Codice di Procedura Penale art. 671 - Applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato.

Enrico Campoli

Applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato.

1. Nel caso di più sentenze [529 s.] o decreti penali [460] irrevocabili [648] pronunciati in procedimenti distinti contro la stessa persona, il condannato o il pubblico ministero [655] possono chiedere al giudice dell'esecuzione [665] l'applicazione della disciplina del concorso formale [81 1 c.p.] o del reato continuato [81 2 c.p.], sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione [186-188 att.]. Fra gli elementi che incidono sull'applicazione della disciplina del reato continuato vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza (1).

2. Il giudice dell'esecuzione provvede determinando la pena in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto.

2-bis. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 81, quarto comma, del codice penale (2).

3. Il giudice dell'esecuzione può concedere altresì la sospensione condizionale della pena [163 c.p.] e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale [175 c.p.], quando ciò consegue al riconoscimento del concorso formale o della continuazione. Adotta infine ogni altro provvedimento conseguente.

(1) Periodo aggiunto, in sede di conversione, dall'art. 4-vicies d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, conv., con modif., in l. 21 febbraio 2006, n. 49.

(2) Comma inserito dall'art. 5 2 l. 5 dicembre 2005, n. 251.

Inquadramento

L’art. 671 disciplina l’applicazione della continuazione e del concorso formale dei reati in sede esecutiva allorquando tale richiesta può essere formulata al giudice dell’esecuzione in relazione a sentenze e/o decreti penali irrevocabili che abbiano ad oggetto la stessa persona in ordine a fatti diversi, sempre che ciò non sia stato già espressamente escluso dal giudice della cognizione. Tale situazione trova poi specifica regolamentazione quando tali fatti diversi occorre valutarli in relazione allo stato di tossicodipendenza del condannato alla luce della condizione che tale speciale condizione personale determina anche riguardo all’agire delittuoso. Nei casi in cui il giudice dell’esecuzione accoglie la richiesta, – fermo restando il potere di dar luogo ad ogni provvedimento ad essa conseguente (sospensione della pena; non menzione; etc.) -, egli dovrà rideterminare la pena in misura mai superiore alla somma delle pene inflitte, e ciò anche nel caso di persona recidiva ex art. 99, comma 4, c.p. laddove provvederà ad un aumento della pena più grave tra quelle inflitte per almeno un terzo. A seconda del tipo di decisioni irrevocabili coinvolte nella propria decisione il giudice dell’esecuzione, nel valutare la gravità cui ancorare ogni rideterminazione, ricorre ai parametri offerti dagli artt. 186, 187 e 188 disp. att.

Il vincolo della cognizione

L'applicazione del concorso formale e della continuazione, che deve essere specificamente motivata se applica la pena massima consentita o aumenti significativi (Cass. V, n. 20534/2015), è consentita in fase esecutiva solo se non esclusa dal giudice della cognizione (Cass. IV, n. 10113/2012), sicché se il giudice della cognizione non ha affatto considerato la questione, l'applicazione è consentita al giudice dell'esecuzione (Cass. I, n. 43777/2015). Analogamente, qualora la motivazione delle sentenze irrevocabili non sia precisa o completa su punti rilevanti per la decisione sottoposta al giudice dell'esecuzione, questi deve interpretare la sentenza al fine di esplicitare i punti controversi o incompleti della motivazione che attengano ai presupposti per l'applicazione del concorso formale o della continuazione (Cass. S.U., n. 21501/2009; Cass. I, n. 34146/2014). Specularmente, se il giudice della cognizione ha riconosciuto l'unificazione, questa non può essere rimessa in discussione in fase esecutiva (Cass. I, n. 13158/2010).

L'aumento della pena e i suoi limiti

Limite assoluto per il giudice dell'esecuzione è costituito dalla somma delle pene inflitte con le sentenze da unificare, sicché solo entro tale limite il giudice dell'esecuzione può modificare, per applicare le regole del concorso o della continuazione, le pene inflitte dalle sentenze unificate (Cass. I, n. 44240/2014).

Non è invece applicabile il diverso e minore limite dell'aumento superiore al triplo della pena stabilita per il reato più grave, applicabile al solo giudizio di cognizione onde evitare l'impunità per altri reati successivamente unificati in continuazione ( Cass. I, n. 45256/2013 ), tanto che il medesimo principio si applica anche in sede di cognizione , quando il reato giudicando va unificato con reati già giudicati ( Cass. II, n. 22561/2014 ).

