Codice di Procedura Penale art. 714 - Misure coercitive e sequestro.Misure coercitive e sequestro. 1. In ogni tempo la persona della quale è domandata l'estradizione [700] può essere sottoposta, a richiesta del ministro di grazia e giustizia [2911], a misure coercitive [281-286, 7043]. Parimenti, in ogni tempo, può essere disposto, a richiesta del Ministro della giustizia, il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato [253] per il quale è domandata l'estradizione 1. 2. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del titolo I del libro IV, riguardanti le misure coercitive, fatta eccezione di quelle degli articoli 273 e 280, e le disposizioni del capo III del titolo III del libro III. Nell'applicazione delle misure coercitive si tiene conto in particolare dell'esigenza di garantire che la persona della quale è domandata l'estradizione non si sottragga all'eventuale consegna [2741b] 2. 3. Le misure coercitive e il sequestro non possono comunque essere disposti se vi sono ragioni per ritenere che non sussistono le condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione. 4. Le misure coercitive sono revocate [299, 718] se dall'inizio della loro esecuzione è trascorso un anno senza che la corte di appello abbia pronunciato la sentenza favorevole all'estradizione ovvero, in caso di ricorso per cassazione contro tale sentenza, un anno e sei mesi senza che sia stato esaurito il procedimento davanti all'autorità giudiziaria. A richiesta del procuratore generale, detti termini possono essere prorogati, anche più volte, per un periodo complessivamente non superiore a tre mesi, quando è necessario procedere ad accertamenti di particolare complessità3. 4-bis. Le misure coercitive sono altresì revocate se sono trascorsi tre mesi dalla pronuncia della decisione favorevole del Ministro della giustizia sulla richiesta di estradizione senza che l'estradando sia stato consegnato allo Stato richiedente. Il termine è sospeso dalla data di deposito del ricorso presentato al giudice amministrativo avverso la decisione del Ministro della giustizia, fino alla data di deposito della sentenza che rigetta il ricorso o della decisione che dichiara l'estinzione del giudizio, comunque per un periodo non superiore a sei mesi 4. 5. La competenza a provvedere a norma dei commi precedenti appartiene alla corte di appello o, nel corso del procedimento davanti alla corte di cassazione, alla corte medesima [279].
[1] L'art. 4, comma 1, lettera m), del d.lgs. 3 ottobre 2017, n. 149, ha sostituito le parole «Ministro della giustizia» alle parole «ministro di grazia e giustizia». Precedentemente, ai sensi del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, come da ultimo modificato dal d.l. 18 maggio 2006, n. 181, conv., con modif., in l. 17 luglio 2006, n. 233, la denominazione «ministro di grazia e giustizia» era da intendersi «ministro della giustizia». [2] V. Corte cost. 16 luglio 2004, n. 231, sub art. 314. [3] Comma così sostituito dall'art. 35 d.lg. 14 gennaio 1991, n. 12. [4] Comma inserito dall'art. 5, comma 3, della l. 21 luglio 2016, n. 149. InquadramentoIn considerazione della natura solo parzialmente giurisdizionale del procedimento di estradizione passiva, il legislatore ha adottato il c.d. sistema misto, lasciando al Ministro il potere di iniziativa circa la richiesta di applicazione di misure cautelari, oltre quello di concedere o meno l'estradizione e prevedendo la garanzia giurisdizionale sia sotto il profilo dell'accertamento delle condizioni legittimanti l'estradizione sia della tutela della libertà personale dell'estradando. La richiesta ministeriale di applicazione della custodia cautelare, formulata a seguito della decisione favorevole alla consegna nell'ipotesi prevista dall'art. 704, comma 3, c. p. p., non è vincolante per l'autorità giudiziaria, dovendo la misura cautelare essere comunque disposta in vista delle esigenze cautelari afferenti al procedimento di estradizione, da valutarsi ai sensi dell'art. 714, comma 2, c.p.p. . (Cass. VI, n. 22804/2022; Cass. VI, n. 