Codice di Procedura Penale art. 4 - Regole per la determinazione della competenza. 1

Sergio Beltrani

Regole per la determinazione della competenza. 1

1. Per determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato [56 c.p.]. Non si tiene conto della continuazione [81 c.p.], della recidiva [99 c.p.] e delle circostanze del reato [61 s. c.p.], fatta eccezione delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale [63 3 c.p.; 259 trans.].

 

[1] Per la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, v. art. 36, comma 1, d.lgS. 8 giugno 2001, n. 231.

Inquadramento

L'art. 4 è una norma di portata generale, « che contiene le regole per determinare la gravità del reato, agli effetti della competenza, con riferimento alla pena stabilita dalla legge. Tali regole trovano applicazione sia in tema di competenza per materia, sia in tema di competenza per connessione » (Rel. prog. prel. c.p.p., 4).

Ai sensi dell'art. 210 disp. coord., continuano ad osservarsi le disposizioni di leggi e decreti che regolano la competenza per materia o per territorio in deroga alla disciplina del codice, nonché le disposizioni che prevedono la competenza del giudice penale in ordine a violazioni connesse a fatti costituenti reato.

La competenza ed il giudice naturale precostituito per legge

La competenza è tradizionalmente definita come la « misura della giurisdizione attribuita a ciascun giudice ».

Una dottrina ha, tuttavia, obiettato, che, se ciò fosse vero, l'atto posto in essere dal giudice incompetente dovrebbe essere tout court inesistente, perché reso in difetto assoluto di giurisdizione, laddove la disciplina dettata per tali casi dal codice di rito è di segno contrario (cfr., ad es., artt. 26 e 27), tanto che le decisioni rese da giudice incompetente, se non impugnate, diventano irrevocabili, costituendo cosa giudicata; se ne dovrebbe, quindi, dedurre che « a tutti i giudici penali spetta l'intero potere, ma uno solo (individuabile ante factum) è chiamato a procedere nel caso singolo; gli altri devono astenersene. Quest'assioma, enucleato dall'art. 25, comma 1, Cost., implica un lavoro diviso secondo criteri legali. (...). La giurisdizione, insomma, appartiene intera a tutti i giudici penali, ma solo uno deve procedere sul caso de quo: gli altri devono astenersene; e la trasgressione del dovere omissivo costituisce vitia in procedendo dal vario regime, secondo le specie; l'unico rimedio sta nelle impugnazioni ordinarie, così dette perché hanno termini perentori; la decisione irrevocabile vale come se l'autore fosse stato competente » (Cordero, 133 s.).

L'attribuzione delle competenze deve avvenire sulla base di criteri prestabiliti e sufficientemente certi, che mirano ad evitare possibili interferenze e conflitti: l'art. 25, comma 1, Cost. garantisce, infatti, che « nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge ».

La giurisprudenza costituzionale ha chiarito che il principio della precostituzione del giudice deve ritenersi rispettato allorché l'organo giudicante sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo, non già in vista di singole controversie (Corte cost., n. 269/1992).

La giurisprudenza di legittimità ha osservato che il concetto di « giudice naturale » va rapportato al giudice competente per materia e per territorio, cioè al giudice precostituito per legge, e non anche, ove si tratti di uffici giudiziari formati da più sezioni, ad una determinata sezione o ad un determinato collegio composto da individuati magistrati (Cass. VI, 15 ottobre 1998, Mercadante ed altri); ha, inoltre, precisato che « il vigente codice di procedura penale, tutte le volte che indica il giudice competente all'esercizio della giurisdizione nei diversi stati e gradi del procedimento e del processo, lo fa con riferimento a singoli organi giudiziari, senza cenno alcuno all'identità fisica dei magistrati che detti organi compongono » (Cass. S.U., n. 26/2000). Ciascun giudice, nell'assumere un provvedimento, « è sempre obbligato al rispetto della propria competenza ed è, perciò, abilitato a verificarne l'esistenza sulla base delle risultanze di cui dispone. E, su tale sua valutazione, positiva o negativa, giammai potrà essere precluso il sindacato del giudice dell'impugnazione, una volta che sia legittimamente investito dell'esame del problema, quali che possano essere gli effetti che scaturiscono dal riconoscimento dell'incompetenza del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Tale possibilità, a maggior ragione, dev'essere consentita allorquando l'incompetenza denunciata si traduca in un difetto di attribuzione del giudice in relazione alla funzione esercitata, giacché tale difetto (...) lo priva della specifica idoneità all'adozione del provvedimento » (Cass. S.U., n. 14/1994).