Ulteriore limite è costituito dall'esistenza di precedente provvedimento di unificazione in sede esecutiva, sicché un nuovo provvedimento che comprenda anche le pene già unificate dal giudice dell'esecuzione non può eccedere gli aumenti stabiliti nel precedente per i singoli reati ( Cass. I, n. 26460/2013 ).

Gli aumenti vanno eseguiti sulla pena concretamente più grave tra quelle inflitte dalle sentenze da unificare (Cass. I, n. 38331/2014 ), e non già in ragione della gravità del reato.

L' art. 187 disp. di attuazione al c.p.p., difatti, stabilisce che, per il giudice dell'esecuzione, proprio in sede di applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato, deve considerare “ violazione più grave quella per la quale è stata inflitta la pena più grave ”, e ciò anche nel caso in cui “ per alcuni reati si è proceduto con rito abbreviato ”.

Per quest'ultima situazione processuale (rito abbreviato) deve considerarsi la pena diminuita per il rito e non già la pena base (Cass. I, n. 48204/2008).

Quando siano da unificare più sentenze che abbiano già a loro volta unificato in continuazione i reati giudicati, il giudice dell'esecuzione deve scorporare tutti i reati, individuare quello che per il quale il giudice della cognizione ha inflitto la pena più grave, e quindi procedere agli aumenti per ciascuno dei reati residui, secondo le regole appena richiamate (Cass. V, n. 8436/2014), e nel caso in cui il giudice della cognizione non abbia indicato la pena per alcuni reati, il giudice dell'esecuzione deve interpretare il giudicato al fine di individuare quale pena il giudice della cognizione abbia inteso implicitamente irrogare per ciascun reato, non potendo farsi generico riferimento al minimo edittale previsto per ciascuno di essi (Cass. S.U., n. 21501/2009; Cass. I, n. 3986/2014).

Le Sezioni Unite, con la sentenza  Cass. S.U., n. 6296/2017,  ha sancito che il giudice dell'esecuzione, allorchè procede all'applicazione del reato continuato, non può dar luogo per i reati satellite ad aumenti di pena in misura superiore a quelli già fissati dal giudice in sede di cognizione, così componendo il contrasto che si era creato in sede di legittimità tra chi aderiva a tale orientamento,  - atteso il principio del favor rei cui è ispirato l'istituto – e chi, invece, sosteneva che l'unico tetto da rispettare è quello massimo sancito dal comma 2 dell'art. 671.

All'udienza del 17 gennaio 2017, - motivazione depositata in data 15 febbraio 2017 -, la Prima Sezione penale della Corte di Cassazione, in seguito a contrasto, ha rimesso alle Sezioni Unite l'interrogativo se il limite dettato dall'art. 81, commi 1 e 2, c.p. in tema di quantificazione della pena in sede di continuazione (triplo della pena inflitta per il reato più grave) trova applicazione anche in sede di esecuzione ovvero se, in quest'ultima sede, trova spazio la regola dettata dall'art. 671, comma 2, secondo cui esso è valicabile in quanto formato dalla somma delle pene inflitte in ciascuna decisione irrevocabile.

Le Sezioni Unite, con la sentenza Cass. S.U., n. 28659/2017 depositata  l'8 giugno 2017 (udienza 18 maggio 2017), hanno stabilito che in caso di riconoscimento della continuazione tra più reati oggetto di distinte sentenze irrevocabili, il giudice dell'esecuzione, nel determinare la pena, fermo restando il richiamo al parametro basico dettato dall'art. 187 att. c.p.p., è tenuto al rispetto del limite del triplo della pena inflitta per la violazione più grave, ai sensi dell'art. 81, commi 1 e 2, c.p. non potendo, di contro, limitarsi ad applicare solo il diverso criterio indicato dall'art. 671, comma 2, c.p.p., che impone il limite della somma delle pene inflitte con ciascuna decisione irrevocabile.

Tale decisione mira ad impedire,  – a differenza di quanto avviene, invece, in sede di cognizione ovvero in quest'ultima mista a precedente giudicato -, l'applicazione in sede esecutiva di un trattamento sanzionatorio non predeterminato dal legislatore finendo per irrogare  una pena che deroghi ad esso per giunta invertendo la logica di sistema che vuole la norma processuale servente rispetto a quella sostanziale.

