Codice di Procedura Penale art. 634 - Declaratoria d'inammissibilità.Declaratoria d'inammissibilità. 1. Quando la richiesta è proposta fuori delle ipotesi previste dagli articoli 629 e 630 o senza l'osservanza delle disposizioni previste dagli articoli 631, 632, 633, 641 ovvero risulta manifestamente infondata, la corte di appello anche di ufficio dichiara con ordinanza l'inammissibilità e può condannare il privato che ha proposto la richiesta al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da 258 euro a 2.065 euro. 2. L'ordinanza è notificata al condannato e a colui che ha proposto la richiesta, i quali possono ricorrere per cassazione [606]. In caso di accoglimento del ricorso, la corte di cassazione rinvia il giudizio di revisione ad altra corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'articolo 11 1.
[1] Il secondo periodo del comma è stato così sostituito dall'art. 1 2 l. 23 novembre 1998, n. 405. InquadramentoLa disposizione in esame enuclea le ipotesi tassative di inammissibilità della richiesta di revisione, ricollegandole al mancato rispetto delle condizioni poste dalla legge processuale ovvero ai casi di manifesta infondatezza, sostanziandosi quest'ultima nella assoluta mancanza di elementi utilizzabili in ottica prognostica. Infatti, la valutazione preliminare circa l'ammissibilità della richiesta proposta sulla base di prove nuove implica la necessità di una comparazione tra le prove nuove e quelle già acquisite che deve ancorarsi alla realtà del caso concreto e che non può, quindi, prescindere dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova nuova, purché, però, riscontrabili «ictu oculi» (Cass. VI, n. 20022/2014). Per un compiuto esame del fondamento e della rilevanza delle diverse fattispecie in relazione alle diverse previsioni ed in particolare in relazione ai limiti di ammissibilità della c.d. revisione europea anche alla luce delle Sezioni unite Genco, si rinvia alla trattazione generale contenuta nella disamina dell'art. 628- bis. Come già in precedenza anticipato, quanto ai profili effettuali, ai fini dell'esito positivo del giudizio di revisione l'elemento nuovo o sopravvenuto deve condurre all'accertamento - in termini di ragionevole sicurezza - di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio (Cass. II, n. 18765/2018). Di conseguenza, ai fini della revisione della sentenza di condanna, la risoluzione del giudicato non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o una inedita disamina del deducibile, bensì l'emergenza di nuovi elementi estranei e diversi da quelli definiti nel processo (Cass. VI, n. 28267/2017). Si può quindi parlare di inconciliabilità fra giudicati nella misura in cui vi sia un'oggettiva incompatibilità fra fatti storici su cui si fondano i diversi provvedimenti (Cass. II, n. 14785/2017) e non alle divergenti valutazioni in ordine ad elementi normativi della fattispecie, fondate sulla medesima ricostruzione in punto di fatto (Cass. VI, n. 34927/2018). In conseguenza di ciò, si deve far riferimento all'accertamento, operato in via definitiva, del fatto coinvolgente lo specifico ricorrente in ordine alla specifica condotta (Cass. V, n. 7205/2006). Non viene in gioco quindi alcun profilo di inconciliabilità tra diversi esiti processuali in separati giudizi che abbiano colpito diversi concorrenti nel medesimo reato (Cass. I, n. 6273/2009) a meno che il fatto sia in scindibile, come ad esempio nelle ipotesi di concorso in falsità (Cass. V, n. 7205/2006); ovvero quando il concorrente sia stato assolto per insussistenza del fatto (Cass. V, n. 27013/2007). Si rinvia per una trattazione più approfondita delle singole cause al commento dell'art. 630. Rilevanza delle ordinarie cause di inammissibilità dell’impugnazioneLe sezioni unite della Corte hanno affrontato partitamente il problema nella pronuncia Pisano (Cass. S.U., n. 624/2001) osservando preliminarmente che l'art. 634, nel disciplinare la "Declaratoria di inammissibilità della richiesta", risulta contrassegnato da una (almeno parziale) autonomia precettiva rispetto al regime generale della inammissibilità delle impugnazioni. Vi si prevede, infatti, che quando la richiesta è proposta fuori dei casi previsti dall'art. 629 (non si tratti, cioè, di sentenze di condanna o di decreti divenuti irrevocabili), art. 630 (nel caso previsto dalla lett. c - quello che qui interessa - di assenza sia della sopravvenienza o della scoperta di nuove prove sia della loro idoneità a dimostrare - o della effettiva dimostrazione - che, sole o unite a quelle già valutare, il condannato debba essere prosciolto a norma dell'art. 631: e, cioè a norma degli artt. 529, 530 o 531), o senza l'osservanza delle disposizioni previste dagli