò ad entrambe le impugnazioni» (Relazione al Progetto preliminare del codice di procedura penale, 287).

L'art. 576 distingue nettamente l'impugnazione proposta dalla parte civile contro una sentenza di proscioglimento, che rileva ai soli effetti della responsabilità civile, dall'impugnazione dei soli capi civili, che è ammessa avverso la sentenza di condanna; con la prima si può chiedere l'accertamento della responsabilità penale dell'imputato, quale logico presupposto della sua condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno, ma ciò non può condurre ad una modifica della decisione penale, sulla quale si è formato il giudicato, in difetto dell'impugnazione del p.m.; l'affermazione della responsabilità dell'imputato per un fatto previsto dalla legge come reato ha la funzione di giustificarne la condanna alle restituzioni ed al risarcimento dei danni, anche non patrimoniali. Non è ammissibile, invece, che la parte civile si limiti alla sola richiesta penale, giacché in tal caso il petitum risulterebbe diverso da quello che concede la legge; la domanda civile, pertanto, deve necessariamente concorrere e le richieste della parte civile, in sede di impugnazione, devono fare riferimento specifico e diretto, a pena di inammissibilità del gravame, agli effetti di carattere civile che si intendono conseguire (Cass. II, n. 897/2004). Ne deriva che una richiesta della parte civile impugnante al giudice del gravame, riguardante esclusivamente l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato, prosciolto nel precedente grado di giudizio, rende inammissibile l'impugnazione, in quanto richiede al giudice adito di delibare soltanto in merito a un effetto penale, che esula dai limiti delle facoltà riconosciute dalla legge alla detta parte processuale (Cass. I, n. 7241/1999).

La disposizione prevede una deroga rispetto a quanto stabilito dall'art. 538 per il giudizio di primo grado, ed in tal modo legittima la parte civile non solo a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio, ma anche a chiedere l'affermazione di responsabilità penale dell'imputato ai soli effetti civili e per l'accoglimento, quindi, della domanda di restituzione o di risarcimento del danno (Cass. IV, n. 34361/2002).

E' stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in relazione agli artt. 3 e 111 Cost. - dell'art. 576, nella parte in cui prevede che l'impugnazione della parte civile, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento vada proposta innanzi al giudice penale anziché innanzi al giudice civile, poiché l'azione civile esercitata nel processo penale ha natura accessoria e subordinata all'accertamento del reato e al giudizio di colpevolezza dell'imputato che non può che spettare al giudice penale (Cass. IV, n. 46392/2018).

Il diritto di impugnazione della persona offesa

Nessuna disposizione processuale attribuisce alla persona offesa che non sia anche costituita parte civile (o non sia "querelante condannato alle spese o ai danni”, ex art. 542) un generale diritto di impugnazione: ne consegue che l'impugnazione presentata da tale soggetto contro una sentenza deve essere dichiarata inammissibile perché proposta da soggetto non avente diritto, ex art. 568, comma 3 (Cass. V, n. 887/1992; Cass. VII, n. 48896/2012).

Nei reati di violenza sessuale (artt. 609-bis ss. c.p.) aggravati ex art. 61, comma 1, n.11- quinquies, c.p., è stata riconosciuta qualifica di persona offesa, con conseguente legittimazione alla costituzione di parte civile ed all'impugnazione, al minore che ha assistito al fatto delittuoso (Cass. III, n. 45403/2016).

Il diritto di impugnazione della parte civile

 

Autonomia dell'impugnazione della parte civile

L'impugnazione proponibile, e proposta, ai soli effetti civili dalla parte civile ai sensi dell'art. 576, è autonoma rispetto a quella del pubblico ministero, sicché non è pregiudicata dall'eventuale rinuncia al gravame della parte pubblica, la cui rilevanza giuridica è circoscritta esclusivamente agli effetti penali del provvedimento impugnato (Cass. II, n. 9868/2000: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato la sentenza di secondo grado la quale, prendendo atto della dichiarazione di rinuncia al gravame effettuata dal procuratore generale, aveva ritenuto inammissibile anche l'impugnazione della parte civile).

È stato ritenuto legittimo l'appello incidentale proposto dalla parte civile contro il capo della sentenza di condanna riguardante l'azione civile e l'entità del danno risarcibile, in un caso nel quale la parte della sentenza investita dell'appello incidentale risultava logicamente collegata ai capi ed ai punti relativi all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato, oggetto dell'impugnazione principale, e quindi la parte civile acquiescente ben avrebbe potuto subire un pregiudizio diretto ed immediato dall'eventuale modifica delle predette statuizioni (Cass. IV, n. 26166/2016: fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto corretta la decisione del giudice di appello che, nel rigettare l'appello degli imputati che contestavano l'affermazione di responsabilità, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado riconoscendo una provvisionale alla parte civile, in accoglimento parziale dell'appello incidentale della stessa).

Formalità: la procura speciale

Le disposizioni processuali relative alle impugnazioni delle parti private diverse dall'imputato, prevedono e conferiscono il potere d'impugnativa alle stesse «parti» personalmente considerate, giammai ai loro difensori; ne consegue che questi ultimi, in quanto meramente tali, non sono legittimati a proporre l'impugnazione, a meno di non essere muniti di procura speciale: è stato, pertanto, ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal difensore della parte civile non munito di procura speciale (Cass. IV, n. 6364/1997; Cass. V, n. 5238/2014). Deve aggiungersi che, con riferimento a tale questione, avente all'evidenza natura processuale (ex art. 606, comma 1, lett. c, c.p.p.), la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e può (id est, deve) procedere all'esame diretto degli atti processuali (Cass. I, n. 8521/2013); è, nondimeno, onere del ricorrente, se non allegare al ricorso la procura speciale (come è, peraltro, sempre opportuno fare), quanto meno indicarne in modo specifico l'esistenza e la sua collocazione all'interno del fascicolo processuale: Cass. V, n. 5238/2014 ha ritenuto che «la mancata produzione e la mancata indicazione della collocazione, nel fascicolo, dell'atto di nomina, unitamente alla qualificazione del professionista quale difensore e non quale procuratore speciale, rende il ricorso inammissibile».

La giurisprudenza ha ritenuto legittimato a proporre appello il difensore della parte civile munito di procura speciale (mandato alle liti) anche se non contenente espresso riferimento al potere di interporre il detto gravame, posto che la presunzione di efficacia della procura «per un solo grado del processo», stabilita dall'art. 100, comma 3, può essere vinta dalla manifestazione di volontà della parte — desumibile dalla interpretazione del mandato — di attribuire anche un siffatto potere (Cass. S.U., n. 44712/2004: la S.C., nell'escludere che la formula utilizzata nel caso di specie — «Sig. avv.... vi nominiamo e costituiamo quale Ns difensore, nonché procuratore speciale ai fini della costituzione di parte civile nel procedimento penale n...., a carico di..., conferendovi ogni più ampia facoltà di legge ed approvando sin da ora il vostro operato» — potesse interpretarsi nel senso dell'attribuzione al difensore anche del potere di proporre appello, ha chiarito che la parte civile con la procura speciale rilasciata a norma dell'art. 100, conferisce al difensore lo jus postulandi, ossia la rappresentanza tecnica in giudizio, mentre con la procura speciale prevista dall'art. 122 attribuisce al procuratore, a norma dell'art. 76, comma 1 la diversa legitimatio ad processum, ossia la capacità di essere soggetto del rapporto processuale e di promuovere l'azione risarcitoria in nome e per conto del danneggiato). Successivamente, si è ribadito che, nei casi in cui sia prescritto che la parte stia in giudizio col ministero di difensore munito di procura speciale, il mandato, in virtù del generale principio di conservazione degli atti, deve considerarsi valido — sia con riguardo al conferimento della procura a impugnare al difensore sia all'oggetto dello specifico gravame — anche quando la volontà del mandante non sia trasfusa in rigorose formule sacramentali, ovvero sia espressa in forma incompleta, potendo il tenore dei termini usati nella redazione della procura speciale e la sua collocazione escludere ogni incertezza in ordine all'effettiva portata della volontà della parte (Cass. III, n. 4676/2015; Cass. II, n. 46159/2013: fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto valida la procura speciale rilasciata dalla parte civile al difensore per la costituzione completa anche della cosiddetta procura ad litem, contemplando, accanto all'ampio mandato a stare in giudizio, anche il mandato difensivo individuato dall'indicazione dello specifico oggetto della causa).