Il perno fondamentale della disciplina del reato continuato, a prescindere dal momento in cui esso trova applicazione, è costituito dal momento valutativo del “medesimo disegno criminoso”, tant'é che è su di esso, e sui suoi presupposti applicativi, che, in realtà, andrebbero concentrati i migliori sforzi interpretativi al fine di “contrastare, in tutta evidenza, prassi largheggianti”.

L'applicazione del criterio legale (cumulo giuridico) del trattamento sanzionatorio non determina l'artificiosa creazione di un'area di reati senza sanzione bensì l'incorporazione di quest'ultimi nella rideterminazione complessiva della pena in fase esecutiva in forza del ripensamento di una loro proporzionale incidenza nell'ambito del confine stabilito dal tetto massimo del triplo per la violazione più grave.

La concessione dei benefici

All'esito dell'unificazione, il giudice può concedere la sospensione condizionale della pena, ma solo se il giudice della cognizione non l'abbia espressamente esclusa, per ragioni diverse dall'entità della pena, o revocata (Cass. I, n. 25389/2014; Cass. I, n. 16679/2013), sempre che non sussistano cause ostative rispetto alle quali l'unificazione sia ininfluente (Cass. I, n. 23628/2014).

La dottrina ha precisato che la concedibilità dei doppi benefici costituisce norma eccezionale di stretta interpretazione (Catelani, 285).

Pertanto, se siano unificate condanne a pena non sospesa, tra loro od anche con condanne a pena sospesa, e non sussistano cause ostative dipendenti dal giudicato o rispetto alle quali l'unificazione sia ininfluente, il giudice dell'esecuzione deve valutare se la sospensione condizionale possa essere concessa anche sulla intera pena rideterminata (Cass. I, n. 35845/2015), avuto riguardo agli elementi disponibili al momento in cui formula tale valutazione (Cass. S.U., n. 4687/2005; Cass. I, n. 11583/2006), pertanto la sospensione condizionale non è mai automaticamente revocata all'esito dell'unificazione con altra sentenza che non abbia concesso il beneficio (Cass. I, n. 24571/2009).

L'applicazione a reati estinti ed a pene già scontate

Se il condannato vi ha specifico interesse, anche non immediato, come nel caso della possibilità di applicare la fungibilità, l'applicazione del concorso formale e della continuazione è consentita in fase esecutiva anche in relazione a reati già estinti (Cass. I, n. 33921/2015).

Analogo interesse può essere individuato nel riconoscimento della continuazione in sede di esecuzione anche relativamente a  pene già scontate attesi gli ulteriori effetti penali che ne possono conseguire : tipico è quello di potere imputare la pena in concreto subita, ed in misura maggiore rispetto alla rideterminaizone ex art. 671, ad altra condanna in quel momento in espiazione (Cass., I, n. 49823/2016).

Il giudice dell’esecuzione allorquando nel valutare il reato continuato procede alla verifica dei presupposti temporali per l’applicazione dell’indulto deve, qualora il giudice della cognizione non vi abbia provveduto, interpretare il giudicato esplicitandone i contenuti ed i limiti così individuando il reato più grave e l’epoca della consumazione – (Cass., I, n. 10285/2020).

Il giudice dell’esecuzione non può sindacare l’interesse, in concreto, della parte all’accoglimento della richiesta di applicazione della disciplina di cui all’art. 671 cod. proc. pen. in tema di reato continuato in quanto l’incidente introdotto dagli artt. 666 cod. proc. pen. e ss. non è un giudizio di impugnazione : la circostanza, pertanto, che la pena inflitta per il reato che, “in ipotesi di accoglimento della richiesta sarebbe quello meno grave, era stata già interamente espiata” non incide sull’ammissibilità della richiesta laddove ha come scopo quello della rideterminazione della pena in forza di una normativa più favorevole, stante il disposto di cui all’art. 2 cod. pen., mentre ha ragione di essere quella che ambisce, in caso di riconoscimento della ragioni, ad un più favorevole trattamento nella commisurazione del cumulo giuridico delle pene – (Cass., I, n. 10380/2021).

