Codice di Procedura Penale art. 698 - Reati politici. Tutela dei diritti fondamentali della persona.

Giovanni Diotallevi

Reati politici. Tutela dei diritti fondamentali della persona.

1. Non può essere concessa l'estradizione per un reato politico [10 4, 26 2 Cost.; 8 3, 13 c.p.] né quando vi è ragione di ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona 1.

2. Se il fatto per il quale è domandata l'estradizione è punito con la pena di morte secondo la legge dello Stato estero, l'estradizione può essere concessa solo quando l'autorità giudiziaria accerti che è stata adottata una decisione irrevocabile che irroga una pena diversa dalla pena di morte o, se questa è stata inflitta, è stata commutata in una pena diversa, comunque nel rispetto di quanto stabilito dal comma 1 23.

 

 

[1] Relativamente al reato politico, v. art. unico l. cost. 21 giugno 1967, n. 1.

[2] Comma sostituito dall'art. 5, comma 1, della l. 21 luglio 2016, n. 149, il testo precedente era così formulato:  «Se per il fatto per il quale è domandata l'estradizione è prevista la pena di morte dalla legge dello Stato estero, l'estradizione può essere concessa solo se il medesimo Stato dà assicurazioni, ritenute sufficienti sia dall'autorità giudiziaria sia dal ministro di grazia e giustizia, che tale pena non sarà inflitta o, se già inflitta, non sarà eseguita».

[3] Comma dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla C. cost. 27 giugno 1996, n. 223, la quale ha precisato che nel nostro ordinamento, in cui il divieto della pena di morte è sancito dalla Costituzione, la formula delle « sufficienti assicurazioni » non è costituzionalmente ammissibile, perché il suddetto divieto, contenuto nell'art. 274 Cost., impone una garanzia assoluta. Tale « assolutezza del principio costituzionale richiamato viene infirmata dalla presenza di una norma che demanda a valutazioni discrezionali, caso per caso, il giudizio sul grado di affidabilità e di effettività delle garanzie accordate dal Paese richiedente ». 

Inquadramento

L'art. 698 ha previsto espressamente il divieto di estradizione per reati politici, codificato negli artt. 10, comma 4, e 26, comma 2, Cost., inserendo altresì, anche nell'ordinamento interno, l'operatività della cd. « clausola di non discriminazione ». Così si è sancito, anche a livello di normativa ordinaria, il divieto di consegna ad uno Stato che non assicuri il rispetto dei diritti fondamentali della persona, che possono essere individuati sulla base di quanto disposto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dal Patto internazionale sui diritti civili e politici. La l. cost. n. 1/1967 in relazione al reato di genocidio, prevede che non possa essere rifiutata per motivi di politicità di tale reato.

La giurisprudenza più recente ha superato la consolidata affermazione secondo cui incombeva sull'estradando l'onere di allegare elementi, circostanze idonei a fondare il timore che l'estradizione preluda all'applicazione, nello Stato richiedente, di un trattamento contrario al rispetto dei diritti fondamentali della persona (Cass. VI, n. 8529/2017); è stato infatti affermato cheai fini dell'accertamento della condizione ostativa del pericolo di trattamenti inumani o degradanti di cui all'art. 698, comma 1, l'Autorità giudiziaria dello Stato richiesto, anche in mancanza di allegazioni difensive, in conformità all'art. 4 CDFUE, è tenuta a verificare, in base ad elementi oggettivi ed aggiornati, l'affidabilità della garanzia proveniente dallo Stato richiedente circa il rispetto degli standard convenzionali relativi al trattamento dei detenuti durante l'intero percorso rieducativo seguito negli istituti penitenziari(Cass.  VI , n. 18044/2022; Cass. VI,  n. 22818/2020) e in ordine all'esistenza di violazioni dei diritti umani nel Paese richiedente anche sulla base di documenti e rapporti elaborati da organizzazioni non governative (quali, ad es., Amnesty International e Human Rights Watch), la cui affidabilità sia generalmente riconosciuta sul piano internazionale (Cass. VI, n. 2685/2010; Cass. VI, n. 46212/2013), come la Corte EDU (Cass. VI, n. 54467/2016), in cui è stata negata l'estradizione richiesta dalla Turchia per quanto avvenuto nel luglio 2016, dopo il fallito tentativo di colpo di Stato, sia in ragione della giurisprudenza della CEDU, sia in base alle pratiche di tortura documentate da Amnesty International.

