Codice di Procedura Penale art. 656 - Esecuzione delle pene detentive 1 .

Enrico Campoli

Esecuzione delle pene detentive 1.

1. Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna [533; 29 reg.] a pena detentiva [18 c.p.; 742], il pubblico ministero emette ordine di esecuzione con il quale, se il condannato non è detenuto, ne dispone la carcerazione. Copia dell'ordine è consegnata all'interessato.

2. Se il condannato è già detenuto, l'ordine di esecuzione è comunicato al ministro di grazia e giustizia e notificato all'interessato2.

3. L'ordine di esecuzione contiene le generalità della persona nei cui confronti deve essere eseguito e quanto altro valga a identificarla, l'imputazione, il dispositivo del provvedimento e le disposizioni necessarie all'esecuzione nonché l'avviso al condannato che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa e che, se il processo si è svolto in sua assenza, nel termine di trenta giorni dalla conoscenza della sentenza può chiedere, in presenza dei relativi presupposti, la restituzione nel termine per proporre impugnazione o la rescissione del giudicato. L'ordine è notificato al difensore del condannato [6555]3.

 3-bis. L'ordine di esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva nei confronti di madre di prole di minore età è comunicato al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di esecuzione della sentenza45.

 

4 . L'ordine che dispone la carcerazione è eseguito secondo le modalità previste dall'art. 277.

4-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 9, lett. b), quando la residua pena da espiare, computando le detrazioni previste dall'articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero, prima di emettere l'ordine di esecuzione, previa verifica dell'esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinché provveda all'eventuale applicazione della liberazione anticipata. Il magistrato di sorveglianza provvede senza ritardo con ordinanza adottata ai sensi dell'articolo 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. La presente disposizione non si applica nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 3546.

4-ter. Quando il condannato si trova in stato di custodia cautelare in carcere il pubblico ministero emette l'ordine di esecuzione e, se ricorrono i presupposti di cui al comma 4-bis, trasmette senza ritardo gli atti al magistrato di sorveglianza per la decisione sulla liberazione anticipata 7.

4-quater. Nei casi previsti dal comma 4-bis, il pubblico ministero emette i provvedimenti previsti dai commi 1, 5 e 10 dopo la decisione del magistrato di sorveglianza8.

 

5. Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni , quattro anni nei casi previsti dall'articolo 47-ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 3549 , o sei10 anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l'esecuzione. L'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell'esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio, con l'avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all'articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 dello stesso testo unico. L'avviso informa altresì che, ove non sia presentata l'istanza, o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico 11, l'esecuzione della pena avrà corso immediato. Con l'avviso il condannato è informato che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa e che, se il processo si è svolto in sua assenza, nel termine di trenta giorni dalla conoscenza della sentenza può chiedere, in presenza dei relativi presupposti, la restituzione nel termine per proporre impugnazione o la rescissione del giudicato1213.

6. L'istanza deve essere presentata dal condannato o dal difensore di cui al comma 5 ovvero allo scopo nominato dal pubblico ministero, il quale la trasmette, unitamente alla documentazione, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero. Se l'istanza non è corredata dalla documentazione utile, questa, salvi i casi di inammissibilità, può essere depositata nella cancelleria del tribunale di sorveglianza fino a cinque giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'articolo 666, comma 3. Resta salva, in ogni caso, la facoltà del tribunale di sorveglianza di procedere anche d'ufficio alla richiesta di documenti o di informazioni, o all'assunzione di prove a norma dell'articolo 666, comma 5. Il tribunale di sorveglianza decide non prima del trentesimo e non oltre il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della richiesta14.

7 . La sospensione dell'esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di una volta, anche se il condannato ripropone nuova istanza sia in ordine a diversa misura alternativa, sia in ordine alla medesima, diversamente motivata, sia in ordine alla sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'art. 90 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 e successive modificazioni.

 

8. Salva la disposizione del comma 8-bis, qualora l'istanza non sia tempestivamente presentata, o il tribunale di sorveglianza la dichiari inammissibile o la respinga, il pubblico ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell'esecuzione. Il pubblico ministero provvede analogamente quando l'istanza presentata è inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, nonché, nelle more della decisione del tribunale di sorveglianza, quando il programma di recupero di cui all'articolo 94 del medesimo testo unico non risulta iniziato entro cinque giorni dalla data di presentazione della relativa istanza o risulta interrotto15. A tal fine il pubblico ministero, nel trasmettere l'istanza al tribunale di sorveglianza, dispone gli opportuni accertamenti16 17 .

8-bis. Quando è provato o appare probabile che il condannato non abbia avuto effettiva conoscenza dell'avviso di cui al comma 5, il pubblico ministero può assumere, anche presso il difensore, le opportune informazioni, all'esito delle quali può disporre la rinnovazione della notifica18.

 

9 .La sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta:

a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché di cui agli articoli 423-bis, 572, secondo comma, 612-bis, terzo comma, 624-bis del codice penale, [e per i delitti in cui ricorre l'aggravante di cui all'articolo 61, primo comma, numero 11-bis), del medesimo codice,] fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni1920

b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva;

[c) ]2122

 

9-bis. Il pubblico ministero, prima di emettere l'ordine di esecuzione, previa verifica dell'esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinché disponga con ordinanza in via provvisoria la detenzione domiciliare per il condannato di età pari o superiore a settanta anni se la residua pena da espiare determinata ai sensi del comma 4-bis e' compresa tra due e quattro anni di reclusione, fino alla decisione del tribunale di sorveglianza di cui al comma 6. Sono escluse le condanne per i delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del presente codice e all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 23.

9-ter. Il pubblico ministero, prima di emettere l'ordine di esecuzione, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinché disponga con ordinanza in via provvisoria la detenzione domiciliare se il condannato si trova agli arresti domiciliari per gravissimi motivi di salute, fino alla decisione del tribunale di sorveglianza di cui al comma 6 24.

