Codice di Procedura Penale art. 673 - Revoca della sentenza per abolizione del reato.Revoca della sentenza per abolizione del reato. 1. Nel caso di abrogazione [2 c.p.] o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice [136 Cost.], il giudice dell'esecuzione [665] revoca la sentenza di condanna [533] o il decreto penale [460] dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti [193 att.; 33 reg.]. 2. Allo stesso modo provvede quando è stata emessa sentenza di proscioglimento [530, 531] o di non luogo a procedere [425] per estinzione del reato [150 s. c.p.] o per mancanza di imputabilità [85 c.p.]. InquadramentoTutte le volte in cui la norma incriminatrice è abrogata ovvero, per intervento della Consulta, è dichiarata illegittima costituzionalmente il giudice dell’esecuzione, – nelle forme garantite dell’udienza partecipata -, revoca la sentenza di condanna ovvero il decreto penale (irrevocabili) sancendo che “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, adottando analogo modus procedendi laddove sia stata emessa sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere per estinzione del reato o per difetto di imputabilità attesa la fuoriuscita dal sistema penale della specifica fattispecie. Abolitio criminisQuando la norma incriminatrice è stata abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima, il giudice dell'esecuzione è tenuto a revocare la sentenza e non può limitarsi a riqualificare il fatto sussumendolo sotto altra fattispecie o ricostruirlo in modo diverso da quanto affermato in sentenza, a meno che la diversa qualificazione sia stata oggetto di contraddittorio ed accertamento nel giudizio di cognizione (Cass. S.U., n. 29023/2001; Cass. I, n. 4461/2015), fermo restando comunque, in tal caso, che il giudice dell'esecuzione non può contraddire il contenuto della sentenza, dovendosi limitare ad interpretare il giudicato al solo fine di verificare se residuino spazi di rilievo penale alle condizioni indicate (Cass. I, n. 23243/2002). Nel caso in cui si succedano norme diverse nel tempo, per valutare se l'abolizione sia integrale o residuino spazi incriminati, è sufficiente confrontare la norma originaria con la norma abrogatrice sopravvenuta, senza necessità di procedere a valutazioni circa la continuità tra le norme sopravvenute (Cass. S.U., n. 24468/2009). La revoca della sentenza, che è ammessa anche per la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (Cass. S.U., n. 37107/2015; Cass. I, n. 42407/2007), trova applicazione sia quando l'irrevocabilità della stessa sia successiva all'abolizione del reato (Cass. I, n. 1611/2015) e sia nel caso in cui il giudice della cognizione abbia espressamente ma erroneamente escluso il fenomeno abrogativo (Cordero, 1241), ed, infine, nel caso in cui la norma sia dichiarata con sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea incompatibile con le norme eurounitarie (Cass. III, n. 30591/2014) o l'incriminazione fosse contenuta in un decreto legge non convertito in legge, come ritenuto anche dalla dottrina (Vicoli, 280), mentre è esclusa l'equiparazione a tali cause di abolizione del mutamento di orientamento giurisprudenziale, anche se adottato dalle sezioni unite della corte di cassazione (Cass. I, n. 13411/2013). La revoca è tuttavia ammessa esclusivamente nel caso in cui al giudice dell'esecuzione sia sufficiente la mera ricognizione dell'intervenuta abolizione del reato, mentre è esclusa nel caso in cui siano necessarie attività di accertamento per verificare la sussistenza delle condizioni alle quali è subordinato l'effetto abrogativo (Cass. I, n. 2638/2013). Con la pronuncia Cass. S.U., n. 26259/2016, – del 23 giugno 2016 –, le Sezioni Unite hanno stabilito che : - “Il giudice dell'esecuzione può revocare, ai sensi dell'art. 673, una sentenza di condanna pronunciata dopo l'entrata in vigore della legge che ha abrogato la norma incriminatrice, allorché l'evenienza di abolitio criminis non sia stata rilevata dal giudice della cognizione”. La decisione assunta nel più alto consesso di legittimità va, sapientemente, ad inserirsi nella stratificazione delle numerose sentenze, sia della Corte Costituzionale che delle Sezioni Unite Penali, che si