Codice di Procedura Penale art. 627 - Giudizio di rinvio dopo annullamento.Giudizio di rinvio dopo annullamento. 1. Nel giudizio di rinvio non è ammessa discussione sulla competenza attribuita con la sentenza di annullamento [623], salvo quanto previsto dall'articolo 25. 2. Il giudice di rinvio [623; 175 att.] decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le limitazioni stabilite dalla legge. Se è annullata una sentenza di appello e le parti ne fanno richiesta, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale [603] per l'assunzione delle prove rilevanti per la decisione. 3. Il giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa [628 2; 173 2 att.]. 4. Non possono rilevarsi nel giudizio di rinvio nullità, anche assolute [179], o inammissibilità, verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari. 5. Se taluno degli imputati, condannati con la sentenza annullata, non aveva proposto ricorso, l'annullamento pronunciato rispetto al ricorrente giova anche al non ricorrente, salvo che il motivo dell'annullamento sia esclusivamente personale [587]. L'imputato che può giovarsi di tale effetto estensivo deve essere citato e ha facoltà di intervenire nel giudizio di rinvio. InquadramentoLa norma in commento individua una serie di profili conseguenti alla pronuncia di annullamento con rinvio che risultano essenziali per delineare i caratteri del giudizio di rinvio medesimo riguardando in particolare i profili di individuazione del giudice, dell'ambito soggettivo e oggettivo della decisione, dei poteri istruttori conseguenti. I vincoli che il legislatore pone al giudice di rinvio derivano essenzialmente da un principio di formazione progressiva del giudicato, secondo una visione del processo ispirata all'esigenza logica e giuridica che l'iter processuale sia tracciato in modo che esso abbia progredire verso la soluzione finale attraverso la concatenazione di atti aventi valore definitivo (Corte cost. n. 11/1999). Si tratta di scelta che può considerarsi razionale in quanto finalizzata ad evitare una perpetuazione dei giudizi (Corte cost. n. 501/2000; Corte cost. n. 224/1996). In questo contesto, la scelta del legislatore di limitare il potere decisorio del giudice di rinvio a quanto statuito del principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, anche nei casi in cui questo risultasse errato o superato (Corte cost. n. 11/1999) risulta conseguenza della modalità progressiva di formazione del giudicato e risponde alla necessità che la raggiunta definitività delle pronunce emesse garantisca un ambito di certezza nell'applicazione del diritto nel caso concreto. Dalle stesse necessità deriva la previsione per cui, quando il giudizio di rinvio riguarda esclusivamente la rideterminazione della pena, non vi sia la possibilità di ulteriormente opporre l'intervenuta estinzione del reato per la maturazione del termine di prescrizione, ove decorso nel giudizio di rinvio. In ogni caso, non rimane scontato l'esito del giudizio di rinvio, posto che residua possibilità che si giunga nuovamente allo stesso esito decisorio della pronuncia annullata sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità o integrando completando quelle già svolte (Cass. II, n. 47060/2013). Infatti, tale risultato non risulta precluso a priori dalla non viola l'obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l'annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all'affermazione di responsabilità sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello già censurato in sede di legittimità (Cass. II, n. 1726/2017). L’immutabilità della competenza del giudice di rinvioIl primo limite espressamente previsto dalla norma riguarda l'individuazione del giudice di rinvio, da intendersi quale ufficio giudiziario competente. In sostanza, la sentenza di annullamento con la quale la Corte di cassazione devolve il giudizio al giudice del rinvio è attributiva della competenza in favore di questi, senza che la corretta applicazione dei criteri per la sua individuazione possa essere in una qualunque sede sindacata. Ne consegue che la designazione, una volta intervenuta, non è suscettibile di revoca o modifica, quand'anche risulti effettuata in violazione della legge (Cass. V, n. 13754/2009). Al proposito, va però segnalato che – qualora la designazione derivi da un errore materiale (come possibile ad esempio in materia di revisione per effetto della erronea lettura della tabella allegata all'art. 1 disp. att. c.p.p., richiamato dall'art. 11 c.p.p. e dal secondo comma dell'art. 634 c.p.p.) è stata ritenuta sussistente la possibilità di ricorrere alla procedura della correzione di errore materiale in conseguenza del carattere non valutativo della indicazione (Cass. V, n. 44607/2005). Inoltre, posto che la competenza è un concetto che presuppone la giurisdizione, della quale costituisce la suddivisione tra giudici diversi, l'indiscutibilità della competenza attribuita dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento con rinvio