10. Nella situazione considerata dal comma 5, se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire e se la residua pena da espiare determinata ai sensi del comma 4-bis non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero sospende l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza ritardo al tribunale di sorveglianza perché provveda alla eventuale applicazione di una delle misure alternative di cui al comma 5. Fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, il condannato permane nello stato detentivo nel quale si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti. Agli adempimenti previsti dall'articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, provvede in ogni caso il magistrato di sorveglianza25.

10-bis.Fermo il disposto del comma 4-bis, nell'ordine di esecuzione la pena da espiare e' indicata computando le detrazioni previste dall'articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, in modo tale che siano specificamente indicate le detrazioni e sia evidenziata anche la pena da espiare senza le detrazioni. Nell'ordine di esecuzione e' dato avviso al destinatario che le detrazioni di cui all'articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, non saranno riconosciute qualora durante il periodo di esecuzione della pena il condannato non abbia partecipato all'opera di rieducazione26.

 

[1]  Articolo  sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 27 maggio 1998, n. 165.

[2]  Ora ministro della giustizia ai sensi del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, come modificato da ultimo dal d.l. 18 maggio 2006, n. 181, conv., con modif., in l. 17 luglio 2006, n. 233.

[3]  Comma modificato dall'articolo 38, comma 1, lett. a) num. 1) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 che dopo le parole: «necessarie all'esecuzione» ha inserito le seguenti: «nonché l'avviso al condannato che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa» . Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162,    conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Successivamente dall'art. 2, comma 1, lett. cc) d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31 che  dopo le parole: «programmi di giustizia riparativa» ha aggiunto, in fine, le seguenti: «e che, se il processo si e' svolto in sua assenza, nel termine di trenta giorni dalla conoscenza della sentenza puo' chiedere, in presenza dei relativi presupposti, la restituzione nel termine per proporre impugnazione o la rescissione del giudicato».

[5]  Ai sensi dell'art. 50 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149,  le parole «tribunale per i minorenni», ovunque presenti, in tutta la legislazione vigente, sono sostituite dalle parole «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie», con la decorrenza indicata dall'art. 49, comma 1, d.lgs. 149, cit.

[6]  Comma aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b), n. 1, d.l. 1 luglio 2013, n. 78,  conv., con modif., in l. 9 agosto 2013, n. 94.

[9]  L'art. 1, d.l. 1° luglio 2013, n. 78, conv., con modif., dalla l. 9 agosto 2013, n. 94, ha inserito la frase: «quattro anni nei casi previsti dall'articolo 47-ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354».

[10]  Le parole «o sei» sono state sostituite alle parole «ovvero a quattro», in sede di conversione, dall'art. 4-undevicies 1 lett. a) d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, conv., con modif., in l. 21 febbraio 2006, n. 49.

[11]  Le parole «o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico» sono state sostituite alle parole «nonché la certificazione da allegare ai sensi degli articoli 91, comma 2, e 94, comma 1, del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309», dall'art. 4-undevicies 1 lett. a) d.l. n. 272, cit., in sede di conversione.

[12] Comma modificato, dall'art. 101 lett. a) e b)d.l. 24 novembre 2000, n. 341, conv., con modif., in l. 19 gennaio 2001, n. 4, in sede di conversione. La Corte cost., con sentenza 2 marzo 2018, n. 41 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l'esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni. Per le disposizioni nell'ambito delle misure di contrasto all'emergenza sanitaria da Covid-19, v. art. 123 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv., con modif., in l. 24 aprile 2020, n. 27. Il comma è stato, da ultimo, modificato dall'articolo 38, comma 1, lett. a) num. 2) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 che ha aggiunto, dopo il terzo periodo,  il seguente: «Con l'avviso il condannato è informato che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa e che, se il processo si è svolto in sua assenza, nel termine di trenta giorni dalla conoscenza della sentenza può chiedere, in presenza dei relativi presupposti, la restituzione nel termine per proporre impugnazione o la rescissione del giudicato.»  Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Per l'applicazione vedi l'art. 92, comma 2-bis, d.lgs. n. 150 cit., come aggiunto, in sede di conversione, dall'art. 5-novies d.l. n. 162, cit.

[13] V. l. 1° agosto 2003, n. 207, in tema di sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni. 

[14] Comma modificato dall'art. 10, comma 1, lett. c) e  d), d.l. 24 novembre 2000, n. 341, conv., con modif., in l. 19 gennaio 2001, n. 4; successivamente dall'art. 4-undevicies, comma 1, lett. b), d.l. 30 dicembre 2005 n. 272, conv. con modif. in l. 21 febbraio 2006, n. 49 e, da ultimo, dall'art. 4, comma 1, lett. a) del d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 123,  che ha sostituito il periodo «Il tribunale di sorveglianza decide non prima del trentesimo e non oltre il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della richiesta.» al periodo «Il tribunale di sorveglianza decide entro quarantacinque giorni dal ricevimento dell'istanza.»

[15]  Periodo aggiunto dall'art. 4-undevicies 1 lett. c) d.l. n. 272/2005, cit., in sede di conversione.

[16]  Periodo aggiunto dall'art. 4-undevicies 1 lett. c) d.l. n. 272/2005, cit., in sede di conversione.

[20] La Corte cost., con sentenza 8 luglio 2010, n. 249, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale della lettera a) del comma 9 del presente articolo, limitatamente alle parole «e per i delitti in cui ricorre l'aggravante di cui all'art. 61, primo comma, numero 11-bis), del medesimo codice», successivamente la Corte cost., con sentenza 1° giugno 2016, n. 125, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, come modificato dall'art. 2 d.l. n. 92, cit., nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell'esecuzione nei confronti delle persone condannate per il delitto di furto con strappo. La Corte cost., con sentenza 28 aprile 2017, n. 90, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della presente lettera, nella parte in cui non consente la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva nei confronti dei minorenni condannati per i delitti ivi elencati.; la Corte cost. 30 luglio 2021, n. 183, ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale della presente lettera sollevate, in riferimento agli artt. 3,13,25, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte d'appello di Bologna con l'ordinanza indicata in epigrafe. Da ultimo, la Corte cost. 20 gennaio 2023, n. 3, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della presente lettera nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell'esecuzione nei confronti dei condannati per il delitto di incendio boschivo colposo di cui all'art. 423-bis, secondo comma, del codice penale.

