Codice di Procedura Penale art. 696 - Prevalenza del diritto dell'Unione europea, delle convenzioni e del diritto internazionale generale 1Prevalenza del diritto dell'Unione europea, delle convenzioni e del diritto internazionale generale 1 1. Nei rapporti con gli Stati membri dell'Unione europea le estradizioni, le domande di assistenza giudiziaria internazionali, gli effetti delle sentenze penali straniere, l'esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane e gli altri rapporti con le autorità straniere, relativi all'amministrazione della giustizia in materia penale, sono disciplinati dalle norme del Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché dagli atti normativi adottati in attuazione dei medesimi. Se tali norme mancano o non dispongono diversamente, si applicano le norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e le norme di diritto internazionale generale. 2. Nei rapporti con Stati diversi da quelli membri dell'Unione europea le estradizioni, le domande di assistenza giudiziaria internazionali, gli effetti delle sentenze penali straniere, l'esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane e gli altri rapporti con le autorità straniere, relativi all'amministrazione della giustizia in materia penale, sono disciplinati dalle norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale. 3. Se le norme indicate ai commi 1 e 2 mancano o non dispongono diversamente, si applicano le norme del presente libro. 4. Il Ministro della giustizia può, in ogni caso, non dare corso alle domande di cooperazione giudiziaria quando lo Stato richiedente non dia idonee garanzie di reciprocità.
[1] Articolo così sostituito dall'art. 2, comma 1, del d.lgs. 3 ottobre 2017, n. 149. Il testo dell'articolo, come modificato dall'art. 9 l. 5 ottobre 2001, n. 367, era il seguente: «Art. 696 (Prevalenza delle convenzioni e del diritto internazionale generale). - 1. Le estradizioni, le rogatorie internazionali, gli effetti delle sentenze penali straniere, l'esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane e gli altri rapporti con le autorità straniere, relativi all'amministrazione della giustizia in materia penale, sono disciplinati dalle norme della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959 e dalle altre norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale. - 2. Se tali norme mancano o non dispongono diversamente, si applicano le norme che seguono.» InquadramentoIl d.lgs. 3 ottobre 2017, n. 149 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 242 del 16 ottobre 2017 recante “Disposizioni di modifica del Libro XI del Codice di procedura penale in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere” , emanato in attuazione della l. n. 149/2016 che ratificava la Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000 e disponeva la delega al governo per la riforma del libro XI c.p.p. è entrato in vigore il 31 ottobre 2017. Il decreto disciplina le estradizioni, le domande di assistenza giudiziaria internazionali, gli effetti delle sentenze penali straniere, l'esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane e gli altri rapporti con le autorità straniere, relativi all'amministrazione della giustizia in materia penale. L'articolo 2 del decreto ha disposto la sostituzione integrale dell'articolo 696, rubricato “Prevalenza del diritto dell'Unione europea, delle convenzioni e del diritto internazionale generale”. Le disposizioni del Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché gli atti normativi adottati in attuazione dei medesimi divengono la base normativa che disciplina i rapporti con gli Stati membri dell'Unione europea le estradizioni, le domande di assistenza giudiziaria internazionali, gli effetti delle sentenze penali straniere, l'esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane e gli altri rapporti con le autorità straniere, relativi all'amministrazione della giustizia in materia penale. Nell'ipotesi in cui le norme manchino o non dispongano diversamente, si applicano le norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e le norme di diritto internazionale generale. Nei rapporti con Stati diversi da quelli membri dell'Unione europea le estradizioni, le domande di assistenza giudiziaria internazionali, gli effetti delle sentenze penali straniere, l'esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane e gli altri rapporti con le autorità straniere, relativi all'amministrazione della giustizia in materia penale, sono disciplinati dalle norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale. Se le norme indicate ai commi 1 e 2 mancano o non dispongono diversamente, si applicano le norme del libro XI, che assumono dunque un carattere sussidiario all’interno del sistema della cooperazione. . Il Ministro della giustizia può, in ogni caso, non dare corso alle domande di cooperazione giudiziaria quando lo Stato richiedente non dia idonee garanzie di reciprocità.». Vista la possibilità di cooperazione giudiziaria tra le Autorità giudiziaria di Paesi diversi all’interno dell’Unione Europea, deve ritenersi che questa facoltà riconosciuta al Ministro possa trovare applicazione soprattutto all’interno dei rapporti tra con Stati diversi da quelli dell’Unione. Ciò è stato possibile attraverso la progressiva attenuazione del principio di territorialità della legge penale nel suo duplice aspetto di cogenza per tutti coloro che si trovavano all'interno dei confini statali e nella esclusiva attribuzione del potere giurisdizionale agli organi statali del luogo ove il reato era stato commesso. La disposizione generale dell’art. 696 stabilisce dunque la prevalenza delle norme delle Convenzioni internazionali e di quelle di diritto internazionale rispetto alle disposizioni del codice. Applicazione della norma codicisticaCon il nuovo art. 696 si è inteso rendere esplicita la gerarchia delle fonti che disciplinano i rapporti giurisdizionali con autorità straniere. Le norme del codice, in quanto puramente interne, si applicano infatti soltanto negli spazi in ordine ai quali lo Stato non è impegnato al rispetto delle regole di diritto internazionale. Nei rapporti con Stati diversi da quelli membri dell'Unione europea le estradizioni, le domande di assistenza giudiziaria internazionali, gli effetti delle sentenze penali straniere, l'esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane e gli altri rapporti con le autorità straniere, relativi all'amministrazione della giustizia in materia penale, sono disciplinati dalle norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale. Se le norme indicate ai commi 1 e 2 mancano o non dispongono diversamente, si applicano le norme del libro XI (vedi Corte cost. n. 58/1997). La Corte di cassazione con riferimento all'applicazione del principio di specialità previsto dall'art. 14, § 1, della Convenzione europea di estradizione e della sua riferibilità alle misure di prevenzione personali, ha affermato che l'art. 696 operando un collegamento tra la norma pattizia e il diritto interno, attribuisce all'estradato un vero e proprio diritto soggettivo all'osservanza delle norme convenzionali (Cass. S.U., n. 10281/2007). Nello stesso senso in dottrina v. Amoroso, 305. Le fonti e le norme del diritto internazionaleL'art. 696 per disegnare le fonti del diritto internazionale richiama espressamente le norme del Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché gli atti normativi adottati in attuazione dei medesimi. Se tali norme mancano o non dispongono diversamente, si applicano le norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e le norme di diritto internazionale generale, da individuare secondo le espressioni utilizzate nell'art. 10, comma 2, Cost. ove si fa riferimento alle norme ed ai trattati internazionali, nell'art. 10, comma 1, ove si parla di « norme del diritto internazionale generalmente riconosciute », nell'art. 72, comma 4, nell'art. 80, nell'art. 87, comma 8, nel codice penale, in cui, negli artt. 3 e 4, nell'art. 13. L'espressione convenzione internazionale equivale a trattato. Il trattato è fonte di norme internazionali particolari, che vincolano esclusivamente gli Stati contraenti. Per l'art. 3 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, il diritto internazionale non richiede che la stipula si svolga attraverso uno specifico iter e che sia adottata la forma scritta; è invece indispensabile, nell'ambito del diritto interno, che la stipulazione dei trattati sia autorizzata