implica intangibilità della giurisdizione che sta a monte, presupposta dalla stessa indicazione di competenza. Ne deriva che, indicato il giudice competente a trattare la causa in sede di rinvio determinato dall'annullamento della sentenza impugnata, non può più essere posta in discussione la giurisdizione del medesimo (Cass. I, n. 13669/98). Risultano al proposito irrilevanti, ove non altrimenti disposto, modifiche della competenza intervenute dopo che esso è stato ritualmente incardinato, in forza del principio della perpetuatio jurisdictionis e dell'irretroattività delle leggi processuali a meno che non sopravvengano norme che modifichino direttamente i criteri indicati nell'art. 623, o si riflettano sulla sua applicazione, sopprimendo, accorpando o modificando le articolazioni interne dell'ufficio giudiziario designato in sede di annullamento con rinvio (Cass. I, n. 5666/1996). Principale conseguenza di tale assunto e che non sia possibile alcun tipo di contrasto tra la Corte di Cassazione il giudice di rinvio che non può declinare la propria competenza la cognizione del processo (Cass. VI, n. 46812/2015). Rilevanti risultano invece, per effetto del rinvio fatto dalla norma in esame all'art. 25 c.p.p., i fatti nuovi da intendersi solo quali accadimenti storici e non anche situazioni o qualificazioni giuridiche o mere valutazioni - che comportino una diversa definizione giuridica da cui derivi la modificazione della giurisdizione (Cass. IV, n. 14709/2018) e la competenza di un giudice superiore (Cass. I, n. 8555/2013). Altrettanto rilevanti l'intervenuta abolitio criminis e interventi legislativi di riforma incidenti sulla sussistenza della penale responsabilità, come ritenuto in relazione all'intervenuta abrogazione dell'art. 3, l. n.189/2012, ad opera dell'art. 6, comma 2, l. n. 24/2017, che ha introdotto una nuova disciplina in tema di responsabilità, per i reati di omicidio e lesioni colpose del sanitario che abbia rispettato le linee guida o le buone pratiche clinico-assistenziali, con la conseguente necessità per il giudice di rinvio di procedere alla individuazione della legge ritenuta più favorevole, tra quelle succedutesi nel tempo, da applicare al caso esaminato (Cass. IV, n. 16140/2017). Determinazione dell’ambito della decisione e parametri di giudizio - la vincolatività del principio di dirittoIl vincolo derivante in capo al giudice di rinvio per effetto del principio di diritto enunciato dalla Corte di legittimità trova il suo fondamento sull'attuazione della funzione nomofilattica su un piano che parte della dottrina ha definito degli effetti, in relazione al fatto concreto della res iudicanda. La stessa Corte Costituzionale ha infatti ritenuto che il vincolo scaturente, ai sensi dell'art. 627, comma 3, c.p.p., dal principio di diritto enunciato dalla Cassazione rappresenta una conseguenza necessaria del modello della separazione del giudizio rescindente da quello rescissorio, il quale implica che il secondo debba essere fondato sui risultati del primo (Corte Cost. n. 50/1970) salva restando la facoltà del giudice del rinvio di mettere in discussione, sotto il profilo della legittimità costituzionale, non già le norme che limitano i contenuti del giudizio rescissorio, ma — eventualmente — quelle che sarebbe tenuto ad applicare nella «lettura» datane dal giudice di legittimità (Corte Cost. n. 501/2000). G. Sia nel rito civile (art. 384 c.p.p., e art. 143 disp. att. c.p.c.) che in quello penale (art. 623 c.p.p. e art. 173 disp. att. c.p.p., comma 2), la norma impone alla suprema Corte, in caso di annullamento con rinvio, di enunciare specificamente il principio di diritto al quale il giudice del rinvio deve attenersi, ma non gli prescrive affatto di indicare tale principio nel dispositivo della decisione. Anzi, esso trova la sua sede naturale nella motivazione allorché si indicano le ragioni della decisione e si segnalano gli errori giuridici contenuti nella decisione censurata. D'altra parte, l'omessa esplicita enunciazione del principio di diritto, sia in sede civile che in sede penale, non esonera il giudice del rinvio dall'obbligo di uniformarsi al dettato della Suprema Corte allorché un principio di diritto sia comunque desumibile dalla motivazione (Cass. III, n. 15722/2019). Affinché sorga tale obbligo è necessario che nella sentenza di annullamento sia rinvenibile, sia pure implicitamente, un qualche principio di diritto, o quanto meno, una questione di diritto decisa. Diversamente qualora tale individuazione non sia possibile, non può configurarsi alcun obbligo scaturente dall'art. 627, comma 3, c.p.p. ulteriore rispetto alle regole generali a cui il giudice deve uniformarsi nell'adozione dei suoi provvedimenti (Cass. VI, n. 34027/2003). I vincoli connessi all'enunciazione del principio di diritto sono diversi a seconda che l'annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale o processuale, oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Nella prima ipotesi, il giudice del rinvio deve ritenersi