Lo stato di tossicodipendenza

In generale il giudice dell'esecuzione, nell'applicare la disciplina della continuazione, deve fare riferimento ai parametri che consentano di ritenere la sussistenza di unicità del disegno criminoso secondo la disciplina dell'art. 81 c.p. (Cass. II, n. 49844/2012). In particolare, il giudice dell'esecuzione deve valutare se i reati per cui vi è richiesta di unificazione in continuazione siano collegati e dipendenti dallo stato di tossicodipendenza del condannato (Cass. I, n. 20144/2011), e tale elemento assume un valore autonomo e rilevante ai fini della valutazione della sussistenza dei presupposti per la continuazione, ma non autosufficiente (Cass. I, n. 50716/2014), sicché l'istituto non può essere applicato quando l'unico elemento unificante è costituito dalla relazione tra i reati commessi e lo stato di tossicodipendenza.

Lo stato di condannato alcooldipendente non è equiparabile a quello del tossicodipendente ai fini dell’applicazione, in sede esecutiva, della disciplina del reato continuato (Cass., VII, ord. n. 18669/2016).

Il procedimento e l'istruttoria

Il giudice dell'esecuzione non può decidere de plano se non ricorrono i presupposti di inammissibilità previsti dall'art. 666, secondo comma, a pena di nullità assoluta del provvedimento (Cass. I, n. 12304/2014).

L'art. 186 disp. att. sancisce che, ove le sentenze ed i decreti irrevocabili non sono allegati all'istanza prevista dall'art. 671 è onere istruttorio del giudice acquisirli d'ufficio, in ciò richiamando la disciplina generale che governa gli incidenti di esecuzione dettata dall'art. 666, comma 5. Sulla scia di tali principi la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di stabilire che il condannato è gravato da un mero onere di indicazione degli estremi delle sentenze di condanna per fatti che ritiene unificabili (Cass. I, n. 36289/2015), sia pure con la precisione necessaria a comprendere le ragioni della richiesta (Cass. I, n. 43667/2007), sicché il giudice dell'esecuzione è tenuto ad acquisire, anche di ufficio, tutti gli elementi, ivi comprese le sentenze, necessarie per la decisione, non potendosi limitare alla documentazione versata in atti dalle parti se insufficiente ai fini del decidere (Cass. I, n. 17020/2015), sebbene altro orientamento ritenga invece che il condannato sia tenuto a produrre copia delle sentenze di cui chiede l'unificazione non essendo applicabile in via analogica la disposizione di cui all'art. 186 disp. att. dettata per la sola fase esecutiva (Cass. VI, n. 51689/2017).

La mancata allegazione da parte del condannato degli elementi specifici su cui si fonda la sua richiesta, in sede di esecuzione, di applicazione del regime del reato continuato non costituisce un onere, attesa la natura di tale giudizio che richiede la mera iniziativa del soggetto interessato essendo riservato al giudice un ampio potere istruttorio, laddove lo stesso lo dovesse ritenere necessario.

Il procedimento di cui all'art. 671 cod. proc. pen. costituisce una vera e propria parentesi di merito nell'ambito del giudizio di esecuzione dovendosi in questa sede valutarsi la riconducibilità dei reati già oggetto di giudicato – e per questo esaminati in separati procedimenti – ad un comune disegno criminoso, estraneo ab origine alle definizioni intervenute ed, invece, fulcro, nella loro riconducibilità ad un disegno unitario, della decisione richiesta (Cass., I, n. 12914/2022).

La mancata allegazione da parte del condannato degli elementi specifici su cui si fonda la sua richiesta, in sede di esecuzione, di applicazione del regime del reato continuato non costituisce un onere, attesa la natura di tale giudizio che richiede la mera iniziativa del soggetto interessato essendo riservato al giudice un ampio potere istruttorio , laddove lo stesso lo dovesse ritenere necessario.

Il procedimento di cui all'art. 671 cod. proc. pen. costituisce una vera e propria parentesi di merito nell'ambito del giudizio di esecuzione dovendosi in questa sede valutarsi la riconducibilità dei reati già oggetto di giudicato – e per questo esaminati in separati procedimenti – ad un comune disegno criminoso, estraneo ab origine alle definizioni intervenute ed, invece, fulcro, nella loro riconducibilità ad un disegno unitario, della decisione richiesta (Cass., I, n. 12914/2022).