con legge dalle Camere, ai sensi dell'art. 80 Cost. In materia di estradizione, non esiste alcun obbligo in capo all'autorità giudiziaria di fornire alle parti gli atti relativi alle fonti normative. Il mancato deposito in favore della difesa di copia della comunicazione del Segretariato generale del Consiglio d'Europa, ex art. 30 Convenzione europea di estradizione, circa l'avvenuto deposito dello strumento di ratifica da parte dello Stato estero, non costituisce violazione del diritto di difesa (Cass. VI, 20 settembre 1994, Krol). Con la locuzione « norme di diritto internazionale generale » si fa invece riferimento alla consuetudine, ad ogni altra possibile fonte di norme generali, quali i c.d. principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili, di cui all'art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia. Per quanto riguarda l'istituto dell'estradizione non esiste un principio di diritto internazionale generale che imponga agli Stati l'obbligo di estradare (Mantovani, 937 ss.), applicandosi il principio in base al quale, quando un delinquente abbia trovato rifugio presso uno Stato estero, su questo grava l'obbligo o di estradarlo o di punirlo, secondo un principio riconosciuto di diritto internazionale (Cass. I, 14 giugno 1974, Locatelli). Il divieto di estradizione del cittadino è previsto dalla prima parte dell'art. 13, comma 4, c.p. e si collega al c.d. « diritto d'incolato » e di protezione del cittadino nei confronti dello Stato di appartenenza, cui risponde con i suoi doveri di fedeltà e di prestazione del servizio militare, oltre la necessità di valorizzare l'elemento della risocializzazione del reo, richiesta dalla funzione rieducativa della pena. Il divieto di estradizione non costituisce tuttavia un principio di diritto internazionale generale, tanto che è possibile l'estradizione del cittadino anche per reati non previsti come estradabili dalla Convenzione internazionale applicabile, qualora tale convenzione non ne faccia espresso divieto e preveda l'estradabilità del cittadino (Cass. I, 15 settembre 1972, Coppola; Cass. I, 14 giugno 1974, Zippo), poiché il fondamento dell'istituto consiste nel riconoscimento internazionale del dovere reciproco degli stati di consegnare gli imputati all'organo giudiziario della nazione che ha il maggior interesse alla punizione (Cass. IV, n. 837/1989, Frezza); pertanto poiché l'art.6, comma 2, lett. a) della Conv. europea di Parigi del 13 novembre 1957 attribuisce alle parti contraenti una mera facoltà di rifiutare l'estradizione dei propri cittadini, la nazionalità dell'estradando non può essere oggetto di valutazione in sede di procedimento giurisdizionale, e spetta all'organo politico competente per la decisione di estradizione stabilire se esercitare o meno la facoltà nel caso che l'estradando sia cittadino italiano (Cass. II, n. 33881/2019). Peraltro la Corte di cassazione, nell'ipotesi di condannato in Italia, nei cui confronti il giudice abbia negato il trasferimento nel suo paese d'origine ha affermato che nel caso di domanda di esecuzione di una sentenza di condanna a pena detentiva in uno Stato con il quale vige la Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate, alla Corte di Appello spetta solo l'accertamento delle condizioni che rendono legittimo il trasferimento ai sensi dell'art. 3 della Convenzione medesima, restando invece preclusa la valutazione sull'idoneità dell'estradizione al reinserimento sociale del condannato. In questo caso le disposizioni in tema di esecuzione all'estero di sentenze penali italiane, di cui agli artt. 742 e 743, trovano applicazione solo in assenza di norme internazionali che regolino diversamente la materia (Cass., VI, n. 44089/2014, con nota Piras). In tema di estradizione per l’estero (fattispecie in tema di estradizione per gli Stati Uniti) del cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea (fattispecie in tema di estradizione di un cittadino francese), sussiste per lo Stato membro richiesto dell’estradizione (fattispecie in tema di estradizione richiesta all’Italia) l’obbligo di informare lo Stato membro di cittadinanza nell’ipotesi in cui esclusivamente il diritto nazionale di tale Stato preveda la cittadinanza quale causa ostativa alla consegna, in applicazione del meccanismo di notifica previsto dalla sentenza della CGUE 06/09/2016, Petruhhin, per consentire allo Stato membro di cui l’estradando è cittadino di chiedere, con mandato di arresto europeo, l’eventuale consegna al fine di esercitare l’azione penale per il medesimo fatto. (Cass. VI, ud. 16 maggio 2024, notizia di decisione). Tuttavia in tema di esecuzione all'estero di sentenze di condanna a pena restrittiva della libertà personale, è stato ritenuto che non può essere disposta l'esecuzione in Albania della condanna inflitta in Italia quando il residuo di pena da espiare sia stato convertito nella misura alternativa dell'espulsione dal territorio dello Stato ai sensi dell'art. 16, comma 5, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286. L'art. 3 dell'Accordo stipulato tra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Albania il 24 aprile 2002, lì dove prevede che possa prescindersi dal consenso del soggetto quando la condanna comporti una misura di espulsione dallo Stato di condanna, o il riaccompagnamento alla frontiera, si riferisce alle ipotesi in cui la misura di allontanamento sia successiva alla scarcerazione e si aggiunga alla condanna, non invece a quella in cui costituisca sanzione sostitutiva di quella detentiva ( Cass. VI, n. 420562021). In tema di rogatoria internazionale, è stata invece ritenuta norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta quella secondo cui l'esercizio della giurisdizione, in quanto manifestazione della sovranità nazionale, non può varcare i confini territoriali di ciascun Stato, sicché un provvedimento giurisdizionale, per esistere giuridicamente e spiegare efficacia sul territorio di un determinato Stato, non può che essere adottato dall'autorità giudiziaria che ad esso appartiene. Tuttavia anche la richiesta di assistenza giudiziaria all'estero per l'esecuzione di un sequestro probatorio, in quanto presuppone un provvedimento sia pure implicito, dell'Autorità giudiziaria italiana, è impugnabile mediante istanza di riesame dinanzi a quest'ultima, unica competente a valutare la sussistenza delle condizioni legittimanti l'adozione e il mantenimento della misura, salvo gli eventuali ulteriori rimedi esperibili secondo le regole stabilite dall'ordinamento dello Stato richiesto dell'assistenza (Cass. S.U., n. 21420/2003). In dottrina v. Calvanese, Diotallevi, e Primicerio, in Riesaminabilità del decreto di sequestro eseguito per rogatoria all'estero, in Cass. pen. 2003, 845. La giurisprudenza aveva inizialmente ritenuto che secondo la Convenzione europea di estradizione firmata a Parigi il 13 dicembre 1957 il principio del ne bis in idem valesse solo quando l'estradando è stato processato con sentenza irrevocabile nello Stato richiesto e che quindi tale principio non potesse essere invocato con riferimento alla riapertura delle indagini nello Stato richiedente (Cass. VI, 11 luglio 1994, Hans Willy Haaf). Tuttavia la l. n. 69/2005, di applicazione del mandato d'arresto europeo, attraverso la disciplina della procedura passiva di consegna, ha introdotto uno specifico motivo di rifiuto obbligatorio della consegna del ricercato, nell'ipotesi in cui all'Autorità giudiziaria di esecuzione risulti che la persona sia stata già giudicata per gli stessi fatti, in un altro Stato membro (v. art. 18 lett. m), in attuazione dell'art. 3, § 2, della decisione-quadro). Nell'ipotesi in cui il giudicato sia stato emesso da un'Autorità giudiziaria di uno Stato terzo, la consegna può essere facoltativamente rifiutata. Anche la Corte di giustizia è stata chiamata ad interpretare il principio del ne bis in idem , sancito dall'art. 54 della Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen, con riferimento alla nozione di « medesimi fatti », relativi ad una fattispecie di trasporto illegale di sostanze stupefacenti da un paese all'altro ha stabilito che il criterio pertinente, ai fini dell'applicazione dell'art. 54, è quello dell'identità dei fatti materiali, inteso come esistenza di un insieme di fatti inscindibilmente collegati tra loro, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica o dell'interesse pubblico tutelato, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dei fatti