Codice di Procedura Penale art. 1 - Giurisdizione penale 1 .

Sergio Beltrani

Giurisdizione penale 1.

1. La giurisdizione penale è esercitata dai giudici previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario [102 Cost.; 1 ord. giud.] secondo le norme di questo codice.

 

[1] Per la giurisdizione dei tribunali militari, v. art. 103 Cost., artt. 263 e 264 c.p.m.p. e artt. 231 e 232 c.p.m.g. Per gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, v. l'art. 24 l. 15 dicembre 1990, n. 395. Per la giurisdizione penale della Corte costituzionale, limitata ai reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione dalla l. cost. 16 gennaio 1989, n. 1, v. artt. 134 e 135 Cost., come modificati da detta legge. V. anche l'art. 96 Cost., che sottopone alla giurisdizione ordinaria i reati «ministeriali».

Inquadramento

L'articolo 1 « fissa una norma che, pur essendo essenzialmente ricognitiva, (...), attraverso il collegamento con la disciplina dell'ordinamento giudiziario, vale a sottolineare, sin dall'esordio del discorso normativo, la regola dell'esercizio della giurisdizione penale da parte dei giudici ordinari, in linea con il disposto dell'art. 102 Cost. » (Rel. prog. prel. c.p.p., 2).

La giurisdizione penale

La giurisdizione penale può essere esercitata da giudici ordinari (cd. giurisdizione ordinaria) o speciali (cd. giurisdizione speciale): nel primo caso, è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario (art. 102, comma 1, Cost.); nel secondo caso, in considerazione del divieto di istituire nuovi giudici straordinari o speciali (art. 102, comma 2, Cost.), è esercitata dagli unici giudici speciali ammessi dall'ordinamento, i tribunali militari (che, ai sensi dell'art. 103 Cost., in tempo di guerra, hanno la giurisdizione stabilita dalla legge e, in tempo di pace, hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate) e la Corte costituzionale (che giudica, ai sensi degli artt. 134 e 90 Cost., sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica per altro tradimento ed attentato alla Costituzione).

Parte della dottrina (Tranchina, in Siracusano-Galati-Tranchina-Zappalà, Diritto, 89 s.) ricomprende in questo ambito anche il Tribunale per i minorenni, competente a conoscere tutti i reati commessi da soggetti che non abbiano superato, al momento della commissione, il diciottesimo anno d'età.

In proposito, secondo la giurisprudenza, la sentenza pronunciata dal Tribunale ordinario per fatti commessi da soggetto all'epoca degli stessi minorenne, non è inesistente, ma viziata da nullità assoluta per incompetenza funzionale, vizio non più deducibile dopo il giudicato (Cass. V, n. 4310/2016); analogamente, si è chiarito che anche la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale per i minorenni per fatti commessi da un soggetto maggiore di età non può dirsi inesistente ed il ricorso per cassazione fondato su tale motivo è inammissibile per carenza di interesse, in quanto, in applicazione del principio del favor rei, stante il trattamento più favorevole applicabile, va sempre affermata la competenza del Tribunale per i minorenni quando le risultanze non offrono la certezza che l'imputato abbia raggiunto la maggiore età (Cass. II, n. 13153/2017).

Il riferimento alla necessità che la giurisdizione sia esercitata dai giudici previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario secondo le norme del codice di rito indica che la normativa codicistica ha natura di lex generalis e va coordinata con quanto stabilito dagli artt. 207 ss. disp. coord.: in particolare, l'art. 207 cit. stabilisce che le disposizioni del codice si osservano nei procedimenti relativi a tutti i reati anche se previsti da leggi speciali (salvo quanto stabilito nei titoli II e III: è, ad es., il caso dell'art. 210 disp. coord., in tema di competenza per materia o per territorio, prevista « in deroga alla disciplina del codice », e dell'art. 212 disp. coord., che, fuori dai casi di esercizio dell'azione civile nel processo penale ex art. 74, consente l'intervento del terzo nel processo penale soltanto nei limiti ed alle condizioni previste dagli artt. 91-94). In tal modo, si afferma la prevalenza delle norme processuali codicistiche rispetto alle plurime disposizioni a carattere processuale che si erano succedute nel tempo.

Le Sezioni unite penali hanno chiarito che il vigente codice di procedura penale, tutte le volte che indica il giudice competente all'esercizio della giurisdizione nei diversi stati e gradi del procedimento e del processo, lo fa con riferimento a singoli organi giudiziari, senza cenno alcuno all'identità fisica dei magistrati che detti organi compongono (Cass. S.U. , n. 26/2000: in applicazione del principio, si è ritenuto che, nella fase del giudizio, la richiesta di adozione, modifica o revoca di una misura cautelare personale coercitiva deve essere esaminata e decisa dal tribunale, in composizione monocratica o collegiale, dalla Corte d'assise, dalla Corte d'appello o dalla Corte d'assise d'appello investiti della cognizione, nel merito, del processo, preferibilmente, ma non necessariamente, nella composizione fisica dei magistrati componenti l'organo giudicante che sta conducendo l'istruttoria dibattimentale o che, pur avendo definito il processo in quel determinato grado, è ancora in possesso dei relativi atti; conformi,Cass. V, n. 26880/2002, e Cass. VI, n. 30582/2003).