Grava sul condannato - che chiede l'applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato - l'onere di indicare gli specifici elementi su cui si basa la domanda non costituendo, di per sé, la mera contiguità temporale delle condotte e l'identità dei titoli di reato parametri oggettivi di un progetto criminoso unitario quanto l'abitualità di connotare la propria vita di una pervicacia delinquenziale  (Cass., I, n. 35806/2016).  

Qualora l'ordinanza sia stata cassata, il giudice dell'esecuzione di rinvio non può riformare in senso peggiorativo per il condannato le statuizioni della decisione annullata che non siano state censurate nella sentenza di cassazione (Cass. V, n. 39373/2011). L'istanza non può essere ripresentata in relazione agli stessi reati né ad alcuni soltanto di essi (Cass. I, n. 12823/2011).

Il concorso tra reati giudicati con sentenze pronunziate all'esito di riti diversi

Nel caso in cui l'unificazione riguardi sentenze pronunziate all'esito di giudizio abbreviato e sentenze pronunziate all'esito di giudizio ordinario, la riduzione va applicata esclusivamente alle singole pene inflitte all'esito di giudizi abbreviati (Cass. III, n. 9038/2013), anche nel caso in cui la pena più grave sia stata inflitta all'esito di giudizio abbreviato (Cass. V, n. 47073/2014).

Diverso orientamento ritiene invece che nel caso in cui la pena più grave sia stata inflitta all'esito di giudizio abbreviato, la riduzione vada eseguita sull'intera pena rideterminata (Cass. III, n. 37848/2015). In quest'ultimo caso, ed altresì nel caso in cui siano unificate più sentenze di condanna rese all'esito di giudizio abbreviato, l'aumento si esegue sulla pena base più grave, considerata nell'entità precedente alla diminuzione per il rito abbreviato, e sulla pena risultante si esegue la diminuzione (Cass. I, n. 20007/2010).

Le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 35852/2018) hanno riordinato la concorrenza, in sede di applicazione del regime continuato ex art. 671, tra sentenze di rito abbreviato e sentenze emesse all'esito di giudizio ordinario affermando che solo per le prime trova applicazione la riduzione di un terzo della pena.

Ai fini del riconoscimento della continuazione in fase esecutiva tra un reato giudicato con rito abbreviato ed altro con patteggiamento, l’individuazione del reato più grave va svolta confrontando la pena effettivamente irrogata nel primo, - tenendo conto anche della riduzione del rito – e la pena patteggiata prima della riduzione premiale in quanto la richiesta di continuazione comporta la caducazione dell’accordo raggiunto in quest’ultima sede con il solo limite di non applicare per il reato satellite un aumento superiore a quello irrogato in sede di cognizione – (Cass., V, n. 6789/2020).

L'unificazione tra sentenze di patteggiamento

L'art. 188 delle disp. att. disciplina il concorso formale ed il reato continuato nel caso di più sentenze di patteggiamento pronunciate in procedimenti distinti contro la stessa persona, con la peculiarità di un accordo negoziale in fase di esecuzione avallato dal giudice ovvero, sulla scia di quanto già permesso dall'art. 448, l'avallo da parte del giudice della richiesta dell'imputato che non ha ottenuto il consenso del P.M.

In materia di esecuzione, è inammissibile la richiesta di continuazione tra reati oggetto di sentenze di patteggiamento presentata senza l’osservanza dello schema procedimentale delineato dall’art. 188 disp. att. , a termini del quale è necessario che il P.M. esprima formale consenso o dissenso su pena determinata nei limiti indicati dall’art. 444 fermo il potere del giudice, cui compete il controllo di congruità della pena, di ritenere ingiustificato l’eventuale suo dissenso (Cass.  I, n. 22298/2018).

Il divieto di unificazione con il giudicato straniero

È vietata l'unificazione tra una sentenza italiana ed una sentenza straniera riconosciuta per l'esecuzione in Italia, perché tale effetto non è contemplato dalla legge tra le finalità del riconoscimento (Cass. V, n. 8365/2014).

Casistica

Il giudice dell'esecuzione è tenuto, se la continuazione non sia stata esclusa dal giudice della cognizione, ad applicare la disciplina speciale del concorso di reati prevista dall'art. 219, secondo comma, r.d. n. 267/1942 (l. fall.) nei confronti del condannato con diverse sentenze per diversi fatti di bancarotta commessi tutti nell'àmbito della stessa procedura concorsuale (Cass. S.U., n. 21039/2011).