medesimi, mentre non assume rilievo l'esistenza tra gli stessi di un nesso meramente soggettivo costituito dall'unitarietà del disegno criminoso (Cass. VI, n.44519/2019) . La Corte di giustizia ha stabilito che il criterio pertinente, ai fini dell'applicazione dell'art. 54 citato, è quello dell'identità dei fatti materiali, inteso come esistenza di un insieme di fatti inscindibilmente collegati tra loro, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica o dell'interesse pubblico tutelato e che i fatti punibili consistenti nell'importazione e nell'esportazione degli stessi stupefacenti e perseguiti in diversi Stati contraenti di tale convenzione devono in via di principio essere considerati come i medesimi fatti ai sensi dell'art. 54, sebbene la valutazione definitiva in proposito spetti ai giudici nazionali competenti. Secondo la Corte, poi, per stabilire la data dalla quale il principio del ne bis in idem è vigente tra gli Stati membri non rileva il momento in cui è stata pronunciata la prima condanna, ma il momento in cui devono essere valutati i presupposti per la sua applicazione da parte del giudice adito per secondo (Corte giustizia UE, 9 marzo 2006, Leopold Henri Van Esbroek). Il principio del ne bis in idem internazionale può operare anche nel caso in cui, sullo stesso fatto e nei confronti dello steso soggetto, sia intervenuta una pronuncia di archiviazione dell'Autorità giudiziaria estera, a condizione però che il soggetto interessato adempia all'onere di dimostrare che con il provvedimento di archiviazione è stato compiuto un apprezzamento nel merito circa l'infondatezza della notizia di reato, con conseguente giudizio di non colpevolezza, suscettibile di passaggio in cosa giudicata e di esplicare pertanto un'efficacia preclusiva all'instaurazione di altro giudizio (Cass. II, , n. 4115/2014; Cass. II, n. 7385/2007), quando cioè tale provvedimento sia stato adottato da un organo che partecipi dell'amministrazione della giustizia nell'ordinamento nazionale di riferimento, sia competente ad accertare, ed eventualmente a punire, il comportamento illecito sulla base delle prove raccolte, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, e l'azione penale si sia definitivamente estinta. (Cass. VI n. 27384/2022). L'eccezione non può essere sollevata per la prima volta davanti alla Corte di cassazione, in base alla competenza funzionale di legittimità ad essa attribuita; pur se non fatta valere nel giudizio di cognizione, può essere presentata per la prima volta anche in sede esecutiva (Cass. I, n. 10426/2005). In base all'art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 della CEDU, la Corte europea ha constatato la violazione dell'art. 4 del Protocollo n. 7, condannando la Bulgaria per avere giudicato il ricorrente due volte, con procedimento penale ed amministrativo, per lo stesso reato, la stessa condotta e gli stessi fatti (Corte Edu 14 gennaio 2010, Tsonev c. Bulgaria; v. anche Corte Edu, Grande camera, 10 febbraio 2009, Zolotuchin c. Russia). E' possibile rifiutare l'estradizione per motivi politici, anche nel caso in cui il trattato non preveda espressamente la possibilità di formulare il rifiuto; in questo senso la persecuzione politica mascherata sotto forma di esercizio dell'azione penale per un delitto di diritto comune, costituisce, ai sensi degli artt. 3 e 13 Cost. e 5 e 14 della CEDU, una causa di rigetto obbligatorio di una domanda di estradizione. La giurisprudenza ha previsto per l'estradando l'onere di allegare elementi e circostanze idonei a fondare il timore che l'estradizione di per sé, ovvero il trattamento cui la persona si troverà esposta dopo la consegna allo Stato richiedente, configuri la violazione di uno dei diritti fondamentali della persona umana (Cass. VI, 27 settembre 1995, Celik). (v. amplius infra e sub art. 698). Il divieto del ne bis in idem internazionale, non può derivare da un provvedimento non equiparabile a una sentenza definitiva, come un decreto di archiviazione dell'autorità giudiziaria tedesca (Cass. I, 10426/2005). La l. n. 69/2005, di applicazione del mandato d'arresto europeo, attraverso la disciplina della procedura passiva di consegna, ha introdotto uno specifico motivo di rifiuto obbligatorio della consegna del ricercato, nell'ipotesi in cui all'Autorità giudiziaria di esecuzione risulti che la persona sia stata già giudicata per gli stessi fatti, in un altro Stato membro (v. art. 18 lett. m), in attuazione dell'art. 3, § 2, della decisione-quadro). Tuttavia La Corte di Giustizia dell'Unione europea, adita in via pregiudiziale ex art. 177 Trattato Cee [ora art. 267 Tfue — ex art. 234 Tce], ha fornito un'interpretazione autentica della disposizione contenuta nell'art. 54 della Convenzione applicativa, affermando che il divieto del bis in idem si applica anche in caso di procedure di estinzione dell'azione penale, di natura sostanzialmente « transattiva », come il nostro patteggiamento o il procedimento di oblazione, e solo formalmente di « archiviazione (Corte giustizia UE , 11 febbraio 2003, cause riunite C-187/01 e C-385/01; Corte giustizia UE , 30 marzo 2004, C-493/04). Il principio di reciprocità non costituisce una norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta. Nel caso in cui esistano convenzioni internazionali che regolino l'estradizione è solo al contenuto delle clausole in esse inserite che occorre fare riferimento per stabilire presupposti e limiti dell'estradizione. In sostanza ciò che orienta la soluzione nei confronti del Paese richiedente è sostanzialmente la presenza di un obbligo di reciprocità. In Italia, con riferimento ai cittadini stranieri, è generalmente ritenuta ammissibile l'estradizione in assenza di trattato, senza che sussista la necessità della vigenza della clausola di reciprocità, in base alla previsione degli artt. 13 Cost. e 705. Inoltre, « il fatto che l'estradizione di uno straniero possa essere vietata dalla legislazione interna non dovrebbe impedire la sua espulsione con la procedura legale, in quanto spetta a ciascuno Stato coordinare le proprie disposizioni interne sull'estradizione e l'espulsione. E' stato affermato che l'espulsione verso l'Italia da parte di un altro Stato (nella specie gli Stati Uniti d'America) non pone limiti all'esercizio dell'azione penale in Italia né rende applicabili i principi valevoli in materia di estradizione, non essendo ciò previsto né da norme internazionali generalmente riconosciute né da altre norme recepite nel nostro ordinamento, per il quale unico dato rilevante è il disinteresse dello Stato straniero per la sorte dell'espulso; l'espulsione, tronca ogni rapporto di ospitalità o di residenza con lo Stato espellente, che dimostra di non avere più ragione di proteggere l'espulso (Cass. VI, 8 maggio 1993, Palazzolo; v. anche sub art. 699). Le più recenti decisioni della Cedu hanno affermato che l'esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il Paese di origine costituisce violazione dell'art. 3 della Convenzione, quando vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio effettivo che l'individuo subisca trattamenti inumani o degradanti nel paese d'origine e la mancata ottemperanza alla richiesta di sospensione cautelare del provvedimento avanzata dalla Corte in virtù dell'art. 39 Reg. costituisce violazione dell'art. 34. (Corte Edu, 13 aprile 2010, Trabelsi c. Italia; v. sul punto anche Corte Edu , 28 febbraio 2008, Saadi c. Italia (ricorso n. 37201/06). Perciò gli Stati, nel valutare l'eventualità dell'adozione di un provvedimento di espulsione, non possono mettere in bilanciamento il rischio che il soggetto da espellere sia sottoposto a trattamenti disumani e degradanti nel Paese di destinazione con la pericolosità sociale del medesimo individuo. In merito alla richiesta di sospensione cautelare la Corte ha riaffermato il principio secondo cui l'inottemperanza dello Stato alla richiesta di misure provvisorie ex art. 39 del Reg. CEDU determina la violazione dell'art. 34 della Convenzione, dovendo considerarsi come una circostanza che impedisce alla Corte di esaminare efficacemente le ragioni del ricorrente (v. Corte Edu, 4 febbraio 2005 Mamatkoulov e Askarov c. Turchia). Peraltro in materia di estradizione, qualora il procedimento penale in Italia per lo stesso fatto sia stato archiviato per mancanza di querela non ricorre alcuna preclusione alla sentenza favorevole all'estradizione, in quanto il decreto di archiviazione si limita a prendere atto che