Codice di Procedura Penale art. 670 - Questioni sul titolo esecutivo.Questioni sul titolo esecutivo. 1. Quando il giudice dell'esecuzione [665] accerta che il provvedimento manca o non è divenuto esecutivo [650], valutata anche nel merito l'osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilità [159] del condannato, lo dichiara con ordinanza e sospende l'esecuzione, disponendo, se occorre, la liberazione dell'interessato e la rinnovazione della notificazione non validamente eseguita. In tal caso decorre nuovamente il termine per l'impugnazione [585]. 2. Quando è proposta impugnazione [581 s.] od opposizione [461], il giudice dell'esecuzione, dopo aver provveduto sulla richiesta dell'interessato, trasmette gli atti al giudice di cognizione competente. La decisione del giudice dell'esecuzione non pregiudica quella del giudice dell'impugnazione o dell'opposizione, il quale, se ritiene ammissibile il gravame, sospende con ordinanza l'esecuzione che non sia già stata sospesa. 3. Se l'interessato, nel proporre richiesta perché sia dichiarata la non esecutività del provvedimento, eccepisce che comunque sussistono i presupposti e le condizioni per la restituzione nel termine a norma dell'articolo 175, e la relativa richiesta non è già stata proposta al giudice dell'impugnazione, il giudice dell'esecuzione, se non deve dichiarare la non esecutività del provvedimento, decide sulla restituzione. In tal caso, la richiesta di restituzione nel termine non può essere riproposta al giudice dell'impugnazione. Si applicano le disposizioni dell'articolo 175, commi 7 e 8. InquadramentoCon la disciplina dettata nell’art. 670 vengono individuate le modalità a mezzo delle quali il giudice dell’esecuzione accerta, – ove investito da una richiesta delle parti interessate -, l’esistenza del titolo esecutivo e la sua efficacia, quest’ultima declinata anche relativamente alla posizione del condannato irreperibile. E’ per tali ragioni che viene assegnato al medesimo organo anche il potere di sospendere l’esecuzione ed ordinare contestualmente la liberazione del condannato tutte le volte in cui verifichi una qualche rilevante illegittimità nella formazione del titolo o nella corretta notifica dello stesso. Proprio in relazione a tali situazioni è previsto anche il potere del giudice dell’esecuzione di trasmettere gli atti al giudice della cognizione, il cui intervento è del tutto autonomo nei contenuti – e parallelo al primo - in merito alla rimessione in termini per l’impugnazione ovvero al fatto di sancirne l’esecutività. Ovviamente le questioni riguardanti il titolo e la sua esecutività possono avere ad oggetto anche questioni parziali dello stesso nel qual caso occorre dar luogo ad una rescissione della parte del giudicato interessata, rescissione che può riguardare anche la specifica questione della non equità del processo a seguito di pronuncia della Corte EDU. Le verifiche del giudice dell'esecuzioneIl giudice dell'esecuzione è chiamato a svolgere due distinte verifiche, entrambe intese alla fondamentale funzione di controllo circa l'esistenza e la validità del giudicato, sottolineata dalla dottrina (Vicoli, 263). La prima consiste nel verificare se il titolo esecutivo si sia correttamente formato e dunque esistente (Catelani, 200), e procede attraverso la verifica della ritualità delle notificazioni dello stesso, verificandone la concreta effettività nell'ipotesi di notifica al condannato irreperibile. Se tale verifica sortisca esito positivo, egli deve, a richiesta dell'interessato, verificare se quest’ultimo abbia ricevuto effettiva conoscenza del titolo esecutivo pur correttamente notificatogli dal punto di vista formale, in caso negativo rimettendo l'interessato nel termine per proporre impugnazione (Cass. IV, n. 39766/2011). La diversità di oggetto e presupposti tra le due richieste impedisce di ritenere l'una implicita nell'altra (Cass. I, n. 16257/2006). Il giudice dell’esecuzione, laddove investito, è tenuto ad interpretare il giudicato ed a renderne espliciti i contenuti ed i limiti ricavando dalla decisione irrevocabile tutti gli elementi utili ai fini dell’esame dell’istanza sottopostagli, ivi compresi quelli non chiaramente espressi (Cass., I, n. 16039/2016). Non esecutività e rimessione in termini : l’interdipendenza delle decisioni Il giudice dell'esecuzione è competente a pronunziarsi sulle istanze, unitariamente proposte, di declaratoria di non esecutività del titolo e rimessione in termini — sempre se questa non è già stata proposta al giudice dell'impugnazione (Cass. I, n. 7900/2007) —, e deve delibare preliminarmente la prima, che è assorbente, se