Codice di Procedura Penale art. 616 - Spese e sanzione pecuniaria in caso di rigetto o di inammissibilità del ricorso.

Vincenzo Tutinelli

Spese e sanzione pecuniaria in caso di rigetto o di inammissibilità del ricorso.

1. Con il provvedimento che dichiara inammissibile [591, 606 3] o rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto è condannata al pagamento delle spese del procedimento [535, 592]. Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la parte privata è inoltre condannata con lo stesso provvedimento al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da 258 euro a 2.065 euro , che può essere aumentata fino al triplo, tenuto conto della causa di inammissibilità del ricorso. Nello stesso modo si può provvedere quando il ricorso è rigettato 1.

1-bis. Gli importi di cui al comma 1 sono adeguati ogni due anni con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto nazionale di statistica, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel biennio precedente 2  3

[1] Le parole da «, che può» a « del ricorso» sono state aggiunte dall’art. 1, comma 64, l. 23 giugno 2017, n. 103. Ai sensi dell’art. 1, comma 95, l. n. 103, cit., la stessa legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 154 del 4 luglio 2017).

[2] Comma aggiunto dall’art. 1, comma 65, l. 23 giugno 2017, n. 103. Ai sensi dell’art. 1, comma 95, l. n. 103, cit., la stessa legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 154 del 4 luglio 2017).

[3] La Corte cost., con sentenza 13 giugno 2000, n. 186, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo, nella versione precedente alla modifica disposta dalla l. 103, cit., nella parte in cui «non prevede che la Corte di cassazione, in caso di inammissibilità del ricorso, possa non pronunciare la condanna in favore della cassa delle ammende, a carico della parte privata che abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità».

Inquadramento

Si tratta di norma che regola gli oneri connessi allo svolgimento del giudizio di Cassazione in caso di esito sfavorevole al ricorrente

Quanto al fondamento, deve distinguersi la condanna al pagamento delle spese processuali dalla condanna al pagamento di una somma alla Cassa delle Ammende. Con la condanna alle spese del grado di giudizio, la disposizione in esame — in applicazione di un principio comune alla materia delle impugnazioni (artt. 592,637) — pone le spese del giudizio di Cassazione, se qualsiasi tipo di ricorso (Cass. V, n. 49692/2017) ricorso è dichiarato inammissibile o è rigettato, a carico della parte privata ricorrente, in quanto essa ha dato avvio al giudizio di legittimità e ha reso necessario disciplinare la distribuzione del relativo onere economico. Si tratta di regola che — operando in funzione del risultato del processo — prescinde dalle ragioni concrete che a quell'esito abbiano condotto, e in particolare dall'atteggiamento soggettivo del soccombente (Corte cost. n. 186/2000).

Tale regola si applica a tutte le parti private impugnanti e quindi anche al ricorso, proposto agli effetti penali, dalla persona offesa costituita parte civile contro la sentenza di non luogo a procedere, emessa all'esito dell'udienza preliminare, va disposta la condanna di quest'ultima anche alla rifusione delle spese sostenute dall'imputato nel resistere al ricorso (Cass. VI, n. 20369/2009).

La sanzione pecuniaria in caso di rigetto e di dichiarazione di inammissibilità del ricorso per Cassazione ha invece funzione sanzionatoria, comportando l'imposizione di un esborso non commisurato in alcun modo al costo del procedimento. Si tratta di previsione che si applica a qualsivoglia motivo di inammissibilità, anche sulla base di previsioni non contenute nel titolo III del libro IX, dedicato al ricorso per Cassazione; l'art. 616 non distingue tra le varie cause di inammissibilità, né vi sono ragioni logiche idonee a giustificare una differenza di trattamento tra le ipotesi previste dall'art. 606, comma 3. e quelle contemplate dall'art. 591 (Cass. III, n. 5185/2014).