Sul punto si veda Pittiruti, 229;Fonseca, 502; con riferimento all'inclusione della categoria dei trattamenti inumani e degradanti anche la dosimetria della pena; Corte Edu, 6 luglio 2010, Abu Hamza c. Regno Unito.

La nozione di reato politico e di processo politico

Il concetto di delitto politico, ai fini dell'estradizione, non può ritenersi coincidente con quello dell'art. 8 c.p.; perché nel codice è definito in funzione repressiva, mentre nella Costituzione è assunto a garanzia della persona umana entro i limiti costituzionali . Ai fini della determinazione della nozione di « politicità » del reato, secondo la Corte di cassazione occorre aver riguardo al contesto costituzionale e, perciò, ai principi fondamentali da questo posti a tutela dei diritti della persona umana. Conseguentemente, il divieto di estradizione per la qualificazione politica del delitto deve riguardare o le ipotesi nelle quali il movente della condotta sia stato quello di opporsi a regimi illiberali, o di affermare un diritto fondamentale di libertà garantito dalla nostra Costituzione, ovvero quelle in cui si abbia fondato motivo di ritenere che il giudizio nello Stato richiedente sarà influenzato da fattori ideologici, strettamente politici, persecutori o passionali.

  Per il cittadino straniero in Italia, la nozione di reato politico, è subordinata alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, tra le quali vanno individuate le convenzioni la Convenzione europea sul terrorismo del 1977, nella quale, indipendentemente dalle loro finalità, sono definiti non politici determinati atti delittuosi, come ad esempio la partecipazione ad associazione criminale diretta al compimento di atti terroristici diretti all'eversione, con modalità violente comprensive dell'uso di materie esplodenti e attentati alla vita e all'integrità fisica di cittadini ignari (Cass. VI, n. 31123/2003). È stata esclusa poi la natura politica del delitto di riesportazione illegale di sostanze chimiche soggette a controllo, in quanto l'oggetto specifico della relativa domanda di estradizione, vietare il trasferimento di strumenti di morte verso paesi che praticano la guerra, non può essere compreso tra quelli che tendono a limitare l'esercizio delle fondamentali libertà democratiche garantite dalla Costituzione (Cass. I, 15 dicembre 1989, Van Anraat; Cass. VI, 1° ottobre 1996, Djamel Lounici, Cass. pen, 1997, 3065, con oss. di Diotallevi). In modo più articolato si è affermato che la nozione di delitto politico ai fini estradizionali, trova la sua definizione nel bilanciamento tra il valore insito nel principio costituzionale del rifiuto di consentire la persecuzione del cittadino e dello straniero per motivi politici, e quello di tutela dei valori primari umani, pur consacrati nella carta costituzionale e gravemente offesi dai delitti di ispirazione politica (Cass. I, 17 febbraio 1992, Khaled). Conseguentemente non è stato ritenuto ipotizzabile il divieto di estradizione in ordine ai reati, nei quali il cosiddetto motivo politico consista nella tendenza ad abbattere le istituzioni democratiche di uno Stato e a disconoscere i diritti di libertà dei cittadini. D'Altra parte il diritto di asilo in favore dello straniero è riconosciuto solo nel caso in cui allo stesso sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio di tali diritti (Cass. VI, 20 gennaio 1993, Camenisch). Per la esatta definizione del concetto è necessario fare riferimento anche ai limiti derivanti proprio dalla definizione dei reati politici, oltre che nell'ordine interno, anche in quello internazionale. Sotto questo profilo viene oggettivamente attenuata la portata del contenuto del divieto di estradizione, perché i delitti sono esclusi dal divieto, come è stato previsto con la l. n. 1/1967, in materia di genocidio, o perché, per consuetudine, non ritenuti reati politici, ai fini estradizionali, come per gli attentati alla vita di un Capo di Stato o di un membro della sua famiglia (v. art. 3, n. 3, della Convenzione europea che ribadisce la validità della c.d. « clausola belga »), oppure perché rivolti contro iura gentium. Così nella Convenzione europea per la repressione del terrorismo del 27 gennaio 1977, gli artt. 1 e 2 sottraggono gli autori di determinate fattispecie criminose a qualunque protezione dello Stato di rifugio, rendendoli, quindi, estradabili (Court d'appel de Paris, Chambre d'accusation, I, 17 ottobre 1979, R.I. Dir. proc. pen. 1980, II, 873 ss.).Il criterio soggettivistico contenuto nell'art. 8 c.p. va integrato sia con l'art. 10 Cost. sia con la specifica disciplina dei trattati e delle convenzioni sottoscritti e ratificati dall'Italia, e, in particolare con la norma dell'art. 13 della Convenzione europea per la repressione del terrorismo (Cass. I, 27 febbraio 1989, Gomez Ces).