Giurisdizione penale e responsabilità degli enti immateriali

Nella giurisdizione del giudice penale rientra anche la responsabilità degli enti immateriali prevista dal d.lgs. n. 231/2001, intrinsecamente connessa alla commissione di una delle fattispecie di reato che, ai sensi degli artt. 24-26 d.lgs. n. 231/2001, costituiscono il presupposto della responsabilità dell'ente immateriale.

Segue. Casistica

La giurisprudenza ha ritenuto che la sentenza penale, costituente atto di esercizio della giurisdizione, sia inesistente quando sia emessa da un soggetto privato o pubblico estraneo all'ordinamento giudiziario, che non abbia la qualità di giudice e che si sia arrogato i relativi poteri: è tale la sentenza emessa a non judice, non quella emessa da giudice incompetente (Cass. II, n. 21956/2005, in riferimento a fattispecie nella quale il tribunale per i minorenni aveva emesso sentenze nei confronti di soggetti già maggiorenni all'epoca dei fatti, e la relativa sentenza — pur essendo nulla per difetto di competenza — non è stata ritenuta inesistente, ma suscettibile di passare in giudicato secondo le ordinarie regole di rito).

In tema di riparto di giurisdizione tra Stati, si è ritenuto che l'azione di risarcimento del danno da reato o di restituzione (art. 185 c.p.) nei confronti dell'imputato e dei responsabili civili dimoranti od aventi stabilimento principale in uno Stato estero aderente alle Convenzioni di Lugano del 16 settembre 1988 e del 30 ottobre 2007 può essere legittimamente esercitata davanti al giudice italiano presso il quale è esercitata l'azione penale (Cass. I, n. 7941/2015).

I rapporti con la giurisdizione civile

Il nuovo codice di procedura penale non ha riprodotto la disposizione di cui all'art. 3, comma 2, del codice di rito abrogato: la giurisprudenza civile ne ha desunto che il nostro ordinamento non è più ispirato al principio dell'unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale su quello civile, essendo stato, dal legislatore, instaurato il sistema della quasi completa autonomia e separazione tra i due processi, nel senso che, ad eccezione di alcune e limitate ipotesi di sospensione del processo civile previste dall'art. 75, comma 3 (e, cioè, se il danneggiato proponga l'azione per il risarcimento dei danni in sede civile, dopo essersi costituito parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado), da un lato, il processo civile deve proseguire il suo corso senza essere influenzato dal processo penale e, dall'altro, il giudice civile deve procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità (civile) con pienezza di cognizione, non essendo vincolato alle soluzioni ed alle qualificazioni del giudice penale, con la conseguenza che lo stesso giudice civile non è vincolato a sospendere il giudizio avanti a lui pendente in attesa della definizione del giudizio penale correlato in cui si sia proceduto ad una valutazione di risultanze probatorie in senso parzialmente difforme (Cass. civ. lav., n. 1095/2007; Cass. civ. II, n. 27494/2009). Ciò, peraltro, non preclude al giudice civile la possibilità di utilizzare, come fonte del proprio convincimento, le prove raccolte in un giudizio penale con sentenza passata in cosa giudicata, e di fondare la decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, procedendo, a tal fine, a diretto esame del contenuto del materiale probatorio, ovvero ricavando tali elementi dalla sentenza, o, se necessario, dagli atti del relativo processo, in modo da accertare esattamente i fatti materiali sottoponendoli al proprio vaglio critico; tale possibilità non comporta, tuttavia, anche l'obbligo per il giudice civile — in presenza di un giudicato penale — di esaminare e valutare le prove e le risultanze acquisite nel processo penale (Cass. civ. II, n. 6478/2005: nella specie, è stata confermata la decisione impugnata che, nel dichiarare apocrifo il testamento olografo impugnato di falso, aveva utilizzato soltanto le prove acquisite nel giudizio civile, senza valutare gli elementi raccolti nel processo penale, all'esito del quale il beneficiario delle disposizioni testamentarie era stato assolto dall'imputazione di avere falsificato il testamento).

