Codice di Procedura Penale art. 636 - Giudizio di revisione.

Vincenzo Tutinelli

Giudizio di revisione.

1. Il presidente della corte di appello emette il decreto di citazione a norma dell'articolo 601.

2. Si osservano le disposizioni del titolo I e del titolo II del libro VII in quanto siano applicabili e nei limiti delle ragioni indicate nella richiesta di revisione [168 att.].

Inquadramento

Per un generale inquadramento del giudizio di revisione nel sistema delle impugnazioni e in relazione alla portata e alla rilevanza dei motivi, si rinvia al commento degli artt. 629-630-634. 

La vocatio in iudicium riguarda tutte le parti private e — per effetto del possibile effetto estensivo del giudicato — ampia parte della dottrina ritiene debba essere estesa anche ai coimputati concorrenti.

Nel giudizio di revisione, si osservano, in quanto applicabili e nei limiti delle ragioni indicate nella richiesta, le disposizioni dettate dal codice per il giudizio di primo grado per quanto attiene allo svolgimento del procedimento nei limiti della stretta inerenza all'oggetto (e ai limiti) del procedimento ed il giudice è tenuto a procedere alla celebrazione del giudizio con le forme e le modalità di assunzione della prova nel contraddittorio proprie del dibattimento, in attuazione dei principi costituzionali del giusto processo (Cass. V, n. 15402/2016).

Il superamento della fase preliminare nel procedimento di revisione, senza pronuncia di inammissibilità della richiesta ai sensi dell'art. 634 o anche con pronuncia esplicita di ammissibilità formulata collegialmente, con conseguente emissione del decreto di citazione a norma dell'art. 636, non preclude certamente alla Corte d'appello di procedere in primo luogo alla valutazione circa la « novità della prova » e l'astratta idoneità della stessa, sola o unita a quelle già valutate, a giustificare il proscioglimento del condannato.

L'inammissibilità della richiesta di revisione può dunque essere dichiarata, oltre che con l'ordinanza prevista dall'art. 634, anche con sentenza, quando pronunciata successivamente all'instaurazione del giudizio ai sensi dell'art. 636 (Cass. V, n. 4652/2013).

L'esclusione di tali evenienze comporta la legittimità della pronuncia di sentenza di rigetto della richiesta senza che possa validamente invocarsi la violazione di legge per mancato svolgimento della fase dibattimentale, troncata subito dopo l'inizio (Cass. V, n. 2258/1996). Le sezioni unite della Corte hanno ritenuto infatti che il giudice di appello possa rivalutare le condizioni di ammissibilità dell'istanza e di respingerla senza assumere le prove in essa indicate e senza dare corso al giudizio sul merito (Cass. S.U., n. 18/1997). In relazione ai diversi momenti in cui la inammissibilità può essere dichiarata, va tuttavia segnalato che di recente appare affacciarsi un diverso orientamento per cui, una volta citato in giudizio il condannato, il giudice è tenuto a procedere alla celebrazione del giudizio con le forme e le modalità di assunzione della prova nel contraddittorio proprie del dibattimento, in attuazione dei principi costituzionali del giusto processo, con conseguente illegittimità in tale fase della successiva declaratoria di inammissibilità della richiesta di revisione sulla base di una valutazione meramente cartolare delle nuove prove dedotte, senza procedere ad alcuna assunzione delle stesse (Cass. III, n. 15402/2016).

L'eventuale parere reso dal P.G. in vista della valutazione sull'ammissibilità della richiesta deve essere comunicato alla controparte affinché questa sia posta in grado di svolgere, anche in relazione ad esso, le sue difese e di esercitare il contraddittorio in condizione di parità (Cass. S.U., n. 15189/2012), tanto che risulterebbe illegittima la decisione con cui il giudice di appello dichiarasse inammissibile la richiesta di revisione omettendo di comunicare all'interessato il parere del Procuratore Generale, in quanto ― ancorché nella fase preliminare di ammissibilità della richiesta sia legittima l'adozione di una procedura non partecipata e la legge non preveda che in tale fase sia sentito il P.G. ― le conclusioni del rappresentante dell'Ufficio del P.M., ove sussistano, devono essere comunicate alla controparte, la quale deve essere posta in condizione di svolgere le proprie difese ed esercitare il contraddittorio in condizioni di parità. (Cass. III, n. 37494/2011).