accolta, rispetto alla seconda (Cass. I, n. 3349/2015). Egli deve quindi deve provvedere sull'istanza di rimessione in termini quando rigetti o dichiari inammissibile la richiesta di declaratoria di non esecutività (Cass. VI, n. 39279/2013). Nel caso in cui rimetta in termini il condannato, tale decisione vincola il giudice dell'impugnazione, che non può dichiararla inammissibile per tardività (Cass.S.U., n. 36084/2005; Cass. III, n. 6826/2015), sebbene si registri anche un orientamento di segno opposto, minoritario (Cass. V, 4449/2008), a meno che naturalmente l'interessato proponga l'impugnazione oltre il nuovo termine assegnatogli (Cass. VI, n. 30758/2002). Diversamente, se il giudice dell'esecuzione abbia respinto l'istanza di sospensione, il giudice dell'impugnazione è titolare del potere di valutare se l'impugnazione sia ammissibile (Cass. III, n. 9477/2009). Se invece siano proposte, contemporaneamente, istanza di non esecutività al giudice dell'esecuzione e impugnazione al giudice dell'impugnazione, quest'ultimo è competente anche per l'incidente di esecuzione, se non sia stato già deciso (Cass. I, n. 22073/2013), ed è titolare di autonomo potere di sospensione dell'esecuzione, sicché il giudice dell'esecuzione non è tenuto provvedere in proposito (Cass. I, n. 4891/2013). L’onere di provare l’impedimento assoluto che determina la forza maggiore per la quale non si è potuto rispettare il termine ricade sul richiedente – (Cass., I, n. 12712/2020). Una volta che il giudice dell'esecuzione abbia rimesso in termini l'interessato, l'ordinanza non è revocabile, a pena di abnormità (Cass. I, n. 1202/2013), ma può essere impugnata con gli ordinari mezzi di impugnazione, fermo restando che l'impugnazione dell'ordinanza di rimessione in termini unitamente al provvedimento che definisce il successivo giudizio, si riferisce all'ordinanza di rimessione assunta dal giudice dell'impugnazione, perché l'ordinanza emessa dal giudice dell'esecuzione, se non tempestivamente impugnata, non è ulteriormente impugnabile (Cass. III, n. 9477/2009). La rescissione del giudicato in caso di violazioni del principio dell'equo processo previsto dalla CEDUPeculiare ipotesi di dichiarazione di non esecutività della sentenza, che prescinde dalle questioni in tema di corretta ed effettiva notificazione del titolo esecutivo, si configura nell'ipotesi in cui la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo abbia accertato con sentenza che il processo non si sia svolto nell'osservanza del diritto dell'uomo ad un processo equo, nel qual caso il giudice dell'esecuzione è tenuto a dichiarare non esecutivo il provvedimento definitorio di tale giudizio interno (Cass. I, n. 6559/2011), anche se il principio sia stato affermato dalla Corte Edu con riferimento ad altro processo (Cass. S.U., n. 34472/2012), e così rimettere in termini il condannato per dare ingresso al nuovo giudizio d'impugnazione (Cass. I, n. 8784/2008). Diversamente, nel caso di violazione della clausola di specialità internazionale in sede di condanna di persona estradata in Italia, il giudicato è intangibile in sede di esecuzione perché la violazione si riferisce ad una causa di improcedibilità dell'azione penale che avrebbe dovuto essere eccepita nel corso del giudizio di cognizione ed è sanata dal giudicato (Cass. S.U., n. 11971/2008). La rescissione del giudicato in caso errore macroscopico o di illegalità della penaIn linea generale, il giudice dell'esecuzione non può incidere il giudicato, neanche quando esso contenga valutazioni erronee o discutibili (Cass. I, n. 33086/2011), né per nullità verificatesi nel corso del giudizio di cognizione (Cass. I, n. 19134/2006). Può tuttavia provvedervi, rideterminando la pena, nel caso in cui la statuizione da eseguire sia frutto di errore palese e macroscopico, come nel caso in cui abbia applicato una pena illegale o abbia commesso un errore di calcolo matematico nella determinazione della pena, alla condizione che l'errore non sia giustificato da una espressa, per quanto discutibile, valutazione di merito svolta nella motivazione del provvedimento dal giudice della cognizione (Cass. S.U., n. 47766/2015; Cass. S.U, n. 6240/2014; Cass. I, n. 20466/2015). Lo stesso principio vale nel caso di violazione delle condizioni di estradizione in sede di condanna di persona estradata in Italia, dal momento che se l'estradizione è stata concessa con l'espressa posizione di limiti di durata o tipologia della pena applicabile, la pena applicata in violazione di tali limiti è illegale e pertanto il giudice dell'esecuzione è tenuto a rideterminarla entro i limiti autorizzati (Cass. I, n. 6278/2015). L'illegalità sopravvenuta della pena L'ipotesi di illegalità della pena ricorre anche nel caso in cui, anche dopo l'irrevocabilità della sentenza, venga abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima una norma, diversa dalla norma incriminatrice, che abbia inciso in senso sfavorevole al condannato sul trattamento sanzionatorio non ancora interamente eseguito (Cass.S.U., n. 42858/2014; Cass. I, n. 32913/2015), nel qual caso il giudice dell'esecuzione deve rescindere il giudicato e rideterminare la pena escludendo l'incidenza della norma soppressa (Cass. S.U., n. 42858/2014; Cass. S.U., n. 18821/2014; Cass. I, n. 5973/2014), all'uopo svolgendo ogni necessaria valutazione che non contrasti con le altre valutazioni di merito contenute nella motivazione sentenza (Cass. S.U., n. 42858/2014; Cass. I, n. 52981/2014) Alla rideterminazione occorre dar luogo anche se ad essere interessata è una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, nel qual caso deve verificarsi se sussista nuovo accordo tra le parti prima di procedere alla rideterminazione ai sensi dell'art. 133 c.p. (Cass. S.U., n. 37107/2015), e la rideterminazione della pena deve essere eseguita in base alla legge più favorevole sopravvenuta (Cass. S.U., n. 46653/2015), - sebbene il principio non sia pacifico (Cass. S.U., n. 42858/2014) -, anche se la pena originariamente inflitta rientri nei nuovi e più favorevoli limiti edittali (Cass. S.U., n. 33040/2015; Cass. III, n. 36357/2015). Tuttavia nulla vieta che, in base a tale nuova valutazione, sia inflitta la medesima pena originariamente irrogata (Cass. III, n. 43594/2015). Altrettanto dicasi nel caso in cui la sopravvenuta illegalità della pena dipenda da una sentenza della Corte Edu (Cass. I, n. 34158/2014). Il ripristino della custodia cautelare in caso di non esecutivitàQuando la sentenza di condanna sia stata dichiarata non esecutiva, può essere ripresa, se ne ricorrono ancora presupposti, l'esecuzione della custodia cautelare disposta in corso di giudizio (Cass. I, n. 12903/2009), anche in assenza di specifica richiesta del pubblico ministero (Cass. V, n. 35515/2010). In tal caso, il termine di fase riprende a decorrere dall'ordinanza che dichiara la non esecutività (Cass. VI, n. 34204/2014), sebbene un orientamento precedente retrodatasse la decorrenza alla data di pronunzia della sentenza dichiarata non esecutiva (Cass. I, n. 33121/2011). CasisticaLa decisione della Corte EDU del 14 aprile 2015 nel procedimento Contrada contro Italia non può essere estesa a casi diversi da quello che ne forma direttamente oggetto, in relazione al quale soltanto vigono gli obblighi di conformazione imposti dall'art. 46 CEDU in quanto l'assunto per il quale il concorso esterno in associazione mafiosa costituirebbe reato di “creazione giurisprudenziale” non corrisponde alla realtà dell'ordinamento penale nazionale che si ispira al modello della legalità formale (Cass. I, n. 36509/2018). Il giudice dell'esecuzione investito di una questione sul titolo esecutivo può disporre la sospensione dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 670, solo all'esito della celebrazione dell'udienza camerale di cui all'art. 66, comma 3, non essendo riconosciuto tale potere in via cautelare prima della celebrazione della stessa – (Cass., I, n. 4933/2020). La mera pendenza di un ricorso individuale presso la CEDU riguardo l'asserita violazione del giusto processo non concede al giudice dell'esecuzione la facoltà della sospensione dell'esecuzione essendo tale potere attribuito solo a valle del suo accoglimento in sede sovranazionale – (Cass., III, n. 5714/2020). In seguito alla sentenza n. 40/2019 della Corte cost. – che ha dichiarato l'illegittimità della pena prevista nel minimo edittale relativamente alle droghe pesanti (da considerare ora in quella di sei anni di reclusione anziché otto) il giudice dell'esecuzione: 1) nel rideterminare la pena patteggiata non può, in assenza dell'accordo delle parti, applicare una riduzione per le generiche inferiore a quella concordata – (Cass., I, n. 51086/2019); 2) non può rivalutare il fatto in termini di maggiore gravità rispetto a quanto operato dal giudice della cognizione pur riducendo la pena – (Cass., I, n. 3280/2020); 3) è tenuto a rinnovare la valutazione sanzionatoria alla stregua dei criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p. con necessaria riduzione della pena – (Cass., I, n. 3281/2020); BibliografiaCatelani, Manuale dell'esecuzione penale, Milano, 2002; Guardata, Art. 670, in Chiavario, Commento al nuovo codice di procedura penale, Torino, 1989-1991. |