Segue. Casistica

Il ricorso contro il decreto di liquidazione dei compensi dovuti al perito ed agli altri ausiliari del giudice

La giurisprudenza ha ritenuto che il ricorso contro il decreto di liquidazione dei compensi dovuti al perito ed agli altri ausiliari del giudice deve essere proposto davanti al tribunale od alla corte d'appello che svolgono funzioni civili o penali, a seconda che il provvedimento impugnato sia stato adottato in un procedimento civile o penale: il giudice erroneamente adito difetta, infatti, di giurisdizione, e non semplicemente di competenza, in quanto, sia l'art. 1 sia l'art. 1 c.p.c. attribuiscono ai giudici la funzione loro demandata secondo le norme proprie di ciascuno dei codici stessi (Cass. IV, n. 22483/2007: con riguardo ad una opposizione a decreto di pagamento emesso in favore di un Ctu, erroneamente proposta davanti al giudice civile, la S.C. — alla luce del principio — ha ribadito che il tribunale civile avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare il ricorso improcedibile od inammissibile, senza trasmettere gli atti al Presidente del tribunale per la fissazione dell'udienza davanti al giudice penale).

Sarebbe giuridicamente inesistente il provvedimento giurisdizionale che, quantunque materialmente esistente ed ascrivibile ad un giudice, risulti, tuttavia, privo del requisito minimo della provenienza da un organo giudiziario investito del potere di decisione in una materia riservata agli organi della giurisdizione penale e, come tale, risulti esorbitante, siccome invasivo dello specifico campo riservato al giudice penale dai limiti interni ed oggettivi che, alla stregua dell'ordinamento positivo, discriminano il ramo civile e quello penale nella distribuzione della giurisdizione (Cass. S.U. , n. 25/1999, in fattispecie relativa ad un'ordinanza del tribunale civile, ritenuta viziata da difetto assoluto di giurisdizione, con conseguente accoglimento del ricorso del difensore avverso decreto del g.i.p. militare in materia di liquidazione dei compensi professionali a norma della all'epoca vigente l. n. 217/1990).

Misure di prevenzione

In tema di misure di prevenzione, si è ritenuto che sussiste il difetto assoluto della giurisdizione penale, in favore di quella civile, a conoscere della controversia tra l'Agenzia del Demanio, alla quale sia stato trasferito un immobile, a seguito di confisca definitiva, ed il proprietario della pertinente area di sedime, in ordine all'esercizio dei diritti reali relativi ai suddetti beni (Cass. I, n. 20793/2009, in fattispecie nella quale, con incidente di esecuzione, il proprietario del suolo sul quale sorgeva l'immobile, definitivamente acquisito al patrimonio dello Stato, aveva chiesto al giudice della misura di prevenzione lo “sgombero” del manufatto dal suo terreno; conforme, Cass. I, n. 21063/2010, in fattispecie avente ad oggetto la domanda di rilascio promossa dal proprietario di un complesso immobiliare occupato dai beni del complesso aziendale di un'impresa confiscata in via definitiva).

Si è, inoltre, chiarito che è devoluta alla cognizione del giudice civile, non di quello penale, l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori giudiziari incaricati della gestione di beni aziendali sequestrati nell'ambito di un procedimento di prevenzione (Cass. V, n. 18859/2013, che, in applicazione del principio, e rilevato il difetto della giurisdizione penale in favore di quella civile, ha annullato senza rinvio la condanna al risarcimento dei danni pronunziata dal giudice penale all'esito del giudizio di contestazione del rendiconto finale).

I rapporti con la giurisdizione amministrativa

Un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato ritiene che l'autorità giudiziaria ordinaria non abbia il potere di valutare la conformità a legge di un arret di un'altra giurisdizione (ad esempio, di una sentenza del tribunale amministrativo regionale coperta da giudicato), in quanto il cittadino — pena la vanificazione dei suoi diritti civili — non può essere privato della facoltà di fare affidamento sugli strumenti della tutela giurisdizionale posti a sua disposizione dall'ordinamento (Cass. III, n. 54/1996, in fattispecie riguardante la configurabilità del reato di costruzione senza concessione edilizia, nella quale era stato disposto un provvedimento di sequestro, nonostante l'esistenza di una pronunzia definitiva del T.A.R. che affermava la legittimità della costruzione; conforme, Cass. III, n. 39707/2003, per la quale, in materia edilizia, il potere del giudice penale di accertare la conformità alla legge ed agli strumenti urbanistici di una costruzione edilizia, e conseguentemente di valutare la legittimità di eventuali provvedimenti amministrativi concessori o autorizzatori, trova un limite nei provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato che abbiano espressamente affermato la legittimità della concessione o dell'autorizzazione edilizia ed il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell'opera. Nella specie, peraltro, la S.C. ha evidenziato che le sentenze amministrative invocate dal ricorrente si erano limitate, la prima, a pronunciare un annullamento per mero difetto di motivazione, la seconda, un annullamento per mancata acquisizione di un parere obbligatorio).