23252/2021). E' stato ritenuto inammissibile per difetto di legittimazione la richiesta di misure coercitive in danno dell'estradando da parte dello Stato richiedente, qualora sia già pervenuta allo Stato italiano la domanda di estradizione, in applicazione del comma 1 dell'art. 714, che attribuisce al solo Ministro della giustizia la legittimazione a richiedere tali misure (Cass. VI, n. 1223/95, Garofoli, 566 ss.). La circostanza che sia già pervenuta la domanda di estradizione rende inapplicabile anche il ricorso all'arresto in via provvisoria, di cui all'art. 715 (Cass. VI, 22 marzo 1999, con osservazioni di Santoriello). La richiesta del Ministro della giustizia di applicazione della custodia cautelare all'estradando, proposta a seguito di decreto di concessione dell'estradizione su consenso dell'interessato, soggiace alla disciplina di cui all'art. 714, commi 1 e 2, ed alle esigenze cautelari ivi previste, e non alla previsione di cui all'art. 704, c. 3, che si riferisce alla diversa ipotesi in cui la richiesta cautelare intervenga dopo una decisione giurisdizionale favorevole all'estradizione (Cass. VI, n. 33397/2002). In tema di estradizione passiva di tipo processuale, anche una misura cautelare a tempo rientra tra i provvedimenti che possono giustificare la consegna, atteso che la Convenzione europea di estradizione del 1957 non stabilisce le caratteristiche del titolo estradizionale e che non è consentito estendere analogicamente il motivo di rifiuto, previsto per le estradizioni di tipo esecutivo, relativo alla durata minima della pena ancora da scontare. (Cass., VI, n. 56086/2018). È stata ritenuta manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale della legge di ratifica del Trattato di estradizione tra Italia e Stati Uniti che consente che l'estradizione per l'estero sia concessa per reati per i quali non è consentita nel nostro ordinamento, ai sensi dell'art. 280, l'adozione di misure coercitive, trattandosi di una scelta discrezionale del legislatore, (T.a.r. Lazio, I, 9 giugno 1999). In dottrina v. Melillo , 2129. I criteri della normativaLa garanzia del controllo giurisdizionale sulla legittimità di ogni misura privativa della libertà personale rinvia alla C.E.D.U., che regolamenta in modo specifico l'applicazione delle misure di custodia cautelare per fini estradizionali, all'art. 5, § 4, in relazione al § 1, lett. f). Si è attribuito all'estradando un trattamento analogo a quello spettante all'indagato-imputato davanti al giudice italiano, prevedendo, tra le condizioni legittimanti l'adozione della misura coercitiva, il pericolo che il soggetto interessato possa sottrarsi alla consegna. Il potere coercitivo nei confronti della persona della quale è domandata l'estradizione da parte di uno Stato estero, non può essere esercitato d'ufficio: gli artt. 714 e 715 hanno previsto come necessaria la richiesta del Ministro della giustizia. Tale richiesta costituisce un atto d'impulso, non vincolante per l'autorità giudiziaria, ma indefettibile presupposto della legittimità del provvedimento cautelare; Cass. VI, n. 1223/95). Pertanto l'adozione di una misura cautelare non preceduta da un arresto operato ex art. 716 è illegittima, ove manchi una richiesta motivata del Ministro della giustizia ai sensi dell'art. 715, comma 1 (Cass. VI, n. 48498/2008). La decisione sulla richiesta di sospensione dei termini di custodia cautelare applicata ai sensi dell'art. 714 c.p.p., richiede la previa instaurazione del contraddittorio con la difesa, attuabile con libertà di forme e senza che occorra anche la partecipazione personale dell'imputato (Cass., VI, n. 29681/2020) I termini massimi di custodia cautelareL'art. 714, comma 4, stabilisce un limite massimo alla durata della misura coercitiva, entro il quale le misure coercitive devono essere revocate se la fase giurisdizionale dell'estradizione non è stata definita. L'art. 35 d.lgs. n. 12/1991, ha previsto un limite di dodici mesi per la durata della applicazione della misura coercitiva, rispetto al periodo entro cui