Più recentemente è stata ritenuta causa obbligatoria di rigetto della domanda la finalità di persecuzione politica dissimulata da una richiesta di consegna per un reato comune , gravando tuttavia sull'estradando, nei rapporti che si svolgono su base convenzionale, l'onere di allegare gli elementi da cui evincere che tale richiesta preluda alla violazione di uno dei diritti fondamentali della persona, ove gli atti acquisiti non consentano di ritenere che si sia in presenza di una estradizione "mascherata" (Cass.  VI, n. 10656/2022)

  In relazione a questo profilo secondo una parte della dottrina (Cassese, 544 ss.) il divieto di estradizione non tutela ogni reato astrattamente o positivamente definito in altri ordinamenti come politico, in quanto possono essere oggetto di tutela nella Repubblica solo quei reati politici posti in essere dallo straniero, anche in Stati diversamente ispirati nella loro ideologia fondamentale, per la difesa dei valori accolti dalla nostra Costituzione e che trovano il loro fondamento appunto nella lettura combinata dei commi 3 e 4 dell'art. 10 Cost. medesima. Questo articolo infatti qualifica oggettivamente la nozione generale di cui all'art. 8 c.p., in maniera tale da classificare i valori politici in base all'ordine gerarchico della nostra legge fondamentale. Peraltro, la Convenzione fra Stati membri dell'Unione europea sull'estradizione, sottoscritta a Dublino il 27 settembre 1996, prevede all'art. 5 § 1 che fra tali Stati nessun reato potrà essere considerato politico o connesso con reati politici in tema di estradizione; l'impatto di tale norma con la nostra Carta costituzionale è attenuato dalla previsione contenuta nel paragrafo 2 dello stesso articolo, in cui è prevista la possibilità per ciascuno Stato dell'Unione europea di limitare l'operatività di questa clausola di depoliticizzazione ai soli reati rientranti nella previsione degli artt. 1 e 2 della Convenzione europea della repressione del terrorismo del 1977,e ai reati associativi o di cospirazione aventi come fine la commissione di reati rientranti negli artt. 1 e 2 della suddetta Convenzione (in dottrina Selvaggi-De Donato, 326). 

Per l'individuazione dell'ambito di operatività del divieto di estradizione di cui agli artt. 10, comma 4, e 26, comma 2 Cost., il reato va considerato politico anche quando, indipendentemente dal bene giuridico offeso dalla condotta illecita, vi sia fondata ragione di ritenere che, proprio per la “politicità” della condotta illecita, l'estradando possa essere sottoposto nello stato straniero richiedente ad un processo non equo o all'esecuzione di una pena discriminatoria ovvero ispirata da iniziative persecutorie per ragioni politiche che ledono diritti fondamentali dell'individuo quali il principio di uguaglianza, il diritto ad un equo processo ed il divieto di trattamenti disumani o degradanti (Cass. VI, n. 5089/2014).