Se il giudice dell'esecuzione unifica in continuazione più reati per i quali siano state pronunziate più condanne a pena sospesa, il giudice della cognizione può nuovamente applicare la sospensione condizionale con riferimento ad una condanna sopravvenuta, se ne ricorrono i presupposti di legge (Cass. I, n. 41545/2010).

Se il giudice della cognizione abbia ritenuto avvinti dalla continuazione alcuni episodi analoghi, tutti giudicati in unica sentenza, il giudice dell'esecuzione, richiesto di unificare quella condanna con altra sopravvenuta per altro episodio analogo, non può prescindere dal pronunciamento del giudice del merito, dovendo specificamente motivare il proprio convincimento se ritenga di non unificare anche la condanna sopravvenuta (Cass. V, n. 39837/2014); pertanto, se con diverse sentenze due gruppi differenti di reati-fine siano stati unificati in continuazione con la stessa associazione per delinquere, il giudice dell'esecuzione è tenuto ad unificare in continuazione anche i diversi gruppi di reati-fine tra loro (Cass. I, n. 16632/2010); specularmente, se il giudice della cognizione ha negato l'unificazione tra un reato associativo ed un reato-fine, il giudice dell'esecuzione non può riconoscere la continuazione tra il reato associativo ed altri reati-fine che siano stati unificati in continuazione con il primo (Cass. I, n. 16235/2010).

In sede esecutiva, ai fini della determinazione della pena in seguito al riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato e sanzionati con la pena ad anni trenta di reclusione in sostituzione dell'ergastolo, – ciò in forza del testo di cui all'art. 442, comma 2, terzo periodo, vigente fino all'aprile 2019 -, la diminuente per il rito può essere calcolata sulla pena complessiva solo se la specie di pena resta immutata rispetto a quella applicata in sede di cognizione mentre non è applicabile, in forza della regola generale di cui all'art. 78 c.p. ., la sostituzione della reclusione con l'ergastolo – (Cass., I, n. 13756/2020).

Qualora si provveda all'applicazione della disciplina della continuazione in sede esecutiva è fatto obbligo al giudice di motivare i singoli aumenti per i reati satellite – Cass., I, n. 17209/2020 - : il giudice adito ai sensi dell'art. 671  esercita, “in materia di quantificazione della pena, i medesimi poteri del giudice della cognizione con i limiti fissati dall'art. 187 disp. att., in ordine all'individuazione del reato più grave e dall'art. 81, primo comma, c.p., in ordine alla misura degli aumenti di pena – da contenere nel triplo della pena del reato più grave - ed è comunque vincolato al rispetto del divieto della reformatio in peius rispetto al giudizio di cognizione”. Proprio in forza di tele preciso perimetro decisionale – che gli attribuisce un potere discrezionale del tutto simile a quello del giudice della cognizione - il giudice dell'esecuzione deve indicare, sia pure in modo sintetico ma con rigore, il percorso dosimetrico da egli sviluppato in ordine ad ogni reato satellite : ove così non fosse, si sfocerebbe nell'arbitrio impedendo di esercitare sul ragionamento sviluppato ogni successivo controllo in sede d'impugnazione.

Il giudice dell’esecuzione là dove ridetermina la pena, ex art. 671 cod. proc. pen., tra reati oggetto di giudicati separati, - a loro volta frutto di eventuali sanzioni poste in continuazione fra loro -, deve sciogliere il vincolo che li lega, individuando quello per il quale è irrogata la pena più grave e su quest’ultima operare i singoli aumenti dando ragione della congruità operata per ognuno di essi  – (In alcun modo può trovare avallo l’operato del giudice dell’esecuzione, il quale, anziché dare motivazione dei singoli aumenti di pena per i delitti satellite, sottragga dal cumulo materiale delle pene una mera frazione della sanzione) – Cass., I, n. 17984/2024).

Bibliografia

Catelani, Manuale dell'esecuzione penale, Milano, 2002; Lozzi, Lezioni di procedura penale, Torino, 2013; Spangher, Atti processuali penali, Milano, 2013; Vicoli, Il giudice dell'esecuzione, in Caprioli-Vicoli, Procedura penale dell'esecuzione, Torino, 2011.

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