la Corte d'appello deve pronunciare una sentenza favorevole all'estradizione, o, se vi è stato ricorso in cassazione, di un limite massimo di un anno e sei mesi, entro il quale deve essere in ogni caso concluso l'iter giurisdizionale. Maturato il termine previsto senza che sia intervenuta la pronuncia della sentenza favorevole all'estradizione, devono essere revocate le misure coercitive applicate all'estradando, né allo stesso possono essere applicate altre misure, sia pure meno gravose di quelle revocate (Cass. II, n. 3814/2009). La l. n. 149/2016, ha modificato alcune disposizioni in materia di estradizione per l'estero anche relative al termine per la consegna e la durata massima delle misure coercitive. Il comma 3 dell'art. 5 ha inserito all'art. 714 il comma 4 bis. In base al quale le “misure coercitive sono altresì revocate se sono trascorsi tre mesi dalla pronuncia della decisione favorevole del Ministro della giustizia sulla richiesta di estradizione senza che l'estradando sia stato consegnato allo Stato richiedente”. Il termine è sospeso dalla data di deposito del ricorso presentato al giudice amministrativo avverso la decisione del Ministro della giustizia, fino alla data di deposito della sentenza che rigetta il ricorso o della decisione che dichiara l'estinzione del giudizio, comunque per un periodo non superiore a sei mesi ». Il termine di tre mesi , deve computarsi non dal giorno di emissione del provvedimento del Ministero della Giustizia che concede l'estradizione, ma solo da quando esso diventi eseguibile, in seguito alla intervenuta definizione della fase giurisdizionale. (Cass., VI, n. 18603/2021). La custodia cautelare applicata su richiesta del Ministro della giustizia, a seguito della definitività del decreto di estradizione, non è soggetta al termine di durata previsto dall'art. 714, comma 4-bis, c. p. p., in quanto la misura coercitiva adottata a conclusione della fase giurisdizionale è volta esclusivamente a dare attuazione alle concrete modalità di consegna e prescinde dalla sussistenza delle esigenze cautelari. (Cass. VI, n. 33682/2020), a nulla rilevando i motivi del mancato espletamento degli adempimenti relativi a precedenti tentativi di esecuzione della consegna medesima (Cass. VI, n. 18622 /2017). in dottrina v. Trappella, 1; Triggiani, 2016. La previsione di due termini distinti ha, inoltre, cercato di porre rimedio all'eventualità che i termini a disposizione della Corte di cassazione venissero di fatto vanificati dal protrarsi del procedimento davanti alla Corte d'appello. In questo modo si è dato un riconoscimento procedurale alla diversa possibile ampiezza degli accertamenti posti in essere, o dalla Corte d'appello o dalla Corte di cassazione. Sull'effettiva durata dei periodi concessi alla Corte d'appello ed alla Corte di cassazione incidono per il primo organo giudicante i tre mesi concessi al procuratore generale e l'eventuale applicazione di misure coercitive provvisorie, applicabili anche prima della ricezione della domanda ex art. 715, da cui comincia a decorrere il termine di un anno. La durata del procedimento di fronte alla Corte di cassazione è inversamente proporzionale alla durata del procedimento di fronte alla Corte d'appello. Infatti il secondo organo potrà eventualmente utilizzare gli eventuali mesi non utilizzati dalla Corte d'appello. Dovrebbe considerarsi la possibilità di applicare l'art. 303, comma 2, nel caso in cui la Corte di cassazione rimetta gli atti alla Corte d'appello, ovvero trattandosi comunque di un giudizio di merito, che anche di fronte alla Corte di cassazione possano essere prorogati i termini di chiusura del procedimento, o di validità della misura cautelare, per un periodo comunque non superiore a tre mesi, nell'ipotesi in cui sia necessario procedere ad accertamenti di particolare complessità. La misura cautelare applicata all'estradando va revocata allorché ne sia stata sospesa la consegna allo Stato richiedente fino al soddisfacimento della giustizia italiana a norma dell'art. 709 c.p.p. (v. antea) (Cass. VI, n. 