La tutela dei diritti fondamentali e la c.d. clausola « di non discriminazione »

Il giudizio di garanzia giurisdizionale previsto in tema di estradizione passiva ha per oggetto non solo l'osservanza delle disposizioni di diritto oggettivo regolanti il rapporto, ma la tutela anche del diritto fondamentale della persona umana alla libertà ed alla sicurezza.

Poiché l'estradizione costituisce uno dei casi in cui si può legalmente incidere su tale diritto, è necessario che il procedimento principale definito all'estero, che costituisce il presupposto dell'estradizione, deve essere rispettoso di tale previsione. Se così non fosse, l'estradizione si risolverebbe in un «sistema giuridico per violare la libertà e la sicurezza dell'individuo » (Cass. I, 8 giugno 1987, Drivas). Conseguentemente si è ritenuto che non si possa concedere l'estradizione di un imputato minorenne, nell'ipotesi in cui l'ordinamento dello Stato richiedente preveda che lo stesso sarà giudicato come se fosse un adulto, che la sua imputabilità sarà presunta senza alcun previo accertamento e che la pena eventualmente inflittagli sarà eseguita negli ordinari istituti per adulti. (v. Cass. VI, n. 8751/2009). Parimenti non può essere concessa l'estradizione di un minore imputabile se in ordine al reato per cui si procede l'ordinamento dello Stato richiedente non riconosce ai minorenni il diritto di trattamento processuale e sostanziale loro riconosciuto per tutti gli altri reati (Cass. I, 25 maggio 1987), mentre può essere concessa l'estradizione di un imputato minorenne all'epoca del fatto, in presenza di una legislazione dello Stato richiedente che assicuri, sul piano processuale e sostanziale, un trattamento giuridico differenziato e più mite rispetto a quello riservato all'adulto (Cass. VI, n. 5054/2010).

Osta ad una pronuncia favorevole della Corte d'appello anche il solo pericolo concreto che l'estradando sia sottoposto ad un trattamento avente, in relazione alle sue condizioni di salute, un obiettivo carattere inumano e degradante (Cass. VI, n. 35892/2004). Il divieto opera  nelle ipotesi in cui ciò sia riferibile ad una scelta normativa o di fatto dello Stato richiedente, a prescindere da contingenze estranee a orientamenti istituzionali, non rilevando quelle situazioni rispetto alle quali sia comunque possibile una tutela legale. (Cass. VI, n. 4576/2015). Ai fini dell'accertamento della condizione ostativa prevista dall'art. 698, comma primo, la Corte d'appello deve valutare se sussiste un generale rischio di trattamento disumano o degradante nel Paese richiedente, utilizzando, a tal fine, elementi oggettivi, attendibili, precisi ed aggiornati in merito alle condizioni di detenzione vigenti nello Stato richiedente e, verificata la sussistenza di tale rischio, deve svolgere un'indagine mirata, anche attraverso la richiesta di informazioni complementari, al fine di accertare se, nel caso concreto, l'interessato alla consegna sarà sottoposto, o meno, ad un trattamento inumano o degradante (Cass., VI, n. 28822/2016; Cass. VI, n. 1242/2020; Cass. VI, n. 8078/2021) l'onere sull'estradando di allegare elementi oggettivi, precisi, attendibili e aggiornati in merito alle condizioni di detenzione vigenti nello Stato richiedente, idonei a fondare il timore che la sua estradizione preluda a un trattamento incompatibile con i diritti fondamentali della persona (Cass., VI, n. 11492/2019; v. in tema di MAE, Cass. VI, n. 8529 /2017; Cass. VI, n. 22827/2016), appare dunque   contemperato dalla giurisprudenza più recente (v. anche sub § 1).Così, qualora risulti a carico dell'estradando la pendenza di un procedimento per reati, diversi da quello per il quale si chiede la consegna, rispetto al quale sussiste il serio rischio di sottoposizione a tortura, la Corte di appello deve acquisire elementi di conoscenza sulla natura delle ulteriori imputazioni ipotizzate a carico dell'estradando, da valutare unitamente all'acquisizione di informazioni aggiornate in ordine alla pratica della tortura nell'ambito del sistema carcerario del paese richiedente ( Cass. VI, n.18122/2021).

