Codice di Procedura Penale art. 578 - Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione e nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione 1 .

Sergio Beltrani

Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione e nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione 1.

1. Quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato [538-541], a favore della parte civile, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia [151 c.p.] o per prescrizione [157 s. c.p.; 4483], decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili [2452n trans.].

1-bis. Quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, e in ogni caso di impugnazione della sentenza anche per gli interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 344- bis, rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile2.

1-ter. Nei casi di cui al comma 1-bis, gli effetti del sequestro conservativo disposto a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato permangono fino a che la sentenza che decide sulle questioni civili non è più soggetta a impugnazione3.

[1] Rubrica sostituita dall' art. 2, comma 2, lett. b), num. 1), l. 27 settembre 2021, n. 134, in vigore dal 19 ottobre 2021, che ha sostituito la rubrica «Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione e nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione» alla rubrica: «Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione». Per l'applicazione v. quanto disposto dai commi 3, 4 e 5 del medesimo articolo 2, l. n. 134, cit.

[2] Comma aggiunto dall'art. 2, comma 2, lett. b), num. 2), l. 27 settembre 2021, n. 134, in vigore dal 19 ottobre 2021. A norma del comma 3 del medesimo articolo «Le disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo si applicano ai soli procedimenti di impugnazione che hanno a oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020.». I successivi commi 4 e 5 del medesimo articolo  dispongono inoltre che:  «4. Per i procedimenti di cui al comma 3 nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, siano già pervenuti al giudice dell'appello o alla Corte di cassazione gli atti trasmessi ai sensi dell'articolo 590 del codice di procedura penale, i termini di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis del codice di procedura penale decorrono dalla data di entrata in vigore della presente legge. 5. Nei procedimenti di cui al comma 3 nei quali l'impugnazione è proposta entro la data del 31 dicembre 2024, i termini previsti dai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis del codice di procedura penale sono, rispettivamente, di tre anni per il giudizio di appello e di un anno e sei mesi per il giudizio di cassazione. Gli stessi termini si applicano nei giudizi conseguenti ad annullamento con rinvio pronunciato prima del 31 dicembre 2024. In caso di pluralità di impugnazioni, si fa riferimento all'atto di impugnazione proposto per primo.» Il comma è stato successivamente sostituito dall'articolo 33, comma 1, lett. b) num. 1) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162,  conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199Il testo precedente alla sostituzione era il seguente: <<1-bis. Quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis, rinviano per la prosecuzione al giudice civile competente per valore in grado di appello, che decide valutando le prove acquisite nel processo penale.>> Per le disposizioni transitorie in materia di videoregistrazioni e di giudizi di impugnazione vedi quanto disposto  dall'art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dall’ art. 5-duodecies, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199,  e da ultimo, dall'art. 17, comma 1, d.l. 22 giugno 2023, n. 75, iconv., con modif., in l. 10 agosto 2023, n. 112.

[3] Comma aggiunto dall'articolo 33, comma 1, lett. b) num. 2) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162,  conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199.  Per le disposizioni transitorie in materia di videoregistrazioni e di giudizi di impugnazione vedi quanto disposto  dall'art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.

Inquadramento

L'art. 578 esegue la direttiva n. 28 della legge delega n. 81/1987, riproducendo pressoché integralmente l'art. 13 l. n. 405/1978, «che costituisce il testo di legge innovativo in materia, estendendone la normativa anche all'analogo istituto della prescrizione» (Relazione al Progetto preliminare del codice di procedura penale, 288).

Due sono le condizioni imprescindibili che legittimano il giudice dell'impugnazione a decidere in ordine agli interessi civili, nonostante l'intervenuto proscioglimento dell'imputato.

Deve, in primo luogo, essere intervenuta l'emissione di una valida condanna nel grado di giudizio immediatamente precedente, impugnata dall'imputato o dal pubblico ministero, alla quale sia sopravvenuta una causa estintiva del reato; esulano, pertanto, dall'ambito applicativo della norma:

– sia l'ipotesi in cui il giudice di appello, su impugnazione del pubblico ministero, dichiari la prescrizione del reato in riforma della sentenza di assoluzione di primo grado;

– sia l'ipotesi in cui il medesimo giudice accerti che la prescrizione del reato è maturata prima della pronuncia di primo grado.

Deve, inoltre, essere sopravvenuta una specifica causa di proscioglimento: la norma, infatti, non opera né nelle ipotesi di proscioglimento nel merito (all'eventuale assoluzione dall'imputazione penale pronunciata dal giudice dell'impugnazione non può seguire, infatti, una diversa decisione sul capo civile), né nell'ipotesi di cause estintive del reato diverse dalla prescrizione o dall'amnistia (ad esempio, la remissione di querela).

Quanto alla ratio della disposizione, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che «in questi limiti il legislatore ha voluto evitare che cause estintive del reato, indipendenti dalla volontà delle parti, possano frustrare il diritto al risarcimento ed alla restituzione in favore della persona danneggiata dal reato, qualora sia già intervenuta sentenza di condanna, oggetto di impugnazione; finalità questa che si coniuga alla necessità di salvaguardare evidenti esigenze di economia processuale e di non dispersione dell'attività di giurisdizione» (Corte cost., n. 182/2021).

La norma in commento comporta che, nei giudizi di appello e di cassazione:

se si procede ai soli effetti penali, all'esito del giudizio il proscioglimento nel merito non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, dovendo il giudice immediatamente dichiarare agli effetti penali l'eventuale operatività dell'amnistia o della prescrizione ex art. 129 c.p.p.;

se si procede anche agli effetti civili, per l'intervenuta costituzione di parte civile per il reato estinto per amnistia o prescrizione, il giudice deve valutare il compendio probatorio in riferimento alla domanda azionata a “cognizione piena”, senza limitarsi al criterio di economia processuale ex art. 129 c.p.p. (Cass. IV, n. 20568/2018).

Si è anche osservato che la previsione di cui all'art. 129, comma 2, c.p.p. non può mai trovare applicazione nel giudizio di legittimità relativo a sentenza di assoluzione resa in grado d'appello promosso dalla sola parte civile, in quanto, essendo ispirata a ragioni di economia processuale, risulta compatibile con le garanzie difensive nel solo caso in cui il giudice si pronunci sulla “regiudicanda” penale e non su questioni civili, atteso che, solo nel giudizio penale, l'operatività del criterio di prevalenza di formule previsto da tale norma è bilanciato dalla possibilità, per l'imputato, di rinunziare alla causa di estinzione del reato (Cass. V, n. 19917/2021).