17624/2007; Cass., VI, n. 44441/2008). La materia è infatti regolata, dal comma 4 dello stesso art. 714 (Cass. S.U., n. 41540/2006). Segue. In particolare la proroga dei termini della custodia cautelareI termini stabiliti dall'art. 714, comma 4 essere prorogati quando gli accertamenti siano complessi. La complessità non può che derivare dalla necessità di acquisire ulteriore documentazione dallo Stato richiedente, con valutazione, in punto di fatto, riservata alla Corte d'appello procedente e non censurabile in sede di legittimità (Cass. VI, n. 736/1991). Con riferimento alle modifiche operate dalla l. 21 luglio 2016, n. 149, v. ante. La rimessione in libertà dell'estradando per scadenza dei termini di custodia cautelare conseguente alla sospensione, disposta dal giudice amministrativo, del provvedimento ministeriale di consegna, non impedisce che il Ministro della giustizia, ai sensi dell'art. 714, investa l'organo giurisdizionale di una verifica finalizzata all'accertamento del concreto pericolo di fuga dell'estradando nell'arco temporale ricompreso fra la decisione provvisoria e la pronuncia definitiva del giudice amministrativo, nel pieno rispetto del contraddittorio fra le parti, e da concludere con l'eventuale adozione di misure cautelari di tipo non custodiale che garantiscano l'effettività della possibile consegna allo Stato richiedente (Cass., VI, n. 4338/2015). La sussistenza del pericolo di fuga, che giustifica l'applicazione del provvedimento limitativo della libertà personale, deve essere motivatamente fondata su elementi specifici, concreti e sintomatici di una reale possibilità di allontanamento clandestino da parte dell'estradando, non costituendo circostanza rilevante a tali fini la severità della pena cui lo stesso dovrebbe essere sottoposto in caso di consegna (Cass. VI , n. 50161/2019). Sussiste il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione in relazione alla custodia cautelare sofferta a fini estradizionali, perchè la disciplina degli artt. 314 e 315 viene richiamata dall'art. 714, comma 2 (Cass. IV, n. 2678/2009; v. anche Corte cost., n. 231/2004). Il divieto ex art. 297, comma 3, c. p. p. di plurime contestazioni cautelari con applicazione della medesima misura coercitiva per "uno stesso fatto" è applicabile , in assenza di specifica normativa convenzionale o interna, anche in sede estradizionale, in ragione del generale richiamo operato dall'art. 714, comma 2, c.p.p. alle disposizioni del titolo I del libro IV del codice di rito. (In applicazione del principio, la Corte ha dichiarato la cessazione di efficacia della misura custodiale disposta nei confronti di un estradando che aveva già sofferto il periodo massimo di custodia nel corso di altra procedura estradizionale instaurata, per i medesimi fatti, a seguito di una precedente domanda) (Cass. VI , n. 36577/2022 ) Condizioni per l'applicazione delle misure cautelari: a) la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezzaLa giurisprudenza è conforme nel ritenere che la richiesta del ministro della giustizia di applicazione della custodia cautelare all'estradando, anche se proposta a seguito di concessione dell'estradizione su consenso dell'interessato, soggiace alla disciplina di cui all'art. 714, comma 1 e comma 2, ed alle esigenze cautelari ivi previste e non alla previsione di cui all'art. 704, comma 1, che si riferisce alla diversa ipotesi in cui la richiesta cautelare intervenga dopo una decisione giurisdizionale favorevole all'estradizione (Cass. n. 33397/2002). La Corte di cassazione ha ritenuto peraltro che le misure coercitive ed il sequestro nel corso di un procedimento di estradizione non possono essere disposte se vi sono ragioni per ritenere che non sussistono le condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione stessa; pertanto, una volta sopravvenuta una pronuncia favorevole, non è consentita la revoca della misura se non per intervenuta insussistenza delle esigenze cautelari, così come si può argomentare, con un ragionamento a contrario, in