Codice di Procedura Penale art. 607 - Ricorso dell'imputato.

Aldo Aceto

Ricorso dell'imputato.

1. L'imputato può ricorrere per cassazione contro la sentenza di condanna [533] o di proscioglimento [529-531] ovvero contro la sentenza inappellabile di non luogo a procedere [428, 593].

2. Può, inoltre, ricorrere contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le spese processuali [535, 592].

Inquadramento

Fermo lo specifico interesse all'impugnazione, la norma individua i tipici provvedimenti avverso i quali l'imputato può proporre ricorso per cassazione. All'elenco si aggiungono anche quelli che specifiche disposizioni del codice di rito o di legge indicano come “oggettivamente” impugnabili con ricorso per cassazione.

I provvedimenti oggettivamente impugnabili

Oggetto di ricorso da parte dell'imputato possono essere le sentenze di condanna o di proscioglimento, non più quelle di non luogo a procedere di cui all’art. 425.

Infatti, a seguito della modifica dell’art. 428 (apportata dalla l. 23 giugno 2017, n. 103), la sentenza di non luogo a procedere è appellabile (tranne i casi di proscioglimento perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso) e avverso la sentenza della corte di appello che ne confermi il proscioglimento l’imputato può proporre ricorso per cassazione nei soli casi previsti dall’art. 606, lett. a), b) e c). È evidente il deficit di coordinamento tra le due norme che si risolve a favore dell’implicita abrogazione parziale dell’ultimo inciso del comma 1 di quella in commento limitatamente alla sentenza di non luogo a procedere emessa a seguito dell’udienza preliminare (si veda sul punto anche il commento agli artt. 428 e 608). E’ infatti escluso che l’imputato possa ricorrere “per saltum” avverso la sentenza inappellabile di non luogo a procedere per la medesima mancanza oggettiva di interesse che ne limitava già in precedenza la facoltà di impugnarla.

Occorre, piuttosto, aggiungere che in caso di “doppia conforme” di proscioglimento l’imputato non risente dei limiti al ricorso per cassazione imposti al pubblico ministero dall’art. 608. Non è chiaro perciò se si sia trattato di svista del legislatore oppure no, ma è evidente che l’invariata possibilità di impugnare la sentenza per tutti i casi indicati dall’art. 606, deve fare i conti con la sussistenza (e la persistenza, nonostante la doppia assoluzione) del concreto interesse ad impugnare che deve essere specificamente dedotto, quando non rilevabile ictu oculi.

Sentenze di condanna sono anche quelle di applicazione pena (art. 445, comma 1-bis).

Per sentenze di proscioglimento si intendono quelle di non doversi procedere e di assoluzione di cui agli artt. 529, 530 e 531.

La norma va letta in correlazione con quanto più in generale prevede l'art. 111, comma 7, Cost., nonché l'art. 568, comma 2 che indica le sentenze e i provvedimenti de libertate come « sempre soggetti a ricorso per cassazione» escludendo le sentenze sulla competenza che possono dar luogo a conflitto di giurisdizione o di competenza.

V'è contrasto in giurisprudenza circa la possibilità, per l'imputato, di ricorrere per cassazione avverso la sentenza della corte di appello che dichiari la nullità di quella di primo grado e ordini la trasmissione degli atti al P.M..

Un primo indirizzo sostiene l'ammissibilità del ricorso, purché sussista il concreto interesse della parte all'impugnazione (Cass. VI, n. 40966/2015).

Un diverso indirizzo, invece, sostiene l'esatto contrario e ciò sia in forza del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione (prevedendo l'art. 607 il ricorso dell'imputato solo contro sentenze di condanna o di proscioglimento e sentenze inappellabili di non doversi procedere), sia per difetto di interesse, risolvendosi la sentenza dichiarativa di nullità in un atto di mero impulso processuale inidoneo a ledere il diritto di difesa dell'imputato, che resta abilitato ad esercitare qualsiasi facoltà in sede di nuovo giudizio, senza incontrare alcuna preclusione (Cass. VI, n. 9744/2004; Cass. V, n. 14366/2012).

La questione non è stata risolta nonostante le Sezioni Unite della Suprema Corte avessero condivisibilmente ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale il giudice d'appello dichiari la nullità di quella di primo grado rinviando gli atti al Tribunale per il nuovo giudizio (Cass. S.U., n. 29529/2009).

Quanto all'interesse dell'imputato ad impugnare, la sentenza aveva condivisibilmente affermato che «la sentenza che annulla quella di primo grado, produce un effetto novativo che azzera determinati risultati già raggiunti nel processo: sono questi, dunque, e non altri, i parametri sulla cui falsariga deve essere condotto lo scrutinio dell'interesse a ricorrere, e cioè a porre nel nulla la statuizione caducatoria adottata in grado di appello. La circostanza che l'imputato possa (nuovamente) difendersi in sede di giudizio rinnovato, si rivela, in tale prospettiva, del tutto inconferente, giacché ciò che viene in risalto — anche e soprattutto sul piano dei principi costituzionali (...) — non è la libertà di esercitare nella loro completezza le proprie facoltà defensionali, ma il diritto a non veder vanificati — ingiustamente e irrimediabilmente — i risultati (in ipotesi favorevoli) scaturiti dalla sentenza di primo grado».

Quanto al raccordo della norma in commento con gli artt. 111, Cost. e art. 568, le Sezione Unite osservano che «il secondo comma dell'art. 568 del codice vigente «cristallizza» in capo a tutte le parti processuali la legittimazione e l'interesse (astratto) a ricorrere per cassazione contro tutte le sentenze, ad eccezione delle ipotesi espressamente indicate, senza introdurre limitazione alcuna quanto ai relativi «casi», disciplinati dall'art. 606: dunque, sia nella eventualità in cui si denuncino errores in iudicando, che in ipotesi di errores in procedendo. In ciò non può quindi condividersi la tesi della Sezione rimettente secondo la quale tanto l'art. 568, comma 2, che l'art. 111, comma 7, Cost., sembrano «connettersi a un nozione di sentenza» nel senso proprio di un sintagma di atto decisorio di una regiudicanda, cioè di un provvedimento che definisce la rilevanza penale o non di un fatto reato contestato«. La sentenza del giudice di appello che annulla la sentenza di primo grado elimina proprio quell'atto "decisiorio della regiudicanda", sul quale le parti avevano — secondo le rispettive posizioni — confidato o che avevano teso a scongiurare, o rispetto al quale, ancora, erano andate incontro ad una parziale soccombenza».

Va peraltro evidenziato che la stessa Relazione ministeriale al codice invita a leggere l'art. 607, comma 2, in correlazione con le disposizioni generali sulle impugnazioni allorquando spiega che la possibilità espressa di ricorrere contro le sole disposizioni che riguardano le spese processuali, integra (e non esclude) la previsione che l'imputato possa ricorrere per cassazione impugnando i capi della sentenza che riguardano la sua condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno e quelli relativi alla rifusione delle spese processuali (art. 574).

Va segnalata, per la rilevanza della decisione, la Cass. II, n. 24576/2018 che dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione dell’imputato che chieda l’assoluzione o, in subordine, il minimo della pena (amplius, sub  art. 606).

Bibliografia

Belfiore, sub art. 607, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, Milano 2012, II, 5490 ss; De Amicisi, Osservazioni in tema di ricorribilità per Cassazione contro l'annullamento della sentenza di primo grado e interesse ad impugnare del P.M., in Cass. pen. 2010, 1319.

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