Il ricorso in cassazione proposto dal difensore della persona offesa non costituita parte civile avverso la sentenza di non luogo a procedere emessa all'esito dell'udienza preliminare è inammissibile nel caso in cui la procura speciale contenga il riferimento a specifiche attività processuali, tra le quali non è compresa l'impugnazione ai sensi dell'art. 428 c.p.p. (Cass. II, n. 44671/2015: fattispecie nella quale la procura speciale era stata rilasciata per l'applicazione di riti alternativi, l'eventuale remissione di querela e l'impugnazione di sentenze di condanna contumaciale, senza alcun riferimento all'impugnazione della sentenza di non luogo a procedere).

Il diritto di proporre appello

All'indomani dell'entrata in vigore della l. n. 46 del 20 febbraio 2006 (c.d. “legge Pecorella”) si dubitò circa la perdurante possibilità per la parte civile di proporre appello agli effetti civili contro la sentenza di proscioglimento, in difetto (dovuto alla cattiva tecnica di redazione della novella) di una disposizione che le conferisse espressamente tale facoltà (in dottrina, in argomento, Aimonetto, 161; Marandola, 107).

Intervenute preventivamente per risolvere il potenziale contrasto in ordine ad un tema di estrema rilevanza, le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 27614/2007) ritennero che, anche a seguito delle modificazioni introdotte dall'art. 6 della citata “legge Pecorella” all'art. 576, la parte civile ha facoltà di proporre appello, agli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio di primo grado, in quanto in quanto il testo novellato dell'art. 576, prevedendo una generica legittimazione della parte civile ad impugnare, non limita detto potere al solo ricorso per cassazione né esclude espressamente o per implicito l'appello, sicché può essere inteso nel senso che è consentita ogni forma d'impugnazione ordinaria.

L'orientamento non è mai stato successivamente posto in discussione (Cass. VI, n. 41479/2011, con la specificazione che il giudice dell'impugnazione ha, nei limiti del devoluto ed agli effetti della devoluzione, il potere di affermare la responsabilità dell'imputato agli effetti civili e di condannarlo al risarcimento o alle restituzioni; nel medesimo senso, anche con riguardo ai capi della sentenza di condanna riguardanti l'azione civile, Cass. V, n. 6756/2015 e Cass. VI, n. 18484/2022), ed ha anche ricevuto l'avallo della giurisprudenza costituzionale (Corte cost., n. 23/2007; Corte cost. n. 2/2008; Corte cost. n. 153/2008; Corte cost. n. 154/2008; Corte cost. n. 226/2008: «Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 576 c.p.p., come modificato dall'art. 6 della l. 20 febbraio 2006, n. 46, censurato, in riferimento agli artt. 3,24,97 e 111 Cost., nella parte in cui esclude che la parte civile possa proporre appello, ai soli effetti della responsabilità civile, avverso la sentenza di proscioglimento dell'imputato. Le questioni sono state sollevate sulla base di una premessa interpretativa — quella secondo cui la riforma delle impugnazioni del 2006 avrebbe soppresso, per la parte civile, il potere di appello — non imposta dal diritto vivente, sicché i rimettenti hanno omesso di sperimentare adeguate soluzioni ermeneutiche — peraltro affermate dalla giurisprudenza di legittimità — idonee a rendere le disposizioni censurate esenti dai prospettati dubbi di legittimità»).

Ribadito che la parte civile, anche dopo la l. n. 46/2006, conserva il potere di impugnare le sentenze di proscioglimento e che il giudice dell'impugnazione ha, nei limiti del devoluto ed agli effetti della devoluzione, i poteri che avrebbe dovuto esercitare il giudice che ha prosciolto, si è aggiunto che, nei casi in cui il giudice di appello ritenga che il giudice di primo grado abbia errato nel dichiarare la prescrizione, deve statuire, ai soli fini civili, prima nel merito e, poi, sulle domande civili, quand'anche dovesse nuovamente dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione nel frattempo sopravvenuta (Cass. II, n. 7041/2013).

Le impugnazioni contro i capi della sentenza di condanna concernenti l'azione civile

L'impugnazione della parte civile contro i capi della sentenza di condanna concernenti l'azione civile, non può essere diretta ad ottenere una modifica delle statuizioni penali, limitando l'art. 576 il potere di impugnazione della stessa ai capi della sentenza di condanna riguardanti l'azione civile nonché alle sentenze di proscioglimento (Cass. III, n. 5860/2012: in applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso riguardante l'erronea concessione di circostanza attenuante); la dottrina ha, in proposito, osservato che l'art. 576 riconosce alla parte civile il diritto di impugnare la sentenza di condanna del giudice penale «che neghi il risarcimento o lo accordi in misura inferiore rispetto a quanto richiesto o che compensi — totalmente o parzialmente — le spese», oppure «che neghi la provvisionale richiesta in presenza di una condanna generica o la concessione dell'esecuzione provvisoria della condanna» (Gialuz, 7071; Marandola, 116), naturalmente soltanto ove si ritenga che tali statuizioni siano autonomamente impugnabili (la giurisprudenza è orientata in senso negativo: cfr., rispettivamente, Cass. III, n. 18663/2015, e Cass. III, n. 2860/2015).

Segue. Qualificazione giuridica del fatto

Parte della giurisprudenza ritiene che la parte civile sia priva di interesse all'impugnazione di una sentenza di condanna, anche nell'ipotesi in cui con quest'ultima sia stata data al fatto una qualificazione giuridica diversa rispetto a quella contenuta nell'imputazione, salvo che da tale diversa qualificazione possa derivare una differente quantificazione del danno da risarcire (Cass. I, n. 23114/2003: fattispecie nella quale la qualificazione giuridica del fatto contestato all'imputato era rimasta immutata, e le parti civili si erano limitate a censurare la motivazione della sentenza di condanna impugnata quanto alla ricostruzione del delitto e dei suoi antefatti, asseritamente avvenuta seguendo acriticamente la versione dell'imputato, e così pervenendo, tra l'altro, ad avallare il giudizio di appartenenza alla 'ndrangheta delle vittime, pur in assenza di qualsivoglia elemento di conferma). 

E' stato, quindi, riconosciuto l'interesse della parte civile alla partecipazione al giudizio di legittimità instaurato a seguito di ricorso del procuratore generale finalizzato ad ottenere una diversa qualificazione giuridica, "in pejus", del fatto - reato accertato, poiché da quest'ultima poteva derivare una differente quantificazione del danno morale da risarcire, cui si perviene tenendo conto anche della gravità del reato, suscettibile di acuire i turbamenti psichici e l'entità del patema d'animo sofferti dalla vittima (Cass. II, n. 52549/2017).

Un orientamento contrario afferma, peraltro, non condivisibilmente, che la parte civile non ha interesse ad impugnare ai fini civili la sentenza di condanna che dia al fatto una diversa qualificazione giuridica, salvo che ciò consegua ad una diversa ricostruzione del fatto storico (Cass. III, n. 14812/2017: in applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile l'impugnazione della parte civile avverso una sentenza di condanna in appello per il delitto di cui all'art. 517-ter c.p., anziché per l'originaria imputazione di cui all'art. 474 c.p., rilevando che il fatto storico attribuito all'imputato era rimasto uguale in entrambi i gradi di giudizio).