[21] Comma così sostituito dall'art. 9 l. 5 dicembre 2005, n. 251. Il testo del comma era il seguente: «9. La sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta: a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni; b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva».

[22]  Lettera soppressa dall'art. 1, d.l. 1° luglio 2013, n. 78, conv., con modif., dalla l. 9 agosto 2013, n. 94. Il testo recitava: «nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, del codice penale».

[23] Comma inserito dall'art. 5, comma 1, lett. a), d.l. 4 luglio 2024, n. 92, conv., con modif., dalla l. 8 agosto 2024, n. 112.

[24] Comma inserito dall'art. 5, comma 1, lett. a), d.l. 4 luglio 2024, n. 92, conv., con modif., dalla l. 8 agosto 2024, n. 112.

[25] Comma modificato, in sede di conversione, dall'art. 10 , comma 1, lett. g) d.l. n. 341/2000, cit. e dall'art. 1, d.l. 1° luglio 2013, n. 78, conv., con modif., dalla l. 9 agosto 2013, n. 94, che ha inserito, dopo le parole: «da eseguire,» le parole: «e se la residua pena da espiare determinata ai sensi del comma 4-bis non supera i limiti indicati dal comma 5».

[26] Comma aggiunto dall'art. 5, comma 1, lett. b), d.l. 4 luglio 2024, n. 92, conv., con modif., dalla l. 8 agosto 2024, n. 112.

Inquadramento

Quando una sentenza di condanna a pena detentiva diviene irrevocabile l'esecuzione affidata al pubblico ministero tiene conto di tutte le possibilità connesse allo status del condannato, prevedendo sia la possibilità che egli sia già detenuto (per quel procedimento o per altro) e sia che si trovi, invece, in stato di libertà. L'ordine di esecuzione trova nell'art. 656 una minuziosa e dettagliata regolamentazione sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale delle modalità esecutive prendendo in considerazione due importanti, e fondamentali, discrimini: quello dettato dall'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario (l. n. 354/1975) – che per i reati in esso elencati non prevede alcun tipo di beneficio – e quello derivante dal residuo di pena da scontare. Quest'ultimo, difatti, laddove non è superiore ai tre anni (ovvero a quattro nell'ipotesi di cui all'art. 47-ter, comma 1, della l. n. 354/1975 ed a sei nei casi di cui agli artt. 90 e 94 del d.P.R. n. 309/1990) obbliga il pubblico ministero, prima di emettere l'ordine di esecuzione, alla verifica degli eventuali periodi di detenzione da attribuire alla pena da eseguire e poi alla trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza al fine di disporre la liberazione anticipata. L'esecuzione della pena detentiva è, inoltre, soggetta al regime obbligatorio della sospensione in presenza di specifici presupposti individuati dalla legge a loro volta, in relazione ad alcune fattispecie di reato, oggetto di deroga.

Con la l. di conv. n. 132/2018 (del d.l. n. 113/2018) è stato introdotto l'obbligo di comunicare l'ordine di esecuzione al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minori, competente in ragione del luogo, tutte le volte in cui lo stesso riguardi madri “di prole di minore età”.

Tale obbligo è stato inserito non solo al fine di consentire ogni successivo intervento in ausilio dei minori ma anche per monitorare la successiva, e potenziale, presenza degli stessi presso le carceri tant'è che, con il medesimo intervento legislativo, analoghi oneri di comunicazione sono stati sanciti sia in caso di arresto o fermo (art. 387-bis) e sia nel caso siano emesse ordinanze custodiali in carcere (art. 293).

La natura dell''ordine di esecuzione e la sua sospensione

L'ordine di esecuzione della pena ha natura amministrativa, sicché il ritardo nell'emissione di esso non attribuisce al condannato che sia in custodia cautelare alcun diritto alla liberazione (Cass. V, n. 19647/2011), dal momento che la custodia cautelare in carcere successiva all'irrevocabilità della sentenza e precedente all'inizio formale dell'esecuzione assume contenuto espiativo (Cass. VI, n. 34531/2011), diversamente dalle misure coercitive non custodiali, che si estinguono di diritto  ed immediatamente al momento dell'irrevocabilità della sentenza, non occorrendo l'emissione di un apposito provvedimento dichiarativo (Cass. S.U., n. 18353/2011; Cass. I, n. 41007/2010).

La dottrina ha precisato che l' ordine di esecuzione, la cui denominazione giuridica si distingue dal previgente ordine di carcerazione proprio per segnalare la maggiore ampiezza del contenuto dispositivo del nuovo provvedimento di esecuzione, è inesistente nel caso in cui manchi la sottoscrizione o sia incerta l'autorità emittente o il destinatario (Catelani, 493; Tranchina-Di Chiara, 868).

La sospensione dell'ordine di esecuzione, prevista per il caso di breve pena detentiva residua, tendendo ad evitare l'ingresso provvisorio in carcere di persone che non dovrebbero esservi sottoposte in applicazione delle misure alternative previste dalla legge, non si applica nei confronti del condannato che al momento dell'esecuzione sia detenuto in carcere in espiazione di pena per altro titolo (Cass. I, n. 52197/2014), e nemmeno al latitante né all'evaso (Cass. I, n. 16800/2010; Cass. I, n. 9213/2008), che devono ritenersi in posizione giuridicamente distinta dal soggetto libero.

Si è altresì sottolineato come la custodia cautelare in carcere cui si trovi sottoposto il condannato, al momento dell'esecuzione, per fatto diverso da quello oggetto della condanna da eseguire, non costituisce circostanza ostativa alla sospensione dell'ordine di esecuzione, dal momento che l'unico effetto di tale detenzione provvisoria consiste nella postergazione dell'esecuzione della misura alternativa eventualmente concessa alla cessazione della custodia cautelare (Cass. I, n. 41754/2014).

La Corte Costituzionale (sent. n. 41/2018) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 5, nella parte in cui “si prevede che il pubblico ministero sospende l'esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore  a tre anni, anziché a quattro anni”.