Le modifiche introdotte dalla “Riforma Cartabia”: i nuovi commi 1- bis ed 1- ter

Il nuovo comma 1-bis dell'art. 578 [inserito dall'art. 2, comma 2, lett. b), l. delega “Cartabia” n. 134 del 2021, ed ulteriormente modificato dall'art. 33, comma 1, lett. b), d.lgs. delegato “Cartabia” n. 150 del 2022] stabilisce che, nei casi in cui l'imputato ha riportato condanna anche generica alle restituzioni oppure al risarcimento dei danni da reato in favore della parte civile, ed in ogni caso di impugnazione della sentenza anche per gli interessi civili (questo inciso è stato inserito dal d. lgs. n. 150 del 2022), il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile (questo inciso è stato inserito dal d. lgs. n. 150 del 2022), nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis, rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile (gli incisi in neretto sono stati inseriti dal d. lgs. n. 150 del 2022).

La disposizione disciplina le sorti dell'azione civile nei casi in cui quella penale debba essere dichiarata improcedibile per superamento dei termini previsti dall'art. 344-bis c.p.p., affermando inequivocabilmente la prevalenza della declaratoria d'inammissibilità dell'impugnazione su quella di improcedibilità (per la rilevantissima valenza sistematica di tale previsione, che non appare legittimo né ragionevole riferire unicamente all'impugnazione riguardante i soli interessi civili, cfr. amplius sub art. 344-bis); nei casi in cui l'impugnazione agli effetti ad un tempo penali e civili non sia inammissibile, con la dichiarazione d'improcedibilità della prima il giudice dell'impugnazione rinvia gli atti per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado (appello o cassazione), secondo un meccanismo processuale affine a quelli di cui agli artt. 573 e 622 c.p.p., cui si rinvia. Si prevede, per evidenti esigenze di economia processuale, che, nonostante la sopravvenuta declaratoria di improcedibilità, le prove acquisite nel processo penale siano utilizzabili, e, quindi, conservino efficacia; il giudice civile deciderà (non più sul reato, ma sull'illecito aquiliano azionato dall'attore: in proposito, si rinvia amplius sub § 10) utilizzando, inoltre, le prove eventualmente acquisite innanzi a sé. In proposito, si è osservato che «Grazie a tale misura, volta a conservare, nel giudizio civile, il compendio istruttorio costituito nel corso del giudizio penale, viene garantita la possibilità di utilizzazione delle dichiarazioni rese nel corso del processo penale dalla persona offesa, nonostante il divieto sancito all'art. 246 c.p.c., di assumere come testimoni le persone che hanno un interesse che potrebbe legittimare la partecipazione alla causa. Va da sé, per contro, che dovranno seguirsi le norme processuali civili ove si renda necessario assumere prove durante la nuova fase processuale, proseguendo il giudizio agli effetti civili senza pregiudizio per la parte civile o per l'imputato, né dal punto di vista cognitivo, né da quello probatorio» (Oggero 2023, 160).

Nei predetti tali casi, il nuovo comma 1-ter dell'art. 578 [inserito dall'art. 33, comma 1, lett. b), d.lgs. delegato “Cartabia” n. 150 del 2022] prevede la salvezza degli effetti del sequestro conservativo eventualmente disposto in precedenza, nell'ambito del procedimento penale, a garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato, e tuttora efficace, fino a che la decisione della residua azione civile non vada in giudicato.

Va anche segnalato che, ai sensi dell'art. 175-bis disp. att. c.p.p. [introdotto dall'art. 41, comma 1, lett. ff), d.lgs. n. 150 del 2022], ai fini di cui all'art. 578, comma 1-bis, la Corte di cassazione e le Corti di appello, nei procedimenti in cui sono costituite parti civili o vi sono beni in sequestro, si pronunciano sulla improcedibilità non oltre il sessantesimo giorno successivo al maturare dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione di cui all'art. 344-bis: disposizione invero emanata all'insegna dell'ottimismo, poiché confida nel fatto che il giudice che non si è preoccupato di scongiurare il maturare dell'improcedibilità del giudizio d'impugnazione, sia quanto meno sensibile all'esigenza di scongiurare il maturare di quest'ultimo termine pur meramente ordinatorio, perché improduttivo di conseguenze.

Tutte le modifiche introdotte dal d. lgs. n. 150 del 2022, vigente dal 30/12/2022, in difetto di disposizioni transitorie ad hoc, trovano applicazione in ossequio al principio tempus regit actum.

I rapporti tra art. 578 ed art. 576

L'art. 573 attribuisce al giudice penale investito dell'impugnazione della parte civile ai soli interessi civili il potere di conoscere e decidere, con pienezza di giurisdizione, le questioni civili concernenti la responsabilità dell'imputato per il risarcimento del danno cagionato dal reato e per la rifusione delle spese processuali.

Ai sensi dell'art. 576, come chiarito anche dalle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 25083/2006), il giudice d'appello, nel dichiarare l'estinzione del reato per amnistia o prescrizione, su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può condannare l'imputato al risarcimento dei danni in favore di quest'ultima: la predetta disposizione conferisce, infatti, al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza concernente gli effetti civili anche in difetto di una precedente statuizione sul punto.