A conclusioni ancora diverse si giunge quando dalla mutata qualificazione giuridica del fatto contestato possa dipendere l’estinzione per prescrizione del reato: l’orientamento dominante ritiene tout court inammissibile l'impugnazione proposta dalla parte civile, nei confronti di una sentenza di proscioglimento, al fine di sindacare la qualificazione giuridica conferita al fatto, anche quando dalla relativa decisione del giudice derivi una sentenza dichiarativa di prescrizione, poiché il gravame attiene esclusivamente ai profili penali della vicenda processuale, ed il provvedimento non pregiudica gli interessi concernenti l'obbligazione risarcitoria in ipotesi nascente dal fatto in questione (Cass. VI, n. 37034/2003; Cass. I, n. 2874/2019).

Segue. Circostanze

Dal carattere circostanziato o meno del reato può derivare l'incremento o meno del danno civile risarcibile; numerose sono le applicazioni giurisprudenziali in argomento.

La parte civile è stata ritenuta legittimata a ricorrere per cassazione contro la sentenza di condanna che abbia riconosciuto all'imputato la circostanza attenuante della provocazione (art. 62, comma 1, n. 2, c.p.), che incide sugli effetti civili (Cass. I, n. 4775/2000).

E' stato escluso il possibile interesse della parte civile al diniego delle circostanze attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.), per il rilievo che esse incidono unicamente sulla pena irroganda, non anche sulla quantificazione del danno (Cass. fer., n. 1019/2013). Un orientamento ha, peraltro, escluso tout court la legittimazione della parte civile ad impugnare capi della sentenza di condanna riguardanti circostanze attenuanti, per il rilievo che «l''impugnazione della parte civile non può essere diretta ad ottenere una modifica delle statuizioni penali, perché l'art. 576 limita il potere di impugnazione della stessa parte civile ai capi delle sentenze di condanna che riguardano l'azione civile, nonché alle sentenze di proscioglimento» (Cass. III, n. 5860/2012, in fattispecie nella quale le parti civili lamentavano l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui essa aveva riconosciuto la sussistenza dalla circostanza attenuante di cui all'art. 62, comma 1, n. 6, c.p.).

È stato escluso il possibile interesse della parte civile anche a proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di condanna che abbia escluso per l'imputato l'aggravante della premeditazione (art. 577, comma 1, n. 3, c.p.), poiché questa, pur potendo determinare una più grave sanzione, non influisce sull'entità della pretesa risarcitoria, che in sede civile può dar luogo ad un'adeguata liquidazione del danno subito, indipendentemente dall'entità della pena inflitta e, quindi, dal particolare disvalore sociale del fatto connesso alla sussistenza della premeditazione (Cass. I, n. 5697/2003, e Cass. n. 31854/2011). È stato, al contrario, riconosciuto l'interesse della parte civile ad impugnare ai fini civili la sentenza di condanna che non abbia riconosciuto la sussistenza della circostanza aggravante prevista dall'art. 7 d.l. n. 152/1991, convertito in l. n. 203/1991– ora art. 416-bis. 1 c.p. - , potendo da quest'ultima derivare una differente quantificazione del danno morale da reato da risarcire, cui si perviene tenendo conto anche della gravità del reato, suscettibile di acuire i turbamenti psichici, e della entità del patema d'animo sofferto dalla vittima, che può risultare più intensamente intimidita da una condotta posta in essere con l'utilizzo del metodo mafioso o con finalità di agevolazione mafiosa (Cass. II, n. 49038/2014; in senso contrario, meno condivisibilmente, Cass. I, n. 38701/2013, per il rilievo che la aggravante in oggetto influisce sulla gravità del fatto, ma non aggrava le conseguenze risarcitorie dell'evento, né risulta determinante per l'accesso ai benefici disciplinati dalla l. 20 ottobre 1990, n. 302 in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata).

Un orientamento ha escluso la legittimazione della parte civile ad impugnare il punto della sentenza riguardante il riconoscimento delle attenuanti generiche anche in un caso nel quale da esso dipendeva la conclusiva declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (applicando la più favorevole disciplina previgente: l'art. 157 c.p. nella formulazione attualmente vigente prevede l'irrilevanza delle circostanze attenuanti ai fini del computo dei termini di prescrizione), maturata prima dell'emissione della sentenza di primo grado, con conseguente caducazione delle statuizioni civili: "in questo caso, la statuizione penale alla cui eliminazione si tende, seppur può produrre l'effetto indiretto del mantenimento dell'azione civile nel processo penale, in quanto conserverebbe il potere del giudice di secondo grado di provvedere sugli effetti civili, si risolve pur sempre in una richiesta di annullamento di una pronuncia di natura penale, inidonea ad incidere di per sé sugli effetti civili, salvaguardati dal possibile esercizio dell'azione civile in sede civile. L'impugnazione della parte civile non può, infatti, essere diretta ad ottenere una modifica delle statuizioni penali, perché l'art. 576 c.p.p. limita il potere d'impugnazione della stessa parte civile ai capi e punti delle sentenze di condanna che riguardano l'azione civile, nonché alle sentenza di proscioglimento, ai soli effetti della responsabilità civile"). Si è, quindi, ritenuto che la parte civile possa impugnare la sentenza di proscioglimento solo quando il gravame sia idoneo a procurarle, attraverso l'eliminazione della statuizione pregiudizievole, una situazione più vantaggiosa; ma, nel caso esaminato, tale effetto era solo indiretto, ed anzi la parte civile non aveva patito alcun pregiudizio irreversibile, potendo pur sempre coltivare la sua azione  nella sede che le è propria, ovvero quella civile, senza che l'esercizio del diritto azionato risulti irrimediabilmente compromesso o reso più difficile (Cass. IV, n. 27393/2018).

Segue. Trattamento sanzionatorio e continuazione

È stato escluso il possibile interesse della parte civile alla quantificazione del trattamento sanzionatorio ed alle statuizioni in tema di confisca dei beni degli imputati, in quanto tali questioni non possono avere alcuna incidenza sugli interessi civili (Cass. V, n. 47876/2012, con la precisazione che, ove la parte civile sia intervenuta nel giudizio avente siffatto oggetto, non potrebbero essere poste a carico dell'imputato le relative spese), nonché all'applicazione della disciplina della continuazione, che ancora una volta non incide sulla maggiore o minore gravità del fatto-reato (Cass. V, n. 5262/2014).

Segue. Sospensione condizionale

Secondo l'orientamento dominante in giurisprudenza, la parte civile non è legittimata a proporre impugnazione ex art. 576 contro il capo della sentenza di condanna che non abbia subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno (ex art. 165 c.p.), in quanto tale statuizione non riguarda l'azione civile e gli interessi civili, ma gli obblighi imposti al condannato circa l'eliminazione delle conseguenze dannose del reato; inoltre, le disposizioni contenute nell'art. 165 c.p., e concernenti il potere del giudice di subordinare la concessione del beneficio alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, non riguardano il danno civilistico patrimonialmente inteso, bensì il danno criminale, cioè quelle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente apprezzabile e risarcibile, che strettamente ineriscono alla lesione o alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata (Cass. V, n. 1317/1986; Cass. II, n. 2431/1997; Cass. VI, n. 38558/2015). Altro orientamento, peraltro isolato, ha ritenuto, al contrario, che la parte civile è legittimata a proporre impugnazione avverso la sentenza di condanna nella parte in cui questa non abbia subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno (Cass. II, n. 22342/2013).

Segue. Prescrizione

 La giurisprudenza  ha ritenuto che, nei confronti della sentenza di primo grado che abbia dichiarato  l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come contro la sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, è ammessa l'impugnazione della parte civile che lamenti l'erronea applicazione della prescrizione: la legittimazione della parte civile ad impugnare deriva direttamente dalla previsione dell'art. 576, comma 1, mentre l'interesse concreto deve individuarsi nella finalità di ottenere, in caso di appello, il ribaltamento della prima pronuncia e l'affermazione di responsabilità dell'imputato, sia pure ai soli fini delle statuizioni civili, e, in caso di ricorso in cassazione, l'annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile in grado di appello, ex art. 622 c.p.p., senza la necessità di iniziare ex novo il giudizio civile (Cass. S.U., n. 28911/2019).