Tale drastico intervento del giudice delle leggi si è reso necessario in quanto, in seguito all'introduzione della nuova figura del cd. affidamento (in prova) allargato, – art. 3, comma 1, lett. c) della l. n. 10/2014 –, che consente al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore ai quattro anni di detenzione l'accesso alla misura alternativa determinava un disallineamento con l'art. 656, comma 5, il quale continuava a mantenere la possibilità della sospensione (automatica) dell'esecuzione solo per le pene fino ai tre anni creando, in tal modo, un evidente disparità di trattamento (art. 3 Cost.).

Nel caso esaminato dalla Consulta il giudice remittente, in sede d'incidente, si era trovato dinanzi ad un ordine di esecuzione del pubblico ministero per una pena detentiva di tre anni, undici mesi e diciassette giorni in relazione alla quale non era possibile concedere la sospensione dell'esecuzione atteso il dato letterale dell'art. 656, comma 5, che impediva anche una lettura costituzionalmente orientata della norma.

Il disallineamento sistematico tra le due norme, attesa la destinazione dell'istituto del cd. affidamento allargato a tutti i condannati, anche a coloro che siano liberi al momento dell'esecuzione, comporta la necessità del ripristino del parallelismo, adeguando il potere di sospensione dell'esecuzione, fermo restando le tassative deroghe fissate dalla legge, alla nuova soglia dei quattro anni.  

Il riallineamento alla decisione della Corte Costituzionale (n. 41/2018) si impone con immediatezza, con l'unico limite delle cd. situazioni esaurite (Cass. I, n. 34427/2018) ragione per cui “il giudice dell'esecuzione, lì dove il condannato, da detenuto in espiazione per reati non ostativi, formuli domanda di sospensione temporanea dell'ordine di esecuzione (relativo a pena superiore a tre anni ed inferiore a quattro anni) ha il dovere di valutare la domanda e di provvedere, in presenza degli ulteriori presupposti di legge, al ripristino della facoltà di proposizione – da libero – della domanda di misura alternativa, con temporanea sospensione dell'esecuzione, salva l'ipotesi di avvenuta decisione da parte del Tribunale di sorveglianza di una analoga domanda proposta dopo l'inizio dell'esecuzione cui la richiesta si riferisce”.

Alcun rilievo assume – secondo i giudici di legittimità – la circostanza che l'ordine di esecuzione sia stato emesso prima della pronuncia abrogativa della Corte Costituzionale attesa la portata retroattiva ed invalidante delle decisioni di annullamento emesse da tale organo: nei casi in cui la esecuzione sia ancora in atto e la valutazione da parte della magistratura di sorveglianza sia mancata il rapporto non può dirsi esaurito ed il condannato “ha il diritto, ora per allora, di ottenere la restituzione nella facoltà a lui spettante”.

Sospensione dell’esecuzione della pena detentiva : la tossicodipendenza

Il quinto comma dell’art. 656 nel disciplinare la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva prende in considerazione anche la specifica situazione del soggetto tossicodipendente avendo cura di circoscriverne il perimetro applicativo e gli effetti non estensivi del trattamento di favore.

La disciplina prevista dall’art. 656, comma 5, in ordine alla sospensione dell’esecuzione della pena detentiva nei casi previsti dagli artt. 90 e 94 d.P.R. n. 309/90 riguarda solo i condannati affetti da tossicodipendenza e, stante il carattere eccezionale della deroga, non può riguardare i soggetti affetti da ludopatia o da altre dipendenze, sia pur assimilabile alla stessa – (Cass., I, n. 29331/2016)

La sospensione dell’esecuzione : deroghe

Escludono la sospensione dell'esecuzione la custodia cautelare in carcere del condannato per lo stesso fatto oggetto della sentenza da eseguire ed il caso in cui la condanna riguardi i reati espressamente contemplati dalla legge come ostativi, salvo che il condannato sia sottoposto agli arresti domiciliari ai sensi dell'art. 89 d.P.R. n. 309/1990.

La giurisprudenza ha opportunamente precisato che nel caso in cui il condannato per reati ostativi sia sottoposto agli arresti domiciliari, non fondati sul disposto dell'art. 89 cit., nel momento in cui inizia l'esecuzione, la sospensione dell'ordine di esecuzione è comunque vietata, dal momento che la presunzione di elevata pericolosità collegata ai reati ostativi prevale sull'interesse del condannato alle misure alternative (Cass. S.U., n. 20/1998; Cass. I, n. 44910/2011).

Il principio trova applicazione anche con riferimento ai condannati per reati ostativi che, in quanto tossicodipendenti, propongano istanza di affidamento terapeutico; anche in relazione a tale categoria di condannati, nei cui confronti è particolare il favore della legge, si è ritenuta prevalente l'esigenza di prevenzione collegata al carattere ostativo dei reati per i quali è stata pronunziata la condanna da eseguire (Cass. I, n. 25130/2010).

È stato tuttavia osservato in giurisprudenza che nel caso in cui l'ordine di esecuzione riguardi più reati, alcuni dei quali ostativi, ma alla pena prevista per questi ultimi possa attribuirsi detenzione già sofferta ad altro titolo, la sospensione sia consentita, avendo essa riguardo alle sole pene residue, riferentisi a reati non ostativi (Cass. I, n. 23902/2013), e ciò anche nel caso in cui la pena per il reato ostativo sia estinta per indulto, se pure questo non sia ancora stato concesso dal giudice dell'esecuzione (Cass. I, n. 22663/2012).

In linea generale, il divieto di sospensione che si fonda sulla pericolosità presunta in ragione del titolo di reato per cui è intervenuta la condanna è compatibile con il dettato costituzionale, perché privilegia l'applicazione della regola rispetto all'eccezione (Cass. IV, n. 43117/2012).

Quando l'ordine di esecuzione sia stato emesso senza la contestuale emissione del decreto di sospensione, ricorrendone i presupposti, il giudice dell'esecuzione adito mediante apposito incidente promosso dall'interessato non può annullare l'ordine di esecuzione, ma deve limitarsi a dichiararne l'inefficacia temporanea, al fine di consentire al condannato di presentare, nel termine di legge, l'istanza per la concessione delle misure alternative previste (Cass, I, n. 25538/2018). 