relazione alla disposizione dell'art. 704, comma 4, che prevede la revoca della misura applicata, in caso di decisione contraria all'estradizione (Cass. VI, n. 3384/2005). Le condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione dovranno altresì essere ritenute presenti nel caso in cui il ministro della giustizia, pur richiedendo alla Corte d'appello l'esecuzione della rogatoria internazionale avente ad oggetto perquisizione domiciliare e sequestro, si riservi di provvedere all'esito di un'ulteriore valutazione sulla domanda di estradizione (Cass. V, n. 3812/2003). Peraltro lo stato di privazione della libertà personale dell'estradando per altra causa non è stato ritenuto ostativo per l'adozione di misura cautelare in carcere, in fase di decisione favorevole all'estradizione, dovendo detta misura essere disposta in vista delle esigenze cautelari afferenti il procedimento di estradizione (ex art. 704, comma 3) da valutarsi autonomamente ai sensi dell'art. 714 comma 2 (Cass. VI, n. 846/1991). Non è applicabile alle misure cautelari ex art. 714, il divieto previsto dall'art. 275, comma secondo bis, c. p. p. di disporre la misura della custodia cautelare in carcere quando il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la pena detentiva da eseguire non sarà superiore a tre anni, costituendo, quest'ultimo, disposizione riguardante il diritto interno. (Cass. VI, n. 24245/2015). Segue: b) la sussistenza del pericolo di fugaDevono ritenersi applicabili, ai sensi dell’art. 714, comma 2, e quindi nei limiti della compatibilità, le disposizioni degli artt. 274 e 275, con la conseguenza che il giudice è tenuto a valutare in concreto (oggi anche attuale) la sussistenza del pericolo di fuga, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie reale, compresa la personalità dell’estradando (Cass. Fer., n. 32770/2012); peraltro il mancato consenso dell’interessato ad essere estradato non può essere valutato come elemento sintomatico della sua volontà di fuga, non sussistendo per l’indagato alcun dovere di consentire alla richiesta di estradizione ai sensi dell’art. 701 (Cass. I, n. 2840/2007); la sussistenza del pericolo di fuga può essere desunta dal possesso da parte dell’estradando di falsi documenti d’identità e di false banconote (Cass. VI, n. 41033/2009; Cass. III,, n. 23319/2016), o dalla mancata presentazione dell’estradando all’udienza fissata per la sua identificazione (Cass. VI, n. 1751/2009). Il pericolo di fuga deve essere motivatamente fondato su elementi concreti, specifichi e rivelatori di una vera propensione e di una reale possibilità d’allontanamento clandestino da parte dell’estradando. Pertanto, non è sufficiente desumere il pericolo di fuga dalla prospettiva che l’estradando avrebbe dovuto scontare nello Stato richiedente una consistente pena con la sentenza di condanna posta a base della domanda estradizionale (Cass. VI, n. 28758/2008), ben potendo la consegna estradizionale essere assicurata anche mediante cautele diverse dalla custodia in carcere (Cass. VI, n. 11154/2002). Giudice competente a provvedere sulle misure coercitiveLa richiesta del ministro di applicazione della misura coercitiva può essere qualificata come presupposto processuale. Così non è stata ritenuta valida richiesta di misura cautelare, ai sensi dell'art. 714, quella effettuata, secondo quanto previsto dall'art. 716, comma 4, al fine del mantenimento della convalida dell'arresto operato, in caso di urgenza, da parte della polizia giudiziaria. Infatti la dichiarazione ministeriale di cui all'art. 716, comma 4, la cui mancanza funziona come una sorta di condizione risolutiva della misura disposta, non può valere quale atto d'impulso in una fase processuale del tutto diversa ed autonoma. Così, in tema di MAE, è stato ritenuto che l'autorità giudiziaria debba provvedere a emettere il provvedimento di convalida entro il termine di quarantotto ore dalla ricezione del verbale di arresto (Cass. VI, n. 40614/2006). La Corte di cassazione ha ritenuto che compete alla Corte d'appello anche