sono succedute nel tempo riguardo al delicatissimo tema del bilanciamento costituzionale tra il valore dell'intangibilità del giudicato e quelli della tutela della libertà personale e del principio di legalità. I giudici, nel loro didattico percorso argomentativo, hanno, passo per passo, stabilito che : - in primo luogo, il fenomeno abrogativo va ricondotto esclusivamente “alla successione nel tempo di atti normativi”, principio da cui deriva il corollario conseguente che mai “l'abrogazione di una legge possa essere determinata da un mutamento giurisprudenziale, anche se consacrato da una pronuncia delle Sezioni Unite” in quanto ciò, – come ben evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza Corte cost. n. 230/2012 –, potrebbe condurre ad una sovversione “di sistema” atteso che “l'overruling giurisprudenziale favorevole non può travolgere il principio di intangibilità della res giudicata”; - rientra, ovviamente, nei poteri del giudice quello di stabilire l'effetto abrogativo delle norme in forza dei principi dettati dall'art. 15 delle preleggi con la conseguenza che, laddove tale orientamento si consolidi, soprattutto a mezzo del sigillo delle Sezioni Unite, si sia dinanzi ad un'ipotesi di successione delle leggi nel tempo, “riconducibile all'art. 2, secondo comma, c.p., che legittima l'intervento del giudice dell'esecuzione”; - pur nel riconoscimento dell'intangibilità del giudicato occorre prendere atto, – e la Corte Costituzionale nella sent. Corte Cost. n. 210/2013 lo ha ben illustrato -, che esistono casi in cui rispetto ad esso debbano trovare prevalenza altri valori, di eguale dignità costituzionale, primi fra tutti quello della libertà personale (Cass. S.U., n. 18821/2014) e del principio di legalità (della pena); - lo strumento dell'art. 673 ben si attaglia a tali interventi in quanto il dato letterale che lo connota non prevede, – a differenza di altre situazioni del medesimo tipo (artt. 671 e 675) -, “limitazioni ai poteri di accertamento e valutazione del giudice dell'esecuzione”. Il precipitato di tutte le premesse sin qui svolte è che l'intervento del giudice dell'esecuzione può legittimamente svilupparsi laddove il giudice della cognizione non sia incorso in un “errore valutativo”, – ad esempio, dissentendo motivatamente dall'interpretazione della pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 16453/2011) in merito all'effetto parzialmente abrogativo dell'art. 1, comma 22, lett. h), della l. n. 94/2009 sull'art. 6, comma 3, d.lgs. 286/1998 T.U. immigr. nel qual caso può provvedersi alla “correzione” della condanna solo con i mezzi di impugnazione -, bensì abbia, invece, condannato (nel caso preso in esame, lo straniero irregolarmente soggiornante in Italia dopo l'entrata in vigore della l. n. 94/2009), in forza di un “errore percettivo”, cioè “senza porsi il problema dell'applicabilità della norma incriminatrice”. E' quest'ultima situazione, – “che determina la condanna successiva all'abrogazione (per via legislativa) della norma incriminatrice” –, che legittima l'intervento del giudice dell'esecuzione essendo stato palesemente violato sia il principio di tutela della libertà personale che quello di legalità (della pena), e ciò anche in forza della giurisprudenza sovranazionale sviluppatasi in merito al primo comma dell'art. 7 CEDU, “non potendo accettarsi l'applicazione di una pena avulsa dal sistema”. Le conseguenze dell’interventoIl giudice dell'esecuzione deve assumere tutti i provvedimenti conseguenti all'abolizione del reato, tra cui la sospensione condizionale della pena, ad eccezione di quelli che si pongano in contrasto con un giudicato diverso da quello revocato (Cass. I, n. 33817/2014), e la valutazione deve fondarsi sugli elementi disponibili al momento della deliberazione (Cass. S.U., n. 4687/2006; Cass. I, n. 40334/2008). A differenza di quanto accade per le fattispecie depenalizzate (d.lg. n. 8/2016) per quelle abrogate ex d.lg. n. 7/2016 e trasformate in illeciti civili -, secondo il recente intervento delle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 46688/2016) -, occorrerà distinguere tra le sentenze di condanna non ancora in giudicato, per le quali il giudice dell’impugnazione nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato dovrà anche revocare i capi della sentenza riguardanti gli interessi civili da quelle già in giudicato in relazione alle quali il giudice dell’esecuzione nel revocare, con la medesima formula, la sentenza di condanna o il decreto penale irrevocabili non modificherà le disposizioni ed i capi che riguardano gli interessi civili (Cass. I, n. 21102/2018). Abolizione e continuazione Nel caso in cui l'abolizione riguardi un reato unificato in continuazione con altri reati, il giudice dell'esecuzione è tenuto a rideterminare la pena conseguente alla revoca della sentenza di condanna. In tal caso, se sia stato abolito il reato più grave, il giudice dell'esecuzione dovrà rideterminare la pena per i reati satellite che recuperano la propria autonomia sanzionatoria – (Cass., V, n. 8453/2020); se sia stato abolito uno dei reati satellite, dovrà sottrarre la quota di pena inflitta in relazione ad esso dalla pena risultante dalla pregressa unificazione (Cass. I, n. 18872/2007), e l'operazione può essere eseguita anche per la prima volta dalla Corte di cassazione (Cass. I, n. 7857/2015). L'abolizione di norma diversa dalla norma incriminatriceL'ipotesi di illegalità della pena ricorre anche nel caso in cui, dopo l'irrevocabilità della sentenza, venga abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima una norma, diversa dalla norma incriminatrice, che abbia inciso in senso sfavorevole al condannato sul trattamento sanzionatorio non ancora interamente eseguito (Cass. S.U., n. 42858/2014; Cass. I, n. 32913/2015), nel qual caso il giudice dell'esecuzione deve rescindere il giudicato e rideterminare la pena escludendo l'incidenza della norma soppressa (Cass. S.U., n. 42858/2014; Cass. S.U., n. 18821/2014; Cass. I, n. 5973/2014), all'uopo svolgendo ogni necessaria valutazione che non contrasti con le altre valutazioni di merito contenute nella motivazione sentenza (Cass. S.U., n. 42858/2014; Cass. I, n. 52981/2014), anche se si tratti di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, nel qual caso deve verificarsi se sussista nuovo accordo tra le parti prima di procedere alla rideterminazione ai sensi dell'art. 133 c.p. (Cass. S.U., n. 37107/2015), e la rideterminazione della pena deve essere eseguita in base alla legge più favorevole sopravvenuta (Cass. S.U., n. 46653/2015), sebbene il principio non sia pacifico (Cass. S.U., n. 42858/2014), anche se la pena originariamente inflitta rientri nei nuovi e più favorevoli limiti edittali (Cass. S.U., n. 33040/2015; Cass. III, n. 36357/2015). Tuttavia nulla vieta che, in base a tale nuova valutazione, sia inflitta la medesima pena originariamente irrogata (Cass. III, n. 43594/2015). Altrettanto dicasi nel caso in cui la sopravvenuta illegalità della pena dipenda da una sentenza della Corte Edu (Cass. I, n. 34158/2014; Cass. I, n. 15748/2014). Il procedimentoSe non ricorre una ipotesi di inammissibilità, l'ordinanza di revoca della sentenza va assunta all'esito di procedimento in contraddittorio ai sensi dell'art. 666, a pena di nullità assoluta (Cass. I, n. 42900/2013), che tuttavia non ricorre se siano state pretermesse le sole parti civili (Cass. V, n. 28701/2005). CasisticaIl delitto di appropriazione indebita aggravato divenuto procedibile a querela a seguito del decreto legislativo n. 36/2018 non è revocabile – pur in assenza della condizione di procedibilità – in quanto la stessa non è elemento costitutivo della fattispecie – (Cass., I, n. 1628/2020). In tema di legittima difesa domiciliare - introdotta dalla legge n. 36/2019 a mezzo dell’art. 52, comma quarto, c.p. – il giudice dell’esecuzione ha il potere di verificare, - allegati dall’istante -, la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione retroattiva della scriminante ex art. 2, comma 2, c.p. ma non quello di revocare la sentenza di condanna ex art. 673 c.p.p. non versandosi né in ipotesi di “abolitio criminis” né di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice – (Cass., I, n. 14161/2020). BibliografiaCordero, Procedura penale, Milano, 2012; Vicoli, Il giudice dell'esecuzione, in Caprioli-Vicoli, Procedura penale dell'esecuzione, Torino, 2011. |