Essa trova il suo fondamento nel principio di «responsabilità processuale» e proprio in ragione di ciò è stata in passato riconosciuta dal giudice delle leggi non in contrasto con l'assolutezza del diritto alla tutela giurisdizionale garantito dall'art. 24 Cost. (Corte cost. n. 69/1964, pronunziata a proposito dell'art. 549 abrogato, in gran parte corrispondente all'art. 616 del codice vigente). Proprio in virtù della detta natura, tale sanzione processuale deve essere proporzionata al grado di infondatezza del ricorso o, se si vuole, al grado della sua «temerarietà», come del resto confermato dal fatto che il nuovo codice di rito ha deliberatamente innovato in materia nel senso di rendere obbligatoria la sanzione pecuniaria in caso di inammissibilità (e cioè di manifesta infondatezza del ricorso o proposizione di doglianze non ammesse dall'ordinamento) e di renderla invece facoltativa in caso di rigetto (art. 616). In sostanza, la sanzione pecuniaria è dal legislatore commisurata al grado di infondatezza del ricorso e voluta quale remora alla proposizione di non infrequenti ricorsi temerari. (Cass. III, n. 585/1995).

Nella medesima direzione si pone la riforma del 2017 (l. n. 103/2017) che ha particolarmente evidenziato la possibilità di adattare l'entità della sanzione alla causa di inammissibilità del ricorso, con evidente finalità deflattiva.

Proprio tale considerazione di tale natura e di tali parametri, la previsione de qua è stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che la Corte di Cassazione, in caso di inammissibilità del ricorso, possa non pronunciare la condanna in favore della Cassa delle ammende, a carico della parte privata che abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (cfr. Corte cost. n. 186/2000).

Afferma il giudice delle leggi che sarebbe incompatibile con il principio di eguaglianza una norma che tratti allo stesso modo la posizione di chi abbia proposto il ricorso per Cassazione, poi dichiarato inammissibile, ragionevolmente fidando nell'ammissibilità e quella del ricorrente che invece non versi in tale situazione potendo fatti verificarsi casi nei quali l'errore tecnico causativo dell'inammissibilità del ricorso non sia percepibile al momento della sua proposizione, come nell'ipotesi di un imprevedibile mutamento di giurisprudenza che induca la Corte di Cassazione a ritenere inammissibili ricorsi per il passato pacificamente non considerati tali, sulla base di una variazione del criterio di apprezzamento della causa di inammissibilità e non potendosi ritenere esclusa tale sperequazione dal potere del giudice di graduare l'importo della sanzione pecuniaria. Ed anzi proprio la previsione da parte della norma di un livello minimo e di uno massimo della somma da pagare — che dovrebbe raccordare la misura della sanzione al concreto livello di colpa del ricorrente — implicitamente conferma come sia irragionevole l'omessa previsione dell'ipotesi in cui un profilo di colpa manchi del tutto. In applicazione di tale principio, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che alla dichiarazione d'inammissibilità del ricorso per Cassazione non segue la condanna al pagamento di una somma in favore della Cassa per le ammende qualora la questione con esso prospettata sia di particolare rilevanza (nella specie perché oggetto di contrasto giurisprudenziale — Cass. S.U., n. 43055/2010).

Si tratta di sanzione che non è, in caso di pluralità di ricorrenti, irrogata in solido a coloro che vi sono condannati bensì a ciascuno di questi singolarmente Cass. IV, n. 11191/2015.

La condanna al pagamento della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 616 nel caso in cui il ricorso sia rigettato è facoltativa, con la conseguenza che il giudice che, ritiene opportuno avvalersi di tale facoltà, è tenuto a motivare la propria decisione in modo da rendere comprensibili le ragioni del suo operato. (Cass. IV, n. 7310/2009)

La Corte di Cassazione ha da tempo chiarito che la sanzione di cui all'art. 616 non rientra tra le spese coperte dall'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (Cass. III, n. 24114/2016). Infatti, il beneficio in parola riguarda elusivamente «i mezzi per agire in giudizio e non anche le pene pecuniarie che introducono in definitiva una remora a comportamenti dilatori o obbligatori» (Cass. I, n. 42918/2013).

Proprio per tale motivo è stata dichiarata manifestamente infondata — secondo criteri riproponibili anche in relazione all'attuale regime — la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 l. n. 217/1990 — nella parte in cui non prevedeva l'annotazione a debito del diritto di natura non penale di cui all'art. 616 — in riferimento al comma 3 dell'art. 24 Cost. che consente al non abbiente di sostenere un procedimento penale senza incorrere in nessuna delle effettive spese connesse al medesimo — Invero la norma costituzionale riguarda i mezzi per agire in giudizio e non anche le pene pecuniarie che come tali non limitano il ricorso, ma introducono solo una sanzione per la presentazione di impugnazione manifestamente infondate o inammissibili dall'origine (Cass. VI, n. 687/1997).