Si è anche evidenziato che il giudice penale, nel caso in cui accerti e dichiari (ai sensi dell'art. 537 c.p.p.) la falsità di atti e/o documenti costituenti presupposto per l'inserimento di un soggetto nella graduatoria di un concorso pubblico, non può  modificare la predetta graduatoria, eliminando il nominativo del soggetto responsabile dell'accertata falsità, poiché detto potere può essere esercitato esclusivamente dall'amministrazione competente nelle forme proprie dei provvedimenti amministrativi: l'approvazione della graduatoria di concorsi a pubblici impieghi è, infatti, un provvedimento di amministrazione attiva, attraverso il quale la PA fa proprio l'operato della commissione esaminatrice, e quindi soltanto la PA competente ha il potere di modificare le graduatorie, pur se, in ipotesi, agli effetti penali illegittimamente formate (Cass. V, n. 32035/2014).

Giurisdizione e competenza

Può ritenersi pacifico che, se con il termine “Giurisdizione” si fa riferimento all'esercizio della funzione sovrana dello jus dicere attraverso l'applicazione di norme astratte a casi concreti, per l'attuazione della volontà della legge, con quello di “Competenza” si mira ad individuare, secondo regole di materia, territorio o funzione, la sfera entro la quale i diversi organi giudiziari esercitano la giurisdizione loro conferita (Cass. S.U ., n. 26/2000, in motivazione).

L'assegnazione interna degli affari di giustizia

L'assegnazione di un affare ad una sezione piuttosto che ad un'altra attiene non alla giurisdizione, ma alla competenza interna e, comunque, ai sensi dell'art. 33, non si considera afferente alla capacità del giudice; ne consegue che non è vietata, dall'ordinamento, l'assegnazione dei procedimenti, aventi ad oggetto la ricusazione di magistrati addetti a funzioni penali, ad una sezione della corte d'appello che non sia anche incaricata della trattazione di affari penali (Cass. II, n. 20288/2004: la S.C. ha anche ribadito che, in mancanza — nell'ordinamento vigente — di una distinzione tra i ruoli organici dei magistrati addetti all'esercizio della giurisdizione penale e quelli dei magistrati addetti all'esercizio della giurisdizione civile, deve ritenersi che tutti i magistrati dell'ufficio giudiziario siano, in eguale modo, potenzialmente investiti del potere giurisdizionale in materia civile e penale, come desumibile anche dagli artt. 7-bis e 7-ter r.d. n. 12/1941, recante le disposizioni sull'ordinamento giudiziario, che prevedono un apposito provvedimento tabellare per la ripartizione delle funzioni all'interno dell'ufficio giudiziario e l'assegnazione degli affari alle sezioni; conforme, Cass. II, n. 27948/2008). In parziale difformità da detto orientamento, Cass. III, n. 38112/2006 ha fatto salva l'ipotesi dell'assegnazione effettuata al di fuori di ogni criterio tabellare, proprio per costituire un giudice ad hoc, e che, pertanto, essendo caratterizzata dall'arbitrio nella designazione, può essere definita extra ordinem, peraltro esclusa nel caso esaminato, nel quale la sezione assegnataria di un processo aveva trasmesso direttamente gli atti ad altra sezione, in applicazione di nuovi ed oggettivi criteri di assegnazione contenuti in un provvedimento tabellare sopravvenuto del Presidente del Tribunale.

Il regolamento delle questioni di giurisdizione

Le Sezioni unite penali della Corte di cassazione (Cass. S.U. , n. 1/1991). hanno evidenziato che non esiste — nel sistema della giurisdizione (e della competenza) penale — un rimedio preventivo analogo a quello previsto dall'art. 41 c.p.c. nell'ambito del processo civile, poiché il codice di rito penale (artt. 51 ss.) disciplina soltanto casi di conflitto di giurisdizione o di competenza.

Le giurisdizioni speciali

Il collegio per i reati ministeriali

La l. cost. n. 1/1989, in relazione ai reati ministeriali, pur non avendo sottratto al p.m. la titolarità dell'azione penale, ha attribuito il potere di compiere le indagini preliminari ad uno speciale collegio costituito presso ciascun tribunale del capoluogo del distretto di corte d'appello competente per territorio: permane, quindi, il riferimento al Procuratore della Repubblica come legittimo destinatario della notitia criminis, ma, ai sensi dell'art. 6, ult. comma, l. cost. n. 1/1989, è interdetto a quest'ultimo il compimento di qualsiasi indagine. Detto collegio svolge, oltre alle funzioni proprie del p.m. nel procedimento ordinario, anche quelle devolute, dall'ordinamento processuale vigente, al g.i.p., e tale sua peculiare competenza, unitamente alla sua composizione, ne fanno un organo specializzato, dotato di specifica competenza funzionale, in relazione alla particolare qualificazione dei reati dei quali lo stesso deve occuparsi.