I rapporti tra le articolazioni del medesimo ufficio

È stata esclusa la configurabilità di problemi di competenza nei rapporti tra le articolazioni interne del medesimo ufficio giudiziario (Cass. S.U., n. 34655/2005, in motiv.).

Regolamento di competenza

Nel vigente sistema processuale penale, non è previsto alcun mezzo preventivo per regolare la competenza mediante l'intervento immediato della Corte di cassazione, che può essere chiamata a pronunciare sulla competenza solo in esito a conflitto (Cass. VI, 11 marzo 1992, P.m. in proc. Fedeli).

La competenza funzionale

La competenza funzionale, pur non trovando un'esplicita previsione nel vigente codice di procedura penale (anche in quello abrogato non ve ne era menzione), è istituto connaturato alla costruzione normativa del processo e delle attribuzioni del giudice nello sviluppo del rapporto processuale; essa è desumibile dal sistema, ed esprime tutta la sua imponente rilevanza in relazione alla legittimità del provvedimento emesso dal giudice, poiché corrisponde all'esigenza di puntualizzazione della ripartizione delle attribuzioni del giudice in relazione al progredire delle fasi del processo, ovvero dei suoi stati e gradi, riflettendo i suoi effetti direttamente sulla idoneità specifica dell'organo all'adozione di un determinato provvedimento in quella data fase (ovvero, in quel dato stato e/o grado) del processo, che costituisce il riflesso della ripartizione delle attribuzioni del singolo giudice nell'intero arco di sviluppo del procedimento.

Il difetto di competenza funzionale, quindi, rende il provvedimento del giudice non conforme ai parametri normativi di riferimento e si risolve in un atto viziato da nullità assoluta, quanto al profilo funzionale, ed attaccabile per abnormità secondo le regole generali (cfr. art. 568), nonostante la mancanza di specifico mezzo d'impugnazione (Cass. S.U. , n. 14/1994; Cass. S.U., n. 4419/2005).

Per “competenza funzionale” si deve intendere la ripartizione della giurisdizione penale in relazione alle fasi di sviluppo del rapporto processuale penale, ovvero a particolari attività disciplinate dal codice di rito; secondo la giurisprudenza, inoltre, la nozione di “incompetenza funzionale” va riferita “alla violazione delle regole che incardinano la giurisdizione attraverso il suo esercizio da parte di organo radicalmente incompetente ed ‘incapace' a celebrare il giudizio, per la ricorrenza di regole speciali di individuazione della competenza in relazione alle qualità soggettive dell'imputato” (Cass. II, n. 47147/2019).

Le conseguenze

Il provvedimento reso dal giudice funzionalmente incompetente è affetto da nullità assoluta ed insanabile, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, ai sensi degli artt. 178, comma 1, lett. a), e 179, comma 1, (Cass. S.U., n. 4419/2005, per la quale integra una particolare ipotesi di competenza funzionale quella del giudice investito dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi degli artt. 444 ss., dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio immediato; nel medesimo senso, successivamente, Cass. IV, n. 3347/2010).

Casistica

Hanno natura funzionale:

(a) la speciale competenza stabilita dall'art. 11 per i procedimenti nei quali un magistrato assume la qualità di indagato, di imputato, ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato (Cass. S.U., n. 292/2005);

(b) la competenza attribuita dall'art. 51 al g.i.p. del capoluogo del distretto, in relazione a taluni reati per l'adozione dei provvedimenti previsti durante le indagini preliminari (Cass. II, 15 settembre 1994, De Nicola);

(c) la competenza attribuita al g.u.p. per la celebrazione del giudizio abbreviato (Cass. I, n. 43451/2004);

(d) la competenza del giudice del già proposto gravame per la correzione di errori materiali che inficino il provvedimento impugnato (Cass. VI, n. 47456/2004, e Cass. I, n. 47149/2009);

(e) la competenza della corte d'appello (e non del suo presidente) a decidere sulla dichiarazione di ricusazione del giudice di pace, ai sensi dell'art. 10, comma 2, d.lgs. n. 274/ 2000 (Cass. IV, n. 26442/2003);

(f) la competenza attribuita, in tema di revisione, alla corte d'appello, nel cui distretto si trova il giudice che ha pronunciato la sentenza di primo grado o il decreto penale di condanna (Cass. III, n. 2417/2003);