vincolato ai principi ed alle questioni di diritto decise con la sentenza di annullamento, con esclusione di ogni altra restrizione derivabile da eventuali passaggi di natura argomentativa contenuti nella motivazione della sentenza di legittimità, soprattutto ove riferibile a questioni di mero fatto attinenti al giudizio di merito (Cass. IV, n. 4138/2013). Nelle ipotesi di annullamento per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, il giudice di rinvio è libero di determinare il proprio apprezzamento di merito mediante ulteriore e autonoma valutazione dei dati probatori e della situazione di fatto concernenti i punti oggetto dell'annullamento (Cass. III, n. 4759/2000) fermo restando che nemmeno in ambito cautelare il giudice del rinvio non può abbandonare il thema decidendum, segnato dai motivi di ricorso che hanno determinato l'annullamento, e definire il giudizio attraverso l'introduzione di nuovi punti per la decisione, ma deve, in primo luogo, eliminare il vizio rilevato dalla Corte di cassazione, e solo successivamente, muovendo da tale presupposto, può affrontare ulteriori questioni attinenti all'attualità delle condizioni legittimanti la cautela, poiché, per effetto del collegamento sequenziale tra pronuncia rescindente e fase rescissoria, non deve venire meno la continuità di oggetto del giudizio (Cass. II, n. 8854/2016; Cass. II, n. 11209/2016). Più complesso il fenomeno quando avvenga un annullamento parziale, posto che è comunque indiscutibile che una parte della decisione rimanga immodificabile. Il che pone ovviamente seri problemi di coordinamento e integrazione tra le parti della sentenza di merito non annullate la sentenza di rinvio. In generale deve affermarsi che l'oggetto del giudizio non è limitato all'esame dei singoli punti specificati, come se essi fossero isolati dal restante materiale probatorio, essendo il giudice stesso tenuto a compiere anche eventuali atti istruttori necessari per la decisione, nonché avendo l'onere di fornire in sentenza adeguata motivazione in ordine all'iter logico-giuridico seguito per giungere alla propria decisione, rispetto ai singoli punti specificati con la sentenza di rinvio (Cass. V, n. 33847/2018). In via generale il giudice del rinvio è tenuto ad uniformarsi non solo al principio di diritto, ma anche alle premesse logico-giuridiche poste a base dell'annullamento, non potendo nuovamente valutare questioni che, anche se non esaminate nel giudizio rescindente, costituiscono i presupposti della pronuncia sui quali si è formato il giudicato implicito interno (Cass. VI, n. 11641/2018) né successivi cambi di indirizzo giurisprudenziali (Cass. II, n. 25722/2017), salvo che risultino, come già evidenziato, “nuovi fatti” - da intendersi solo quali accadimenti storici e non anche situazioni o qualificazioni giuridiche o mere valutazioni - che comportino una diversa definizione giuridica da cui derivi la modificazione della giurisdizione. (Cass. IV, n. 14709/2018). Di conseguenza, deve escludersi la rilevanza di cause di non punibilità non fatte valere nel giudizio di merito, risultando preclusa ad esempio la possibilità di dichiarare la non punibilità del fatto ai sensi dell'art.131-bis c.p. non rilevata nel giudizio rescindente, essendosi formato il giudicato sull'insussistenza della causa di non punibilità (Cass. VI, n. 18061/2018). Ancora, caso di annullamento con rinvio disposto ai soli fini della determinazione della pena, è stata esclusa la possibilità di valutare l'applicabilità di una scriminante oggetto di successivo intervento normativo ( la legittima difesa domiciliare) essendosi già formato il giudicato sull'accertamento del reato e sulla responsabilità dell'imputato (Cass. V, n. 23040/2021). Devono invece essere oggetto di scrutinio le questioni oggetto dei motivi ritenuti assorbiti da parte della Corte di legittimità, purché queste siano state ritualmente devolute alla cognizione del giudice di secondo grado attraverso i motivi di appello (Cass. VI, n. 17770/2018). È stato rilevato che qualora venga rimessa dalla Corte di Cassazione al giudice di rinvio esclusivamente la questione relativa alla determinazione della pena, il giudicato (progressivo) formatosi sull'accertamento del reato e della responsabilità dell'imputato, con la definitività della decisione su tali parti, impedisce l'applicazione di cause estintive sopravvenute all'annullamento parziale. Il che implica che, formatosi il giudicato sull'accertamento del reato e della responsabilità dell'imputato, dette rimarranno inapplicabili cause estintive prodottesi dopo l'annullamento non avendo possibilità di incidere sul decisum (Cass. II, n. 4109/2016). Rimane invece rilevante lo spirare del termine prescrizionale in momento successivo alla pronuncia di annullamento. Al proposito, tuttavia, va rilevato che la declaratoria di estinzione del reato conseguente alla prescrizione eventualmente maturata successivamente alla pronuncia di annullamento (sempre che non vi sia definitività dell'accertamento di