l'applicazione, la revoca e la sostituzione delle misure cautelari. La mancata notifica al difensore dell'avviso di deposito dell'ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti dell'estradando integra una nullità di ordine generale « a regime intermedio », non assoluta, che resta sanata per il raggiungimento dello scopo a norma dell'art. 183 quando i motivi di impugnazione siano stati tempestivamente presentati dal difensore e riguardino il provvedimento impugnato (Cass. VI, n. 5647/2013). In tema di estradizione per l'estero di persona minorenne spetta al presidente della Corte d'appello la competenza funzionale alla convalida dell'arresto di polizia giudiziaria e all'adozione di misure coercitive a norma dell'art. 716, comma 3, avendo invece la sezione per i minorenni della medesima Corte la competenza a decidere sulla relativa richiesta di consegna e sull'eventuale applicazione di misure cautelari a norma dell'art. 714 (Cass. VI, n. 6996/2011). Le Sezioni unite hanno affermato che la definizione della procedura di estradizione con decisione favorevole alla stessa non preclude il controllo giurisdizionale sulla richiesta di revoca o sostituzione della misura coercitiva nell'ambito del procedimento incidentale de libertate, purché la richiesta si fondi su motivi attinenti alla sopravvenuta inefficacia della misura o all'insussistenza delle esigenze cautelari, con particolare riguardo al pericolo di fuga, e la persona non sia stata già consegnata allo Stato richiedente e sempre che sulla questione non sia intervenuta, nel procedimento principale di estradizione, la decisione definitiva sulla questione de libertate che determina una preclusione endoprocessuale sul punto, che comunque deve ritenersi una preclusione allo stato degli atti (Cass. S.U. n. 26156/2003 , in dottrina Ciampi, 2985). Detta competenza è derogata a favore della Corte di cassazione solo se il procedimento è « in corso » davanti ad essa in base al combinato disposto degli artt. 714, comma 5, e 718, comma 1. Deve ritenersi il procedimento « in corso » quando il giudice ne abbia la disponibilità, dovendo decidere una qualsiasi questione che rientri nella sua competenza; non può trovare applicazione invece la deroga suddetta in caso di intervenuta statuizione con competenza a favore della Corte d'appello in un caso in cui la stessa Corte di cassazione, due anni prima, aveva annullato la sentenza della Corte d'appello, che aveva espresso parere favorevole all'estradizione (Cass. II, n. 6809/1991). È stato ritenuto impossibile adottare una misura cautelare più rigorosa di quella richiesta dal ministro, in mancanza di una esplicita richiesta dello stesso ministro; è possibile provvedere d'ufficio soltanto in caso di attenuazione o revoca della misura adottata. Conseguentemente è stato ritenuto che, ove il ministro abbia richiesto l'applicazione della misura cautelare ritenuta più opportuna e la Corte d'appello abbia applicato il divieto di espatrio al fine di garantire la consegna dell'estradando allo Stato che ne aveva fatto richiesta, non sussiste in capo al procuratore generale il potere di richiedere alla Corte di cassazione l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere (Cass. VI, 6 ottobre 1994, con osservazioni di Diotallevi). Per questo il procedimento in camera di consiglio davanti alla Corte d'appello, chiamata a deliberare sulla richiesta di revoca o sostituzione della misura coercitiva disposta nei confronti dell'estradando, deve svolgersi nelle forme « partecipate » previste dall'art. 127 e non secondo la procedura de plano stabilita in via ordinaria dall'art. 299 (Cass., S.U., n. 26256/2003; Cass. VI, n. 47885/2012; Cass. VI, n. 4292/2013). L'esaurimento del procedimento di estradizione, con decisione favorevole alla stessa, non ha efficacia preclusiva del controllo giurisdizionale sulla richiesta di revoca o sostituzione della misura coercitiva, se la richiesta sia fondata su profili attinenti alla sopravvenuta inefficacia della misura o all'insussistenza delle esigenze cautelari, con