Le impugnazioni contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio

È pacificamente ammissibile l'impugnazione proposta dalla parte civile (anche in difetto di concorrente impugnazione del P.m.) contro la sentenza di proscioglimento, preordinata a chiedere l'affermazione della responsabilità dell'imputato, quale logico presupposto della condanna alle restituzioni e/o al risarcimento del danno; detta impugnazione non può condurre ad una modifica della decisione penale, sulla quale — in difetto dell'impugnazione del P.m. — si è formato il giudicato, ma unicamente all'affermazione della responsabilità dell'imputato per un fatto previsto dalla legge come reato, che giustifica la condanna alle restituzioni e/o al risarcimento del danno. In tale ipotesi, il giudice dell'impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile necessariamente dipendente da un accertamento sul fatto reato e, dunque, sulla responsabilità dell'autore dell'illecito, può, seppure in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell'imputazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto, nel qual caso la res iudicanda si sdoppia, dando luogo a differenti decisioni potenzialmente in contrasto tra loro, contrasto che può rimanere interno alla giurisdizione penale oppure manifestarsi tra giudici di giurisdizioni diverse (Cass. II, n. 5072/2006).

Chiamate a decidere se la parte civile, con l'impugnazione della sentenza di proscioglimento, debba richiedere espressamente, a pena di inammissibilità, la riforma della sentenza ai soli effetti civili, le Sezioni Unite (Cass. S.U. , n. 6509/2013) hanno stabilito che, «allorché la parte civile impugni una sentenza di proscioglimento che non abbia accolto le sue conclusioni, chiedendo la riforma di tale pronunzia, l'atto di impugnazione, ricorrendo le altre condizioni, è ammissibile anche quando non contenga l'indicazione che l'atto è proposto ai soli effetti civili, discendendo tale effetto direttamente dall'art. 576 c.p.p.» (conforme, Cass. IV, n. 29154/2018). Una successiva decisione ha, peraltro, ritenuto che l'impugnazione dell'Inail, che si sia costituito parte civile nel processo per agire in via di regresso, avverso la sentenza di proscioglimento che non abbia accolto le sue conclusioni, è ammissibile anche quando non contenga l'espressa indicazione che l'atto è proposto ai soli effetti civili, purché, però, sia specificata la causa petendi che sorregge l'azione (Cass. IV, n. 30206/2013: nella specie, la S.C. ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione contro sentenza di assoluzione in quanto l'Inail, nel costituirsi parte civile, aveva precisato che la pretesa era «concernente l'ammontare del costo delle prestazioni previdenziali erogate in favore dei superstiti dei lavoratori deceduti in conseguenza delle malattie professionali da essi contratte»).

Segue. La nozione di «sentenza di proscioglimento» impugnabile

Il riferimento dell'art. 576 alle sentenze «di proscioglimento» comprende tutte le tipologie di decisioni indicate dagli artt. 529-534 c.p., per espresso riferimento normativo (cfr. Sezione I, Capo II, Titolo III, Libro VII c.p.p.), e quindi, le sentenze di non doversi procedere (art. 529 c.p.p.), di assoluzione (art. 530 c.p.p.) e dichiarative dell'estinzione del reato (art. 531 c.p.p.) pronunciate all'esito del giudizio.

La giurisprudenza ha evidenziato che, secondo il sistema processuale, sussiste l'interesse della parte civile a impugnare le sentenze penali di assoluzione o di proscioglimento in tutti i casi in cui la sentenza penale irrevocabile ha autorità di cosa giudicata anche nel giudizio civile o amministrativo relativo alla sua pretesa risarcitoria: proprio perché anche la pretesa risarcitoria sarebbe pregiudicata dalla decisione penale, deve riconoscersi alla parte civile un concreto interesse a rimuovere la decisione penale e il suo effetto preclusivo; al contrario, nessun interesse processuale ha la parte civile a impugnare la decisione penale quando questa manca di efficacia preclusiva e quindi lascia libera la stessa parte civile di perseguire la sua pretesa risarcitoria nelle sedi proprie (Cass. III, n. 10792/1994). È stata riconosciuta la sussistenza dell'interesse della parte civile ad impugnare, ai fini civili, la sentenza di assoluzione dell'imputato con la formula «perché il fatto non costituisce reato» (per mancanza dell'elemento psicologico), in quanto, ai sensi dell'art. 652, l'azione civile per il risarcimento del danno da fatto illecito è preclusa, oltre che nei casi in cui l'imputato sia stato assolto “per non avere commesso il fatto” o “perché il fatto non sussiste”, anche quando egli sia stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”, data l'identità di natura e di intensità dell'elemento psicologico rilevante ai fini penali e a quelli civili, con la conseguenza che un'eventuale pronuncia del giudice civile che dovesse affermare la sussistenza di tale elemento, escluso o messo in dubbio dalla sentenza penale irrevocabile, si porrebbe in contrasto con il principio dell'unità della funzione giurisdizionale (Cass. III, n. 6581/1999; Cass. IV, n. 9795/2001; Cass. V, n. 3416/2005).

Segue. Proscioglimento nel procedimento dinanzi al giudice di pace

Nel procedimento penale dinanzi al giudice di pace, la parte civile può proporre impugnazione agli effetti penali avverso le sentenze di proscioglimento solo nei casi in cui la citazione a giudizio dell'imputato sia stata da essa chiesta quale persona offesa con ricorso immediato ai sensi dell'art. 21 d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274 (Cass. V, n. 50578/2013: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato le statuizioni penali della sentenza di condanna emessa dal giudice del gravame, previa dichiarazione di inammissibilità dell'appello della parte civile relativo a sentenza emessa in procedimento instaurato a seguito di citazione da parte della polizia giudiziaria su autorizzazione del P.M., ai sensi degli artt. 15 e 20 d.lgs. n. 274/2000; Cass. V, n. 30535/2014: in applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso della persona offesa avverso la sentenza del giudice di pace di non doversi procedere per estinzione del reato ai sensi dell'art. 35 del d.lgs. n. 274/2000, in procedimento instaurato per effetto di imputazione formulata dal pubblico ministero; Cass. V, n. 48696/2014: fattispecie nella quale la S.C. ha annullato senza rinvio, limitatamente alle statuizioni penali, la sentenza di condanna emessa dal Tribunale in sede di appello, a seguito di impugnazione proposta dalla parte civile in procedimento instaurato davanti al giudice di pace non con il ricorso previsto dall'art. 21 del d.lgs. n. 274/2000).

È stato ritenuto ammissibile il ricorso immediato per cassazione (per saltum: cfr. art. 569 c.p.p.) proposto dalla parte civile contro la sentenza di proscioglimento del giudice di pace, finalizzato ad ottenere la condanna dell'imputato ai soli effetti civili, per il rilievo che, in tal caso, per effetto del rinvio operato dall'art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000 alle norme del codice di procedura penale per tutto quanto non diversamente previsto dal decreto stesso, trova applicazione l'art. 576.

La sentenza del giudice di pace che, all'esito di dibattimento, abbia dichiarato l'estinzione del reato per intervenuta riparazione del danno, è appellabile e non ricorribile per cassazione (Cass. IV, n. 41578/2010; Cass. V, n. 28059/2013).

Da ultimo, Cass. V, n. 30224/2017 ha ribadito che, nel procedimento davanti al giudice di pace, la parte civile è legittimata a proporre appello avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace ai soli effetti civili.

È ammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile avverso la sentenza di proscioglimento del giudice di pace, finalizzato ad ottenere la condanna dell'imputato ai soli effetti civili, poiché, in virtù del  rinvio operato dall'art. 2 D. Lgs. 28 agosto 2000, n. 74 alle norme del codice di procedura penale per tutto quanto non diversamente previsto dallo stesso D. Lgs., trova applicazione l'art. 576 (Cass. V, n. 18252/2016).