Tuttavia è stato ritenuto che il divieto di pronuncia non opera qualora, pur in presenza di informazioni circa la violazione di tali diritti fondamentali derivante da una diffusa e grave situazione di endemica violenza all'interno del sistema carcerario del Paese richiedente, quest'ultimo offra, al più alto livello governativo, specifiche assicurazioni in ordine alla destinazione dell'estradando ad un istituto penitenziario già positivamente valutato quanto al rispetto dei diritti fondamentali, e tali assicurazioni siano avvalorate dalla adesione del Paese a trattati internazionali che garantiscono il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti. (Cass. II, n. 2282/2015).

In tema di estradizione richiesta dagli Stati Uniti d'America, la possibilità che venga comminata una pena detentiva a vita non costituisce circostanza ostativa all'emissione di una sentenza favorevole, stante la previsione nell'ordinamento statunitense di vari istituti che, in relazione alla condotta del detenuto raggiunto da una “sentenza a vita”, ne consentono la liberazione anticipata, sia pure sulla base di valutazioni discrezionali di varie autorità pubbliche, salvo che l'estradando non alleghi l'esistenza di un rischio reale di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, contrari all'art. 3 CEDU (Cass. VI, n. 14941/2018) ovvero, in generale, l'ordinamento dello Stato richiesto preveda istituti che consentano di pervenire, in sede giudiziaria o amministrativa, ad una liberazione anticipata o ad una commutazione della pena, ove ricorrano ragioni umanitarie o progressi del condannato nel percorso rieducativo (Cass. VI, n. 5747/2014; Cass., VI, n. 114977/2019).