responsabilità ai sensi dell'art. 624 comma 2 c.p.p.) non prevale sul proscioglimento dell'imputato nel merito, atteso che detta declaratoria postula un'attività meramente ricognitiva del compendio probatorio, preclusa dal rinvio disposto dalla Corte di cassazione proprio sul presupposto della necessità di ulteriori verifiche (Cass. I, n. 15524/2018). L'ipotesi di abolitio criminis che deve necessariamente essere dichiarata anche quando l'annullamento non ha attinto i punti della decisione riguardanti i presupposti della condanna (Cass., VI, n. 41683/2010). La Corte ha ritenuto che il carattere inderogabile del vincolo gravante sul giudice di rinvio rispetto al principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione trovi una ulteriore eccezione nel caso in cui, nelle more, sia sopravvenuta una sentenza della Corte di Giustizia europea che abbia dichiarato l'incompatibilità con il diritto comunitario della norma nazionale da cui dipenda l'applicazione della norma incriminatrice, come ad esempio è avvenuto quando il mutamento di giurisprudenza investa le conseguenze processuali (Cass., VI, n. 18715/2012; Cass., VI n. 9028/2010; contra Cass., I, n. 4049/2012). Il divieto di reformatio in peius Va comunque ricordato che, ogni qual volta il processo regredisce alla fase di appello, il giudice del rinvio ha l'obbligo di non violare il divieto di reformatio in peius aggravando una posizione nel contesto di un atto che si voleva rimuovere; di conseguenza, tale principio riguarderà non solo il risultato finale, ma anche tutti gli elementi del calcolo della pena (Cass. I, n. 46271/2004). Fa eccezione a tale regola l'ipotesi in cui vi sia stato un annullamento che abbia determinato la regressione del giudizio al primo grado per nullità dell'atto introduttivo ovvero per altra nullità assoluta o di carattere intermedio non sanata (Cass. S.U., n. 17050/2006). Si tratta infatti di fattispecie in cui è stato sostanziale azzeramento dell'intero processo senza che siano state affrontate questioni che attenessero al merito della decisione. Allo stesso modo, tale divieto non opera nel caso in cui la sentenza annullata sia stata pronunciata a seguito di impugnazione proposta dal P.M. contro una sentenza di proscioglimento (Cass. IV, n. 20337/2017). Nemmeno viola il divieto di "reformatio in peius" il giudice di rinvio che revochi il beneficio della sospensione condizionale, nelle ipotesi previste dai commi primo e terzo dell'art. 168 c.p., in quanto, in entrambi i casi, si tratta di provvedimenti dichiarativi, riguardanti effetti che si producono "ope legis" e presuppongono non un'attività discrezionale o valutativa, bensì puramente ricognitiva, con cui si accerta il venir meno delle preesistenti condizioni legittimanti e la natura dichiarativa della decisione non contrasta con il rispetto del criterio devolutivo (Cass. VI, n. 51131/2019). Tuttavia, quando venga a mutare la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest'ultima), rimane possibile per il giudice di rinvio apportare per uno dei fatti unificati dall'identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (cfr. Cass. S.U., n. 16208/2014). Rimane ugualmente possibile una rideterminazione del calcolo della pena quando venga meno uno dei termini dell'originaria valutazione. In applicazione di tale principio, non viola il divieto di "reformatio in pejus" il giudice d'appello che, accogliendo il gravame limitatamente al riconoscimento di una circostanza ad effetto speciale, applichi - senza peraltro irrogare una pena complessiva maggiore di quella stabilita in prime cure - un aumento per la recidiva reiterata nella misura “piena” di cui all'art. 99, comma 4, c.p., superiore a quella fissata in primo grado in base al meccanismo di contenimento previsto dall'art. 63, comma 4, c.p., non essendo tale meccanismo più applicabile dopo l'esclusione dell'aggravante ad effetto speciale. Deve comunque intendersi che — qualora la pena fosse stata illegalmente determinata a vantaggio dell'imputato in misura inferiore al minimo edittale, non viola il divieto di "reformatio in peius" il giudice di rinvio che non riduce la pena complessivamente inflitta quando dichiari la prescrizione di alcuni reati posti in continuazione (Cass. V, n. 51615/2017). Il divieto di rilevare o eccepire nullità verificatesi nelle fasi precedentiPer espressa previsione normativa, non possono essere dedotte né rilevate cause di inutilizzabilità concernenti atti formati nelle fasi anteriori del procedimento, atteso che la sentenza della Corte di cassazione, da cui origina il giudizio stesso, determina una preclusione con riguardo a tutte le questioni non attinte dalla decisione di annullamento, per cui la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso, riferito all'inutilizzabilità delle intercettazioni, già proposto e ritenuto infondato dalla precedente sentenza di annullamento con rinvio (Cass. V, n. 35031/2016). Tale preclusione riguarda anche i profili di nullità eventualmente generatesi nello stesso