l'azione penale non può essere promossa in Italia (Cass. VI, n. 27853/2005). La mancanza di querela non impedisce l'estradizione per l'estero per il reato di truffa, perché la Conv.Eur.Estr. del 13 dicembre 1957, non prevede tra le condizioni richieste il controllo sui presupposti per la procedibilità del reato (Cass. VI, n. 7975/2020). L'avvenuta prescrizione del reato è causa ostativa all'accoglimento della domanda, secondo la legislazione della parte richiedente o della parte richiesta (ex art. 10 legge 30 gennaio 1963, n. 300), unicamente nell'ambito delle cd. estradizioni processuali, relative cioè all'esercizio dell'azione penale o comunque a un procedimento in corso di svolgimento, non ancora esaurito con sentenza definitiva, e non anche nell'ambito delle estradizioni avviate per finalità di esecuzione penale (cd. esecutive) ( Cass., VI, n. 41992/2019). In dottrina v. Ponti , 10. Il rapporto tra norme di diritto internazionale generale e norme convenzionaliIl rapporto tra norme di diritto internazionale generale e norme convenzionali, aventi per ciò natura di norme particolari, deve essere risolto in base al principio di specialità. Tra le fonti di norme internazionali non esiste infatti una rigida gerarchia, per cui le possibili contraddizioni vanno risolte facendo prevalere le norme convenzionali su quelle generali, in considerazione del fatto che le prime vincolano solo gli Stati contraenti e le seconde hanno comunque un carattere flessibile. Tuttavia vi sono norme consuetudinarie, quali regole umanitarie che sanciscono il divieto della schiavitù e della discriminazione razziale, insuscettibili di deroga in forza di convenzioni (v. Risoluzione Onu 14 dicembre 1990; Consiglio d'Europa, Raccomandazione 950 del 1982 del Comitato dei Ministri). L' art. 3 d.lgs. 149/2017 riconfigura i “principi generali del mutuo riconoscimento delle decisioni e dei provvedimenti fra Stati membri dell'Unione europea”. Al Libro XI, del c.p.p.dopo il titolo I, è stato inserito il «Titolo I-bis”, che con il nuovo articolo 696-bis (v. sub art. 696-bis) ha riconfigurato la normativa applicabile con riferimento al “Principio del mutuo riconoscimento”, che adesso è disciplinato dalle norme del Titoli 1 bis e dalle altre disposizioni di legge attuative del diritto dell'Unione europea. Le decisioni e i provvedimenti giudiziari emessi dalle competenti autorità degli altri Stati membri potranno essere riconosciuti ed eseguiti nel territorio dello Stato, mentre l'autorità giudiziaria potrà richiedere alle competenti autorità degli altri Stati membri l'esecuzione dei propri provvedimenti e decisioni. In base all'art. 696-ter (v. sub art. 696-ter) che concerne la “Tutela dei diritti fondamentali della persona nel mutuo riconoscimento” l'autorità giudiziaria potrà provvedere al riconoscimento e all'esecuzione se non sussistono fondate ragioni per ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti che configurano una grave violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato, dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dall'art. 6 del Trattato sull'Unione europea o dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Sono stati ritenuti sindacabili gli aspetti processuali del procedimento di estradizione, come la c.d. clausola di non discriminazione, il principio di specialità, la garanzia relativa all'impossibilità di irrogare la pena di morte, la possibilità di essere tratti in giudizio di fronte ad un tribunale speciale, l'applicazione di trattamenti inumani e degradanti, l'esercizio del potere di restrizione della libertà personale, in particolare sotto il profilo dell'art. 5 della Convenzione (Corte Edu , 12 maggio 2005, Ocalan c. Turchia, §§ 83-90). Per la Corte Edu anche la detenzione a fini estradizionali va esaminata con riferimento all'art. 5, § 1, della Convenzione, il quale tutela la libertà fisica della persona e mira ad assicurare che nessuno ne sia privato in maniera arbitraria (si veda Corte Edu, 22 marzo 1995, Quinn c. Francia, § 47; Corte Edu, 6 marzo 2001, Dougoz c. Grèce, § 54). L'art. 5 legittima la detenzione quando la privazione della libertà sia avvenuta « secondo le vie legali ». La previsione « secondo le vie legali » rimanda alle prescrizioni imposte dal diritto nazionale e, secondo la Corte Edu incombe innanzitutto all'Autorità giudiziaria dello Stato interpretare ed applicare la legislazione nazionale; tuttavia deve riconoscersi una sfera di competenza anche alla Corte Edu nella detenzione a fini extradizionali se la violazione del diritto nazionale si ripercuota sulla violazione dei diritti umani (v. Corte Edu, 28 marzo 2000, Baranowsky, §§ 50-5) ; si veda per l'insussistenza della violazione dell'art. 5 § 1 della CEDU (Corte Edu, 6 settembre 2005, Magnac c. Francia). Tuttavia l'estradizione da parte di uno Stato può sollevare un problema rilevante ai sensi dell'art. 3 della CEDU (divieto di tortura e di pene o di trattamenti inumani o degradanti) se vi sono motivi seri ed accertati, che permettano di credere che la persona, una volta estradata, possa subire nel paese di destinazione un trattamento contrario alle disposizioni dell'art. 3 come nell'ipotesi della prolungata permanenza del condannato alla pena capitale nel c.d. « corridoio della morte » e ancora, più recentemente, con la riaffermazione del divieto di trasferimento di detenuti verso Paesi che applicano la pena di morte. Infatti non è consentito agli Stati parte di sottoscrivere accordi internazionali che comportino la violazione di obbligazioni nascenti dalla CEDU, specialmente quando si tratti della pena di morte o di altra grave ed irreversibile offesa (Corte Edu, 2 marzo 2010, Al-Saadoon e Mufdhi c. U.K.); l'estradizione è stata sanzionata come violazione dell'art. 3 della Convenzione, nell'ipotesi in cui fonti affidabili (l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d'America e il Comitato delle Nazioni Unite contro la Tortura) hanno riferito che la situazione complessiva dei diritti dell'uomo in Colombia non fosse confortante (v. anche Corte Edu, 1° aprile 2010, Klein c. Russia). La Corte Edu ha dichiarato i respingimenti collettivi verso la Libia operati nel maggio 2009 contrari agli artt. 3, 4, prot. 4, e 13 della CEDU (Corte Edu, Grande Chambre, 23 febbraio 2012, Hirsi Jamaa c. Italia). Nel merito la Corte ha ritenuto che sia stato violato l'art. 3 CEDU perché i ricorrenti sono stati riaccompagnati in Libia, benché fosse noto che in tale Paese essi erano esposti al concreto rischio di subire trattamenti contrari alla Convenzione, in violazione dunque del principio di non-refoulement (§§ 85-138), e perché i ricorrenti, in seguito al loro riaccompagnamento in Libia, correvano il rischio di essere rimpatriati in Somalia o in Eritrea, dove sarebbero stati con ogni probabilità sottoposti a trattamenti anch'essi contrari alla Convenzione in violazione anche dell'art. 4 del protocollo n. 4 che vieta i respingimenti collettivi, applicabile anche alle ipotesi di respingimento in mare. Altri profili hanno riguardato il diritto ad essere informati delle ragioni dell'arresto in una lingua conosciuta e ad essere portati prontamente di fronte ad un giudice nonché il tempo relativo alla privazione della libertà personale (v. anche Corte Edu, 22 marzo 1995, Quinn c. Francia).Da ultimo, in materia di MAE, la Corte di giustizia ha affermato che, se l'autorità giudiziaria dello Stato d'esecuzione dispone di elementi che attestano un rischio reale di trattamenti inumani o degradanti per le persone detenute in uno Stato membro, è tenuta a valutare l'esistenza di questo rischio quando deve decidere sulla consegna alle autorità di tale Stato della persona oggetto di un mandato d'arresto europeo. Diversamente, l'esecuzione del MAE si tradurrebbe in un trattamento inumano o degradante per la persona consegna (Corte giust. UE, grande camera, sent. 