Il principio della computabilità della custodia cautelare presofferta nella pena da espiare per lo stesso fatto ex art. 137 c.p. costituisce un diritto fondamentale della persona che vieta, a norma dell'art. 698, comma 1, l'estradizione per l'estero di un soggetto allorquando lo stesso abbia trascorso in stato di custodia cautelare un periodo di tempo superiore alla durata della pena per la cui esecuzione è stata presentata la domanda di consegna, e ciò in base alle disposizioni degli artt. 9 e 10 della Convenzione europea di estradizione (Cass. VI, n. 46451/2004; Cass. VI, n 18266/2004; Cass. VI, n. 24666/2006). Questi ultimi due articoli, infatti, prevedendo rispettivamente il divieto di estradizione ove un individuo sia stato già definitivamente giudicato per il medesimo fatto dall'autorità richiesta o nel caso in cui sia maturata la prescrizione dell'azione o della pena prevista per il relativo reato, implicitamente conterrebbero anche questo divieto. L'attuale disciplina ha recepito anche la cosiddetta « clausola di non discriminazione », con un ulteriore ampliamento, relativo proprio ai diritti fondamentali. La Corte Edu ha qualificato trattamento inumano e degradante la prolungata permanenza del condannato alla pena capitale nel c.d. « corridoio della morte » ai sensi dell'art. 3 della Cedu., e dell'atto persecutorio o discriminatorio individuabile nell'atto che, mascherato sotto forma di domanda di estradizione per perseguire un determinato reato, costituisce lo scopo dissimulato che lo stesso Stato richiedente mira a perseguire per motivi di razza, religione, sesso, nazionalità, lingua, opinioni politiche o condizioni personali o sociali, e, ancora, della rilevanza o meno di atti di ritorsione o di vendetta, compiuti in suo danno dal soggetto offeso dal reato a titolo puramente personale. Non costituisce dunque condizione ostativa ad una pronuncia di accoglimento della richiesta, il timore di ritorsioni da parte di privati nei confronti dell'estradando, in ragione della sua partecipazione al processo per cui l'estradizione è stata richiesta (Cass. VI, n. 9082/2010) (Corte Edu, 7 luglio 1988, Soering, Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 334). La Corte ha escluso che fosse ravvisabile un atto persecutorio nella richiesta di estradizione riguardante una persona di religione diversa da quella islamica, ufficiale nello Stato richiedente, condizione che avrebbe esposto l'estradando al giudizio secondo la legge della Sharja (Cass. VI, n. 39709/2002). In questo caso, infatti non solo questa condotta non può essere fatta propria dallo Stato estero, ma incombe sullo stesso l'obbligo di prevenirla, evitarla e punirla secondo i principi dell'ordinamento giuridico interno ed internazionale (Cass. VI, 17 aprile 1996, Fekiac). È stata esclusa la natura di trattamento disumano e degradante la pena della reclusione da espiare in « correzionale da regime austero » non comportando necessariamente l'adozione di regole di trattamento lesive dei diritti fondamentali della persona (Cass. VI, 1° aprile 1999, Simonov), come pure l'assenza di uno specifico complesso di norme paragonabile a quello esistente in Italia in tema di « protezione » per i soggetti collaboratori di giustizia nello Stato straniero richiedente. Il diverso regime normativo trova dunque ragionevole spiegazione in differenti e ammissibili valutazioni di politica legislativa, che non possono concretizzare gli elementi idonei a negare la richiesta estradizione (Cass. VI, 14 aprile 1998, Kurzeja). Allo stesso modo, non rileva il regime detentivo previsto in favore del condannato ultrasettantenne, di guisa che non è ostativa ad una pronuncia favorevole all'estradabilità di una persona che abbia compiuto i settanta anni la mancata previsione nell'ordinamento dello Stato richiedente della presunzione di non compatibilità del regime carcerario (Cass. VI, n. 18975/2006). Il divieto di pronuncia favorevole alla estradizione previsto dall'art. 705, comma 2, lett. a), non ricorre quando sia prospettata la operatività, nello Stato richiedente, di un differente regime processuale in tema di connessione di reati e conseguente competenza del giudice militare, ovvero la assenza, nella fase della esecuzione, di misure alternative alla detenzione o della possibilità di computo del periodo di privazione della libertà sofferta agli arresti domiciliari (Cass. VI, n. 35896/2004), come pure l'assenza, nel regime normativo dello Stato richiedente, di una disciplina che contempli l'operatività di misure alternative alla detenzione, ovvero di criteri analoghi di computo del periodo di privazione della libertà sofferta agli arresti domiciliari (Cass. VI, n. 21370/2005) o il principio dell'appellabilità o della possibile revisione per motivi di merito di una misura cautelare personale (Cass. VI, n. 5006/2010) e la mera prospettazione dell'esistenza, nello Stato richiedente, di una condizione di sovraffollamento carcerario, in quanto solo in presenza di situazioni diffuse di conclamata incompatibilità, manifestatesi in forme tali da poter essere ricondotte a scelte precise o comunque alla deliberata accettazione delle stesse da parte delle Autorità competenti, può prospettarsi il pericolo concreto di sottoposizione di un detenuto a trattamento inumano o degradante (Cass. VI, n. 4723/2015). 

Ricorre il divieto di pronuncia favorevole alla estradizione previsto dall'art. 705, comma 2, lett. b), quando sia prospettata l'assenza nell'ordinamento dello Stato richiedente di disposizioni a tutela delle garanzie difensive e del diritto al giusto processo e non quando sia denunciata la mera violazione di norme processuali presenti in quest'ultimo (Cass. VI, n. 23555/2006), ovvero qualora il fatto per il quale l'estradando sia chiamato a rispondere sia sanzionato nella legislazione dello Stato richiedente con la pena dei lavori forzati, considerato che tale previsione contrasta con l'art. 4, comma secondo, della Cedu nonché con il rispetto dei diritti fondamentali richiesto dall'art. 698, comma 1 (Cass. VI, n. 33578/2015; Cass. VI, n. 15578/2011,  con oss. di Aprile,; v. anche sub art. 705). Deve essere ritenuto ostativo all'estradizione verso il paese di origine lo status di rifugiato riconosciuto ai sensi della Convenzione sullo status dei rifugiati, 1951, in virtù del divieto di respingimento o espulsione verso il Paese di origine previsto dall'art. 33 di detta convenzione a determinate condizioni, come nell'ipotesi in cui  per fatto notorio risulti che in quello Stato è in corso una repressione nei confronti di gruppi politici dissidenti (Cass. I, n. 39764/2005).