giudizio di legittimità (Cass. VI, n. 53415/2014). Come affermato dalla articolata giurisprudenza della Corte Costituzionale sul punto, tale norma risponde ad una esigenza logica, prima ancora che giuridica: quella, cioè, che le linee del procedimento siano tracciate «in modo che esse abbiano a progredire verso la soluzione finale attraverso la concatenazione di atti aventi valore definitivo, così da impedire la perpetuazione dei giudizi» (Corte Cost. n. 224/1996, Corte Cost. n. 294/1995, Corte Cost. n. 21/1982, n. 50/1970). Il giudice delle leggi ha infatti ritenuto connaturale al sistema delle impugnazioni ordinarie che vi sia una pronuncia terminale — identificabile positivamente in quella della Cassazione «per il ruolo di supremo giudice di legittimità ad essa affidato dalla stessa Costituzione» (Corte Cost. 247/1995) — la quale definisca, nei limiti del giudicato, ogni questione dedotta o deducibile al fine di dare certezza alle situazioni giuridiche controverse e che, quindi, non sia suscettibile di ulteriore sindacato ad opera di un giudice diverso e ha più volte ribadito che tale esigenza di definitività e certezza costituisce un valore costituzionalmente protetto, in quanto ricollegabile sia al diritto alla tutela giurisdizionale, la cui effettività risulterebbe gravemente compromessa se fosse sempre possibile discutere sulla legittimità delle pronunce di cassazione; sia al principio della ragionevole durata del processo. Di conseguenza, la scelta legislativa di rendere improponibili in un determinato grado del procedimento eccezioni di nullità, che si assumono occorse in fasi precedenti ed esaurite, non può dirsi irrazionale, ma risulta, al contrario, pienamente rispondente all'accennato obiettivo di evitare la perpetuazione dei giudizi, contribuendo così a realizzare un interesse fondamentale dell'ordinamento (Corte Cost. n. 501/2000; Corte Cost. n. 247/1995, Corte Cost. n. 21/1982, Corte Cost. n. 136/1972). Fanno eccezione a tale regola le questioni di nullità e inutilizzabilità già tempestivamente eccepite con l'atto di appello e non decise per il prevalere di una statuizione più favorevole nel merito, non suscettibile di essere impugnata dalla parte totalmente vincitrice, atteso che, nonostante l'art. 627, comma 4, c.p.p. vieti la proponibilità nel giudizio di rinvio di nullità, anche assolute, o inammissibilità, verificatesi nei precedenti gradi di giudizio, su di esse, in assenza di una decisione esplicita o implicita, non può formarsi alcuna preclusione (Cass. V, n. 2932/2018). Allo stesso modo, potranno essere riproposte le eccezioni ritenute assorbite dalla Corte in sede di annullamento con rinvio perché secondarie rispetto ad un assorbente vizio logico della motivazione che ne aveva travolto la validità rendendo superfluo l'esame degli aspetti secondari (Cass. V, n. 2638/1997). Ancora, deve segnalarsi la presenza di un orientamento – allo stato minoritario – secondo cui nel giudizio di rinvio possono essere dedotti e rilevati i vizi di inutilizzabilità "patologica" concernenti gli atti formati nelle fasi anteriori del procedimento, salvo che sul punto non sia intervenuto il giudicato parziale secondo il disposto dell'art. 624, comma 1, c.p.p. (Cass. III, n. 15828/2014). I poteri istruttori del giudice del rinvioL'obbligo del giudice del rinvio di attenersi alle direttive impartite riguarda esclusivamente il principio di diritto enunciato, con la conseguenza che, quando l'annullamento è stato determinato dalla omessa valutazione di una richiesta di assunzione di una prova reputata decisiva, il giudice del rinvio non è vincolato nelle modalità di assunzione della stessa, comunque rimesse alla sua piena discrezionalità (Cass. IV, n. 12255/2016). Secondo un principio di diritto costante nella giurisprudenza di merito, il giudice del rinvio, investito del processo a seguito di annullamento pronunciato dalla Corte di Cassazione, può — salvi i limiti nascenti da eventuale giudicato interno — rivisitare il fatto con pieno apprezzamento ed autonomia di giudizio, sicché egli non è vincolato all'esame dei soli punti indicati nella sentenza di annullamento, ma può accedere alla piena rivalutazione del compendio probatorio disposto (Cass. V, n. 41085/2009) e conserva il potere di disporre d'ufficio, ai sensi dell' art. 507, l'ammissione di nuove prove (Cass. VI, n. 683/2004) non essendo tenuto a riaprire l'istruttoria dibattimentale ogni volta che le parti ne facciano richiesta, poiché i suoi poteri sono identici a quelli che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata. Di conseguenza, deve disporre l'assunzione delle prove indicate solo se le stesse sono indispensabili ai fini della decisione, così come previsto dall'art. 603, oltre che rilevanti, secondo quanto statuisce l'art. 627, comma 2 (Cass. V, n. 52208/2014), ferma restando la possibilità di acquisire i documenti ritenuti necessari (nella specie, sentenze e relazioni di servizio), anche se gli stessi erano già esistenti al momento della celebrazione