Le sezioni unite hanno ritenuto che il collegio per i reati ministeriali non è un giudice speciale né un organo della giustizia penale-costituzionale, ma è soltanto un organo specializzato della giurisdizione ordinaria, il quale, dotato di specifica competenza funzionale in relazione alla particolare qualificazione dei reati dei quali deve occuparsi, esercita, con riguardo a questi ultimi, oltre alle funzioni proprie del p.m., anche quelle del g.i.p.; se ne è desunto che, ove tali ultime funzioni vengano esercitate da un normale g.i.p., il provvedimento da questi adottato (nella specie, trattavasi di ordinanza di custodia cautelare emessa su richiesta del locale ufficio del p.m.), non può dirsi viziato da carenza di giurisdizione, ma soltanto da incompetenza funzionale che dà luogo, comunque, ad una nullità assoluta ed insanabile (Cass. S.U., 20 luglio 1994, De Lorenzo).

La giurisdizione militare

L'art. 103, comma 3, Cost. stabilisce che « i tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate ».

La giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 429/1992) ha evidenziato che la nozione di « appartenenza alle Forze armate », nell'art. 103, comma 3, Cost., è più ristretta di quella accolta nel codice penale militare di pace, essendo, la prima, destinata a circoscrivere entro rigorosi limiti la giurisdizione speciale militare, e, la seconda, ispirata a far coincidere giurisdizione e assoggettamento alla legge penale militare; la diversità di piani di iurisdictio e lex, presente in Costituzione ma assente nel codice penale militare, vale a sottolineare il principio secondo cui, in tempo di pace, per i reati militari, la giurisdizione normalmente da adire è quella ordinaria, mentre quella speciale militare è eccezionale e giustificata solo ove si tratti di reati comuni commessi “sotto le armi”. Posto che il Costituente ha inteso conservare la giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace solo per i reati militari commessi da « appartenenti alle Forze armate », nell'accezione ristretta di cittadini che stanno prestando il servizio militare, « le persone alle quali è applicabile la legge penale militare » assoggettabili alla giurisdizione militare, cui si riferisce l'art. 263 c.p. mil. p., non possono essere altre o di più di quelle indicate dallo stesso codice negli artt. 3 (militari in servizio) e 5 (militari considerati in servizio), questi ultimi caratterizzati dall'assenza del servizio effettivo ma, al contempo, dalla permanenza di un legame organico con la forza in servizio. Per tutti gli altri militari in congedo illimitato, che il codice penale militare, ma non la Costituzione, considera appartenenti alle Forze armate, la cognizione dei reati militari spetta ai giudici ordinari, e non a quelli militari. È stata, conseguentemente, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 263 c.p. mil. p. nella parte in cui assoggettava alla giurisdizione militare le persone alle quali è applicabile la legge penale militare, anziché i soli militari in servizio alle armi o considerati tali dalla legge al momento del commesso reato.

In tempo di pace, la giurisdizione “normale” è quella ordinaria, mentre quella militare ha carattere eccezionale (così, fra le tante, Cass. I, 31 maggio 1994, Confl. giur. in proc. Natale, con la precisazione che il principio di cui all'art. 103, comma 3, Cost. opera con riferimento al solo processo di cognizione: se ne è desunto che esso non può essere invocato in tema di giurisdizione nel processo esecutivo, ed in particolare in quello di sorveglianza, anche se il medesimo principio stabilisce il criterio generale per delimitare l'ambito di estensione rispettivo della giurisdizione ordinaria e di quella speciale in detto processo), ed è subordinata a due limiti:

a) uno di natura oggettiva, rappresentato dal fatto che ne formano oggetto esclusivamente i reati militari;

b) l'altro di natura soggettiva, costituito dall'appartenenza alle Forze armate degli autori dei reati, i quali, pertanto, devono trovarsi in effettivo servizio attuale alle armi.