Vi sono alcune eccezioni alle norme in materia di condanna alle spese e alla sanzione pecuniaria in caso di inammissibilità. Particolarmente rilevante la previsione di cui all'art. 29 d.lgs. n. 272/1989, che, derogando al generale principio della soccombenza del condannato in tema di pagamento delle spese del processo e di custodia cautelare, stabilisce che la sentenza di condanna nei confronti di persona minore di età non comporta detto obbligo. Detta norma si inserisce nel quadro della disciplina del processo minorile, strutturalmente finalizzato alla ripresa o al recupero del percorso educativo del minore.

La ratio cui è ispirata la norma è quella di esonerare il minore dalle negative conseguenze che gli deriverebbero dall'applicazione della anzidetta regola della soccombenza, e ciò — ha più volte sottolineato negli anni questa Corte — vale sia in relazione al giudizio di merito che a quello di legittimità, dovendosi pertanto escludere una interpretazione del predetto art. 29 in base alla quale l'esonero può operare soltanto con riferimento alla definizione dei procedimenti di merito e non anche in sede di legittimità (Cass. IV, n. 11194/1999; Cass. S.U. , n. 15/2000).

Tale disposizione verrà a essere applicata in via analogica quando si tratti di ricorso per cassazione proposto da maggiorenne con riferimento all'esecuzione della pena inflittagli per reati commessi da minorenne (Cass. I, n. 12340/2020)

ovvero in relazione all'istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta dal maggiorenne in relazione a custodia subita quando era minorenne (Cass.,  IV, 14685/2021; contra, ma al momento isolata, Cass.,  IV, 21275/2021) .

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Quando invece l'impugnazione risulti proposta dagli esercenti la potestà genitoriale i quali, come recita l'art. 34, d.P.R. n. 448/1988, ben possono, anche senza avere diritto alla notificazione del provvedimento, proporre l'impugnazione che spetta all'imputato minorenne, e non da quest'ultimo quindi, alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali e di una somma di Euro cinquecento ciascuno favore della Cassa delle ammende (Cass. V, n. 8379/2016).

La condanna alle spese del procedimento della parte privata ai sensi del primo comma dell'articolo in commento ricomprende anche la condanna dell'imputato al pagamento delle spese del grado sostenute dalla parte civile (in caso di inammissibilità del ricorso dell'imputato) ovvero la condanna della parte civile il cui ricorso sia dichiarato inammissibile al pagamento delle spese legali sostenute dall'imputato.

Qualora dall'eventuale accoglimento dell'impugnazione proposta dall'imputato non possa derivare alcun pregiudizio alla parte civile, quest'ultima, non avendo interesse a formulare proprie conclusioni nel conseguente giudizio, pur se esercita il suo diritto di partecipare allo stesso, non ha titolo alla rifusione delle spese processuali (Cass. VI, n. 8326/2015): ad esempio, tale condanna non potrà essere disposta nel giudizio di impugnazione che abbia ad oggetto esclusivamente questioni attinenti al trattamento sanzionatorio (Cass. II, n. 29424/2017).

  Deve registrarsi un contrasto di giurisprudenza in ordine alla rilevanza della presentazione in udienza della parte civile.

Da una parte, l'orientamento in precedenza prevalente esclude la possibilità di alcuna liquidazione in caso di mancata presentazione in udienza – in ragione del tenore delle norme sulla condanna dell'imputato soccombente alle spese in favore della parte civile, estensibili al giudizio di cassazione per il rinvio dell'art. 168 disp. att. c.p.p. (Cass. V, n. 43834/2014) e in considerazione del fatto che il combinato disposto degli artt. 523, commi 1 e 2, e 614, comma 4, c.p.p., e art. 153 disp. att. c.p.p., impone al difensore della parte civile di partecipare personalmente alla udienza per formulare e illustrare le proprie conclusioni e, solo all'esito della discussione, di depositare le conclusioni scritte e la nota spese (Cass. VI, n. 9430/2019).