del giudizio di primo grado, senza che sia nemmeno necessaria la rinnovazione dell'istruttoria, essendo sufficiente il previo contraddittorio fra le parti (Cass. VI, n. 37092/2012). Giudizio di rinvio ed effetto estensivoPer effetto del comma 5 della disposizione in esame, gli effetti della sentenza di annullamento con rinvio pronunciata dalla Corte di cassazione per omessa valutazione da parte del giudice di merito della eccezione di incompetenza per territorio si estendono anche ai coimputati non impugnanti o che abbiano proposto ricorso per motivi diversi da quelli accolti (Cass. VI, n. 46202/2013), i quali devono poter partecipare al giudizio di rinvio (Cass. IV, n. 47323/2014). Non è tuttavia proponibile il ricorso straordinario per errore di fatto, ex art. 625-bis c.p.p., per rimediare alla mancata dichiarazione da parte della Corte di cassazione dell'effetto estensivo nella sentenza di annullamento con rinvio, in quanto tale omissione non pregiudica l'imputato non ricorrente, che può comunque esercitare i suoi diritti per effetto della citazione a cura del giudice di rinvio o anche di autonomo intervento in questo giudizio (Cass. VI, 46202/2013). E' controversa anche la sussistenza di un effetto estensivo anche a seguito del rinvio per profili riguardanti l'azione civile posto che parte della giurisprudenza ritiene l'accoglimento del ricorso per cassazione proposto da uno dei coimputati per difetto di motivazione della sentenza impugnata sui criteri seguiti nella quantificazione del danno risarcibile in favore delle parti civili giova anche ai coimputati non impugnanti sul punto, attesa la natura generale ed oggettiva della questione dedotta (Cass. I, n. 42887/2018) mentre altra parte afferma che l'effetto estensivo dell'impugnazione concerne i soli casi in cui questa investa, sia pure con eventuali ricadute civilistiche, il profilo della responsabilità penale e non anche quelli in cui attenga ad aspetti esclusivamente risarcitori (Cass. V, n. 34116/2019). Casistica
Atti utilizzabili In caso di annullamento con rinvio di una sentenza d'appello non determinato da vizi attinenti all'utilizzabilità degli atti o alla "vocatio in ius" gli atti istruttori eventualmente compiuti nel giudizio d'appello conservano efficacia e di essi deve tener conto il giudice del rinvio (Cass., IV, n. 11464/2021) Rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale Nel giudizio di rinvio, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, non ricorre alcun obbligo di rinnovazione d'ufficio della prova dichiarativa ai sensi dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., atteso che il giudice del rinvio, nell'ambito del perimetro delibativo fissato dalla pronuncia rescindente, è libero di valutare autonomamente i dati probatori e la situazione di fatto concernente i punti oggetto di annullamento, mentre l'eventuale rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ai sensi dell'art. 627, comma 2, cod. proc. pen., è subordinata allo scrutinio in ordine alla rilevanza per la decisione delle prove nuovamente richieste dalle parti con i motivi di appello (Cass., V, n. 5209/2021). Non sussiste l'obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa decisiva quando, in tale giudizio, si pervenga ad una decisione di condanna conforme a quella resa in primo grado e difforme rispetto a quella di assoluzione pronunziata in appello e annullata dalla Corte di cassazione, poiché, in tal caso, si configura un'ipotesi di "doppia pronuncia conforme" che salda la condanna all'esito del giudizio rescissorio con quella emessa dal primo giudice (Cass,. V, n. 6552/2020). Nel giudizio di rinvio seguito all'annullamento della sentenza di appello che abbia ribaltato la decisione assolutoria di primo grado procedendo a rinnovare la prova dichiarativa decisiva oggetto di discorde valutazione, non è necessaria una nuova assunzione di detta prova allorquando detto annullamento sia comunque stato determinato da ragioni diverse dalla violazione dei diritti del contraddittorio o dalla inutilizzabilità delle nuove dichiarazioni o dalla inattendibilità delle stesse e in un contesto caratterizzato da elementi indicativi della salvaguardia dell'equità complessiva del procedimento (Cass. III, n. 1336/2021). Principio di diritto ed effetto estensivo L'avvenuta separazione dei procedimenti, conseguente alla rinuncia parziale dell'impugnazione ex art. 599, comma quarto, cod. proc. pen., non può escludere che anche l'imputato rinunziante, nei cui confronti sia passata in giudicato la sentenza (nella specie: patteggiata) in secondo grado, sia destinatario dell'effetto estensivo dell'annullamento con rinvio, disposto rispetto alle sentenze pronunciate nel procedimento principale (Cass., V, n. 3927/1997). Gli effetti della sentenza di annullamento con rinvio pronunciata dalla Corte di cassazione in merito alla eccezione di incompetenza per territorio si estendono anche ai coimputati non impugnanti, i quali devono poter partecipare al giudizio di rinvio (Cass., II, n. 