Successivamente, la giurisprudenza ha affermato che la distinzione fra l'ambito di giurisdizione proprio dell'autorità giudiziaria ordinaria e quello proprio dei tribunali militari è, per ogni suo aspetto, fissata direttamente dall'art. 103, comma 3, Cost., il quale, nella sua ultima proposizione, stabilisce che i predetti tribunali « in tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate ». L'Amministrazione militare deve intendersi circoscritta nelle strutture occorrenti per l'organizzazione del personale e dei mezzi materiali destinati alla difesa armata dello Stato, ed i beni in dotazione della stessa si identificano in quelli che, a norma delle leggi sulla contabilità generale dello Stato, sono amministrati dal Ministero della difesa o dai corpi militari; non rientrano, tra i beni appartenenti all'Amministrazione militare, quelli assegnati ad altri Ministeri per essere adoperati dagli stessi o dai servizi da essi dipendenti od amministrati, e quelli dei quali all'amministrazione militare è devoluta la mera gestione sotto un profilo esclusivamente privatistico (Cass. I, n. 1410/2000: in applicazione del principio, e considerato che il corpo della Guardia di Finanza fa parte integrante delle Forze armate dello Stato, è stata ritenuta sussistente la giurisdizione dell'autorità giudiziaria militare, e non di quella ordinaria, con riguardo ad una truffa che si assumeva consumata da un sottufficiale di detto corpo in danno dell'Amministrazione di appartenenza, mediante il conseguimento dell'indebito rimborso di spese di missione eccedenti quanto effettivamente pagato; conforme, Cass. I, n. 3491/2000, inerente alla medesima fattispecie, ma con la precisazione che l'indebito rimborso di spese di missione eccedenti quanto effettivamente pagato integra un danno non solo per il Ministero delle Finanze — che non può essere considerato ente militare —, ma anche per il Corpo di appartenenza, che ha natura di ente militare, dovendo riconoscersi la giurisdizione militare tutte le volte in cui siano ravvisabili specifiche fattispecie penali per interessi direttamente collegabili ad organismi o enti aventi natura militare).

Da ultimo, Cass. II, n. 20136/2018 ha ribadito che la configurabilità di un reato militare postula, ai sensi dell'art. 234 c.p.mil.p.  che sia il soggetto attivo che quello passivo abbiano qualifica di “militare”, ed ha, inoltre, precisato che la giurisdizione militare sussiste soltanto nei casi in cui il danno provocato dal reato incida anche sul corpo militare di appartenenza, mentre se il danno è interamente sopportato (non già dall'amministrazione  militare bensì) da un ente pubblico del tutto estraneo all'apparato militare, sussiste la giurisdizione ordinaria.  

Segue . Casistica

Agli ufficiali in congedo, sia pure collocati in ausiliaria, è applicabile il codice penale militare solo quando ciò sia espressamente previsto dalla legge (Cass. VI, n. 2326/1998, per la quale non può rispondere del reato di collusione un ufficiale della Guardia di Finanza collocato in ausiliaria, che ricopra l'ufficio di ispettore del S.E.C.I.T.).

Le norme contenute nel nuovo codice di procedura penale si applicano anche ai processi riguardanti reati di competenza dell'autorità giudiziaria militare (Cass. I, 22 marzo 1991, Pagliarini ed altri: se ne è desunto che l'art. 314 c.p.mil.p., relativo ai casi in cui è facoltativa l'emissione del mandato di cattura, è da ritenere implicitamente abrogato dalla norma di sbarramento discendente dal combinato disposto degli artt. 278 e 280).

L'attrazione nella giurisdizione del giudice ordinario dei procedimenti per reati concorrenti, comuni e militari, opera solo se il reato comune è più grave di quello militare, mentre negli altri casi le sfere di giurisdizione, ordinaria e militare, rimangono separate, con la conseguenza che al giudice militare appartiene la cognizione dei reati militari e al giudice ordinario quella per i reati comuni (Cass. I, n. 5680/2015).

Per quanto riguarda i criteri di attribuzione della giurisdizione in materia di esecuzione della pena, si rinvia subart. 665 e ss.

Cenni di diritto penale internazionale

Si ammette, generalmente, l'esistenza « di una norma internazionale consuetudinaria in base alla quale l'organo di uno Stato estero (Capo di Governo o suo rappresentante, membri di missioni speciali, etc.) non è penalmente responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni » (V. Brunelli, 2).

L'immunità dalla giurisdizione è generale rispetto agli agenti diplomatici mentre, per quanto riguarda i funzionari e gli impiegati consolari, è limitata agli atti compiuti nell'esercizio delle funzioni consolari.

In particolare, si è osservato che, in virtù degli artt. 23, 31, 35, 41 e 43 della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 24 aprile 1963, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. 9 agosto 1967 n. 804:

a) il console straniero in Italia è immune dalla giurisdizione italiana solo per gli atti compiuti nell'esercizio della funzione consolare;

b) egli può essere arrestato e trattenuto in carcere per gravissimi reati, cioè per delitti non colposi punibili con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni;

c) l'inviolabilità dei locali consolari è limitata alla parte destinata esclusivamente ad ufficio (il c.d. “archivio consolare”);

d) la libertà di comunicazione del consolato è garantita e protetta per le finalità istituzionali dell'ufficio;

e) la facoltà, dello Stato territoriale, di informare quello estero, senza motivazione, che il console non è gradito, è posta a tutela dello Stato di residenza del console, e non di quello di provenienza (Cass. I, 24 marzo 1983, Nuvoletta).