riguardo al pericolo di fuga, e la persona, a seguito di concessa estradizione, non sia stata effettivamente consegnata allo Stato richiedente (Cass., VI, n. 45130/2014; Cass., VI, n. 9924/2014). Poiché le pronunce sulle istanze di revoca o modifica della misura cautelare applicata all'estradando fanno parte del procedimento finalizzato all'estradizione e sono espressione della « competenza accessoria » del giudice, che su questa deve pronunciarsi, non dà luogo all'incompatibilità di cui all'art. 34 la circostanza che gli stessi giudici che hanno provveduto de libertate siano chiamati a pronunciarsi anche sull'estradizione (Cass. III, 7 luglio 1999, Cass. V, n. 44864/2011). Osservazioni sul mandato di arresto europeoCon la l. n. 69/2005è stata data attuazione alla decisione quadro che ha istituito il mandato d'arresto europeo (Mae). L'iniziativa si è inserita all'interno di una politica tesa a costruire « un autentico spazio di libertà, sicurezza e giustizia » fondato sul principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie civili e penali, sulla base di un criterio di « reciproca fiducia ». La decisione-quadro era stata ratificata dal Consiglio dell'Unione nel vertice di Laeken del 14-15 dicembre 2001ed entrata in vigore il 7 agosto 2002. Con la sua approvazione sono stati dunque sostituiti all'interno dell'Unione Europea i precedenti istituti adottati in materia di estradizione. L'adattamento della normativa interna processuale si è concluso il 22 aprile 2005. Per un necessario coordinamento tra l'applicazione della disciplina in materia di estradizione e quella relativa all'applicazione del Mae la giurisprudenza ha ritenuto che trova applicazione la disciplina sul MAE, e non quella estradizionale, nell'ipotesi in cui, dopo l'arresto di p.g. della persona nei confronti della quale sia stata presentata domanda di arresto provvisorio, sia trasmesso al Presidente della corte d'appello il mandato di arresto europeo, nel frattempo emesso dall'autorità straniera, a seguito dell'ingresso nell'Unione europea dello Stato di emissione (Cass. VI, n. 27341/2008), come pure in ordine al procedimento estradizionale qualora, a seguito di una diffusione di ricerche in campo internazionale o di una segnalazione nel Sis, effettuate prima dell'ingresso del Paese estero nell'Unione europea, l'arresto d'iniziativa degli organi di polizia sia stato in concreto operato a seguito dell'entrata in vigore, anche per tale Stato, della nuova disciplina di consegna. (Cass. VI, n. 40526/2007, con nota di Geraci, 2806; Cass. VI, n. 47564/2007). Per una valutazione articolata della nuova disciplina del Mae, in dottrina, ex plurimis si rimanda a Majello, 112 ss. BibliografiaCiampi, La garanzia e la disciplina del controllo giurisdizionale sulla richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari disposte a fini di estradizione, in Cass. Pen. 2003, 2985; De Amicis, in Cooperazione giudiziaria penale, a cura di Marandola, Milano, 116 e ss; Diotallevi , sub art. 714, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, diretta da Lattanzi-Lupo, Milano,V, 2020, 995; Garofoli, Diritto processuale penale, Milano, 2012, 566 ss.; Geraci, Applicabilità della disciplina del mandato di arresto europeo nel caso di successivo ingresso di uno stato nell’Unione Europea, in Cass. Pen. 2008, 2806;Maiello, La disciplina interna del Mae tra fedeltà comunitaria e garanzie costituzionali: riflesso di una primauté solo “tendenzialmente assoluta”, in Riv.it.dir. e proc. pen. 2011, 112 ss.; Melillo, Decreto di estradizione e sindacato del giudice amministrativo, in Cass. Pen. 2000, 2129; Sanna, Maggiore tutela della libertà personale nella nuova procedura di estradizione, in Giur. it. 1990, II, 359; Trappella, I termini massimi di coercizione nella vicenda estradizionale tra norme di genus e regole speciali, in Cass. Pen. 2011, 1; TriggianiI, In divenire la disciplina dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere: appunti sulla l. 21 luglio 2016, n. 149, in Dir. pen. cont. on line 5 ottobre 2016 |