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu, cause C-404/15 e C-659/15 PPU; in Dir. pen. e proc., 2016, con nota di A. MARTUFI, La Corte di Giustizia al crocevia tra effettività del mandato d'arresto e inviolabilità dei diritti fondamentali; v. anche Corte giust. UE, 25 luglio 2018, C-220/18, ML.) Con il d.lgs. 15 dicembre 2015 n. 212, pubblicato sulla G.U. del 5 gennaio 2016 n. 3, l'Italia ha dato attuazione alla direttiva 2012/29/UE in tema di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. La fonte europea stabilisce norme minime che assicurino alle vittime di reato adeguati livelli di tutela e assistenza, sia nelle fasi di accesso e partecipazione al procedimento penale, sia al di fuori e indipendentemente da esso. Occorre sottolineare che la Corte UE, sentenza 13 settembre 2005, causa C-176/03, Commissione c. Consiglio, ha affermato che pur non avendo la Comunità europea in via generale competenza in materia penale, è consentito al legislatore comunitario, allorché l'applicazione di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive da parte delle competenti autorità nazionali costituisca una « misura indispensabile di lotta contro violazioni ambientali gravi », di adottare provvedimenti in relazione al diritto penale degli Stati membri, ritenuti necessari a garantire la piena efficacia delle norme comunitarie (nella specie in materia di tutela dell'ambiente). Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona e l'abolizione della previsione dei tre pilastri comunitari per la definizione delle competenze la base giuridica per obbligare gli Stati membri a tutelare in generale il diritto comunitario attraverso sanzioni penali e per determinare il tipo di condotta da sanzionare penalmente e per indicare le fattispecie che devono essere considerate reati, si è ampliata nell'ottica della progressiva armonizzazione dei reati e delle sanzioni penali. Tre sono le direttive che contrassegnano in modo specifico questo percorso di avvicinamento tra i vari ordinamenti: la Direttiva 2010/64/UE del 20 ottobre 2010 sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali. Il d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32, ha dato attuazione alla Direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio; la Direttiva 2012/13/UE del 22 maggio 2012 sul diritto all'informazione nei procedimenti penali, la Direttiva 2013/48/UE del 22 ottobre 2013, relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari. Inoltre la l. n. 67/2014, riprendendo la formulazione di altro disegno di legge presentato durante la precedente legislatura, recepito alcune delle criticità segnalate e disciplina il processo “in assenza” dell'imputato, introducendo “la sospensione del procedimento nei confronti degli imputati irreperibili”. In materia di cooperazione con la recente Direttiva 2014/41/UE del 3 aprile 2014 (in Guue, 1° maggio 2014, L 130/1), relativa all'ordine europeo di indagine penale ( Oei ), le istituzioni europee hanno elaborato uno strumento che appare dotato di nuove e molteplici potenzialità, poiché, ispirandosi al principio del mutuo riconoscimento, è il frutto di «una nuova impostazione» che intende realizzare un «sistema globale di acquisizione delle prove nelle fattispecie aventi dimensione transfrontaliera», tale da sostituire «tutti gli strumenti esistenti nel settore» e da potersi utilizzare per «tutti i tipi di prove» con precise e rapide modalità di esecuzione e con circoscritti motivi di rifiuto (considerando n. 6). L' Oei ha sostituito le rogatorie nella raccolta transnazionale delle prove nel contesto dell'Unione , modificando le corrispondenti previsioni della CEAG in materia penale del Consiglio d'Europa del 1959, della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 1990, della convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale dell'Unione del 2000 (recepita dal d.lgs. 5 aprile 2017, n. 52), e della decisione-quadro 2003/577 sul sequestro probatorio. La decisione-quadro 2008/978 sul mandato europeo di ricerca delle prove è stata abrogata dal regolamento n. 95/2016 del Parlamento Europeo e del Consiglio. Le rogatorie restano in vigore nei rapporti fra l'Italia e gli Stati dell'Unione che non hanno aderito alla direttiva , cioè la Danimarca e l'Irlanda (e ora anche il Regno Unito). Continuano ad operare poi nei rapporti fra l'Italia e gli Stati che non appartengono all'Unione, come l'Islanda e la Norvegia. Conseguentemente le disposizioni introdotte con il d.lgs. n. 52/2017 recante norme di attuazione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea e del 29 maggio 2000, continuerà ad essere efficace in maniera residuale, per il sistema delle rogatorie che continua a disciplinare le richieste di assistenza relative ai settori non specificamente disciplinati dall'O.I.E. e per gli stati sopra indicati. Con la Decisione (UE) 2020/135 del Consiglio in data 30 gennaio 2020, relativa alla conclusione dell'accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall'Unione europea e dalla Comunità europea dell'energia atomica, dal 1° febbraio, data di entrata in vigore dell'Accordo sul Recesso, e sino alla fine del “periodo di transizione”, che, ai sensi dell'art. 126 dell'Accordo, è terminato il 31 dicembre 2020, le relazioni in materia di cooperazione giudiziaria tra le autorità giudiziarie italiane e quelle del Regno Unito sono rimaste sostanzialmente invariate. In relazione all'O.E.I., continuerà a trovare applicazione la Direttiva 2014/41/UE per gli ordini ricevuti prima della fine del periodo di transizione dall'autorità centrale o dall'autorità di esecuzione. Le modalità di adattamento del diritto italiano al diritto internazionale generale e particolareTre sono le direttive che contrassegnano in modo specifico il percorso di avvicinamento tra i vari ordinamenti: la Direttiva 2010/64/UE del 20 ottobre 2010 sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali; il d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32, ha dato attuazione alla direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio; la Direttiva 2012/13/UE del 22 maggio 2012 sul diritto all'informazione nei procedimenti penali, la Direttiva 2013/48/UE del 22 ottobre 2013, relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del M.A.E., al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari. Inoltre la l. n. 67/2014 ha disciplinato il processo “in assenza” dell'imputato, introducendo “la sospensione del procedimento nei confronti degli imputati irreperibili”. Le norme internazionali vengono introdotte nell'ordinamento italiano attraverso un procedimento speciale che si concretizza nell'ordine, impartito dal legislatore, di osservare un gruppo o un'intera categoria di norme, a seconda se lo stesso si rivolga a norme di natura convenzionale o a norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. In quest'ultimo caso, infatti, opera l'art. 10, comma 1, Cost., il quale prevede un meccanismo di adeguamento automatico delle norme del diritto interno a quelle del diritto internazionale generalmente riconosciute. Tale procedimento incontra l'unico limite dell'ordine pubblico costituzionale, in base al quale devono essere sempre comunque salvaguardati i valori fondamentali, che ispirano la nostra Costituzione (v. Corte cost. n. 31/1971; Corte cost. n. 223/1996). Il procedimento di adattamento delle norme convenzionali si realizza invece mediante il c.d. ordine di esecuzione, impartito dal legislatore, in relazione allo specifico trattato, contenuto di solito nella stessa legge con la quale viene autorizzata la ratifica del trattato medesimo. La mancata adozione delle norme di adattamento necessarie a dare efficacia a convenzioni internazionali, non comporta violazione dell'art.10, c. 1, Cost., né di altri principi e precetti costituzionali, ma produce esclusivamente l'effetto di lasciare la normativa immutata a causa dell'inoperatività totale del trattato all'interno dello Stato italiano (Corte cost. n. 69/1976). I precetti costituzionali rappresentano un limite alle norme pattizie, come è evidenziato, in modo specifico per l'estradizione, negli artt. 10 comma 4 e 26 Cost. in relazione all'estradizione dello straniero per reati politici e all'estradizione del cittadino. Per molte Convenzioni bilaterali anteriori alla Costituzione tuttora vigenti tra lo Stato italiano ed altri Stati, la Corte costituzionale ha affermato, in linea generale, la propria competenza a sindacare la legittimità anche sostanziale delle norme anteriori alla Costituzione e, in particolare, delle norme interne di esecuzione o di adattamento di trattati, quando esse siano lesive di situazioni giuridiche tutelate dalla Costituzione (Corte cost. n. 1/1956; Corte cost. n. 20/1966; Corte cost. n. 54/1979; Corte cost. n. 132/1985; Corte cost. n. 210/1986; Corte cost. n. 128/1987). In caso di trattato « non self-executing » in cui il legislatore debba integrare la disciplina convenzionale con appropriate prescrizioni, tale funzione può essere espletata anche dalle norme del libro XI del c.p.p. La sentenza Corte cost. 24 giugno 