(g) la competenza della corte d'appello in composizione collegiale a decidere, in tema di estradizione per l'estero, sulla richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare (Cass. VI, n. 16830/2010);

(h) la competenza, ex art. 670, comma 3, del giudice dell'esecuzione a decidere — se lo stesso non deve dichiarare la non esecutività del provvedimento — sulla richiesta di restituzione nel termine, contestualmente proposta dal condannato (Cass. I, n. 18734/2010);

(i) la competenza del tribunale di sorveglianza a decidere, ai sensi dell'art. 680 c. 2, sull'impugnazione presentata contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano l'applicazione di una misura di sicurezza (Cass. VI, n. 36535/2010).

È stata ritenuta l'incompetenza funzionale del g.u.p. in ordine al decreto con cui — dopo l'intervenuta emissione del decreto che disponeva il giudizio — era stata, dallo stesso, disposta una perizia diretta a realizzare la trascrizione delle registrazioni magnetiche di intercettazioni telefoniche o ambientali: in argomento, si è evidenziato che il g.u.p., una volta pronunciato il decreto che dispone il giudizio, perde la propria competenza funzionale in ordine ad atti diversi da quelli urgenti attinenti alla libertà personale dell'imputato (Cass. IV, n. 3347/2010)

I criteri per individuare la competenza: profili generali

La competenza va verificata sul contenuto formale dei capi di imputazione, così come contestati all'atto dell'esercizio dell'azione penale (Cass. I, n. 5370/1994).

Un orientamento ormai consolidato ritiene che nei casi dubbi, ovvero quando un conflitto di competenza dipende dalla determinazione del titolo del reato o dalla sussistenza di una circostanza aggravante, e non possa essere esclusa, allo stato degli atti, in base alla valutazione sommaria delle risultanze probatorie acquisite, la più grave delle ipotesi prospettate dai giudici in conflitto, quest'ultimo va risolto ritenendo la competenza del giudice superiore, il quale è in grado di decidere definitivamente sulla gravità e sull'esatta configurazione giuridica del fatto, con il sussidio che può essere offerto dall'acquisizione e dal vaglio di ulteriori elementi di giudizio, pronunciandosi, ove occorra, anche sul reato meno grave (Cass. I, n. 2040/1993 e Cass. n. 18888/2007).

La pena edittale

L'art. 4 contiene un esplicito riferimento alla pena stabilita per il delitto tentato, poiché quest'ultimo, come più volte ribadito dalla giurisprudenza, è autonomo rispetto alla corrispondente fattispecie di delitto consumato.

La continuazione

Le regole per la determinazione della competenza fissate dall'art. 4, cui rinvia anche l'art. 550, che disciplina i casi di citazione diretta a giudizio, prevedono che non si tenga conto della continuazione (art. 81, comma 2, c.p.)(Cass. II, n. 39622/2004).

La recidiva e le altre circostanze

Per espressa previsione dell'art. 4, la recidiva non incide in nessun caso sulla determinazione della competenza.

Per la stessa ragione, non incidono sulla determinazione della competenza neanche le circostanze attenuanti: non è stato necessario attribuire espressa rilevanza all'attenuante di cui all'art. 98 c.p. (minore età), poiché i reati commessi dai minorenni rientrano sempre e comunque nella competenza del tribunale per i minorenni.

Tra le circostanze aggravanti, rilevano, ai fini della determinazione della competenza, quelle « per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato » e quelle « ad effetto speciale » (ovvero quelle che, ai sensi dell'art. 63, comma 3, c.p., comportano un aumento della pena in misura superiore ad un terzo).

La giurisprudenza ha ritenuto che, nell'ipotesi di concorso di una circostanza prevista dall'art. 625 c.p. con più circostanze aggravanti comuni di cui all'art. 61 c.p., ai fini della determinazione della pena, anche per l'individuazione della competenza (Cass. I, n. 4964/2010), e non soltanto per l'individuazione dei termini di durata massima di fase della custodia cautelare (Cass. IV, n. 15133/2003) — analoghe essendo, sul punto, le discipline dettate dagli artt. 4 e 278 —, occorra tener conto della pena prevista dall'art. 625, comma 2, c.p., che, in quanto determinata in modo indipendente da quella ordinaria del reato, integra un'ipotesi di circostanza c.d. “indipendente”, la quale deve equipararsi a quelle ad effetto speciale, richiamate espressamente (sia dall'art. 278 che dall'art. 4), perché, come queste ultime, agisce in modo differente da quelle comuni, imponendo autonomi limiti edittali.