Con la sentenza n. 125/2016 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 9, lett. a), - così come modificato dall'art. 2, comma 1, lett. m) d.l. n. 92/2008 conv., con modif., dall'art. 1, comma 1, l. n. 125/2008 -, nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell'esecuzione nei confronti di persone condannate per il delitto di cui all'art. 624-bis c.p.

L'intervento del Giudice delle leggi ha ad oggetto la “coerenza sistemica” dell'individuazione dei cd. reati ostativi alla concessione del beneficio della sospensione dell'esecuzione di cui all'art. 656, comma 5.

La volontà espressa dal legislatore di evitare “preventivamente” l'impatto con il carcere per tutte le specifiche situazioni delineate dall'art. 656, comma 5, c.p.p. e ciò a mezzo del decreto di sospensione dell'esecuzione da parte del P.M. -, trova espressa deroga per i reati in relazione ai quali, a prescindere della pena (anche residua) da scontare, la presunzione di elevata pericolosità sociale prevale sull'interesse del condannato ad ottenere, dal tribunale di sorveglianza, le misure alternative alla detenzione carceraria.

I reati in ordine ai quali non è possibile dar corso al decreto di sospensione dell'esecuzione sono tassativamente individuati a mezzo della loro specifica indicazione, quest'ultima declinata nominativamente (artt. 423-bis, 572, comma 2 e 612-bis, comma 3, c.p.) ovvero con rinvio a più ampie categorie che li racchiudono (art. 4-bis della l. n. 354/1975).

In uno dei tanti interventi legislativi che si sono succeduti negli ultimi anni, tutti tesi a premere l'acceleratore solo sul piano repressivo, è stato inserito, nell'elenco dei cd. reati ostativi, anche il delitto ex art. 624-bis c.p.

Con la dichiarazione di illegittimità costituzionale si è ritenuto necessario ripristinare una coerente e ragionevole  catalogazione dei reati ostativi non tanto sotto il profilo della loro oggettiva gravità bensì in forza della pericolosità sociale del condannato da essi evincibile tanto da non potersi, distonicamente, avallare la conclusione che si possa assegnare “all'autore di un furto con strappo una pericolosità maggiore di quella riscontrabile nell'autore di una rapina mediante violenza alla persona”.

L'intervento elidente, nella sua lineare e dogmatica impostazione, appare, altresì, mirato ad evitare futuri ”incidenti” costituzionali avendo avuto cura di evidenziare che il piano della discrezionalità del legislatore può legittimamente svilupparsi ma tenendo in debito conto sia la coerenza sistemica dei reati ostativi che il necessario, ed uniforme, profilo della elevata pericolosità sociale del condannato.  

L'abrogazione formale del comma secondo dell'art. 572 c.p. ai sensi dell'art. 1, comma 1 bis, l. n. 119/2013, non incide sull'applicazione della disciplina della sospensione dell'ordine di esecuzione (art. 656, commi 5 e 9) tenuto conto della continuità normativa tra tale fattispecie e quella introdotta dalla stessa legge (art. 1, comma 1) ex artt. 572 e 61, comma 1, n. 11-quinquies, c.p. (Cass., I, n. 52181/2016).

Si è, difatti, evidenziato che quello operato dall'art. 656, comma 9 alle fattispecie di reato in esso elencate non è un rinvio fisso o materiale bensì “mobile” o “formale”, - quest'ultimo più coerente con il carattere permanente del potere del legislatore di compiere le scelte punitive -, e, si sposa con la volontà (anche letterale) della norma di sostituire, in funzione di maggiore rigore punitivo, l'aggravante di cui al comma 2 dell'art. 572 c.p. con quella ora prevista dal comma 1, n. 11-quinquies dell'art. 61 c.p.

Pertanto, alle condanne irrevocabili intervenute in relazione alla fattispecie di cui all'art. 572, comma 2, c.p. - nelle more formalmente sostituita da quella di cui agli artt. 572 e art 61, comma 1, n. 11-quinquies, c.p., non è applicabile il beneficio di cui all'art. 656, comma 5.

Nell'occasione è stato, altresì, ribadito che il riconoscimento della prevalenza o equivalenza delle attenuanti sulle aggravanti ha ad oggetto solo il trattamento sanzionatorio (conforme, Cass., I, n. 27557/2010) e non incide sull'applicazione del beneficio concesso dall'art. 656, comma 5 laddove la condanna irrevocabile riguardi uno dei delitti di cui all'art. 4-bis ord. pen., specificamente esclusi dall'art. 656, comma 9, lett. a).

Il divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione della pena detentiva nei confronti del condannato per il delitto di maltrattamenti, aggravato dalla presenza di minori, non si applica ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 69/2019 in quanto, in seguito alla sentenza della Corte cost. e n. 32/2020, in quanto il regime esecutivo nei confronti del condannato non può peggiorare retroattivamente (Corte cost., n. 183/2021).

Con la sentenza n. 238 del 2021 la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 656, comma 9, lett. a) del codice di procedura penale laddove non consente la sospensione dell'esecuzione  di cui al comma 5 della medesima norma in riferimento ai condannati per i delitti di cui all'art. 4-bis della Legge n. 354/1975, tra i quali quello dettato dall'art. 291-ter, comma 1, del d. P. R. n. 43/1973 – (contrabbando di tabacchi lavorati esteri aggravato).

La Consulta, nel richiamare le numerose precedenti decisioni emesse sul punto, afferma che “la ricomprensione del citato art. 291-ter tra i reati della cosiddetta “seconda fascia” dell'art. 4-bis ord. pen.” – cioè quelli ritenuti dal legislatore di più elevata pericolosità – “risulta, …..coerente con il particolare rigore sanzionatorio che l'ordinamento italiano riserva al contrabbando di tabacchi lavorato esteri nell'ambito dei reati doganali, allo scopo di garantire un più efficace contrasto a tale fenomeno delittuoso, ritenuto particolarmente allarmante, tanto da indurre il legislatore ad apprestare un sistema repressivo analogo a quello predisposto per i più gravi reati di criminalità organizzata”.