Segue. La regola di giudizio applicabile in appello

Nel giudizio di appello, instaurato a seguito di impugnazione proposta dalla sola parte civile, il giudice è tenuto a valutare la sussistenza della responsabilità dell'imputato secondo i parametri del diritto penale e non facendo applicazione di regole proprie del diritto civile, le quali configurano anche ipotesi di inversione dell'onore della prova ovvero di responsabilità oggettiva (Cass. II, n. 12255/2019; Cass. IV, n. 42995/2015: fattispecie nella quale la S.C. ha annullato con rinvio al giudice civile la sentenza di condanna pronunciata dal giudice di appello, il quale, riformando la decisione di primo grado, aveva affermato la responsabilità dell'imputato sulla base della disposizione dettata dall'art. 2052 c.c.).

Segue. Reformatio in pejus del verdetto assolutorio e riassunzione delle prove dichiarative in appello

Un orientamento giurisprudenziale che appariva dominante riteneva che il giudice d'appello, per riformare, anche ai soli effetti civili, la sentenza assolutoria di primo grado, sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova posta a base della decisione del primo giudice, non è obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale, considerato che i principi in proposito affermati dalla giurisprudenza della Corte EDU (cfr. subart. 603 c.p.p.) concernono soltanto l'accusa penale, non anche le statuizioni civili (Cass. V, n. 14208/2015, in fattispecie nella quale si procedeva con rito abbreviato; Cass. II, n. 13455/2016). Altra decisione, premesso che la regola di giudizio applicabile è, ai sensi dell'art. 573 c.p.p., la medesima del processo penale (con riguardo al quale, per la regola di giudizio applicabile in caso di reformatio in peius dell'iniziale verdetto assolutorio, si rinvia sub art. 603 c.p.p.),  aveva ritenuto illegittima la sentenza di appello che, in riforma di quella assolutoria, aveva dichiarato la prescrizione, affermando la responsabilità dell'imputato, sia pure ai soli fini civili, sulla base di una alternativa e non maggiormente persuasiva interpretazione del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo grado di giudizio (Cass. VI, n. 37592/2013: fattispecie nella quale la Corte di appello aveva riformato la sentenza assolutoria, ribaltando il giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni accusatorie sulla base di sillogismo fondato sulla transitività della prova relativa ad altro reato, siccome commesso nell'ambito di un contesto omogeneo ed in concorso con le medesime persone): detta decisione, peraltro, non si pone in immediato contrasto con il predetto orientamento, poiché, a ben vedere, nel caso esaminato, la reformatio in peius dell'originario verdetto assolutorio (in luogo del quale era stata dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione) aveva riguardato in primis gli effetti penali, e solo conseguentemente quelli civili.

Esaminando la questione in via meramente incidentale (poiché il tema non aveva alcun rilievo diretto ai fini della decisione), le Sezioni Unite, nella sentenza n. 27620/2016,(sentenza “Dasgupta”), hanno, al contrario, ritenuto anche in questo caso necessaria la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, richiamando un precedente orientamento (Cass. VI, n. 37592/2013, per la quale << È illegittima la sentenza di appello che, in riforma di quella assolutoria, dichiara la prescrizione, affermando la responsabilità dell'imputato, sia pure ai soli fini civili, sulla base di una alternativa e non maggiormente persuasiva interpretazione del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo grado di giudizio>>), ed osservando che anche in questo caso, come in ogni altro in cui si discuta di c.d. reformatio in pejus di un verdetto assolutorio (cfr. amplius sub artt. 533 e 603 c.p.p.) è in gioco <<la garanzia del giusto processo a favore dell'imputato coinvolto in un procedimento penale, dove i meccanismi e le regole sulla formazione della prova non subiscono distinzioni a seconda degli interessi in gioco, pur se di natura esclusivamente civilistica; tanto che anche in un contesto di impugnazione ai soli effetti civili deve ritenersi attribuito al giudice il potere-dovere di integrazione probatoria di ufficioex art. 603, comma 3, c.p.p.>>. In verità, il precedente richiamato dalle Sezioni Unite non appare direttamente attinente alla questione in esame, poiché esso riguardava una fattispecie significativamente diversa, nella quale la mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale aveva condizionato non soltanto le conclusive statuizioni civili, ma anche e soprattutto la decisione agli effetti penali (legittimando la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, senz'altro peggiorativa rispetto all'originaria assoluzione).

L'orientamento delle Sezioni Unite è stato successivamente condiviso e ribadito da Cass. VI, n. 52544/2016; oltre che, ancora una volta, dalla sentenza “Cremonini” delle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 22065/2021).

Segue. Nel giudizio di rinvio

Nel caso di accoglimento del ricorso per cassazione della parte civile contro una sentenza di assoluzione, nel conseguente giudizio di rinvio, ai fini dell'accertamento del nesso di causalità commissiva, il giudice civile è tenuto ad applicare la regola di giudizio del diritto penale (dell'oltre ogni ragionevole dubbio) e non quella del diritto civile (del più probabile che non), essendo in questione, ai sensi dell'art. 185 c.p., il danno da reato e non mutando la natura risarcitoria della domanda proposta, ai sensi dell'art. 74 c.p.p., innanzi al giudice penale (Cass. IV, n. 27045/2016).

Nel caso di accoglimento del ricorso per cassazione avverso una sentenza di assoluzione proposto da una soltanto delle parti civili, il conseguente giudizio di rinvio non si estende alle domande delle altre parti civili non ricorrenti, in quanto la mancata impugnazione da parte di queste ultime determina acquiescenza rispetto al "decisum" assolutorio (Cass. I, n. 50426/2016).

Il ricorso per cassazione

La parte civile ha facoltà di proporre ricorso per cassazione contro la sentenza assolutoria d'appello soltanto se abbia in precedenza impugnato la decisione assolutoria di primo grado, confermata dalla Corte d'appello (Cass. V, n. 315/2018: nella specie, l'appello contro l'assoluzione pronunciata in primo grado era stato proposto dal solo pubblico ministero).

Non è ammissibile il ricorso per cassazione presentato da persona offesa che non sia costituita parte civile, in quanto proposto da soggetto non avente diritto, in difetto di previsioni normative che legittimino tale impugnazione (Cass. V, n. 17802/2017).

Da ultimo (Cass. IV, n. 5417/2022 ), la giurisprudenza ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile ai soli effetti civili avverso una sentenza di assoluzione, qualora l'imputato sia nelle more deceduto , non potendo essere instaurato il contradditorio tra le parti e non trovando applicazione la disciplina processualcivilistica in tema di interruzione del processo nel caso di morte delle parti o dei difensori.

Profili di costituzionalità

È stata dichiarata manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 576, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., nella parte in cui prevede la facoltà della parte civile di appellare le sentenze di proscioglimento al di fuori delle ipotesi di cui all'art. 603, commi 1, 2 e 4 c.p.p.: si è, in proposito, osservato, da un lato, che la pronunzia richiesta non è costituzionalmente obbligata, ma rientra nella discrezionalità del legislatore, dall'altro, che la soluzione proposta dal rimettente — rappresentata dalla soppressione radicale dell'appello, fuori dei circoscritti casi nei quali deve disporsi la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale — non solo non è l'unica possibile ma non appare neppure congrua rispetto all'obiettivo perseguito dal rimettente: «Difatti, nella prospettiva del giudice a quo, l'appello dovrebbe rimanere esperibile in tutti i casi di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. Ma una tale ipotesi, però, non comporta necessariamente il ripristino dei caratteri di oralità e immediatezza in sede di gravame, posto che di tutto il restante materiale probatorio il giudice di appello continuerebbe ad avere una conoscenza meramente cartolare» (Corte cost., n. 193/2009).