Gli artt. 12, lett. A), del Protocollo sui privilegi e le immunità della Comunità europea, allegato al Trattato istitutivo (firmato a Bruxelles in data 8 aprile 1965, e ratificato e reso esecutivo con l. n. 437/1966), e 16 lett. A), dei Protocolli sui privilegi e le immunità dell'E.S.R.O. e dell'E.L.D.O. (firmati, il primo, a Parigi, in data 31 ottobre 1963, ed il secondo, a Londra, in data 29 giugno 1964, ed entrambi ratificati e resi esecutivi con l. n. 1313/1967) accordano analoga immunità ai funzionari ed agli agenti di organizzazioni internazionali.

La giurisprudenza ha chiarito che, in tema di esenzione dalla giurisdizione penale di un agente diplomatico, poiché quest'ultima qualità si acquista, ai sensi della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, soltanto con la notificazione dello Stato accreditante allo Stato accreditato, l'immunità non spetta all'agente consolare del quale il paese d'origine si sia limitato a dichiarare, in note verbali dirette al Ministero degli Affari esteri, la qualità di agente diplomatico, senza avere mai provveduto alla relativa notificazione formale (Cass. V, n. 16659/2002, e Cass. II, n. 3679/2005).

I reati commessi da militari appartenenti ad uno Stato membro della N.A.T.O

La Convenzione tra gli Stati partecipanti al Trattato Nord Atlantico (N.A.T.O.) sullo statuto delle loro Forze armate, firmato a Londra il 19 giugno 1951, ratificata e resa esecutiva con l. n. 1335/1955, stabilisce che « le autorità militari dello Stato di origine hanno il diritto di esercitare sul territorio dello Stato di soggiorno i poteri di giurisdizione penale e disciplinare che conferisce loro la legislazione dello Stato di origine su tutte le persone soggette alla legge militare di questo Stato » (art. VII).

Il d.P.R. n. 1666/1956 disciplina « la facoltà di rinunciare al diritto di priorità nell'esercizio della giurisdizione (...) nei casi previsti nell'articolo VII paragrafo 3 lett. c) della Convenzione ». Quest'ultimo, a sua volta, stabilisce che, se lo Stato che ha il diritto di esercitare in via prioritaria la propria giurisdizione decide di rinunziarvi, deve notificare, al più presto possibile, la sua decisione alle autorità dell'altro Stato; le autorità dello Stato che ha il diritto di esercitare in via prioritaria la propria giurisdizione devono esaminare con benevolenza le istanze di rinuncia alla propria giurisdizione, presentate dalle autorità dell'altro Stato, nei casi in cui ritengano che tali richieste siano giustificate da considerazioni particolarmente importanti.

La giurisprudenza ha ritenuto che, quando la priorità nell'esercizio della giurisdizione per fatti commessi da militari stranieri di stanza in Italia spetta all'autorità giudiziaria italiana, secondo le norme della Convenzione di Londra, il giudice italiano può validamente esercitare la giurisdizione penale se il Ministro della Giustizia non si avvale, prima della notifica all'imputato del decreto di citazione per il dibattimento di primo grado, della facoltà di richiedere allo stesso giudice la dichiarazione di rinuncia al diritto di priorità; tale facoltà non appartiene all'autorità giudiziaria, che è vincolata alla rigorosa osservanza dei principi della officiosità e della indisponibilità dell'azione penale, ma al più qualificato organo del potere amministrativo, posto che essa sottintende una valutazione di natura squisitamente politica (Cass. I, 29 marzo 1982, Hanlon). La rinuncia al diritto di priorità nell'esercizio della giurisdizione di cui all'art. VII del Trattato N.A.T.O. è una facoltà discrezionale, che può essere esercitata solo dal competente organo politico-amministrativo (Ministro per la Giustizia, su richiesta o previo parere del Ministro per gli esteri) e non spetta al giudice italiano, la cui sentenza si pone come atto meramente dichiarativo della rinuncia, poiché al giudice compete solamente di verificare «l'esistenza delle condizioni previste dalla legge per l'ammissibilità e la validità della rinuncia»; ne consegue che la sentenza, che dichiara la rinuncia in assenza della determinazione del competente organo politico-amministrativo, è un provvedimento radicalmente nullo, viziato da eccesso di potere e ricorribile per cassazione ex art. 606 comma 1 lett. a), risolvendosi nell'esercizio di una potestà riservata dalla legge ad un organo amministrativo (Cass. V, n. 4640/1999, in fattispecie relativa alla Convenzione di Londra, concernente un militare delle forze N.A.T.O. di stanza in Italia, indagato per il reato di cui all'art. 582 c.p., nella quale il ministro aveva respinto l'istanza di rinuncia del capo divisione dell'ufficio legale del comando Setaf di Vicenza).