Una volta introdotta la fase del dibattimento, il soggetto danneggiato dal reato, già costituitosi parte civile nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, è legittimato ad interloquire sull'ammissibilità della richiesta di revisione, anche nell'ipotesi in cui quella impugnata con il mezzo straordinario sia una sentenza di patteggiamento, essendogli riconosciuta nel giudizio speciale la possibilità di chiedere ed ottenere la condanna dell'imputato al pagamento delle spese di costituzione (Cass. VI, n. 15796/2014;Cass. V, n. 6507/2018).

Nel giudizio che ne consegue, viene citato, avuto riguardo alla possibile operatività dell'effetto estensivo previsto dall'art. 587, anche l'eventuale  chiamante in correità nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza definitiva. La citazione di costui, non potendo egli assumere veste di testimone a cagione del divieto posto dall'art. 197, comma 1, lett. a), deve necessariamente avvenire con le forme previste per gli imputati. Inoltre, il prossimo congiunto dell'imputato ha sempre la possibilità di avvalersi della facoltà di non deporre prevista dall'art. 199, nulla rilevando che in precedenza egli vi abbia rinunciato. Detta possibilità sussiste quindi anche nel caso in cui egli, avendo a suo tempo deposto nel corso di un giudizio all'esito del quale l'imputato suo congiunto ed altri da lui chiamati in correità erano stati condannati, sia nuovamente investito della funzione di testimone nel giudizio di revisione promosso dai chiamati e per il quale il chiamante sia stato citato in veste di imputato, siccome possibile beneficiario dell'eventuale effetto estensivo della revisione stessa, ai sensi dell'art. 587 (Cass. I, n. 12081/2000).

Il giudice della revisione, nel procedere al giudizio cd. rescissorio, ha, invero, l'obbligo motivazionale di fornire adeguata giustificazione logica con cui dimostri di avere esaminato le risultanze sottoposte alla sua decisione. Non è infatti consentito ridurre il giudizio rescissorio ai contenuti di quello rescindente - come accaduto nel caso di specie - attraverso l'esame delle ragioni del ricorrente basato su un esame meramente cartolare dell'elemento portato come novum dalla difesa dovendosi dar luogo a dar luogo verifica della attendibilità e/o rilevanza di quanto addotto dal ricorrente (Cass. V, n. 43565/2019), pur se sussiste perfetta legittimità della statuizione di inammissibilità con sentenza anche all'esito del giudizio rescissorio (Cass. II, n. 34773/2018).

Casistica

 

I profili di valutazione degli elementi nuovi e motivazione per relationem

La valutazione giudiziale delle nuove prove di cui all'art. 630, lett. c), (costituite, nella specie, da testimonianze), non può prescindere dal complesso degli elementi ― processualmente utilizzabili ― già accertati nel giudizio precedente alla revisione, al fine di saggiarne e compararne la resistenza rispetto alle prove sopravvenute o scoperte dopo la condanna, con la conseguenza che, qualora l'acquisizione di queste ultime non abbia disarticolato il ragionamento seguito dai primi giudici, ma lo abbia anzi confermato, è ammissibile la motivazione per relationem alla sentenza oggetto di ricorso (Cass. V, n. 38726/2016).

Per altro verso, con riguardo alla specifica previsione di cui all'art. 630, lett. c), quando le nuove prove offerte dal condannato (costituite, nella specie, da testimonianze), abbiano natura speculare e contraria rispetto a quelle già acquisite e consacrate nel giudicato penale, il giudice della revisione può e deve saggiare mediante comparazione la resistenza di queste ultime rispetto alle prime giacché, altrimenti, il giudizio di revisione si trasformerebbe indebitamente in un semplice e automatico azzeramento, per effetto delle nuove prove, di quelle a suo tempo poste a base della pronuncia di condanna (Cass. IV, n. 24291/2005). Inoltre, la novità della prova (richiesta dall'art. 630 lett. cnon può essere individuata semplicemente in relazione alla sede in cui viene resa ed alla disciplina che la regola, anche se, all'epoca in cui la revisione viene richiesta, detta disciplina sia diversa rispetto a quella vigente nel procedimento che portò alla condanna. Ne consegue che non può essere qualificata prova nuova l'eventuale esame in contraddittorio di un collaboratore di giustizia, che, avendo a suo tempo effettuato dichiarazioni in fase di indagini preliminari, si sia poi rifiutato di sottoporsi all'esame in dibattimento (Cass. V, n. 12472/2002).