Diversamente, l'art. 578 si riferisce al caso in cui l'impugnazione sia stata proposta dall'imputato o dal pubblico ministero; solo in tali ipotesi si richiede che, in presenza di una declaratoria di amnistia o di prescrizione, per decidere agli effetti civili, vi debba essere stata in precedenza una valida pronuncia di condanna alle restituzioni oppure al risarcimento dei danni. In particolare, il giudice di appello, nel dichiarare una causa estintiva del reato per il quale in primo grado è intervenuta condanna, se vi è costituzione di parte civile è tenuto ad esaminare compiutamente i motivi di gravame proposti dall'imputato sul capo o punto della sentenza relativo all'affermazione di responsabilità, al fine di decidere sull'impugnazione agli effetti civili, e, qualora detti motivi siano fondati, deve riformare la sentenza stessa, contestualmente revocando le statuizioni civili anche in difetto della proposizione di specifica doglianza al riguardo, sempreché detta condanna abbia diretta dipendenza dal capo o dal punto impugnato (Cass. II, n. 29499/2017). La disciplina di cui all'art. 578 non è, invece, applicabile allorché appellante o ricorrente sia la parte civile, poiché a quest'ultima l'art. 576, riconosce il diritto ad una decisione incondizionata sul merito della propria domanda: «è, quindi, evidente che l'art. 576 e l'art. 578 disciplinano situazioni processuali diversificate; infatti, l'art. 578, tende ad assicurare, nonostante la declaratoria della prescrizione, in assenza di un'impugnazione della parte civile, la cognizione del giudice dell'appello sulle disposizioni e sul capo della sentenza del precedente grado che riguardano gli interessi civili. L'art. 576, invece, conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento ed alle restituzioni, pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto» (Cass. I, n. 26016/2013).

È stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 578, sollevata per violazione de gli artt. 24 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 Conv. EDU, nella parte in cui consente di confermare in grado di appello le statuizioni civili senza una formale pronunzia di condanna, in quanto tale norma impone un pieno accertamento sulla regiudicanda e sui motivi di appello, sicché la pronuncia sulle sole statuizioni civili presuppone la verifica della sussistenza dei profili di responsabilità penale (Cass. VI, n. 36553/2020).

La disciplina dettata dall’art. 578

  Ai sensi dell'art. 578, quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, al risarcimento dei danni, il giudice d'appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione che siano sopravvenute, decidono sull'impugnazione, ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili: il potere-dovere del giudice dell'impugnazione di decidere sugli effetti civili del reato estinto per prescrizione o per amnistia, previsto dall'art. 578, presuppone una sentenza di condanna estesa alle statuizioni civili, emessa in primo grado, in assenza di cause estintive già maturate ed erroneamente non dichiarate, mentre nessun rilievo ha la circostanza che la condanna medesima sia fondata su una prova inutilizzabile, poiché questa evenienza comporta soltanto la possibilità (in assenza di altri elementi) di riformare la sentenza per mancanza di prove sufficienti a dimostrare la colpevolezza dell'imputato (Cass. IV, n. 42488/2013).

In particolare, il giudice dell'appello, nel prendere atto dell'esistenza di una delle predette cause estintive del reato verificatasi nelle more del giudizio di secondo grado, deve necessariamente compiere una valutazione approfondita dell'acquisito compendio probatorio, senza essere legato ai canoni di economia processuale, che imporrebbero la declaratoria della causa di estinzione del reato quando la prova dell'innocenza non risulti ictu oculi: la previsione di cui all'art. 578 comporta, infatti, che i motivi di impugnazione dell'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi dare conferma alla condanna al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato, secondo quanto previsto dall'art. 129, comma 2, c.p.p. (Cass. VI, n. 18889/2017); di conseguenza, la sentenza di appello che non abbia compiuto un esaustivo apprezzamento sulla responsabilità dell'imputato deve essere annullata con rinvio, limitatamente alla conferma delle statuizioni civili (Cass. S.U., n. 35490/2009; Cass. VI, n. 16155/2013; Cass. V, n. 3869/2015). Ad esempio, sono state annullate una sentenza della Corte di appello che, senza prendere in alcun modo in esame gli articolati motivi di appello degli imputati, aveva confermato le statuizioni civili della sentenza di primo grado limitandosi a richiamare l'art. 578, interpretandolo erroneamente come se dalla ritenuta mancanza di prova della innocenza degli imputati dovesse automaticamente derivare la conferma della condanna al risarcimento dei danni (Cass. V, n. 1983/1997), ed una con la quale il giudice di appello aveva ritenuto desumibile la prova del reato «dalle indagini espletate nel corso del giudizio», senza prendere in esame le specifiche censure mosse dall'imputato alla sentenza di primo grado (Cass. VI, n. 21102/2004).

Nell'ipotesi in cui, a seguito di appello proposto dall'imputato, il giudice dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione, l'accertamento giudiziale prosegue ai soli fini dell'accertamento della responsabilità civile, ai sensi dell'art. 578, secondo le regole e le garanzie del processo penale (Cass. II, n. 28959/2017: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d'appello che, rilevata l'intervenuta prescrizione del reato, aveva respinto la richiesta di rinnovazione dibattimentale avanzata dall'imputato ritenendo che quest'ultimo, non avendo rinunciato alla prescrizione, aveva limitato il suo interesse alla dimostrazione dell'assenza di responsabilità ai soli fini penali, non anche ai fini civili).

Sarebbe illegittima la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile pronunciata in sede di appello con sentenza che, su impugnazione del pubblico ministero, dichiari la sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione, in riforma della sentenza di assoluzione di primo grado, in quanto la decisione sulle restituzioni e sul risarcimento del danno può essere adottata solo nel caso in cui nel precedente grado di giudizio sia stata affermata, con la sentenza di condanna, la responsabilità dell'imputato (Cass. IV, n. 33778/2017 e Cass. II, n. 24458/2018).

Un orientamento ha ritenuto che il giudice d'appello che, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, accerti che la causa estintiva è maturata prima della sentenza di primo grado deve revocare le statuizioni civili in essa contenute, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso per cassazione eventualmente proposto dalla parte civile avverso tale sentenza (Cass. IV, n. 27393/2018, con la precisazione, in motivazione, che, in tal caso, le ragioni della parte civile sarebbero tutelabili in sede civile: “è il disposto dell'art. 652 c.p.p. – laddove limita l'efficacia di giudicato delle sentenze penali di assoluzione agli effetti civili solo a quelle irrevocabili che accertino, a seguito di dibattimento, che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima – ad assicurare la tenuta del sistema, consentendo, anche nell'ipotesi in cui intervenga una sentenza di estinzione per prescrizione e sia precluso al giudice penale l'accertamento a fini civili, l'esercizio dell'azione civile in sede civile. Anche perché la tutela del danneggiato, quando sia intervenuta la sua costituzione di parte civile nel processo penale, è salvaguardata, ex art. 2943 c.c., dall'effetto interruttivo permanente della prescrizione del diritto al risarcimento del danno per tutta la durata del processo penale, conformemente al principio per cui un tale effetto deriva dalla domanda giudiziale che la parte civile innesta mediante la sua costituzione nel procedimento penale, sicché dalla data di cessazione dell'interruzione ricomincia a decorrere il termine per la prescrizione del relativo diritto”).