L'estradizione è stata negata altresì nell'ipotesi in cui la Corte di cassazione ha ritenuto che l'indeterminatezza temporale di una pena violi il  principio di stretta legalità penale (art. 25, comma 2, Cost.), che obbliga il legislatore a determinare tutti gli elementi costitutivi del reato, inclusa la sua forbice edittale; una condanna a tempo indeterminato nel massimo lascerebbe il condannato in balìa dell'autorità statale, giurisdizionale prima e penitenziaria poi » e in un'ottica sovranazionale, la violazione dell'art. 7 CEDU (nulla poena sine lege) è stata ravvisata dalla Corte EDU con riferimento alle pene « la cui commisurazione giurisdizionale sia tale da non renderne prevedibile la durata e le modalità di esecuzione » (Cass. VI, n.6769/2016, con nota di Stampinoni Bassi).

Deve essere ritenuto ostativo all'estradizione verso il paese di origine lo status di rifugiato riconosciuto ai sensi della Convenzione sullo status dei rifugiati, aperta alla firma a Ginevra il 28 luglio 1951, in virtù del divieto di respingimento o espulsione verso il Paese di origine previsto dall'art. 33 di detta Convenzione a determinate condizioni ovvero lo “status” di protezione internazionale sussidiaria, per il pericolo di esposizione a trattamenti disumani e degradanti in caso di rientro nello Stato richiedente l'estradizione, ove quest'ultimo provvedimento sia riconosciuto dal giudice completo, certo ed affidabile (Cass. VI n. 3746/2013).

L'estradizione per reati sanzionabili con la pena di morte

La l. n. 149/2016 ha modificato alcune disposizioni in materia di estradizione per l'estero riformulando anche il  comma 2 dell'art. 698, già dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte cost. n. 223/1996, prevedendo che se il fatto per il quale è domandata l'estradizione è punito con la pena di morte secondo la legge dello Stato estero, l'estradizione può essere concessa solo quando l'autorità giudiziaria accerti che è stata adottata una decisione irrevocabile che irroga una pena diversa dalla pena di morte o, se questa è stata inflitta, è stata commutata in una pena diversa, comunque nel rispetto di quanto stabilito dal comma 1 , v. Triggiani, 5 ottobre 2016 .

Dopo la sentenza della Corte cost. n. 223/1996, con cui giudicando anche sulla questione di illegittimità costituzionale relativa alla l. n. 225/ 1984, nella parte in cui dà esecuzione all'art. IX del Trattato di estradizione tra il Governo italiano e quello degli Stati Uniti d'America che contiene una disposizione analoga a quella dell'art. 698 comma 2, è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale di detto articolo in base al principio che il divieto della pena di morte si configura nel sistema costituzionale quale proiezione della garanzia accordata al bene fondamentale della vita, che è il primo dei diritti inviolabili dell'uomo, riconosciuti dall'art. 2 Cost. Non è stata ritenuta pertanto, costituzionalmente ammissibile la formula delle « sufficienti assicurazioni », ai fini della concessione dell'estradizione per fatti in ordine ai quali è stabilita la pena capitale dalla legge dello Stato estero, in quanto il divieto della pena di morte sancito dall'art. 27, comma 4, Cost., e i valori ad esso sottostanti, primo fra tutti quello della vita, impongono una garanzia assoluta, che verrebbe infirmata dalla presenza di una norma che demanda a valutazioni discrezionali, da operarsi per ogni singola fattispecie concreta, il giudizio sul grado di affidabilità e di effettività delle garanzie accordate dal Paese richiedente (v. in dottrina Diotallevi, 3528)-

Peraltro l'art. 4, comma 1, lett. b), n. 1), d.lgs. n. 149/2017  ha interpolato l'art. 700, comma 2 c.p.p., inserendovi una lettera b-bis), che impedisce di allegare alla domanda di estradizione il provvedimento dell'Autorità straniera del Paese richiedente e ha eliminato il riferimento alle idonee rassicurazioni (in dottrina, Diotallevi, 502).  