Revisione e delitti associativi

 È passibile di revisione la sentenza irrevocabile di condanna di un imputato per il reato di associazione per delinquere se altra sentenza abbia assolto gli altri imputati dallo stesso reato per insussistenza del fatto, posta l’inconciliabilità delle due pronunce e l’impossibilità di ipotizzare l’esistenza di un’associazione per delinquere composta da una sola persona. (Cass. II, n. 48613/2016) Il fatto dell’esistenza dell’associazione per delinquere di stampo mafioso posto a fondamento della sentenza di condanna, o di applicazione della pena, nei confronti di un associato, non può conciliarsi con altra sentenza penale irrevocabile che assolva, « perché il fatto non sussiste », tutti gli altri imputati della stessa associazione; di conseguenza, la Corte ha evidenziato che l’esclusione della presenza del numero minimo di partecipanti all’associazione richiesto dalla legge implica non un semplice contrasto valutativo in relazione alle posizioni dei coimputati del medesimo reato, ma il venir meno degli stessi elementi costitutivi del reato oggetto della sentenza di cui si chiede la revisione (Cass. I, n. 43516/2014).

I profili di compatibilità con le norme processuali

  In particolare, con riferimento al principio di immutabilità del giudice, contenuto nell'art. 525 comma 2 il richiamo esplicito alla disposizione stessa evidenzia una tendenziale applicabilità di tale divieto; tuttavia, la giurisprudenza ha individuato alcuni limiti di applicabilità di tale disposizione ed in particolare ha osservato che, data la particolarità del giudizio di revisione, che è condizionato dall'istanza di revisione e dal giudizio sull'ammissibilità di questa, la nullità prevista dall'art. 525 comma 2 ricorre solo quando la sentenza sia pronunciata in base a materiale probatorio raccolto da giudici diversi da quelli che deliberano la sentenza (Cass. I, n. 13989/1999).

Ulteriore limite è dato dal tipo di rito conseguente al provvedimento impugnato. In particolare, alle fattispecie in cui oggetto della revisione è stato un decreto applicativo di misura di prevenzione personale o patrimoniale, l'applicabilità dell'art. 525, richiamato dall'art. 637, è stato escluso proprio in ragione del rito connesso al provvedimento impugnato. (Cass. I, n. 3641/1994). Allo stesso modo, con riferimento alla disposizione di cui all'art. 526 e limiti di inutilizzabilità delle prove, intrinseco al procedimento di revisione il fatto di utilizzare prove diverse da quelle del precedente dibattimento e che il novero delle prove legittimamente acquisite si estenda ai nuovi elementi che hanno determinato l'ammissibilità del giudizio medesimo, con la conseguenza che le nuove prove — valutate di per sé o “unite a quelle già valutate” — ben possono portare ad una totale rielaborazione della verità processuale acquisita, a patto però che esse si collochino al di fuori del quadro probatorio già valutato nel giudizio definitivo, giacché, altrimenti esse, ponendosi all'interno di tale quadro, costituirebbero un mezzo per invalidare il giudizio di attendibilità già formulato sulle prove acquisite e, conseguentemente, si risolverebbero in un espediente diretto a trasgredire il suddetto divieto (Cass. I, n. 945/1992).

Deve segnalarsi comunque che né la previsione contenuta nell'art. 6, par. 3, lett. d) della CEDU, così come interpretata dalla giurisprudenza della Corte EDU- per cui il giudice di appello, investito della impugnazione del Pubblico Ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, senza avere proceduto, anche d'ufficio, a rinnovare l'istruzione dibattimentale – né il riformato art. 603 comma 1-bis c.p.p. possono trovare applicazione nel giudizio straordinario di revisione basato sull'esistenza di nuove prove, in considerazione della assenza sia di una precedente decisione assolutoria, sia di una nuova, diversa e peggiorativa valutazione dello stesso materiale probatorio (Cass. VI, n. 51595/2016).

Bibliografia

V. sub art. 629.

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