2010, n. 227, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, comma 1, lettera r), della l. 22 aprile 2005, n. 69, di attuazione della decisione quadro sul mandato di arresto europeo, limitatamente alla parte in cui non prevede il rifiuto di consegna anche del cittadino di un altro Paese membro dell'UE, che legittimamente ed effettivamente risieda o abbia dimora nel territorio italiano, ai fini dell'esecuzione della pena detentiva in Italia conformemente al diritto interno. La Corte costituzionale ha dunque ribadito che gli atti nazionali che danno attuazione ad una decisione quadro con base giuridica nel Tue, ed in particolare nell'ex terzo pilastro relativo alla cooperazione giudiziaria in materia penale, non sono sottratti alla verifica di legittimità rispetto alle conferenti norme del Trattato CE (ora Tfue), che integrano a loro volta i parametri costituzionali — artt. 11 e 117, comma 1, Cost. — che a quelle norme fanno rinvio. Nella specie il divieto in esame pur essendo in linea di principio di diretta applicazione ed efficacia, non è dotato di una portata assoluta tale da far ritenere sempre e comunque incompatibile la norma nazionale che formalmente vi contrasti, perché è consentito prevedere una limitazione alla parità di trattamento tra il proprio cittadino e il cittadino di altro Stato membro, a condizione che sia proporzionata e adeguata, come, ad esempio, nel caso della previsione di un ragionevole limite temporale al requisito della residenza del cittadino di uno Stato membro diverso da quello di esecuzione. Il processo di accelerazione delle forme di cooperazione partecipata nell'ambito europeoCon la stipula del Trattato di Maastricht, è stata istituzionalizzata la cooperazione giudiziaria penale tra gli Stati membri della Comunità nel settore della giustizia e degli affari interni; e sono state stipulate due Convenzioni sull'estradizione, una a Bruxelles il 10 marzo 1995, sulla procedura semplificata, basata sul consenso dell'estradando e la possibilità di consegna anche in forza di arresto provvisorio, e quella di Dublino del 27 settembre 1996, che semplifica le modalità per perseguire i reati politici, i reati fiscali, attenua l'operatività del regime della prescrizione, quello del principio della specialità e, per quanto riguarda i reati di associazione a delinquere e di cospirazione, fa venir meno il principio della doppia incriminabilità (art. 3). Con la stipula del Trattato di Amsterdam entrato in vigore il 1° maggio 1999, ha trovato concretezza la realizzazione di « di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in cui sia assicurata la prevenzione [...] della criminalità e la lotta contro quest'ultima », con l'adozione dell'azione comune che istituisce la procedura di « mutua valutazione » e quella che ha istituito la « rete giudiziaria europea », una rete di punti di contatto giudiziari, al fine di migliorare gli standards qualitativi della cooperazione giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'UE. La Conferenza intergovernativa sulle riforme istituzionali, all'esito dei lavori del Consiglio europeo di Nizza del 7/9 dicembre 2000, ha introdotto nel Trattato sull'Unione europea agli artt. 29 e 31la previsione dell'Ufficio di Eurojust, per rafforzare l'azione comune nel settore della cooperazione penale, in particolare per realizzare un'azione di coordinamento e di impulso investigativo, . E' stata poi la volta della Convenzione di assistenza giudiziaria penale fra gli Stati membri dell'UE firmata il 29 maggio 2000 dai quindici paesi dell'Unione europea, cui è seguito il protocollo addizionale del 16 ottobre 2001, con innovazioni utili a semplificare lo svolgimento di indagini con carattere transnazionale. È stato poi approvato il riconoscimento dell'istituto della cd. estradizione esecutiva. Da ricordare, inoltre la Decisione quadro adottata dal Consiglio dell'Unione Europea in materia di riciclaggio di denaro, individuazione, rintracciamento, congelamento sequestro e confisca degli strumenti e dei proventi di reato adottata il 26 giugno 2001, nonché la Decisione Quadro 2008/841/Gai contro la criminalità organizzata transnazionale. Questi strumenti internazionali si inseriscono in un contesto normativo in cui era già stata approvata la Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale del 2000 (c.d. Convenzione di Palermo) ed adottata la Decisione Quadro 2002/584/Gai sul MAE. L'estradizione viene sostituita dalle procedure di consegna e rimarrà in vigore soltanto nei rapporti con gli Stati terzi. Con la l. 12 aprile 2005, n. 69, ha disciplinato la c.d. procedura passiva di consegna, alternativa all'estradizione e basata sul mandato d'arresto europeo. Il ruolo del ministro della giustizia è limitato alla ricezione e alla trasmissione del M.A.E, salvo il caso in cui vi sia concorrenza tra una richiesta di consegna e una domanda di estradizione. I motivi di rifiuto sono stati qualificati tutti come obbligatori, con l'ulteriore aggiunta di nuovi e diversi rispetto a quelli originariamente previsti dalla decisione quadro. Per quanto riguarda la cooperazione di polizia deve essere ricordato il Trattato di Prum, notificato con l. n. 85/2009, per la cooperazione nella lotta contro il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e l'immigrazione illegale. Il d.lgs. n. 108 del 2017 e l’ordine europeo di indagine (O.E.I).Il d.lgs. n. 108 del 2017, con il recepimento della direttiva n. 2014/41/UE del 3 aprile 2014, ha introdotto nel nostro ordinamento la disciplina dell'ordine europeo di indagine penale (OEI ), che ha l'obiettivo di realizzare una modalità di raccolta transnazionale delle prove che, senza abbandonare il principio del mutuo riconoscimento, tiene conto della flessibilità del sistema tradizionale di assistenza giudiziaria, analogamente a quanto previsto dall'art. 725, comma 1. E' stato elaborato uno strumento tale da sostituire « tutti gli strumenti esistenti nel settore » e da utilizzare per « tutti i tipi di prove » con precise e rapide modalità di esecuzione e con circoscritti motivi di rifiuto. Il Ministro della Giustizia rimane il garante dell'osservanza delle “condizioni poste”, anche se la verifica del limite di compatibilità delle medesime condizioni con i “principi fondamentali dell'ordinamento” non può che essere riservato all'Autorità giudiziaria. De Amicis, Cass. pen. 2018 ; Diotallevi, Lo spazio di libertà, sicurezza, giustizia, 2020, 367 L'OEI è trasmesso direttamente dall'autorità giudiziaria di emissione a quella di esecuzione. I controlli governativi sono opzionali. L'autorità di esecuzione non è tenuta ad attuare immediatamente l'OEI, ma deve sottoporlo ad una serie di controlli, che possono condurre a rinviarne o, addirittura, a rifiutarne l'esecuzione . Punti critici rimangono le regole di ammissibilità delle prove con la necessità, o meno, dell'autorizzazione da parte di un giudice o di un pubblico ministero, la presenza di una base concreta e la riferibilità del procedimento a reati di una certa gravità rispetto all'osservanza del criterio della “doppia legalità” nazionale e della possibilità che l'atto istruttorio avrebbe potuto essere emesso “alle stesse condizioni in un caso interno analogo”. Per quanto riguarda le regole di ammissibilità delle prove vigenti nello Stato di esecuzione , l'art. 10 § 1 b della direttiva prevede che se l'O.E.I. concerne un atto “coercitivo”, tale da interferire con i diritti fondamentali è necessario che quest'ultimo sia “disponibile in un caso interno analogo”; da ciò deriva la necessaria presenza di tutti i requisiti di ammissibilità della prova previsti dalla lex loci. Circostanza che trova conferma nell'art. 9 commi 1 e 3 del decreto, dove viene previsto che l'O.E.I. va rifiutato se “non ricorrono i presupposti che la legge italiana impone” per il compimento dell'atto istruttorio richiesto, e non è possibile compiere altri atti “comunque idonei al raggiungimento del medesimo scopo” . L'art. 14 § 2 della direttiva prevede altresì la possibilità di contestare le “ragioni di merito dell'emissione dell'O.E.I.” tramite un'impugnazione da proporre nello Stato di emissione. Così l'art. 28 del d.lgs. prevede la facoltà di contestare il sequestro disposto con l'OEI attraverso il riesame ex art. 324 c.p.p. Per ciò che concerne le regole nazionali che disciplinano le modalità di raccolta delle prove, come la partecipazione del difensore alle perquisizioni, oppure all'adozione della tecnica dell'esame incrociato