Altro orientamento, che appare attualmente dominante (Cass. II, n. 12784/2020; Cass. V, n. 31983/2019; Cass. V, n. 30743/2019; Cass. IV, n. 38227/2018) ritiene, al contrario, che, nel giudizio di legittimità, quando il ricorso dell'imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali senza che sia necessaria la sua partecipazione all'udienza, purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attività diretta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione, atteso che la sua mancata partecipazione non può essere qualificata come revoca tacita e che la previsione di cui all'art. 541 c.p.p. è svincolata da qualsiasi riferimento alla discussione in pubblica udienza.

  La parte civile che depositi conclusioni scritte — in caso di rigetto del ricorso proposto dall'imputato — ha quindi diritto alla rifusione delle spese legali sempre che abbia effettivamente esplicato un'attività diretta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione; di conseguenza, non è dovuta la rifusione delle spese del grado alla parte civile qualora non abbia offerto – in sede di memoria o discussione - elementi di dibattito centrati sulle questioni oggetto del ricorso né abbia offerto argomentazioni di contrasto alle ragioni avverse (Cass. V, n. 30743/2019) ovvero non rabbia depositato memorie oppure,  – in ragione della tardività delle stesse – non sia stato possibile tener conto delle deduzioni in essa contenute (Cass. II, n. 12784/2020).

L'inammissibilità del ricorso avverso la sentenza di assoluzione in grado d'appello, proposto dalla persona offesa costituita parte civile, comporta la condanna di quest'ultima a rifondere all'imputato, che ne abbia fatto richiesta, le spese sostenute nel giudizio di legittimità; detta statuizione, ancorché non prevista espressamente dal codice di rito penale, deve essere adottata in base al principio generale di causalità e di soccombenza, di cui sono espressione non solo gli artt. 541, comma 2, e 592, comma 4, c.p.p., ma, più in generale, l'art. 91 c.p.c., che viene in causa trattandosi di un giudizio di impugnazione che, pur se ispirato da finalità anche di ordine penale, è stato comunque promosso a iniziativa di una parte privata rimasta soccombente nei confronti di un'altra (Cass. VI, n. 54641/2018).

Il responsabile civile, il cui ricorso avverso sentenza di condanna al risarcimento del danno cagionato da reato dei propri dipendenti, venga rigettato o dichiarato inammissibile deve essere condannato al pagamento delle spese processuali relative, operando, in tal caso, tale soggetto a tutela dei propri interessi patrimoniali privatistici (cfr. Cass.,  I, 40795/2021).

Casistica

 

Ricorso non sottoscritto

Nemmeno nel caso in cui il ricorso sia dichiarato inammissibile in quanto sottoscritto dal difensore del terzo interessato al provvedimento non munito di mandato potrà disporsi condanna in ordine alle spese del procedimento e alla sanzione pecuniaria perché ingiustamente graverebbe sull'imputato una sanzione per attività non rapportabile alla sua iniziativa o alla sua volontà e né potrà essere condannato il difensore che non può ritenersi soccombente, in quanto la impugnazione da lui proposta costituisce pur sempre esercizio di funzione defensionale, esplicata per conto e nell'interesse del difeso, pur in assenza di specifico mandato (Cass. III, n. 563/2020).

Difensore non legittimato

Qualora, a causa della mancata legittimazione del difensore (nella specie per non essere questi iscritto all'albo speciale previsto dall'art. 613), il ricorso da lui proposto venga dichiarato inammissibile, la condanna alle spese ed alla prescritta sanzione pecuniaria deve comunque essere pronunciata, in applicazione della regola generale dettata dall'art. 592, nei confronti non del difensore ma della parte privata, a meno che non risulti che quest'ultima non abbia in alcun modo aderito all'iniziativa del difensore.

Rinuncia al ricorso

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione per rinuncia all'impugnazione, consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, in quanto l'art. 616, nello stabilire l'applicazione di detta sanzione, non distingue tra le diverse cause che danno luogo alla pronuncia di inammissibilità (Cass. V, n. 28691/2016). Tuttavia, qualora tale rinuncia sia fondata sulla emersione di nuovi elementi di fatto, non conosciuti all'atto della proposizione del ricorso e tali da comportare una diversa valutazione dell'interesse ad impugnare da parte del ricorrente, tale situazione non risulta evidenziare alcun profilo di colpa, e non risulta quindi idonea a fondare la pronuncia di condanna al pagamento in favore della cassa delle ammende della sanzione prevista dall'art. 616 (Cass. V, n. 9831/2016).