Casistica

 

Le impugnazioni contro sentenze pronunciate all'esito del giudizio abbreviato

L'impugnazione consentita alla parte civile contro sentenza di proscioglimento dell'imputato emessa all'esito del giudizio rito abbreviato (ex art. 442), cui la medesima parte civile abbia prestato accettazione, non è il ricorso per cassazione, bensì l'appello, nei casi in cui con tale mezzo può proporre impugnazione il pubblico ministero (ex art. 576, comma 1); ne consegue l'obbligo per la Corte di cassazione di provvedere, ai sensi dell'art. 568, comma 5, alla corretta qualificazione del gravame erroneamente proposto, con trasmissione degli atti al giudice competente (Cass. VI, n. 4753/1994). Si è successivamente chiarito che la parte civile, anche se non persona offesa (ma soltanto danneggiata dal reato), è legittimata a proporre appello avverso la sentenza emessa in esito a giudizio abbreviato che abbia respinto la sua domanda risarcitoria, sia perché l'art. 443 non prevede per tale parte processuale alcun limite in ordine ai mezzi di impugnazione esperibili, sia perché deve ritenersi attribuito alla stessa dall'art. 576, comma 1, il potere di generale accesso a tutti i mezzi di impugnazione, in coerenza con la regola dell'efficacia nel giudizio civile della sentenza assolutoria emessa nel procedimento celebrato nelle forme del rito speciale con la sua accettazione (Cass. VI, n. 24234/2015, in fattispecie nella quale la parte civile aveva proposto ricorso immediato per cassazione ex art. 569).

L'impugnazione della parte civile in caso di morte dell'imputato

La morte dell'imputato, intervenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza, comporta la cessazione sia del rapporto processuale penale, che del rapporto processuale civile nel processo penale, e determina, di conseguenza, anche il venir meno delle eventuali statuizioni civilistiche senza la necessità di una apposita dichiarazione da parte del giudice penale (Cass. III, n. 47894/2017).

Ne consegue che il l ricorso per cassazione proposto per i soli effetti civili dalla parte civile contro una sentenza di assoluzione, qualora l'imputato nelle more sia deceduto, è inammissibile, atteso che, essendo l'azione civile inserita nel processo penale, non possono trovare applicazione le regole processualcivilistiche che disciplinano la fattispecie ed, in particolare, quelle relative alla sospensione del processo (Cass. VI, n. 27309/2010; cfr. anche Cass. I, n. 36220/2010, per la quale la morte dell'imputato sopravvenuta, nelle more del giudizio di appello, alla sua assoluzione in primo grado con la formula «perché il fatto non costituisce reato» fa venir meno il rapporto processuale, con la conseguenza che l'appello della parte civile avverso la sentenza assolutoria deve essere dichiarato inammissibile e che le sue eventuali pretese restitutorie e risarcitorie possono essere fatte far valere dinanzi al giudice civile nei confronti degli eredi).

Altre applicazioni

In considerazione del fatto che l'art. 576 limita il potere di impugnazione della parte civile ai capi delle sentenze di condanna che riguardano l'azione civile nonché alle sentenze di proscioglimento pronunciate all'esito del giudizio, sono stati ritenuti inammissibili, per il principio di tassatività delle impugnazioni,  il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile:

- avverso il capo della sentenza pronunciata all'esito del patteggiamento in cui è disposta l'applicazione della pena a richiesta delle parti (Cass. II, n. 12613/1999: in applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso della parte civile contro la sentenza di applicazione della pena concordata con il quale la parte civile aveva dedotto l'erronea qualificazione giuridica del fatto e l'erronea valutazione delle circostanze del reato);

- avverso le sentenze predibattimentali, emesse ai sensi dell'art. 469 (Cass. VI, n. 7808/1998: «quando il danneggiato dal reato si sia costituito parte civile nel processo penale, l'art. 652 c.p.p. attribuisce efficacia di giudicato, nel giudizio civile o amministrativo promosso dal danneggiato per il risarcimento del danno, solamente alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata a seguito del dibattimento. Ne consegue che la parte civile è priva di interesse ad impugnare una sentenza che dichiari, per un reato, l'estinzione per sopravvenuta amnistia e assolva, per altro reato, l'imputato senza apertura del dibattimento, ai sensi dell'art. 469 c.p.p., in quanto tali statuizioni non possono esplicare alcun effetto preclusivo nei confronti della pretesa risarcitoria nella sede civile»; conformi, Cass. VI, n. 31016/2010 e Cass. n. 26819/2015);

- avverso la sentenza predibattimentale dichiarativa dell'estinzione del reato per oblazione (Cass. I, n. 3187/1999: «la disciplina dettata dall'art.162-bis c.p., la quale prevede che la domanda di oblazione deve essere proposta «prima dell'apertura del dibattimento» e che, in caso di rigetto, la domanda medesima può essere nuovamente formulata «sino all'inizio della discussione finale del dibattimento di primo grado», nonché la stessa finalità deflattiva dell'istituto, consentono di escludere che la sentenza con la quale il giudice dichiara non doversi procedere perché il reato è estinto per intervenuta oblazione possa ritenersi pronunciata in esito al «giudizio», anche nella ipotesi, estrema e del tutto anomala, in cui la pronuncia stessa sia successiva alla discussione finale. Ne deriva che la parte civile non può proporre impugnazione contro la sentenza che dichiara l'estinzione del reato per oblazione, in quanto l'art. 576, comma 1, c.p.p. prevede la possibilità per la parte civile di impugnare, ai soli effetti della responsabilità civile, la sentenza di proscioglimento pronunciata «nel giudizio». D'altra parte, neppure sussisterebbe interesse a proporre impugnazione, giacché, a norma degli artt. 652 e 654 c.p.p., produce effetti nel giudizio civile solo la sentenza penale irrevocabile «di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento»». In argomento, si è anche ritenuto che la sentenza di proscioglimento per intervenuta oblazione pronunciata a seguito di domanda di oblazione non presentata contestualmente all'opposizione a decreto penale di condanna, pur essendo emessa in violazione di legge, è definitiva, ai fini penali, in assenza di impugnazione da parte del P.m., ferma restando la possibilità di un suo annullamento con rinvio limitatamente alle statuizioni civili, ex art. 622, in accoglimento del ricorso della parte civile (Cass. I, n. 749/2014).

È stato ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione della parte civile avverso il capo della sentenza d'appello, con il quale, in accoglimento dello specifico gravame proposto dall'imputato, siano state disposte l'esclusione della medesima parte civile e l'eliminazione delle statuizioni in suo favore della decisione di primo grado (Cass. IV, n. 4101/2013). Si è successivamente ritenuto, peraltro, che l'ordinanza dibattimentale di esclusione della parte civile è sempre e definitivamente inoppugnabile, mentre quella d'inammissibilità o di rigetto della richiesta di esclusione è impugnabile, da parte dell'imputato, unitamente all'impugnazione della sentenza (Cass. VI, n. 2329/2015).

Si è, infine, ritenuto che la parte civile non sia legittimata a proporre impugnazione contro la sentenza con cui il giudice di appello dichiari la nullità della sentenza di primo grado, per incompetenza (Cass. VI, n. 24081/2001), oppure per difetto di correlazione tra fatto enunciato in imputazione e fatto ritenuto in sentenza (Cass. V, n. 45911/2005), atteso che tali decisioni non rientrano fra quelle per le quali l'art. 576 consente alla parte civile di proporre impugnazione, e che anche in simile ipotesi opera il principio generale, fissato dall'art. 568, comma 3, c.p.p. secondo cui il diritto di impugnazione spetta soltanto alla persona cui la legge espressamente lo conferisce.

Per altro verso, si è ritenuto che nel giudizio di appello instaurato dalla parte civile a seguito di sentenza di proscioglimento emessa in primo grado, il giudice non possa pronunciare una declaratoria di nullità in applicazione analogica dell'art. 604 c.p.p. per diversità del fatto e trasmettere gli atti al pubblico ministero perché proceda per il differente reato, atteso che l'oggetto del giudizio incardinato ex art. 576 è la sola eventuale responsabilità civile dell'imputato, mentre del tutto estranea è ogni statuizione relativa all'azione penale, sulla quale si è definitivamente formato il giudicato per assenza di appello del pubblico ministero (Cass. II, n. 22170/2019).