La giurisprudenza ha ritenuto che con riferimento al Trattato di estradizione tra l'Italia e gli Stati Uniti d'America del 13 ottobre 1983, deve ritenersi garanzia assoluta ai fini della concessione dell'estradizione la norma positiva contenuta nella legislazione dello Stato richiedente, in forza della quale la pena capitale non è prevista per il reato in ordine al quale l'estradizione è richiesta (Cass. VI, n. 35069/2005). Successivamente è stato ritenuto che, poiché l'art. 11, comma 2, della Costituzione di Bosnia ed Erzegovina stabilisce che saranno rispettati i diritti e le libertà fondamentali definiti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, con priorità su tutte le altre leggi, e poiché l'art. 1 del protocollo n. 6 di detta Convenzione stabilisce che la pena di morte è abolita, è concedibile l'estradizione richiesta dalla Repubblica di Bosnia-Erzegovina nei confronti di un cittadino accusato di omicidio, reato per il quale, ricorrendo determinate aggravanti, è applicabile astrattamente, in base al codice penale di Stato, la pena di morte, dovendo ritenersi verificata la condizione posta dalla sentenza della Corte cost. n. 223/1996, che, nel dichiarare l'incostituzionalità dell'art. 698, comma 2, per la concedibilità della estradizione è necessaria la garanzia assoluta che lo Stato richiedente non applichi la pena di morte, garanzia che non può essere fornita semplice dichiarazione di intenti, che non garantiva con assoluta certezza la tutela del bene della vita. (Cass. VI, n. 1117/2000 ), In ogni caso al fine di evitare l'impunità del cittadino straniero resta comunque applicabile il rimedio di cui all'art. 10 c.p. che affida al Ministro della giustizia la richiesta di punizione del colpevole secondo la legge italiana (Cass. VI, n. 33980/2006). 

  In tema di estradizione passiva verso la Cina, qualora il reato per cui è richiesta la consegna sia punito astrattamente con la pena di morte, non può essere disposta la consegna in assenza di una decisione giudiziaria irrevocabile che escluda l'applicazione della pena capitale nel caso concreto, essendo insufficienti generiche assicurazioni dello Stato richiedente . Non è stata ritenuta applicabile la previsione contenuta all'art. 3, lett. f, del trattato tra Italia e Cina, in base al quale per dare esecuzione alla richiesta di estradizione è sufficiente che vi siano elementi per escludere il "fondato timore" della sottoposizione ad "altro trattamento o punizione crudele, inumana o umiliante", in quanto la norma si riferisce alle modalità esecutive di una pena necessariamente diversa da quella capitale (Cass., VI, n. 39443/2019).

Bibliografia

Aprile, Sulla problematica delle richieste di estradizione verso la Bielorussia, in Cass. pen. 2012, 1752; Cassese, sub art. 10, in Commentario della Costituzione Branca, Bologna, 1975, 544 ss.; Diotallevi, sub art. 698, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, diretta da Lattanzi-Lupo, Milano, V, 2020, 929;  Diotallevi, Esclusa l’estradizione per i reati puniti con la pena di morte, in Cass. pen. 1996, 3528; Fonseca, La cruda realtà delle estradizioni dall’Italia verso gli Stati Uniti d’America, in Dir. proc. e pen. 2011, 4, 502; Pittiruti, L'accertamento sulle condizioni ostative alla consegna e i poteri istruttori ex officio nel procedimento di estradizione passiva, in RIDPP, 2021,229; Selvaggi-De Donato, Art. 13 c.p., in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, diretta da Lattanzi-Lupo, vol. I, Milano, 2015, 327 ss.; Stampanoni Bassi, Estradizione e trattamento sanzionatorio: la Cassazione negala consegna dell’estradando per violazione del principio di legalità, in Cass. pen., 2016, 3685; Triggiani, In divenire la disciplina dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere: appunti sulla l. 21 luglio 2016, n. 149, in Dir. pen. cont. on line, 5 ottobre 2016

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