Alcune successive decisioni (Cass. II, n. 8935/2020; Cass. V, n. 46780/2021; Cass. II, n. 8327/2022), nel solco segnato dalla sentenza Tettamanti delle Sezioni Unite del 2009 (Cass. S.U., n. 35490/2009), hanno ribadito che “all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà od insufficienza della prova, prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità imposta dall'art. 129 c.p.p. quando, in sede di appello (od anche, per evidente identità di ratio, in sede di legittimità), pur essendo sopravvenuta una causa estintiva del reato, la presenza della parte civile imponga di valutare “a cognizione piena”, e quindi senza i limiti di cui all'art. 129 c.p.p. (disposizione ispirata ad una ratio di economia processuale che non può trovare applicazione quando si proceda contestualmente agli effetti penali e civili), il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili”. Nel medesimo senso si sono successivamente espresse, in motivazione, le Sezioni Unite con la sentenza Cremonini (Cass. S.U., n. 22065/2021), ribadendo il proprio precedente orientamento già espresso dalla sentenza Tettamanti, ovvero che:

– quando si procede ai soli effetti penali, il proscioglimento per amnistia o prescrizione del reato prevale sulle formule di merito nei casi di cui all'art. 129 c.p.p.;

– quando si procede agli effetti penali e civili, l'azione civile va comunque decisa a cognizione “piena”: per tale ragione, in Cassazione, nel caso in cui la sentenza impugnata, con riferimento all'affermazione di responsabilità agli effetti civili, vada annullata per qualsiasi causa, l'annullamento non consentirà neppure la pronuncia dichiarativa di estinzione per amnistia o prescrizione del reato agli effetti penali ex art. 129 c.p.p., venendo in tali casi meno la ratio di economia processuale che ispira tale forma di definizione del processo (proprio in quanto dovrà comunque procedersi ad un accertamento di responsabilità a cognizione piena agli effetti civili).

Secondo un orientamento accessorio, in corso di consolidamento, peraltro, resterebbero salvi i casi nei quali difetti l'allegazione, da parte dell'imputato, di un concreto ed attuale interesse a ottenere il proscioglimento nel merito: in tali casi, la Cassazione, ove abbia escluso la possibilità di proscioglimento ex art. 129, comma 2, c.p.p., può immediatamente dichiarare l'estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione e rinviare al giudice civile competente per valore in grado di appello, essendo venuta meno la ragione dell'attrazione dell'azione civile nel procedimento penale (Cass. V, n. 43690/2021; Cass. V, n. 43663/2022).

Non appare, pertanto, condivisibile l'orientamento, pure emerso, per il quale il rilievo da parte della Cassazione della sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione comporta necessariamente, ai fini dell'esame dei capi della sentenza impugnata riguardanti gli interessi civili, in ipotesi di responsabilità medica per omissione, l'annullamento di detta sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello (Cass. IV, n. 37193/2022). Tra l'altro, non era neppure corretto affermare che – in sede civile – l'accertamento del nesso di causalità andasse operato la regola civilistica del “più probabile che non” (Cass. IV, n. 37193/2022; Cass. II, n. 11808/2022), vigendo in precedenza l'art. 573 c.p.p. (successivamente modificato in tal senso dalla c.d. “riforma Cartabia”, cui si rinvia), il cui comma 1 stabiliva che l'impugnazione per i soli effetti civili era decisa, in ogni sede, con le forme ordinarie del processo penale: in senso contrario, cfr. erroneamente Cass. II, n. 35140/2022, per la quale, tra l'altro, la pronuncia del giudice dell'impugnazione penale che, dichiarata l'estinzione del reato, accerti la sussistenza degli elementi costitutivi dell'illecito civile e la conseguente responsabilità ex art. 578 non determina alcuna lesione della presunzione di innocenza, anche nel caso in cui faccia riferimento al criterio decisorio della cd. “alta probabilità logica” proprio del giudizio penale, in luogo del criterio del “più probabile che non” o della “probabilità prevalente”, tipico del giudizio civile.

La dichiarazione in appello di estinzione del reato per prescrizione maturata prima della decisione di primo grado

Sarebbe illegittima la sentenza d'appello nella parte in cui, accertando che la prescrizione del reato è maturata prima della pronuncia di primo grado, confermi le statuizioni civili in questa contenute: in tale ipotesi, infatti, non sussistono i presupposti in presenza dei quali l'art. 578 consente al giudice dell'impugnazione di decidere sugli effetti civili anche nel caso in cui dichiari l'estinzione del reato, e le statuizioni civili eventualmente disposte in primo grado vanno revocate (Cass. S.U., n. 10086/1998: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato in parte con rinvio la sentenza d'appello che, dichiarando – a seguito di derubricazione – l'estinzione del reato per essere maturato il termine prescrizionale prima della pronuncia di primo grado, aveva comunque confermato le statuizioni relative all'azione civile in quest'ultima contenute e condannato l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile); l'orientamento è ormai pacifico (Cass. V, n. 44826/2014; Cass. III, n. 15245/2015; Cass. VI, n. 9081/2013, per la quale, inoltre, in siffatta situazione l'imputato non può neanche essere condannato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile).

Le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione, chiamate a stabilire “se il giudice d'appello, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, maturata prima della pronuncia della sentenza impugnata, per effetto di una valutazione difforme rispetto a quella operata dal giudice di primo grado (come, ad esempio, nei casi di esclusione della recidiva qualificata o di ritenuta insussistenza di una circostanza aggravante o di formulazione di un diverso giudizio di comparazione tra le circostanze del reato), possa ugualmente decidere sull'impugnazione, ai sensi dell'art. 578 c.p.p., ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, ovvero debba revocare le statuizioni civili”, hanno stabilito che “il giudice di appello che, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pervenga alla conclusione – sia sulla base della semplice “constatazione” di un errore nel quale il giudice di primo grado sia incorso, per effetto di “valutazioni” difformi – che la causa estintiva è maturata prima della sentenza di primo grado, deve revocare le statuizioni civili in essa contenute” (Cass. S.U., n. 39614/2022).