L'avvenuto risarcimento del danno nel corso del giudizio di primo grado da parte dell'imputato non determina il venir meno dell'interesse della parte civile, ritualmente costituitasi, a partecipare ai gradi successivi del giudizio, che prosegua in conseguenza dell'impugnazione del solo imputato sui capi concernenti la responsabilità penale, atteso che la decisione nel giudizio di impugnazione in ordine ad essi si riflette sulla decisione relativa al risarcimento del danno, anche in mancanza di impugnazione del capo concernente l'azione civile. Tale interesse sussiste, a maggior ragione, ove l'imputato abbia impugnato anche il capo della sentenza di primo grado relativo alla sua condanna alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile (Cass. III, n. 22138/2017).

Quando è stata pronunciata in primo grado condanna generica al risarcimento del danno, non costituisce domanda nuova la richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale effettuata per la prima volta in appello dalla parte civile: ne consegue che il giudice del gravame ha il dovere di pronunciarsi sulla domanda, utilizzando gli stessi criteri di giudizio previsti dall'art. 539, comma 2, per il giudice di prime cure (Cass. III, n. 42684/2015).

Gli effetti per la parte civile dell'impugnazione della sentenza di assoluzione da parte del solo P.m.

Le conseguenze, in caso di sentenza assolutoria dell'imputato in primo grado e di omesso appello della parte civile, della riforma della sentenza assolutoria in secondo grado su appello del solo sul diritto della parte civile alle restituzioni e/o al risarcimento del danno hanno originato ben tre decisioni delle Sezioni Unite in poco meno di otto anni.

Nella prima occasione (Cass.S.U., n. 5/1999) si ritenne che alla parte civile costituita non potesse essere riconosciuto il risarcimento del danno se, assolto l'imputato nel giudizio di primo grado, vi fosse stata condanna dello stesso su appello del solo pubblico ministero: ed invero, «la parte lesa, una volta costituitasi parte civile, può liberamente decidere di insistere, nei gradi successivi del processo penale, nell'attivata azione per le restituzioni e/o il risarcimento del danno, nonostante l'assoluzione dell'imputato ed il ritenuto accertamento (da parte del giudice del processo in una fase suscettibile di impugnazione) dell'insussistenza del fatto o della non commissione di esso da parte del chiamato in giudizio, ovvero di altra evenienza esonerante da responsabilità o implicante l'improcedibilità (e ciò quantunque il pubblico ministero abbia optato per l'accettazione della decisione); oppure scegliere di non coltivare l'azione stessa, anche quando il pubblico ministero attivi l'impugnazione nell'interesse dello Stato, con la conseguenza di far formare il giudicato in ordine al relativo rapporto, con effetti sia sostanziali, sia processuali».

Il principio è stato successivamente ribadito, con particolare autorevolezza, da Cass.S.U., n. 30327/2002 («Il giudice di appello, che su gravame del solo pubblico ministero condanni l'imputato assolto nel giudizio di primo grado, deve provvedere anche sulla domanda della parte civile che non abbia impugnato la decisione assolutoria»), oltre che da Cass.S.U., n. 25083/2006 («Il giudice di appello, nel dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può condannare l'imputato al risarcimento dei danni in favore di quest'ultima, atteso che l'art. 576 c.p.p. conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto»).

Le decisioni più recenti (Cass. V, n. 20343/2015; Cass. II, n. 20652/2014; Cass. III, n. 15902/2016; Cass. VI, n. 9364/2021) sono anch'esse allineate nel medesimo senso; si è anche ritenuto che, a seguito dell'annullamento con rinvio della sentenza di assoluzione emessa all'esito del giudizio di appello in cui la parte civile è stata condannata al pagamento delle spese processuali, il giudice del rinvio deve decidere sulla pretesa civilistica anche nel caso in cui l'impugnazione sia stata proposta solo dal Pubblico Ministero e il reato si sia nel frattempo estinto per prescrizione (Cass. VI, n. 47495/2015). Va, peraltro, segnalata l'esistenza, ancora una volta, di un orientamento contrario: Cass. V, n. 4356/2013 ha, infatti, ritenuto che la parte civile che ometta di impugnare la sentenza di primo grado di assoluzione dell'imputato, successivamente riformata con la condanna dell'imputato su appello del solo Pubblico Ministero, non può avvalersi del gravame opposto da quest'ultimo, in quanto l'omesso esercizio del diritto di impugnazione determina acquiescenza alla decisione che le è pregiudizievole.

Sono stati ritenuti inammissibili:

- il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile contro la sentenza d'appello, quando la stessa non abbia impugnato la decisione assolutoria di primo grado, confermata dalla Corte d'appello a seguito di impugnazione proposta dal solo P.M. (Cass. VI, n. 12811/2012 e Cass. n. 35678/2015);

- il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile contro la sentenza d'appello, confermativa della sentenza assolutoria di primo grado a seguito di appello del solo Pubblico Ministero, quando l'appello della stessa parte civile sia stato dichiarato inammissibile (Cass. V, n. 1461/2011).

Gli effetti per la parte civile dell’impugnazione della sentenza di assoluzione da parte del solo imputato

Secondo la giurisprudenza, è  inammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione pronunciata in secondo grado a seguito di appello proposto dal solo imputato (Cass. V, n. 25759/2022).

Declaratoria in appello di estinzione del reato a seguito di assoluzione in primo grado

Il giudice di appello, nel dichiarare l'inammissibilità, per rinuncia all'impugnazione, dell'appello proposto contro la sentenza di assoluzione dal Pubblico Ministero e l'estinzione del reato per prescrizione in relazione all'impugnazione della parte civile, può condannare l'imputato al risarcimento dei danni in favore di quest'ultima, atteso che l'art. 576 conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in difetto di una precedente statuizione sul punto (Cass. V, n. 1463/2011); è ammissibile — anche in assenza del gravame del P.M. — l'appello proposto dalla parte civile avverso la sentenza con la quale il primo giudice abbia dichiarato la prescrizione del reato: la parte civile ha, infatti, il potere di impugnare la sentenza dichiarativa della prescrizione, ed il giudice dell'impugnazione potrà, all'esito del giudizio, respingere l'appello, reputando corretta la decisione impugnata, oppure ritenere erronea la statuizione di primo grado e, conseguentemente, delibare ex novo, sia pure ai soli effetti civili, sulla responsabilità dell'imputato (Cass. II, n. 9263/2012 e Cass. n. 40069/2013; in senso contrario, vedi peraltro Cass. VI, n. 19540/2013, per la quale la parte civile non è legittimata a proporre appello, neppure in via incidentale, avverso la sentenza dichiarativa di estinzione del reato per prescrizione, almeno quando quest'ultima sia maturata prima della pronuncia della sentenza di primo grado); la parte civile è legittimata a proporre impugnazione ai sensi dell'art. 576 contro la sentenza di primo grado di assoluzione dell'imputato pronunciata ex art. 129, comma 2 secondo, stesso codice, in relazione a reato a quella data già prescritto, ma al solo scopo di rimuoverne l'efficacia di giudicato nell'azione di danno nei suoi confronti (Cass. I, n. 13941/2015: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato senza rinvio ai soli effetti civili la sentenza emessa ex art. 129, comma 2, dopo aver ravvisato nella stessa vizi di motivazione, ed ha conseguentemente dichiarato, sempre limitatamente a tali effetti, estinto il reato per prescrizione); la parte civile che non abbia contestato con i motivi di appello la prescrizione del reato dichiarata con la sentenza di primo grado, non è legittimata a proporre appello per l'omessa pronuncia sulle statuizioni civili (Cass. IV, n. 3789/2016, con la precisazione che, se anche la parte civile contestasse la già intervenuta prescrizione, difetterebbe comunque l'interesse ad impugnare, trattandosi di deliberazione che, ai sensi dell'art. 652, non pregiudica l'esercizio dell'azione civile nella sede propria).