26671/2021). Nel caso in cui la Corte di cassazione accolga alcuni motivi di ricorso, dichiarando assorbiti gli altri, il giudice del rinvio è tenuto a riesaminare ed a decidere senza alcun vincolo le questioni oggetto dei motivi assorbiti, purché queste siano state ritualmente devolute alla cognizione del giudice di secondo grado attraverso i motivi di appello; ne consegue che, in caso di accoglimento di un motivo non avente natura personale e, pertanto, esteso ai coimputati ex art. 587 cod. proc. pen., si estendono a questi ultimi anche i motivi assorbiti aventi natura oggettiva, una volta risolta, con efficacia generale, la questione logicamente presupposta che ne aveva determinato l'assorbimento (Cass,. V, n. 5509/2019) . Principio di diritto e questioni di costituzionalità Nel giudizio di rinvio è inammissibile la proposizione della eccezione di legittimità costituzionale della norma che il giudice è tenuto ad applicare sulla base del principio di diritto già enunciato dalla Corte di Cassazione, in quanto l’eventuale annullamento della norma in questione non potrebbe produrre effetti nel giudizio « a quo », non potendosi più porre in discussione un punto della sentenza su cui si è formato il giudicato (Cass., I, n. 19915/2013) Principio di diritto e norme sopravvenute Nel giudizio di rinvio può trovare applicazione la legge penale modificativa più favorevole entrata in vigore dopo la sentenza della Corte di Cassazione che dispone l’annullamento con rinvio ai soli fini della determinazione della pena, ma prima della definizione di questa ulteriore fase del giudizio, poiché i limiti della pronuncia rescindente determinano l’irrevocabilità della decisione impugnata in ordine alla responsabilità penale ed alla qualificazione dei fatti ascritti all’imputato (Cass., S.U., n. 16208/2014). Non può quindi trovare applicazione nemmeno una nuova disciplina in materia di scriminanti "medio tempore" sopravvenuta, qualora si sia già formato il giudicato sull'accertamento del reato e sulla responsabilità dell'imputato (Cass., V, n. 23040/2021). Rilevabilità della prescrizione Per il principio della c.d. « formazione progressiva del giudicato », qualora venga rimessa dalla Corte di Cassazione al giudice di rinvio la sola determinazione della pena, la formazione del giudicato progressivo riguarda esclusivamente l'accertamento del reato e la responsabilità dell'imputato e, pertanto, impedisce in sede di giudizio di rinvio, di dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale (Cass., II, n. 4109/2016) e importa che la detenzione dell'imputato debba essere considerata come custodia cautelare, e non come esecuzione di pena definitiva (Cass., VI, n. 2324/2013). La Corte ha più volte ritenuto manifestamente infondata la questione costituzionale degli artt. 624 e 627 comma 3 in relazione agli artt. 27, comma 2, e 111 Cost. là dove non consentono di dichiarare estinto il reato per la maturazione del termine di prescrizione decorso nel giudizio di rinvio disposto soltanto per la rideterminazione della pena (Cass., II, n. 44949/2013) sulla considerazione che rientra nella ragionevole durata anche il tempo occorrente alla determinazione della pena nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte della Cassazione e in relazione all'art. 3 Cost. risultando ragionevolmente differenziata l'incidenza della sopravvenienza della causa estintiva sulla base della formazione del giudicato progressivo, rispetto al caso in cui quest'ultimo non si è verificato (Cass., VI, n. 45900/2013). In caso di annullamento parziale con rinvio della sentenza di condanna soltanto per parte dei reati contestati, l'eventuale modifica del trattamento sanzionatorio finale, a seguito dell'assoluzione pronunciata dal giudice del rinvio, non incide sui fatti non interessati dalla sentenza parzialmente rescindente, con la conseguenza che il nuovo assetto sanzionatorio disposto non rileva ai fini del computo dei termini di prescrizione dei reati già irrevocabilmente accertati (Cass,. I, n. 5753/2016). Qualora sia rimessa al giudice del rinvio una questione inerente alla valutazione di circostanza aggravante destinata ad incidere, ex art. 157, comma secondo, cod. pen., sulla determinazione del tempo necessario a prescrivere, il giudicato formatosi sulla responsabilità dell'imputato non impedisce la declaratoria di estinzione del reato per la prescrizione maturata prima della pronuncia di annullamento (Cass., III, n. 4334/2021). Qualora siano rimesse al giudice del rinvio questioni relative al riconoscimento di una circostanza aggravante comune, il giudicato formatosi sull'accertamento del reato e della responsabilità dell'imputato impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, sopravvenuta alla pronuncia di annullamento (Cass., I, n. 43710/2015). Viceversa, l'intervenuto annullamento relativo alla concedibilità di una circostanza attenuante, implica la formazione del giudicato relativamente alla parte della sentenza che concerne la pena base per il reato