Applicabilità dell’art. 578 ad altre cause di estinzione del reato

La disciplina dettata dall'art. 578, che contempla la possibilità del giudice penale di decidere sulla pretesa civilistica fatta valere nel processo penale, è limitata soltanto all'estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, e non può essere dilatata in via estensiva od analogica ad altra causa estintiva, avendo carattere speciale (cfr., in generale, Cass. IV, n. 31314/2005; Cass. IV, n. 6198/1994, e Cass. III, n. 3593/2009, in applicazione del principio, ha ritenuto non estensibile in via analogica la disciplina dettata dall'art. 578 all'estinzione del reato urbanistico per sanatoria, ed ha conseguentemente revocato le statuizioni civili disposte nei confronti di imputati cui erano stati ascritti reati urbanistici conclusivamente dichiarati estinti per sanatoria).

Da ultimo, la giurisprudenza ha osservato che la sospensione condizionale della pena non può essere subordinata al pagamento di una provvisionale relativa in parte ad un reato estinto per prescrizione, ostandovi il disposto dell’art. 578 (Cass. II, n. 24727/2023).

Morte dell'imputato

Il giudice dell'impugnazione penale (nella specie, la Corte di cassazione) non può decidere ai soli effetti civili ex art. 578 nel caso di morte dell'imputato, atteso che la possibilità di deliberare sulla pretesa civilistica fatta valere nel processo è limitata soltanto all'estinzione del reato per amnistia o prescrizione e, per il carattere speciale della disciplina, non può essere analogicamente estesa ad altre cause estintive (Cass. IV, n. 25532/2019); in proposito, si è anche ritenuto che la morte dell'imputato, intervenuta prima dell'irrevocabilità della sentenza, comporti la cessazione sia del rapporto processuale in sede penale che del rapporto processuale civile inserito nel processo penale, con la conseguenza che le eventuali statuizioni civilistiche restano caducate ex lege senza la necessità di una apposita dichiarazione da parte del giudice penale (Cass. III, n. 5870/2012).

Remissione di querela

  In applicazione del principio, si è, inoltre, ritenuto che la disciplina dettata dall'art. 578 è inapplicabile anche nel caso in cui operi la diversa causa di estinzione del reato della remissione di querela: «il dovere del giudice della impugnazione di decidere solo le disposizioni e i capi della sentenza che concernano gli interessi civili non può trovare applicazione allorché la causa estintiva dipenda dall'intervenuta remissione di querela da parte del soggetto danneggiato, in quanto la ratio dell'art. 578 è quella di evitare che cause estintive del reato indipendenti dalla volontà delle parti possano frustrare il diritto al risarcimento e alla restituzione in favore della persona danneggiata dal reato, qualora sia già intervenuta sentenza di condanna di primo grado» (Cass. IV, n. 12807/2007 e Cass. n. 41316/2013); è stata, pertanto, ritenuta illegittima la sentenza d'appello nella parte in cui, accertando che l'azione penale era improcedibile per mancanza di querela fin dalla pronuncia di primo grado, conferma le statuizioni civili in questa contenute, invece di revocarle: in tale ipotesi, infatti, non sussistono i presupposti in presenza dei quali l'art. 578 consente al giudice dell'impugnazione di decidere sugli effetti civili anche nel caso in cui dichiari l'estinzione del reato (Cass. II, n. 51800/2013).

È stato, da ultimo, ribadito che la remissione di querela, intervenuta nel corso del giudizio di cassazione, determina l'estinzione del reato anche in presenza di eventuali cause d'inammissibilità del ricorso e travolge le statuizioni civili accessorie (Cass. IV, n. 45594/2021).

Applicabilità dell’art. 578 in caso di abrogazione della norma penale incriminatrice

 

D.lgs. n. 7 del 2016

  In difetto di una espressa previsione di legge, la giurisprudenza si è divisa quanto alla necessità o meno che il giudice dell'impugnazione, con la sentenza che dichiara estinto il reato perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, ma soltanto come mero illecito sanzionato civilmente, ai sensi dell'art. 4 d.lgs. n. 7/2016 (in vigore dal 6 febbraio 2016, essendo stato pubblicato in G.U. n. 17 del 22 gennaio 2016), si pronunci sulle statuizioni civili, che un orientamento riteneva non caducate (Cass. II, n. 14529/2016, in tema di danneggiamento), e, se contenute nella sentenza impugnata, non revocabili (Cass. V, n. 7124/2016, in relazione a fattispecie nella quale si procedeva per il reato di falso in scrittura privata, ex art. 485 c.p.)., altro orientamento riteneva caducate e, quindi, revocabili (Cass. II, n. 26091/2016, con la precisazione che la parte civile potrà esperire ex novo l'azione risarcitoria davanti al giudice civile competente per valore, per ottenere l'accertamento dell'illecito depenalizzato l'irrogazione della sanzione pecuniaria ed il risarcimento del danno; Cass. V, n. 32198/2016).

Nella precedente edizione di questo Codice avevamo ritenuto che il primo orientamento non poteva essere condiviso, perché non considerava la disciplina speciale dettata dall'art. 578, e quindi non estensibile analogicamente a casi dalla stessa disposizione non previsti; detta disciplina evidenziava, inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza, l'impossibilità di ricavare l'assunto della persistenza delle statuizioni civile in chiave sistematica, quale principio di portata generale, poiché, se così fosse, l'art. 578 sarebbe stato una disposizione inutile. D'altro canto, a differenza di quanto stabilito dal d.lgs. n. 7/2016, che non reca alcuna disciplina transitoria, il coevo d.lgs.n. 8/2016 (che ha trasformato alcuni reati in illeciti questa volta amministrativi: di qui la non palese irragionevolezza dell'aver differentemente disciplinato le sorti degli interessi civili) all'art. 9 aveva espressamente disposto che il giudice dell'impugnazione decide sulle statuizioni civili, a riprova – tra l'altro – della necessità all'uopo di una espressa previsione di legge, altrimenti non enucleabile dai principi generali dell'ordinamento; pertanto, ubi lex voluit, dixit, con quel che ne consegue. Infine, il combinato disposto degli artt. 12, comma 1, ed 8, comma 2, d.lgs. n. 7/2016, evidenziava inequivocabilmente la necessità, anche per i fatti commessi prima dell'entrata in vigore del predetto decreto, che la persona offesa si attivasse presentando domanda di risarcimento dei danni al giudice civile competente, sull'implicito presupposto che le statuizioni civili eventualmente pronunciate dal giudice penale non potessero essere confermate all'indomani dell'intervento abrogativo de quo. A diverse conclusioni doveva giungersi nel caso in cui fosse intervenuto il giudicato: si era, infatti, ritenuto, in generale, che la revoca in sede esecutiva, ex art. 673, della sentenza di condanna per abolitio criminis (ex art. 2, comma 2, c.p.) – conseguente alla perdita del carattere di illecito penale del fatto – non comportasse il venir meno della natura di illecito civile del medesimo fatto, con la conseguenza che la sentenza non deve essere revocata relativamente alle statuizioni civili derivanti da reato, le quali continuano a costituire fonte di obbligazioni efficaci nei confronti della parte danneggiata (Cass. V, n. 4266/2006).