art. 631 (decisività degli elementi richiamati ai fini della pronuncia di proscioglimento), art. 632 (se sia mancante la legittimazione alla richiesta), art. 633 (se vi sia inosservanza delle forme della richiesta), art. 641 (se la nuova richiesta sia fondata sugli stessi elementi) ovvero quando la richiesta risulta manifestamente infondata, "la Corte di appello, anche di ufficio, dichiara con ordinanza l'inammissibilità e può condannare il privato che ha proposto la richiesta al pagamento" di una somma in favore della cassa delle ammende. Tuttavia, ancorché siano tra loro diverse le cause di inammissibilità della revisione previste dalla norma in commento e le cause di inammissibilità dell'appello, essendo identico nel suo insieme il modello procedimentale prescelto per entrambi i mezzi di impugnazione, pure in tema di revisione si rende applicabile il disposto dell'art. 591, comma 4, in base al quale, quando non è stata rilevata di ufficio prima dell'emissione del decreto di citazione a giudizio, l'inammissibilità "può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento". Secondo le medesime Sezioni unite, non tutte le disposizioni richiamate dall'art. 591 risultano applicabili al giudizio di ammissibilità della richiesta di revisione posto che i profili in tema di interesse, legittimazione, provvedimenti impugnabili, necessaria prospettazione delle richieste e dei motivi, indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta risultano “assorbiti” in ragione del carattere speciale delle norme contenute negli artt. 629, 631, 632, 633, 634, 637 c.p.p. comma 2 (sebbene – deve aggiungersi – con la significativa eccezione della c.d. revisione europea). Sicura risulta l'inapplicabilità all'impugnazione straordinaria dei commi 1, 2, 3 della attuale formulazione dell'art. 585, potendo la richiesta di revisione essere proposta in ogni tempo, il regime dei motivi nuovi di cui all'art. 585, comma 4 (attuale formulazione), risulta, ovviamente, compatibile con la sola fase "rescissoria". All'applicabilità al procedimento di revisione dell'art. 586, sempre richiamato dall'art. 591, lett. c, che diverrebbe funzionale, come sostenuto nel ricorso del Procuratore Generale ricorrente (ma secondo una linea interpretativa che avvalora, sul punto, la correttezza della decisione denunciata) anche alla proposizione di eventuali censure avverso l'atto presupposto del giudizio di revisione, non pare sussistere ostacolo di sorta, pure ove si denunci la violazione dell'art. 125 c.p.p. Di conseguenza, una volta introdotta la fase dibattimentale, dovrà riconoscersi alla parte civile e al P.M. la legittimazione e l'interesse a sindacare la stessa introduzione della c.d. fase rescissoria e, nel caso in cui ritenga illegittimo il provvedimento reiettivo della eccezione di inammissibilità, pure per violazione dell'art. 125 c.p.p., potrà far valere l'inammissibilità della richiesta con l'impugnazione avverso la sentenza di merito. Infine, per quanto riguarda l'ipotizzabilità di una rinuncia all'impugnazione nonostante la peculiarità della fattispecie e la rilevanza della ratio delle norme in parola, non può comunque escludersi in capo al ricorrente la disponibilità della domanda. Profili procedimentali. La posizione del Pubblico Ministero.Il disposto dell'art. 634, comma 1, consente alla Corte di appello di dichiarare la domanda inammissibile "anche di ufficio" con ordinanza e quindi mediante un giudizio espresso senza interlocuzione delle parti e implica la possibilità che la Corte dichiari con tali modalità l'inammissibilità della richiesta avanzata dalla parte dovendosi rimettere alla trattazione in sede di giudizio i casi opinabili, con la garanzia del contraddittorio. Nel contesto di questo tracciato, semplificato e privo di contradditorio, ristretto alla iniziativa dell'istante ed all'esame della Corte di appello, il codice di rito non ha previsto la partecipazione del Procuratore Generale, che, pertanto, non è soggetto coinvolto nella procedura in discorso, salvo che non ne sia il propulsore, ai sensi dell'art. 632, comma 1, lett. b); conclusione asseverata dalla lettera dell'art. 634, che non lo menziona quale destinatario di uno specifico onere di esprimere un parere sulla richiesta del privato. Tuttavia, la prassi giudiziaria, benché oggi priva di sostegno normativo, continua a sollecitare il parere del Procuratore Generale sulla domanda del condannato. Ove ciò avvenga, per garantire l'effettiva parità processuale delle parti ove tale parere sia irritualmente acquisito, esso deve essere comunicato a pena di nullità al richiedente, ai fini di una corretta instaurazione del contraddittorio (Cass. S.U., n. 15189/ 2012). BibliografiaV. sub art. 629. |