Non è, dunque, da ritenere irragionevole l'inserimento del delitto ex art. 291-ter cit. tra quelli ostativi alla sospensione dell'esecuzione della pena e ciò a prescindere dal trattamento sanzionatorio adottato nella decisione di merito riguardo alla comparazione circostanziale dell'aggravante trattandosi di due piani di valutazione diversi ed essendo poi affidata al tribunale di sorveglianza ogni successiva valutazione nel merito.

L’impugnazione dei provvedimenti d’esecuzione adottati dal pubblico ministero

Gli atti di esecuzione posti in essere da pubblico ministero, non assumendo natura giurisdizionale, sono impugnabili esclusivamente con il mezzo dell'incidente di esecuzione da proporre innanzi al giudice dell'esecuzione, non già dunque mediante ricorso per cassazione (Cass. I, n. 36007/2011), nemmeno con riferimento al ricorso straordinario per errore di fatto (Cass. VI, n. 33234/2015).

Il principio si applica anche al caso in cui il provvedimento sia stato adottato da pubblico ministero privo di competenza, nel qual caso detti provvedimenti non sono affetti da nullità, ma sono censurabili esclusivamente con il mezzo dell'incidente di esecuzione da proporre innanzi al giudice dell'esecuzione (Cass. III, n. 10126/2013).

Una volta correttamente proposto incidente di esecuzione nei confronti di provvedimenti assunti ai sensi dell'art. 656, l'ordinanza decisoria è legittima anche senza contraddittorio in udienza, purché un contraddittorio effettivo e sostanziale sia stato assicurato alle parti (Cass. I, n. 2283/2014).

La presentazione dell’istanza di misure alternative e la decisione

L'istanza di concessione di misure alternative alla detenzione deve contenere la dichiarazione o elezione di domicilio del condannato non detenuto che non sia irreperibile o latitante, anche se formulata  dal difensore, a pena di inammissibilità (Cass. S.U. , n. 18775/2010) e va presentata al pubblico ministero, mediante deposito in segreteria o a mezzo del servizio postale, purché il plico pervenga in segreteria entro il trentesimo giorno dalla notifica del decreto di sospensione, a nulla rilevando la data di spedizione, pena la revoca della sospensione (Cass. I, n. 18441/2013), e comunque non a mezzo fax (Cass. II, n. 35339/2007). Nel caso in cui sia erroneamente depositata presso il tribunale di sorveglianza, essa è ammissibile e va delibata, ma cessano gli effetti della sospensione, (Cass. I, n. 27836/2013), sicché il pubblico ministero è tenuto a revocare l'ordine di sospensione e dare luogo all'esecuzione.

L'intervallo decisionale per la decisione sull'istanza, – introdotto dal d.lgs. n. 123/2018 -, secondo cui “il tribunale di sorveglianza decide non prima del trentesimo e non oltre il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della richiesta”, è finalizzato ad evitare ogni schiacciamento delle rispettive prerogative sia delle parti che dell'organo giudicante, e ciò anche in considerazione della natura ordinatoria dei termini individuati. 

Con la riforma Cartabia si inserisce al momento dell'avviso, finalizzato alla concessione delle misure alternative, sia l'informazione riguardante la possibilità di ottenere, nel rispetto dei presupposti di legge, la restituzione nel termine per l'impugnazione sia l'accesso – allorquando entreranno in vigore – ai programmi di giustizia riparativa .

Mentre per la giustizia riparativa gli interventi normativi succedutisi in breve tempo – e cioè il Decreto Legislativo n. 150/2022 ed il Decreto Legge n. 162/2022 che ha rinviato l'entrata in vigore della riforma Cartabia al 30/12/2022 – hanno posticipato l'efficacia della novella di sei mesi, per la restituzione in termini – che riguarda molteplici fattispecie disseminate nel codice – si è resa necessaria una apposita disposizione che regolasse le questioni intertemporali anche in fase di esecuzione.

L'art. 89 del l. lgs. n. 150 impone, al momento dell'adozione del provvedimento di esecuzione, di avvisare il condannato che, laddove si sia proceduto in sua assenza, potrà attivare, alternativamente, il rimedio della remissione in termine per impugnare ovvero la rescissione del giudicato.

Il discrimine tra i procedimenti sarà dato dalla dichiarazione di assenza già avvenuta (o meno) in sede di udienza preliminare al momento dell'entrata in vigore della riforma Cartabia (30/12/2022).

Quest'ultima prevede all'art. 95 la disciplina transitoria in materia di pene sostitutive, la quale tiene debitamente in conto la natura sostanziale delle novelle con quel che ne consegue in termini di retroattività in bonam partem (art. 2, comma 4, cod. pen.) della stessa.

Si prevede, pertanto, espressamente che le norme previste dal Capo III della Legge n. 689/1981 (profondamente innovate dal d. lgs. 150/2022) se più favorevoli al condannato si applichino anche ai procedimenti pendenti in primo e secondo grado al momento dell'entrata in vigore della riforma (30/12/2022).

Nel giudizio di legittimità il condannato (a pena non superiore a 4 anni) potrà presentare un'istanza con la quale chiedere l'applicazione di una delle pene sostitutive al giudice dell'esecuzione – ex art. 666 cod. proc. pen. – entro 30 giorni dalla irrevocabilità della sentenza mentre in caso di annullamento con rinvio vi provvederà il giudice di quest'ultimo.

La nuova pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità potrà trovare immediata applicazione ancor prima dell'adozione del decreto attuativo di cui all'art. 56 bis della Legge n. 689/1981 essendo, nelle more, applicabili i decreti ministeriali già vigenti in materia (26/3/2021 e 8/6/2015 n. 88).