L'orientamento qui sostenuto è stato accolto dalle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 46688/2016), a parere delle quali, conclusivamente, in caso di sentenza di condanna relativa ad un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile, sottoposto a sanzione pecuniaria civile, ai sensi del d.lgs. n. 7/2016, il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili, fermo restando il diritto della parte civile di agire ex novo nella naturale sede civile, per il risarcimento del danno e l'eventuale irrogazione della sanzione civile; diversamente, la revoca della sentenza di condanna passata in giudicato per i fatti suindicati, disposta dal giudice dell'esecuzione, non si estende ai capi che concernono gli interessi civili.

D.l. n. 158 del 2012

In caso di sentenza di primo grado di condanna relativa a un reato già abrogato, il giudice dell'impugnazione, nell'assolvere l'imputato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili, perché di regola il giudice penale può pronunciarsi sull'azione civile solo nell'ipotesi di sentenza di condanna e l'impugnazione dell'imputato estende i suoi effetti alle statuizioni civili (Cass. IV, n. 5892/2019: fattispecie in tema di responsabilità medica relativa a un fatto commesso prima dell'entrata in vigore dell'art. 3, comma 1, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, in cui la Corte ha annullato senza rinvio, limitatamente alla conferma delle statuizioni civili, la sentenza d'appello che, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, riconoscendo una colpa di grado lieve, aveva assolto l'imputato con la formula perché il fatto non costituisce reato, confermando le statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado).

Applicabilità dell’art. 578 in caso di non punibilità ex art. 131- bis c.p.

La giurisprudenza ha chiarito che la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. non rientra tra le ipotesi previste dall'art. 578, e, pertanto, in presenza della relativa declaratoria di non punibilità, al giudice penale non è consentito di decidere sulla domanda di liquidazione delle spese proposta dalla parte civile (Cass. V, n. 5433/2021).

Casistica

 

Difetto di legittimazione all'appello della parte civile

La parte civile non è legittimata a proporre appello, neppure in via incidentale:

- contro la sentenza dichiarativa di estinzione del reato per prescrizione, quando quest'ultima sia maturata prima della pronuncia della sentenza di primo grado (Cass. VI, n. 19540/2013; Cass. IV, n. 3789/2016, con la precisazione che, se anche la parte civile contestasse la già intervenuta prescrizione, difetterebbe comunque l'interesse ad impugnare, trattandosi di deliberazione che ai sensi dell'art. 652 non pregiudica l'esercizio dell'azione civile nella sede propria);

- per l'omessa pronuncia sulle statuizioni civili, se non abbia contestato con i motivi di appello la prescrizione del reato dichiarata con la sentenza di primo grado (Cass. IV, n. 3789/2016: in motivazione, la S.C. ha precisato che, anche ove la parte civile contestasse la già intervenuta prescrizione, difetterebbe comunque l'interesse ad impugnare, trattandosi di deliberazione che ai sensi dell'art. 652 non pregiudica l'esercizio dell'azione civile nella sede propria);

Rilevabilità dell'estinzione del reato in cassazione

La giurisprudenza (Cass. IV, n. 2772/2015) ha anche ritenuto che la mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione da parte del giudice d'appello, che ha emesso sentenza di condanna anche al risarcimento in favore della parte civile, non impedisce alla Corte di cassazione di rilevare nel corso del giudizio di legittimità la causa di estinzione e di pronunciare in tema di statuizioni civili.

La prevalenza dell'estinzione del reato per prescrizione sulla declaratoria di nullità assoluta ed insanabile, per violazione del diritto di difesa, ha efficacia ai soli effetti penali ma non in ordine alla responsabilità dell'imputato nei confronti della parte civile (Cass. I, n. 36296/2016: fattispecie in cui la S.C. ha accolto l'eccezione di nullità sollevata dall'imputato, e conseguentemente ha annullato, ai soli effetti delle statuizioni civili, la sentenza con la quale il giudice di merito aveva dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione).

In caso di annullamento con rinvio della sentenza d’appello limitato alle statuizioni civili, il rinvio dovrà essere disposto dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma dell’art. 622 (Cass. S.U., n. 40109/2013; Cass. I, n. 42039/2014; Cass. VI, n. 44685/2015), ed il successivo giudizio proseguirà con le forme previste per il giudizio di rinvio civile: "il giudizio di rinvio avanti al giudice civile designato, che abbia luogo a seguito di sentenza resa dalla Corte di cassazione in sede penale, ai sensi dell'art. 622, è da considerarsi come un giudizio civile di rinvio del tutto riconducibile alla normale disciplina del giudizio di rinvio quale espressa dagli artt. 392 e ss. c.p.c" (Cass. civ. III, n. 17457/2007).

Giudizio di rinvio anche agli effetti penali

Nel giudizio di rinvio (disposto anche agli effetti penali) a seguito dell'annullamento della sentenza che ha pronunciato condanna al risarcimento dei danni cagionati dal reato, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione preclude la conferma delle disposizioni concernenti gli interessi civili della sentenza annullata (Cass. V, n. 242/2008).