nell'assunzione delle prove dichiarative, la disciplina applicabile va individuata nell'art. 9 § 2 della direttiva, riportata nei suoi contenuti negli artt.. 4 comma 2 e 5 comma 3 del decreto, dove è previsto che l'autorità di esecuzione deve attenersi alle “formalità” e alle “procedure” indicate dall'autorità di emissione, salvo che siano in conflitto con i “principi fondamentali” del diritto dello Stato di esecuzione. Il rapporto tra le norme di diritto internazionale generale dei trattati resi esecutivi con leggeLe norme convenzionali , introdotte nell'ordinamento italiano a seguito dell'emanazione di una legge, assumono nella gerarchia delle fonti interne, il rango di legge ordinaria in virtù della regola per cui il rango delle norme immesse corrisponde a quello proprio della norma che ha proceduto all'adattamento; in base all'art. 10, comma 2, e all'art. 11 Cost. possono essere ricavati i principi che eccezionalmente introducono una riserva di legge rinforzata tale da garantire alle norme di alcune categorie di trattati una forza di resistenza particolare rispetto alle leggi ordinarie; così è infatti per la legge che disciplina la condizione giuridica dello straniero, che deve essere conforme alle « norme e ai trattati internazionali », mentre in base all'art. 11 Cost. devono ritenersi illegittime le leggi contrarie alle norme di adattamento dei trattati contenenti « limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni ». La giurisprudenza e la dottrina sono arrivate a riconoscere alle norme di origine convenzionale il carattere di norma speciale, quindi prevalente sulle norme generali successive, collegato alternativamente o alla materia trattata o ai soggetti presi in considerazione dalla norma (Cass. I, n. 1596/1976; Cass. II, n. 3643/1984) o in base al procedimento con il quale le norme di adattamento sono prodotte. Per un'analisi delle specifiche applicazioni giurisprudenziali in tema di estradizione passiva, sul termine di quaranta giorni dall'arresto provvisorio dell'estradando, per far pervenire la domanda di estradizione e il più lungo termine di quarantacinque giorni, previsto dall'art. 10 § 4 del Trattato di estradizione Italia-Canada, nonché sul termine di caducazione dell'arresto provvisorio, fissato in quaranta giorni per l'estradizione passiva dalla Convenzione europea di estradizione, e della sua decorrenza dalla data dell'arresto, si veda Cass. VI, 27 agosto 1992, Serranò; Cass. VI, 25 giugno 1993, Sartiane Bratuini) e non dalla data di comunicazione dell'arresto provvisorio allo Stato richiedente da parte del Ministro della giustizia. Peraltro, poiché la Convenzione europea, ai sensi dell'art. 16, comma 5, prevede la possibilità di superamento di detto termine mediante nuovo arresto qualora la domanda di estradizione pervenga successivamente, è stato ritenuto che possa escludersi che la perenzione dell'arresto provvisorio imponga l'effettiva scarcerazione dell'estradando qualora, nelle more, la detenzione si sia protratta sino alla data in cui lo Stato richiesto abbia ricevuto la formale domanda di estradizione. Secondo la Conv. eur. di estr. il principio del ne bis in idem vale solo quando l'estradando sia stato processato con sentenza irrevocabile nello Stato richiesto; tale principio non può essere invocato con riferimento a riapertura delle indagini nello Stato richiedente (Cass. VI, 11 luglio 1994, Hans Willy Haaf) (v. amplius sub art. 715). Dal nuovo testo dell'art. 117 comma 1, Cost. si rileverebbe il primato dei trattati rispetto alle altre norme interne sub-costituzionali e in particolare rispetto alle leggi. L'entrata in vigore dei trattati plurilaterali spesso richiede la ratifica da parte di un numero minimo di Stati contraenti; per questi trattati, in sede di applicazione, è necessario verificare quali riserve siano state apposte sia dall'Italia che dall'altro Stato interessato. È stata ritenuta manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale della legge di ratifica del trattato di estradizione tra Italia e Stati Uniti d'America che consente che l'estradizione per l'estero sia concessa per reati per i quali non è prevista nel nostro ordinamento, ai sensi dell'art. 280 c.p.p., l'adozione di misure coercitive, trattandosi di una scelta discrezionale del legislatore giustificata dalla natura del procedimento e ritenuta svincolata dalla disciplina ordinaria in materia di misure custodiali a condizioni, durata temporale e limiti preclusivi. (T.a.r. Lazio, 9 giugno 1999, n. 2171, Lee Adams). Il Trattato di Lisbona e il sistema delle fonti multilivello. Gli interventi della Corte costituzionaleIl 1 dicembre 2009 è entrato in vigore il Trattato di Lisbona, che modifica il contesto generale del sistema dei Trattati dell’Unione, riconosce soggettività giuridica all’Unione, costituzionalizza la Carta di Nizza e dispone l’adesione dell’Unione alla C.E.D.U. Il nodo centrale per i giudici nazionali come giudici dell’Unione, è quello di trovare la corretta composizione delle relazioni fra Trattato dell’Unione Europea, Carta dei diritti fondamentali e CEDU, proprio perché parte essenziale del sistema di tutela giurisdizionale europeo, di cui rappresentano lo strumento fondamentale (in dottrina, v. BRONZINI, Napoli, 2011,; Patrone, La Cedu nel sistema italiano delle fonti; Diotallevi, 2011; Falletti, I nuovi diritti). La giurisprudenza è chiamata a distinguere non solo le questioni problematiche direttamente attinenti agli effetti che, su un processo penale definito con una decisione oramai irrevocabile, può avere una sentenza della Corte Edu che abbia riconosciuto che in quel processo vi è stata una violazione di un diritto tutelato dalla CEDU, ma anche le questioni di orientamento interpretativo, che le sentenze della Corte di Strasburgo possono determinare nell’ambito dei processi in corso di svolgimento ed ai “meccanismi di adeguamento” che i giudici penali italiani possono impiegare per conformare l’interpretazione delle norme del diritto penale nazionale, sostanziale o processale, alle disposizioni della CEDU (v. in tema di applicazione del principio di legalità di cui all’art. 7 della CEDU, (Cass. S.U., n. 1235/2010) la quale, nel ravvisare un rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale (artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74/2000) ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma 2, n. 1, c.p.), ha affermato che il principio di specialità, inteso come relazione logico-strutturale fra norme, è idoneo a risolvere tutte le problematiche concernenti il concorso di norme, in coerenza con il principio di legalità, di cui all’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo . In dottrina, v. Manes, 43 ss. E’ emersa la necessità di ragionare anche sulla proiezione costituzionale della giurisdizione, e in particolare al rapporto tra ordinamento interno, diritto sovranazionale in materia di tutela dei diritti umani, diritto dell’Unione europea. La sentenza della Corte cost. n. 80/2011 (pubblicità delle udienze nel procedimento di prevenzione) ha rilevato un nuovo ostacolo frapposto dalla Corte riguardo alla accreditata prevalente interpretazione, sotto varie forme, dell’applicazione diretta del diritto sovranazionale. Tuttavia le limitazioni della sovranità nazionale producono effetti diretti, appunto, nella sola proiezione comunitaria, cui il diritto penale e la stessa materia della difesa dei diritti umani sono riconducibili entro limiti determinati. Le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non sono « autoapplicative » perché non sono norme comunitarie o « dell’Unione », né comunque sono riferibili all’art. 11 della Cost., dato che non introducono alcuna limitazione di sovranità. Sono norme internazionali pattizie (dunque non consuetudinarie, con conseguente inapplicabilità del comma 1 dell’art. 10 Cost.), che vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nell’ordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando, nello stesso tempo, le norme interne in eventuale contrasto, come hanno chiarito le fondamentali sentenze della Corte cost. n. 348/2007 e Corte cost. n. 349/2007. L’art. 117 Cost., diviene operante dal punto di vista dell’ordinamento attraverso la connessione con altre norme, di rango sub-costituzionale, da cui trarre i contenuti concreti della qualità delle leggi di riferimento. Si trovano dunque all’interno di un sistema di fonti multilivello le c.d. « fonti interposte ». Con la conseguenza che, per