Un orientamento ha ritenuto illegittima la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, pronunciata con la sentenza di appello che aveva dichiarato, su impugnazione del solo pubblico ministero, la sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione, in riforma della sentenza di assoluzione, in quanto la decisione sulle restituzioni e sul risarcimento del danno può essere adottata solo nel caso in cui nel precedente grado di giudizio sia stata affermata, con la sentenza di condanna, la responsabilità dell'imputato (Cass. V, n. 27652/2010 e Cass. n. 9638/2011; Cass. II, n. 46257/2013; Cass. IV, n. 14014/2015). L'affermazione di principio è stata così argomentata: «L'istituto disciplinato dall'art. 578 c.p.p. ha, invero, la finalità di evitare, quando vi sia stata condanna dell'imputato in primo e/o secondo grado e si verifichi l'estinzione del reato per prescrizione o per amnistia in grado di appello o in Cassazione, che, in assenza di una impugnazione della parte civile, il capo della sentenza relativo alla azione risarcitoria acquisti efficacia di giudicato. L'ipotesi disciplinata dall'art. 576 c.p.p. — impugnazione della parte civile — è, invece, diversa perché in tal caso si prescinde da una precedente sentenza di condanna; ciò perché il giudice di appello, nel dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione, può, su impugnazione della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, condannare l'imputato al risarcimento dei danni in favore di quest'ultima, atteso che l'art. 576 c.p.p, conferisce al giudice della impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto. Nel caso di specie in primo grado non vi è stata alcuna statuizione civile non essendovi stata condanna penale e la parte civile non ha proposto impugnazione agli effetti civili avverso la sentenza di assoluzione, cosicché non erano applicabili gli istituti previsti dall'art. 576 c.p.p., applicabile soltanto in ipotesi di impugnazione della parte civile, e dall'art. 578 c.p.p., applicabile soltanto, in assenza di impugnazione della parte civile, in presenza di una sentenza di condanna» (Cass. V, n. 27652/2010). Il contrasto con l'orientamento che si è visto, (v. supra), essere dominante appare evidente.

È stata, peraltro, ritenuta ammissibile l'impugnazione della parte civile contro la sentenza di assoluzione (nella specie perché il fatto non sussiste) — non impugnata dal P.m. — anche se sia rilevata l'estinzione del reato per prescrizione alla data della sentenza di primo grado, in quanto nella specie doveva applicarsi la previsione di cui all'art. 576, che conferisce al giudice penale dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda di risarcimento, ancorché in mancanza di una precedente statuizione sul punto; detta previsione introduce una deroga all'art. 538, legittimando la parte civile non soltanto a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento, ma anche a chiedere al giudice dell'impugnazione, ai fini dell'accoglimento della propria domanda di risarcimento, di affermare, sia pure incidentalmente, la responsabilità penale dell'imputato ai soli effetti civili, statuendo in modo difforme, rispetto al precedente giudizio, sul medesimo fatto oggetto dell'imputazione e sulla sua attribuzione al soggetto prosciolto. Pertanto, in tal caso, non sussiste un difetto di giurisdizione civile del giudice penale dell'impugnazione perché, diversamente dall'art. 578 — che presuppone la dichiarazione di responsabilità dell'imputato e la sua condanna, anche generica, al risarcimento del danno — l'art. 576 presuppone una sentenza di proscioglimento (Cass. V, n. 3670/2011).

All’udienza 28 marzo 2019, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno stabilito che <<il ricorso della parte civile avverso la sentenza che, su impugnazione della stessa, abbia confermato la pronuncia di primo grado dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione è ammissibile, a condizione che la parte civile ricorrente abbia dedotto l’erroneità della dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione>>.

Gli effetti del d.lgs. n. 7/2016

 Superato il contrario orientamento che, anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 7 del 15 gennaio 2016 (che ha abrogato una serie di reati, trasformandoli in “nuovi” — per disciplina e sanzione — illeciti civili), aveva riconosciuto il persistere della legittimazione della parte civile al ricorso per cassazione contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato (Cass. V, n. 16131/2016: fattispecie nella quale all’imputato si contestava il reato di ingiuria, dichiarato non punibile ex art. 599 c.p.), la giurisprudenza ritiene inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile, ai soli effetti civili, avverso una sentenza di assoluzione per un reato abrogato e qualificato come illecito civile dal d.lgs. n. 7/2016, per il rilievo che, in assenza di efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile, non è ravvisabile un interesse della parte civile alla impugnazione finalizzata ad impedirne l’operatività (Cass. S.U., n. 46688/2016: la S.C. ha anche precisato che il giudice penale non potrebbe, comunque, procedere al necessario accertamento del reato, anche se ai soli effetti civili, in considerazione della intervenuta espunzione della relativa fattispecie dall’ordinamento penale).

Si rinvia amplius sub art. 578.

Il diritto di impugnazione del querelante condannato alle spese o ai danni

Analogo diritto di impugnazione è attribuito al querelante contro la sentenza che lo abbia condannato al pagamento delle spese processuali (anticipate dallo Stato per la celebrazione del procedimento o sopportate dalla controparte) e/o al risarcimento dei danni in favore dell'imputato o del responsabile civile, ai sensi dell'art. 542.

Nell'unica pronuncia nota in argomento, la giurisprudenza ha ritenuto che l'avviso del deposito della sentenza, previsto dall'art. 542, comma 2, deve essere inviato al querelante, come si evince chiaramente dal tenore letterale della norma, solo in caso di assoluzione dell'imputato “per non aver commesso il fatto” o “perché il fatto non sussiste”, e in nessun altro caso; ne consegue che, se il procedimento si sia concluso per remissione, sia pure tacita, della querela, al querelante non è dovuto nessun avviso, né questi ha possibilità di chiedere la rimessione in termini per eccepire l'errata deduzione del giudice in ordine alla intenzione di rimettere la querela, non essendo riconosciuta facoltà diversa da quella di sollecitare l'impugnazione del P.m. (Cass. V, n. 4832/1997, per la quale, inoltre, l'esclusione in capo al querelante di un mezzo autonomo di impugnazione non può ritenersi contrastante con i principi costituzionali che regolano la materia).

Bibliografia

AA.VV., Le impugnazioni, coordinato da Aimonetto, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, diretta da Chiavario-Marzaduri, Torino, 2005; Andreazza, Il ricorso per cassazione della persona offesa costituita parte civile avverso la sentenza di non luogo a procedere tra incoerenze sistematiche e dubbi di costituzionalità, in Cass. pen. 2009, 102; Caputo, I poteri di impugnazione delle parti: il punto dopo le più recenti pronunce della Corte costituzionale, in Cass. pen. 2010, 562; Chiliberti, Azione civile e nuovo processo penale, Milano, 2006; Gialuz, Sub art. 576, in Codice di procedure penale commentato, a cura di Giarda-Spangher, II, Milano, 2010, 7064; Marandola, Le disposizioni generali, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, V, Impugnazioni, a cura di Spangher, Torino, 2009, 2 ss.; Nofri, Nuovi spazi alla parte civile nel giudizio di appello, in Cass. pen. 2003, 1977; Nuzzo, Sui poteri del giudice dell'impugnazione in materia civile nell'ipotesi di estinzione del reato, in Cass. pen. 2008, 214; Nuzzo, In tema di procura speciale per l'impugnazione del difensore di parte civile, in Cass. pen. 2009, 221; Nuzzo, Impugnazione della sentenza di proscioglimento agli effetti civili e omessa formulazione delle richieste, in Cass. pen. 2010, 4283; Quagliano, L'inammissibilità del ricorso per cassazione della parte civile che non ha impugnato la sentenza assolutoria di primo grado, in Dir. pen. e proc. 2014, 714 ss.; Tona, Sub art. 576, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio-Tranchina, Milano, 2012, 5193 ss.

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