Giudizio di rinvio ai soli effetti civili

Nell'ipotesi di annullamento, ai soli effetti civili, da parte della Corte di cassazione, della sentenza penale contenente condanna generica al risarcimento del danno, si determina una piena “translatio” del giudizio sulla domanda civile al giudice civile competente per valore in grado di appello, il quale può procedere alla liquidazione del danno anche nel caso di mancata impugnazione dell'omessa pronuncia sul “quantum” ad opera della parte civile, atteso che, per effetto dell'impugnazione dell'imputato contro la pronuncia di condanna penale - la quale estende la sua efficacia a quella di condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 574, comma 4, c.p.p. - deve escludersi che si sia formato il giudicato interno sull'azione civile, sicché questa viene sottoposta alla cognizione del giudice del rinvio nella sua integrità, senza possibilità di scissione della decisione sull' “an” da quella sul “quantum” (Cass. civ. III, n. 15182/2017).

La sentenza di proscioglimento dell'imputato per intervenuta prescrizione del reato, passata in giudicato, non esplica alcuna efficacia vincolante nel giudizio civile di danno, anche quando lo stesso si svolga nelle forme del giudizio di rinvio conseguente a quello penale, ex art. 622 c.p.p., giacché rispetto ad esso – sebbene regolato dagli artt. 392-394 c.p.c. – non è ipotizzabile un vincolo paragonabile a quello derivante dall'enunciazione del principio di diritto ex art. 384, comma 2, c.p.c. (Cass. civ. III, n. 9358/2017).

Il giudizio in grado si appello sulle domande civili, celebrato a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione della sentenza penale, presenta struttura "chiusa", ai sensi dell'art. 394 c.p.c., sicché nello stesso non è consentito l'intervento del terzo che non abbia partecipato al processo penale, se non nei limiti in cui egli deduca la titolarità di un diritto autonomo, tale da legittimare la proposizione dell'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. (Cass. civ. III, n. 7175/2015: in forza di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione con cui il giudice di merito non aveva autorizzato la chiamata in causa, da parte del danneggiante - ai sensi dell'art. 106 c.p.c. - del proprio assicuratore).

Giudice di pace

Allorquando l'azione civile venga esercitata in sede penale, ancorché per una somma rientrante nell'ambito della giurisdizione equitativa del giudice di pace, poiché l'accertamento su di essa implica la pregiudiziale decisione sul fatto di reato agli effetti penali, la regola di decisione è sempre secondo diritto per la ragione della sussistenza della detta connessione per pregiudizialità con l'accertamento del reato, senza che tale regola resti esclusa qualora l'esercizio dell'azione civile avvenga davanti allo stesso giudice di pace, quale giudice penale, posto che quando esercita la giurisdizione penale il giudice di pace giudica secondo diritto (Cass. civ. I, n. 17457/2007: principio affermato dalla S.C. in un caso in cui la Corte di cassazione in sede penale, nel cassare ai soli effetti civili una sentenza assolutoria dal reato di omicidio doloso aveva individuato come giudice di rinvio ai sensi dell'art. 622 c.p.p. il tribunale in composizione monocratica a fronte di una domanda della P.C. di risarcimento del danno per lire una).

Revisione

Superando il contrasto giurisprudenziale in precedenza insorto, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione (Cass. S.U., n. 6141/2019) hanno stabilito che “è ammissibile (anche agli effetti penali) la revisione della sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione che, decidendo anche sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, condanni l’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile”.

Correzione errori materiali ex art. 130

Nel caso in cui il giudice d'appello, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione, ometta, per inosservanza della disposizione dell'art. 578, di pronunciarsi sugli interessi civili, all'omissione non può porsi rimedio con il procedimento di correzione previsto dall'art. 130, ma soltanto con il mezzo dell'impugnazione, trattandosi non di errore materiale bensì concettuale: sarebbe, pertanto, illegittima l'ordinanza di correzione di errore materiale mediante la quale il giudice d'appello abbia provveduto ad emendare, integrandone il dispositivo, la sentenza di proscioglimento per estinzione del reato nella quale era stato pretermesso ogni riferimento in ordine alla conferma delle statuizioni civili (Cass. VI, n. 43993/2010).

Non è emendabile mediante la procedura di correzione dell'errore materiale anche la sentenza della Corte di cassazione di annullamento senza rinvio per estinzione del reato che ometta in dispositivo la statuizione di rigetto del ricorso dell'imputato agli effetti civili, imputato già condannato nei precedenti gradi di giudizio al risarcimento del danno e al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile (Cass. V, n. 17700/2010: nel caso di specie, la S.C. ha rilevato che il fatto che il ricorso dell'imputato abbia dato luogo, nel dispositivo letto in udienza, all'implicita esclusione del proscioglimento nel merito e all'applicazione della sopravvenuta prescrizione del reato, sia in linea, anche avuto riguardo alla motivazione della sentenza oggetto della richiesta di correzione di errore materiale, con un'implicita reiezione del motivi di ricorso, attinenti alla valutazione della prova, anche ai fini civili).

Corrispondenza tra chiesto e pronunciato

La sentenza d'appello, che, a fronte dell'impugnazione dell'imputato della condanna in primo grado, dichiari estinto il reato per intervenuta prescrizione e riduca l'ammontare della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, viola il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato se, con i motivi d'appello, sia stata chiesta la revoca della statuizione di liquidazione del danno e la rimessione delle parti davanti al giudice civile per la determinazione del suo ammontare, e non anche la rideterminazione della misura del risarcimento (Cass. IV, n. 46399/2021).

Condanna alle spese di parte civile

Nei casi di cui all'art. 578, l'imputato può comunque essere condannato al pagamento delle spese in favore della parte civile, non essendo la declaratoria di estinzione del reato per amnistia o prescrizione, cui non consegua la revoca delle statuizioni civili, indice di soccombenza (Cass. II, n. 2891/2022).

L’impatto della riforma della prescrizione (l. n. 3 del 2019)

La dottrina ha osservato che la riforma della prescrizione introdotta dalla legge n. 3 del 2019, in vigore dal 1° gennaio 2020, ha prodotto una abrogazione implicita “differita della parte dell'art. 578 riguardante i casi di intervenuta prescrizione: “a fronte dell'impugnazione di una sentenza di condanna anche al risarcimento del danno da parte dell'imputato o del pubblico ministero, nei limiti dell'art. 593 c.p.p., non sarà più possibile decidere ‘sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili', risultando esclusa in radice la declaratoria di prescrizione che giustificava la disciplina nel giudizio di appello. Al pari dell'art. 578-bis c.p.p., l'art. 578 dopo il 1° gennaio 2020 è da riferire solo ad una improbabile concessione di un'amnistia” (così Varraso; conforme Minnella).