questa loro qualità, le norme della Convenzione, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, non acquistano la forza delle norme costituzionali e sono assoggettate al controllo di legittimità della Corte costituzionale italiana. (v. Corte cost. n. 348/2007; e Corte cost. n. 349/2007). Le Sezioni Unite hanno affermato l’applicabilità dell’indulto sulle sentenze straniere riconosciute nello Stato, mutando un precedente e consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. S.U., n. 36527/2008); in materia di estradizione hanno confermato la sussistenza dell’inapplicabilità del principio di specialità alle misure prevenzione (Cass. S.U., n. 10281/2008); sulla previsione di limiti massimi di custodia cautelare quale motivo di rifiuto della consegna in base al mandato di arresto europeo (Cass. S.U., n. 4614/2007), che ritiene plausibile un’interpretazione flessibile della norma che la renda adattabile ai vari sistemi processuali cui si dirige (v. anche Corte cost. n. 348/2007 e Corte cost. n. 349/2007). Il giudice nazionale, come giudice comune deve dunque interpretare la legge interna in conformità agli atti europei, anche in relazione alle decisioni quadro (v. Corte giustizia UE, 16 giugno 2005, Pupino) o alle direttive comunitarie self executing (Corte Edu, 28 aprile 2011, El Dridi), proprio perché il diritto comunitario deve costituire l’oggetto di un’interpretazione uniforme in quanto le rilevanti definizioni e gli istituti giuridici si riferiscono a nozioni autonome nel diritto dell’Unione (Corte giustizia UE, 17 luglio 2008, Kozlowski); anche se possono intervenire difficoltà di applicazione in forza di principi non chiaramente consolidati nei vari ordinamenti come quello del ne bis in idem (v. Corte giustizia UE, 11 dicembre 2008, Bourquain). La Corte di cassazione ha affermato inoltre in tema di ne bis in idem che ai sensi dell’art. 50 della Carta di Nizza, la pronuncia di condanna di uno Stato terzo rispetto all’UE deve essere presa in considerazione ai sensi dell’art. 50 citato, per negare l’estradizione, ove sia concreta la possibilità di violazione dei diritti umani nei confronti dell’estradando da parte dello stato richiedente (Turchia) (Cass. VI, n. 54467/2016). Così se la norma interna contrasta con una norma della Convenzione, e la norma della Convenzione non contrasta con la Costituzione, ebbene il giudice nazionale dovrà eccepire l’illegittimità della norma interna per contrasto con il comma 1 dell’art. 117 Cost., e la Consulta ne disporrà l’eliminazione dall’ordinamento (v. Corte cost. n. 317/2009 che ha risolto la questione, relativa all’art. 175, comma 2, con riferimento al meccanismo della rimessione in termini per l’impugnazione a favore dell’imputato processato in contumacia e alla possibilità che lo stesso potesse essere azionato quando il gravame sia già stato interposto dal difensore, con conseguente duplicazione del giudizio impugnatorio. Particolarmente rilevante è stato l’intervento della Consulta, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, per negare il tema della c.d. comunitarizzazione della CEDU, già affermata soprattutto dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. St. n. 1120/2010; T.a.r. Lazio, n. 11984/2010), che avrebbe portato all’utilizzazione del meccanismo della disapplicazione, con evidente marginalizzazione del ruolo della Corte costituzionale (v. Corte cost. n. 93/2010, intervenuta in materia di necessaria pubblicità delle udienze, con specifico riguardo al procedimento di merito per l’applicazione delle misure di prevenzione. Con la sentenza Corte cost. n. 236/2011 la Corte è stata chiamata a valutare nuovamente la compatibilità costituzionale della disciplina transitoria fissata, nell’art. 10 l. n. 251/2005, per l’applicazione delle nuove norme in materia di prescrizione del reato, essendo stato sollecitata una rivisitazione della decisione di infondatezza già deliberata riguardo a questioni analoghe in base alla ritenuta « costituzionalizzazione » del principio di retroattività della lex mitior con riferimento a prese di posizione delle Corti sovranazionali, ed in particolare della Corte Edu. Quanto al principio di retroattività della legge più favorevole, la Corte costituzionale ha ricordato come avesse ribadito, ancora nel 2006 (Corte cost. n. 393/2010), che « il principio di eguaglianza costituisce [...] non solo il fondamento, ma anche il limite dell’applicabilità retroattiva della lex mitior. Mentre il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole, infatti, costituisce un valore assoluto e inderogabile, quello della retroattività in mitius è suscettibile di limitazioni e deroghe legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli e dalla necessità di preservare interessi, ad esso contrapposti, di analogo rilievo ». In dottrina, Zagrebelsky, 2011, 10 s.; Diotallevi, 2012; Diotallevi, 2016, 591. L’assistenza giudiziaria e le Convenzioni internazionaliIn tema di rapporti giurisdizionali con autorità straniere, l'oggetto della richiesta di assistenza giudiziaria avanzata dall'autorità giudiziaria straniera in base alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, (Strasburgo 1959), non é limitato a specifici atti, ma é indeterminato, salve le eccezioni disciplinate dagli artt. 1, comma 1 e 2 della medesima Convenzione; nel concetto di “ampia collaborazione” contemplato dall'art. 1, comma 1, della Convenzione, rientra anche l'esecuzione in Italia di un sequestro conservativo (Cass. I, n. 15996/2006). E' stato ritenuto che l'avvenuta prescrizione del reato, causa ostativa all'accoglimento della richiesta di estradizione, deve essere accertata in virtù della clausola del trattamento di miglior favore nei confronti dell'imputato tra le legislazioni nazionali a confronto, contenuta nell'art. 10 della convenzione europea di estradizione del 1957 (Cass. VI, n. 20150/2015; Cass., VI, n.6239/2020). Al riconoscimento del divieto del "ne bis in idem", consegue l'inestradabilità quando sussista una sentenza definitiva emessa nei confronti dell'estradando nello Stato richiesto; la regola non opera quando una tale sentenza è stata emessa in uno Stato terzo (Cass., VI, n. 3747/2014). Ai fini dell'applicabilità del Trattato di estradizione fra l'Italia e gli Stati Uniti d'America ratificato con l. n. 25/2009, non rileva la circostanza che lo Stato di cittadinanza dell'estradando non sia parte alle suddette convenzioni (Cass. VI, n. 5760/2011). In tema di estradizione, i rapporti tra Repubblica Italiana e Repubblica di Croazia sono regolati dalla convenzione bilaterale 6 aprile 1922, stipulata tra il Regno d'Italia e il Regno di Serbia. (Cass. VI, n. 2828/1995; contra Cass. 12 agosto 1995, Glicic). In dottrina, De Amicis, 2006, 986; Di Bitonto, 2016; Diotallevi, 2020, 367 e ss. BibliografiaAmoroso, Il diritto dell’estradato all’osservanza delle norme internazionali in una recente sentenza della Corte di cassazione, in Giust. pen. 2009, III, 305; Bronzini, Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, in Vademecum per il giudice europeo, a cura di Falletti-Piccone, Napoli, 2011; Calvanese, La cooperazione giudiziaria in materia di sequestro, in Cass. pen. 2003, 1140; De Amicis, Dalle rogatorie all’ordine europeo di indagine: verso un nuovo diritto della cooperazione penale, in Cass.pen. 2018; De Amicis, in Cooperazione giudiziaria penale, a cura di Marandola, 4 e ss.; Di Bitonto Il ne bis in idem nei rapporti fra infrazioni finanziarie e reati, in Cass. Pen. 2016; Diotallevi, L’impugnabilità con istanza di riesame davanti al giudice italiano di una richiesta di sequestro probatorio, in Cass. pen. 2003, 1140; Diotallevi, Il rinvio pregiudiziale e la primazia del diritto comunitario, in Vademecum per il giudice europeo, Napoli, 2011; Diotallevi, Creazione giurisprudenziale, irretroattività, legalità penale (art. 7 CEDU), in CEDU e ordinamento italiano, a cura di Di Stasi, Vicenza, 2016, 591;Diotallevi, Dalle rogatorie all’ordine di indagine europeo, in Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, a cura di Di Stasi – Rossi, Napoli, 2020, 367 e ss; Manes, Introduzione, in AA.VV., La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a cura di Manes- Zagrebelsky, Milano, 2012, 45 ss.; Ponti,Riforma dell’assistenza giudiziaria penale e tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento italiano. Dalla legge n. 149 del 2016 al recepimento della direttiva 2014/41/UE, in www.lalegislazionepenale.eu, 2 ottobre 2017, 10. |