ritenuto più grave, in quanto quest'ultima non ha connessione essenziale con la parte oggetto dell'annullamento, sicché nel giudizio di rinvio è preclusa la possibilità di procedere alla rideterminazione di essa (Cass., II, n. 37689/2014). Qualora la Corte di Cassazione annulli con rinvio limitatamente all'accertamento dell'esistenza della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il giudice di rinvio è tenuto a verificare esclusivamente l'applicabilità in fatto di tale causa di esclusione della punibilità, ma non può rilevare l'eventuale decorso del termine di prescrizione, stante la formazione del giudicato progressivo in punto di accertamento del reato e affermazione di responsabilità dell'imputato (Cass., III, n. 38380/2015). Quando invece la questione relativa alla configurabilità di fattispecie di particolare tenuità non sia stata sollevata nella fase rescindente (e il relativo giudizio sia successivo all'entrata in vigore della norma), al giudice del rinvio è preclusa la possibilità di dichiarare la non punibilità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. non rilevata nel giudizio rescindente, essendosi ormai formato il giudicato sull'insussistenza della causa di non punibilità (Cass., IV, 35813/2021) . Applicabilità della fattispecie di cui all'art. 131 bis c.p. Nel giudizio conseguente all'annullamento con rinvio limitatamente alla configurabilità della particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. la valutazione del presupposto ostativo del comportamento abituale deve tener conto di tutti i fatti intervenuti sino alla conclusione del giudizio di rinvio e del certificato del casellario giudiziale aggiornato, non essendosi formato alcun giudicato sul punto della particolare tenuità e altrimenti non giustificandosi l'annullamento con rinvio in luogo di quello senza rinvio (Cass., IV, n. 38407/2021). Impossibilità di estendere la vincolo conseguente alla enunciazione del principio di diritto in altri giudizi L'obbligo del giudice di uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento con rinvio sussiste solo per il giudice del rinvio e non anche per i giudici che, sia pure nel medesimo procedimento, siano chiamati a trattare distinte fasi o gradi dello stesso. (Cass., V, n. 28652/2022). Misure cautelari In tema di misure cautelari personali, l'intervenuto annullamento parziale dell'ordinanza applicativa di una misura coercitiva in punto di esigenze cautelari, preclude ulteriori questioni in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di reità in assenza di successivo apprezzabile mutamento del fatto (Cass., I, n. 23264/2013). In tema di sequestro preventivo, nel giudizio cautelare di rinvio conseguente ad annullamento dell'ordinanza cautelare per ragioni inerenti alla verifica del "fumus commissi delicti", il giudice è tenuto a valutare la ricorrenza di tale requisito anche in caso di sopravvenuto rinvio a giudizio del soggetto interessato, allorquando la regola di giudizio fissata dalla sentenza di annullamento imponga una valutazione del "fumus" diversa e più stringente rispetto a quella giustificativa del rinvio a giudizio (Cass., VI, n. 2181/2021). In tema di misure cautelari reali, nel giudizio conseguente all'annullamento, da parte della Corte di cassazione, del provvedimento di sequestro preventivo impugnato con ricorso "per saltum", il tribunale del riesame, individuato quale giudice del rinvio ex art. 569, comma 4, cod. proc. pen., può disporre la misura richiesta pur in assenza di impugnazione avanti a sé del provvedimento annullato dalla Corte, non essendogli preclusa la valutazione degli elementi indiziari in base ai quali precedentemente era stata chiesta la sua emissione e delle ragioni che rendono opportuna l'imposizione della cautela in vista della confisca del bene (Cass., III, n. 20745/2022). In tema di misure cautelari reali, nel giudizio conseguente all'annullamento, da parte della Corte di cassazione, il terzo interessato alla restituzione dei beni sottoposti a sequestro non ha facoltà di intervenire per la prima volta nel giudizio cautelare di rinvio a seguito di annullamento dell'ordinanza di conferma del provvedimento genetico, atteso che la natura del giudizio di rinvio non consente l'introduzione di questioni - quale quella relativa alla proprietà dei beni attinti dal sequestro - diverse da quelle su cui è stato disposto il rinvio (Cass., II, n. 36831/2021). Riparazione per ingiusta detenzione Nel giudizio di rinvio, il divieto di cui all'art. 627, comma 4, cod. proc. pen. preclude la rilevabilità d'ufficio di cause di inammissibilità della domanda di riparazione per ingiusta detenzione verificatesi nel corso dei precedenti giudizi (Cass., III, n. 22846/2021). BibliografiaBellavista, Corte di Cassazione (diritto processuale penale), in Enc. dir., X, Milano, 1962, 851; Pisani, Il divieto della reformatio in peius nel processo penale italiano, Milano, 1967, 59; Siracusano, Reformatio in peius, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 302; |