Profili di costituzionalità

La Corte costituzionale (n. 182/2021) ha dichiarato non fondate  questioni di legittimità costituzionale dell'art. 578 del codice di procedura penale, per contrasto con l'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 6, paragrafo 2, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, nonché per contrasto con lo stesso art. 117, primo comma, e con l'art. 11 Cost., in relazione agli artt. 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, e all'art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, «nella parte in cui stabilisce che, quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decide sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili».

Quanto alla prospettata violazione della presunzione di innocenza, la Corte costituzionale ha evidenziato la conformità dell'interpretazione dominante dell'art. 578 c.p.p. alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, “la quale, mentre da un lato ha ammonito che, «se la decisione nazionale sul risarcimento dovesse contenere una dichiarazione che imputa la responsabilità penale alla parte convenuta, ciò solleverebbe una questione che rientra nell'ambito dell'articolo 6 [paragrafo] 2 della Convenzione» (Corte EDU, sentenza Pasquini contro Repubblica di San Marino), dall'altro lato ha anche avvertito che l'applicazione del diritto alla presunzione di innocenza in favore dell'imputato non deve ridondare a danno del diritto della vittima al risarcimento del danno (in particolare, Corte EDU, sentenza Ringvold contro Norvegia)”.

Invero, “una volta dichiarata la sopravvenuta causa estintiva del reato, in applicazione dell'art. 578 cod. proc. pen., l'imputato avrà diritto a che la sua responsabilità penale non sia più rimessa in discussione, ma la parte civile avrà diritto al pieno accertamento dell'obbligazione risarcitoria”; ciò in quanto, “con la disposizione censurata il legislatore ha operato un bilanciamento tra le esigenze sottese all'operatività del principio generale di accessorietà dell'azione civile rispetto all'azione penale (che esclude la decisione sul capo civile nell'ipotesi di proscioglimento) e le esigenze di tutela dell'interesse del danneggiato, costituito parte civile. Quando il proscioglimento viene pronunciato in grado di appello o di legittimità, in seguito ad una valida condanna emessa nei gradi precedenti, la regola dell'accessorietà (che comporta il sacrificio dell'interesse della parte civile) subisce dei temperamenti, poiché essa continua ad essere applicabile nelle ipotesi di assoluzione nel merito e di sopravvenienza di cause estintive del reato riconducibili alla volontà delle parti (ad esempio remissione di querela), ma non trova applicazione allorché la dichiarazione di non doversi procedere dipenda dalla sopravvenienza di una causa estintiva del reato riconducibile a prescrizione o ad amnistia, nel qual caso prevale l'interesse della parte civile a conservare le utilità ottenute nel corso del processo, che continua dinanzi allo stesso giudice penale, sebbene sia mutato l'ambito della cognizione richiestagli, che va circoscritta alla responsabilità civile”.

Si è, pertanto, concluso che “il giudice dell'impugnazione penale (giudice di appello o Corte di cassazione), spogliatosi della cognizione sulla responsabilità penale dell'imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), deve provvedere - in applicazione della disposizione censurata - sull'impugnazione ai soli effetti civili, confermando, riformando o annullando la condanna già emessa nel grado precedente, sulla base di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell'illecito civile, senza poter riconoscere, neppure incidenter tantum, la responsabilità dell'imputato per il reato estinto”.

Per tali ragioni, “l'art. 578 cod. proc. pen. non viola il diritto dell'imputato alla presunzione di innocenza come declinato nell'ordinamento convenzionale dalla giurisprudenza della Corte EDU e come riconosciuto nell'ordinamento dell'Unione europea” e le sollevate questioni di legittimità costituzionale sono state dichiarate non fondate in riferimento agli evocati parametri interposti. Fin qui i principi affermati dalla Corte costituzionale. Peraltro, a meno di non volersi abbandonare a canzonatori bizantinismi, appare inevitabile che, coincidendo, in tali casi, naturalisticamente il fatto storico che in ipotesi integra l'illecito civile (artt. 2043  ss. c.c.) da accertare ed il fatto-reato non più giudicabile, l'affermazione di responsabilità del convenuto in ordine al primo non potrà, sia pur indirettamente, non comportare l'implicita affermazione di responsabilità del medesimo soggetto – pur non più imputato né imputabile - in ordine al secondo. A ritenere il contrario, si arrecherebbe pregiudizio irreparabile alla ragionevolezza ed alla più comune logica.

Bibliografia

 AA.VV., Le impugnazioni, coordinato da Aimonetto, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, diretta da Chiavario-Marzaduri, Torino, 2005; Beltrani, Estinzione del reato ed assoluzione nel giudizio d’impugnazione, in Cass. pen. 2010, 4091 ss.; Chiliberti, Azione civile e nuovo processo penale, Milano, 2006; Fonti, Regiudicanda civile e declaratoria di prescrizione del reato in appello, in Giur. it. 2003, 2149 ss.; Gialuz, Sub art. 578, in Codice di procedure penale commentato, a cura di Giarda e Spangher, II, Milano, 2010, 7079; Marandola, Le disposizioni generali, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, V, Impugnazioni, a cura di G. Spangher, Torino, 2009, 2 ss.; Minnella, Una possibilità che ora il legislatore ha eliminato, in Guida dir. 2019, 11, 66 ss.; Nuzzo, Sui poteri del giudice dell’impugnazione in materia civile nell’ipotesi di estinzione del reato, in Cass. pen. 2008, 214; Oggero, Le impugnazioni, in AA.VV., Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione sulla “Riforma Cartabia”, 2023, 157-165; Piccialli, La declaratoria delle cause di non punibilità ed il proscioglimento nel merito, in Corr. mer. 2009, 1247; Tona, Sub art. 578, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio-Tranchina, Milano, 2012, 5212 ss.; Varraso, La decisione sugli effetti civili e la confisca senza condanna in sede di impugnazione. La legge n. 3 del 2019 trasforma gli artt. 578 e 578-bis c.p.p. in una disciplina a termine, in www.penalecontemporaneo.it

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