Il divieto di concessione della seconda sospensione dell’esecuzione

Il divieto di sospendere più di una volta l’esecuzione della pena si applica anche nel caso in cui la prima sospensione sia stata concessa in relazione a sentenza di condanna che sia stata, successivamente, oggetto di provvedimento di unificazione di pene concorrenti, dal momento che l’unificazione determina l’unicità delle pene cumulate ai fini dell’esecuzione, che resta indifferente alle vicende processuali a monte (Cass. I, n. 14507/2009). Pertanto in ipotesi di secondo cumulo la concessione della sospensione è vietata se prima di esso è stata concessa una prima sospensione e la misura alternativa cui era preordinata la sospensione non è stata accordata (Cass. I, n. 17045/2015), ove peraltro un orientamento più risalente aveva osservato che il principio di scioglimento del cumulo nell’interesse del condannato dovesse prevalere sul principio di unicità delle pene cumulate (Cass. I, n. 271/2004). Eccezione al principio si verifica nel caso in cui il condannato abbia beneficiato della prima sospensione e non abbia presentato istanza di misura alternativa, ma si rilevi successivamente la ricorrenza dei presupposti previsti dall’art. 1 l. n. 199/2010, perché in tal caso è necessario consentire al magistrato di sorveglianza di valutare se la pena vada eseguita presso il domicilio (Cass. I, n. 4971/2015), sebbene sul punto sussista un orientamento contrario (Cass. I, n. 48425/2012), che pare tuttavia abbandonato.

La revoca del decreto di sospensione dell’esecuzione

Il pubblico ministero è tenuto a revocare immediatamente l’ordine di sospensione dell’esecuzione nel caso in cui l’istanza non sia presentata tempestivamente o sia disattesa.

In giurisprudenza è stato opportunamente precisato che tale dovere ricorre anche nel caso in cui l’istanza sia stata dichiarata inammissibile con decreto del presidente del tribunale di sorveglianza (Cass. I, n. 20467/2015).

Qualora il condannato che si trovi agli arresti domiciliari al momento dell’irrevocabilità della sentenza benefici della sospensione dell’ordine di carcerazione e, nelle more della decisione sulla sua richiesta di concessione di una misura alternativa al carcere, si allontani arbitrariamente dal luogo di custodia domiciliare, il magistrato di sorveglianza può sospenderne l’esecuzione trasmettendo immediatamente gli atti al tribunale di sorveglianza, cui spetta l’emissione del provvedimento sull’istanza dell’interessato, ferma restando l’impossibilità di revocare un beneficio penitenziario non ancora deliberato – (Cass., I, n. 51291/2019).

Il provvedimento con il quale il Magistrato di sorveglianza, prima, ed il Tribunale di sorveglianza, dopo, ratificano (o meno) il provvedimento con il quale il Pubblico Ministero emette ordine di esecuzione con contestuale sospensione per la prosecuzione della detenzione in regime di arresti domiciliari, è legittimo in presenza di una condanna riguardante i reati ostativi di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario e per un residuo pena incompatibile, per entità, con il regime domiciliare.

Mentre la decisione emessa dal Pubblico Ministero di mancata sospensione del titolo esecutivo è sindacabile dinanzi al giudice dell’esecuzione, quella di sospensione della prosecuzione degli arresti domiciliari cd. esecutivi è sottoposta al vaglio della Magistratura di sorveglianza. (Cass., I, n. 16327/2024).

La competenza territoriale del tribunale di sorveglianza

In generale, territorialmente competente a deliberare circa le istanze proposte dal condannato detenuto, anche agli arresti domiciliari, è il tribunale di sorveglianza nel cui territorio si trova il condannato nel momento in cui presenta la domanda  (Cass. I, n. 52994/2014), in ragione del principio posto dall’art. 677. Tuttavia, quando nei confronti del condannato è stata sospesa l’esecuzione, il tribunale di sorveglianza territorialmente competente per delibare la richiesta di concessione di misure alternative è quello del luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha promosso la sospensione, perché la regola posta dall’art. 656, comma 6, ha natura speciale, e resta insensibile ai mutamenti di tale stato di fatto conseguenti a provvedimenti successivi (Cass. I, n. 53177/2014).

Il carattere di specialità di tale disposizione non può estendersi all’art. 1 l. n. 199/2010, perché non vi si rinviene il rinvio all’art. 656, sicché per quanto attiene all’applicazione di tale normativa la competenza territoriale va individuata  nel tribunale di sorveglianza del luogo ove l’interessato ha la residenza o il domicilio, ai sensi dell’art. 667, secondo comma (Cass. I, n. 37978/2013).

Ulteriore eccezione è costituita dai collaboratori di giustizia, in relazione ai quali la competenza territoriale appartiene al tribunale di sorveglianza del luogo ove hanno eletto domicilio in sede di sottoscrizione dello speciale programma di protezione ai sensi dell’art. 12, comma 3-bis, d.l. n. 8/1991, conv. con modificazioni in l. n. 82/1991 (Cass. I, n. 28453/2007).

La competenza per territorio a decidere in ordine al riconoscimento della liberazione anticipata in favore di un condannato che, al momento del passaggio in giudicato della sentenza, si trovi agli arresti domiciliari appartiene al magistrato di sorveglianza avente giurisdizione sul luogo di esecuzione degli arresti e non quello presso il quale è incardinato l’ufficio del pubblico ministero che cura l’esecuzione – (Cass. I, n. 11685/2020).

La nomina del difensore per la fase di esecuzione

Nel caso in cui il condannato non abbia nominato un difensore per la fase dell'esecuzione, la regola generale posta dall'art. 655 è che i provvedimenti d'esecuzione debbano essere notificati al difensore nominato d'ufficio.

La regola, è bene chiarirlo, trova tuttavia eccezione con riferimento alle pene detentive eseguite ai sensi dell'art. 656, laddove nel caso in cui il condannato non abbia nominato difensore per la fase dell'esecuzione, deve ritenersi che abbia inteso affidarsi al difensore che lo assisteva nel giudizio di cognizione, come precisato in giurisprudenza anche con riferimento al giudizio di sorveglianza (Cass. I, n. 14000/2015), ove alcune pronunzie hanno ulteriormente limitato tale individuazione al difensore nominato nel giudizio di merito, se diverso da quello nominato in sede di legittimità (Cass. VI, n. 36544/2003). 