In presenza della volontà, dello Stato cui appartiene il militare imputato, di esercitare la propria prioritaria giurisdizione, e dell'adesione dello Stato di soggiorno, il giudice italiano deve limitarsi a prendere atto del proprio difetto di giurisdizione; sarebbe, pertanto, abnorme (e, come tale, immediatamente ricorribile per cassazione) il provvedimento del g.u.p. che, in siffatta situazione, dichiari la propria giurisdizione, emettendo il decreto che dispone il giudizio nei confronti di un militare N.A.T.O. (Cass. I, 27 gennaio 1997, Thierry Bonne).

Questa decisione ha sollevato perplessità in parte della dottrina (Ghiron, 3056 ss.), per il rilievo che non troverebbe riscontro nel quadro normativo di riferimento « l'affermazione che l'attuale normativa obbliga il giudice ad astenersi dall'esercizio della giurisdizione, (...) “per effetto di un'attività politica coerente con la Convenzione” »; pertanto, pur essendo innegabile, nel caso di specie, il difetto di giurisdizione del giudice italiano, tale difetto «si sarebbe dovuto far valere nel giudizio e poi eventualmente in sede di impugnazione».

Una giurisprudenza di merito ha ritenuto, sempre in relazione alla Convenzione di Londra sullo statuto dei militari N.A.T.O., che spetta esclusivamente all'autorità giudiziaria stabilire se il reato sia stato commesso nell'espletamento del servizio militare, poiché solo in tal caso la priorità da attribuire, a richiesta, alla giurisdizione dello Stato di appartenenza comporterebbe il difetto di giurisdizione dello Stato di soggiorno; si è aggiunto che ricorre il presupposto della giurisdizione concorrente — in presenza della quale si rende necessario stabilire a quale giurisdizione accordare priorità — soltanto quando si è in presenza della commissione di un fatto che risulti previsto come reato sia dalla legislazione dello Stato di origine del militare che da quella dello Stato di soggiorno, anche se le rispettive fattispecie criminose abbiano diverso nomen iuris, ovvero tutelino beni-interessi disomogenei (G.i.p. Trib. Trento, 13 luglio 1998, Ashby ed altri: nella specie, è stata ritenuta la priorità della giurisdizione U.S.A. per il disastro del Cermis, determinato da un aereo militare americano che, volando in addestramento a bassa quota, aveva reciso di netto i cavi di una funivia, cagionandone il crollo, con la conseguente morte degli occupanti).

In argomento, la dottrina (Barberini 3599 ss.) ha osservato che un esercizio non credibile della giurisdizione nel Paese cui il Trattato N.A.T.O. conferisce il diritto ad esercitarla, solleva problemi non indifferenti, e che sarebbe il caso di valutare l'opportunità della revisione (consentita dall'art. XVII della Convenzione) di alcune tra le disposizioni più discutibili, come « quelle che di fatto consentono alle forze militari dei Paesi N.A.T.O. la possibilità di godere di una vera e propria impunità, tenuto conto, da un lato, dell'incontrollabilità dell'effettivo esercizio della giurisdizione, in Paesi, come gli Stati Uniti, in cui l'esercizio dell'azione penale è discrezionale, nonché, dall'altro, dell'impossibilità di controllare le modalità dell'esercizio concreto della giurisdizione, in ordinamenti, come quello statunitense, in cui la trasparenza della decisione non è garantita né dall'obbligo di motivazione, né dalla possibilità di impugnazione ».

Casistica

Secondo la giurisprudenza sussiste la giurisdizione del giudice penale italiano in relazione alla domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti di uno Stato estero, quale responsabile civile, per i crimini di guerra (da individuare in quei comportamenti posti in essere nell'ambito di un conflitto armato, i quali, pur risultando privi dei connotati di estensione e sistematicità propri dei crimini contro l'umanità, si caratterizzino comunque per la lesione dei valori universali di rispetto della dignità umana che trascendono gli interessi delle singole comunità statali impegnate nel contesto bellico) commessi da appartenenti alle sue forze armate (Cass. I, n. 43696/2015, che ha richiamato, in motivazione, la sentenza della Corte cost. n. 238/1994, per la quale il principio di immunità degli Stati per gli atti compiuti iure imperii soccombe rispetto al diritto di agire in giudizio a tutela di diritti inviolabili dell'uomo; la S.C. ha ravvisato la configurabilità di un crimine di guerra nell'omicidio plurimo di militari appartenenti ad una missione di monitoraggio internazionale, eseguito in territorio della ex-Jugoslavia).

Bibliografia

Baccari, La cognizione e la competenza del giudice, Milano, 2011; Barberini, Il Trattato di Londra sullo statuto delle Forze armate Nato: note a margine della vicenda Cavalese, in Cass. pen. 1999, 3599; Barberini, Una decisione discutibile, in Cass. pen. 2009, 1888; Brunelli, voce Immunità, in Enc. giur., XV, Roma, 1989, 2; Ghiron, Esercizio della giurisdizione penale nell'ambito della Convenzione sullo status delle truppe Nato, in Cass. pen. 1997, 3056.

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