Allo stesso modo, qualora il venir meno dell'interesse alla decisione del ricorso per cassazione sopraggiunga alla sua proposizione, alla declaratoria di inammissibilità non seguono né la condanna alle spese processuali né quella al pagamento della sanzione pecuniaria, non essendo configurabile un'ipotesi di soccombenza (Cass. S.U., n. 20/1996).

Sopravvenuto difetto di interesse

Il sopravvenuto difetto di interesse all’impugnazione è una causa di inammissibilità che prevale su quella della rinuncia all’impugnazione, eventualmente concorrente, perché più favorevole, non comportando un’ipotesi di soccombenza (Cass. IV, 45618/2021) con la conseguente inapplicabilità della condanna al pagamento delle spese Cass. S.U., n. 7/1997 e Cass. n. 31524/2004; Cass. V, n. 39521/2018). Tale assunto è stato ribadito più di recente dalle sezioni unite della Corte (Cass. S.U., n. 11803/2020) che hanno costantemente affermato che, nei casi in cui un ricorso sia dichiarato inammissibile per carenza d’interesse sopravvenuta rispetto al momento della sua proposizione, alla dichiarazione d’inammissibilità non consegue la condanna del ricorrente alle spese del procedimento ed al pagamento di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende in quanto il sopraggiunto venir meno del suo interesse alla decisione non configura un’ipotesi di soccombenza.

Morte del ricorrente

La morte del ricorrente, intervenuta nel corso del giudizio di legittimità, rende inammissibile l'impugnazione ed esclude la possibilità della condanna alle spese e della applicazione della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende (Cass. III, n. 23935/2021).

Indulto

La condanna al pagamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende in caso di inammissibilità del ricorso per Cassazione non rientra nell'indulto, nel caso di specie in quello concesso con l. n. 241/2006, non avendo ad oggetto una pena pecuniaria ma l'adempimento di una obbligazione civile (Cass. I, n. 47772/2008).

Dichiarazione di inammissibilità del ricorso con contestuale estensione degli effetti di altra impugnazione

Risulta contrasto in ordine alla valutazione, ai fini della eventuale condanna alle spese, della situazione del ricorrente, la cui impugnazione sia stata dichiarata inammissibile e che, tuttavia, si sia giovato dell’estensione degli effetti favorevoli derivanti dall’accoglimento del ricorso proposto dal coimputato; parte della giurisprudenza di legittimità afferma che in tale frangente non vi è spazio per condanna al pagamento delle spese processuali (Cass. IV, n. 46344/2014); altra parte della giurisprudenza è per la tesi affermativa (Cass. I, n. 30737/2016).

Patrocinio a spese dello Stato

Nel giudizio di legittimità, spetta alla Corte di cassazione provvedere, ai sensi dell'art. 541 c.p.p., alla condanna generica dell'imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato; spetta al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 ed 83 d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. S.U. , n. 5464/2020 ).

Pubblica Amministrazione

La condanna al pagamento delle spese processuali può riguardare anche una Pubblica Amministrazione. In particolare, il Ministero della Giustizia è stato condannato al pagamento delle spese processuali all'atto del rigetto del ricorso per Cassazione avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza avente ad oggetto le doglianze del detenuto in ordine al rispetto dello spazio individuale minimo intramurario (Cass. I, n. 53011/2014 e Cass. I, n. 53012/2014).

Erronea condanna al pagamento della sanzione

Può farsi ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui all’art. 130 per emendare la sentenza che abbia erroneamente statuito la condanna del pubblico ministero al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende a seguito della l’inammissibilità del ricorso proposto dalla parte pubblica e la Corte vi provvede con procedura «de plano», senza instaurazione del rito formale della correzione previsto dall’art. 625-bis (Cass. I, n. 23870/2016).

Bibliografia

Dell'Anno, artt. 615-617, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da Lattanzi-Lupo, VII, Milano, 1997, 589; Spangher, Voce Suprema Corte di Cassazione (ricorso per), in Dig. d. Pen., Torino, 1999.

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