Casistica

In tema di esecuzione della pena, la mancata traduzione, in una lingua nota allo straniero alloglotta, comporta la nullità dell'ordine di esecuzione e la necessità di rinnovare l'atto in modo conforme al modello legale ma l'invalidità non si ripercuote sulla carcerazione ormai instaurata, che non dipende dall'atto nullo, trovando invece autonomo titolo giustificativo nella condanna passata in giudicato – (Cass. I, n. 20768/2018).

Fa eccezione a tale principio la situazione in cui il condannato alloglotta sia  posto in una condizione processuale (irreperibilità) cui segua per legge la notificazione degli atti mediante consegna al difensore – (Cass., I, n. 8591/2020).

L'aggravane ad effetto speciale di cui all'art. 628, comma 3-quinquies, c.p. impedisce, ai sensi dell'art. 4-bis ord. pen. e art. 656, comma 9, la sospensione dell'esecuzione della pena, anche se la circostanza sia entrata in vigore successivamente alla commissione del fatto, avendo essa natura mista in forza della quale non produce solo effetti sostanziali, soggetti, pertanto, al principio di irretroattività, ma anche processuali, come il divieto di concessione di benefici penitenziari (Cass.  I, n. 18496/2018).

In virtù del principio “tempus regit actum”, il provvedimento di sospensione dell’esecuzione della pena, legittimamente emesso ai sensi dell’art. 656, non può essere revocato per effetto del sopravvenire di una legge (nel caso di specie, la cd. legge spazza corrotti) che ampli il catalogo dei reati ostativi alla sospensione di cui all’art. 4-bis della legge n. 354/1975 anche se il condannato non aveva ancora avanzato richiesta di misura alternativa – (Cass., I, n. 39609/2019).

Il procedimento di esecuzione della pena detentiva, ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. non rientra in una delle ipotesi previste dall’art. 172, comma quinto, cod. pen.” in quanto ciò significherebbe riverberare sul condannato tutti i tempi legati agli adempimenti dell’esecuzione della condanna, – ivi compresi, ritardi ed inefficienze dell’amministrazione della giustizia -, così sostituendo un tempo certo, - quale quello della data dell’irrevocabilità – con un altro del tutto labile e senza che su di esso abbia alcuna incidenza la responsabilità del condannato – (Cass., Sez. Unite, n. 46387/2021).

Quest’ultimo non può essere sottoposto alla minaccia dell’esecuzione della pena detentiva per un periodo indeterminato come avverrebbe laddove si legasse la previsione dell’art. 172, comma 5, c.p. alla astratta riconducibilità dei passaggi processuali dettati dall’art. 656, comma 5, c.p.p. alla condizione e/o al termine menzionati nel primo.

Ragionare diversamente non solo viola i principi di ragionevole durata del processo (che trova applicazione anche nella fase esecutiva, ex art. 6, comma 1, CEDU) e della finalità rieducativa della pena (ivi comprese quelle alternative alla detenzione) bensì anche quello di uguaglianza ben potendo l’esecuzione della pena intervenire in momenti differenti rispetto a situazioni analoghe, - ove solo si ponga mente ai diversi tempi di decisione che possono impiegare i tribunali di sorveglianza rispetto alle istanze di concessione di misure alternative – ovvero avere ad oggetto situazioni di ben più grave allarme sociale – tenuto conto che per coloro nei confronti dei quali l’esecuzione della pena non può essere sospesa (art. 656, comma 9, cod. proc. pen.) “il termine per l’estinzione della pena decorre indefettibilmente dalla data di irrevocabilità della sentenza di condanna” mentre ciò non avverrebbe, paradossalmente, per coloro che usufruiscono, di diritto, di tale situazione.

E’ per tali ragioni che “il decorso del tempo ai fini dell’estinzione della pena detentiva... ha inizio il giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile e si interrompesolo con la carcerazione del condannato” ovvero “se il condannato, una volta iniziata l’esecuzione della pena mediante la carcerazione, vi si sottragga volontariamente con condotta di evasione” – (Cass. S.U., n. 46387/2021).

La notifica dell’ordine di esecuzione al condannato, con contestuale decreto di sospensione ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., pertanto, non integra, anche in seguito alla successiva irreperibilità dello stesso, né l’inizio dell’esecuzione (art. 172, quarto comma, seconda parte, cod. pen.) né una delle ipotesi previste dall’art. 172, comma quinto, c.p.

L’istanza di misure alternative, presentata in conseguenza dell’iniziativa esecutiva del pubblico ministero, non paralizza quella di accesso alle pene sostitutive, così come introdotta dalla cd. riforma Cartabia. L’art. 95, comma 1, del decreto lgs. n. 150 del 2022 stabilisce, difatti, l’applicazione delle norme più favorevoli anche per i procedimenti penali che, “al momento dell’entrata in vigore del presente decreto”, siano pendenti in primo grado o in grado di appello, così come concede tale possibilità per quelli pendenti in sede di legittimità purché l’istanza sia presentata “entro trenta giorni dalla irrevocabilità della sentenza” – (Cass., I, n. 14859/2024).

Le modifiche introdotte dal “collegato Cartabia”

Con il decreto legislativo n. 31 del 19 marzo 2024 (art. 1, comma 1, lett. cc) l’art. 656, comma 3, è stato, opportunamente, interpolato con la previsione che “se il processo si è svolto in sua assenza” il condannato alla pena detentiva “nel termine di trenta giorni dalla conoscenza della sentenza può chiedere, in presenza dei relativi presupposti, la restituzione nel termine per proporre impugnazione o la rescissione del giudicato”.

Tale introduzione si è resa necessaria per adeguare anche questo fondamentale momento esecutivo all’intero impianto codicistico, il quale ha rivisitato, profondamente, le regole dell’assenza dell’imputato dal procedimento – abrogando, definitivamente, la regola della contumacia – e la correlativa procedura di rimedio della restituzione nel termine ex art. 175 c.p.p.

Bibliografia

Tranchina-Di Chiara, L'esecuzione, in Siracusano-Galati-Tranchina-Zappalà, Diritto processuale penale, Milano, 2013; Catelani, Manuale dell'esecuzione penale, Milano, 2002.

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