Nel caso concorrano più circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato, o circostanze ad effetto speciale, si deve tener conto, ai sensi dell'art. 63 comma 4 c.p., della pena stabilita per la circostanza più grave e dell'aumento complessivo di un terzo per tutte le altre circostanze globalmente considerate, le quali mantengono, peraltro, la natura di circostanze ad effetto speciale (Cass. IV, n. 27748/2007).

Sono prive di rilievo ai fini della determinazione della competenza le circostanze aggravanti indipendentiche non comportano un aumento di pena superiore a un terzo (Cass. IV, n. 23700/2020: fattispecie nella quale è stata esclusa la rilevanza della circostanza aggravante di cui all'art. 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990).

Profili di diritto intertemporale

La successione delle leggi nel tempo è regolata dall'art. 11 prel., secondo il quale « la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo »; la disposizione sancisce l'efficacia immediata della nuova disciplina legislativa, prevedendone, al contempo, l'irretroattività, in omaggio a quella fondamentale esigenza della vita sociale, secondo cui la fede e la sicurezza nella stabilità dei rapporti non dovrebbero essere minacciate dal timore che una legge successiva possa turbare le situazioni giuridiche formatesi validamente. Tuttavia, la retroattività non costituisce un limite di carattere costituzionale per il legislatore, come si desume chiaramente dall'art. 25, comma 2, Cost., che la vieta solo per le norme penali che prevedono nuove fattispecie incriminatrici o che aggravano quelle esistenti.

Alla regola stabilita dall'art. 11 prel. non si sottraggono le disposizioni del diritto processuale penale, salvo che il legislatore non abbia previsto apposite norme transitorie, atte a regolare il passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina: questo principio è abitualmente condensato, con riferimento alla materia processuale, nel brocardo « tempus regit actum »: secondo un'antichissima tradizione giuridica, infatti, in materia di diritto processuale penale, vige la regola secondo cui le leggi entrano senz'altro in vigore alla scadenza del termine generale o particolare decorrente dalla loro pubblicazione, ed investono immediatamente tutti i procedimenti nuovi od in corso, essendo indifferente che i relativi reati siano stati commessi vigente questa o quella normativa processuale. Tale principio è stato sempre recepito dal legislatore italiano (cfr., ad es., la Relazione al Re sulle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale del 1930, nonché le disposizioni transitorie dei codici di procedura penale del 1889 e del 1913), ed anche le disposizioni transitorie del codice di procedura penale vigente lo hanno seguito (cfr. art. 258 comma 1 disp. trans.), e, proprio in tema di competenza, per derogarvi, è stato necessario prevedere un'apposita norma, con la quale si è stabilito, in via eccezionale, che « ai fini della determinazione della competenza per materia e per territorio le disposizioni del codice si applicano solo per i reati commessi successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso » (art. 259, comma 1, disp.trans.).

Le norme modificative della competenza non ledono la garanzia costituzionale del giudice naturale, ove abbiano carattere generale, anche perché deve riconoscersi la discrezionalità del legislatore nel determinare la disciplina della competenza, laddove un contrasto con la norma costituzionale dell'art. 25 potrebbe ravvisarsi solo se una disposizione di legge sottraesse il caso concreto alle regole generali (Cass. VI, 14 dicembre 1999, D'Ambrogio ed altri).

La giurisprudenza costituzionale ha affermato che « il precetto costituzionale enunciato nel primo comma dell'art. 25 Cost. tutela una esigenza fondamentalmente unitaria: quella, cioè, che la competenza degli organi giudiziari, al fine di una rigorosa garanzia della loro imparzialità, venga sottratta ad ogni possibilità di arbitrio. L'illegittima sottrazione della regiudicanda al giudice naturale precostituito si verifica, perciò, tutte le volte in cui il giudice venga designato a posteriori, in relazione ad una determinata controversia, o direttamente dal legislatore, in via di eccezione singolare alle regole generali, ovvero attraverso atti di altri soggetti, ai quali la legge attribuisca tale potere al di là dei limiti che la riserva impone. Il principio costituzionale viene rispettato, invece, quando la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica, in generale, i presupposti o i criteri in base ai quali deve essere individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo spostamento della competenza dall'uno all'altro ufficio giudiziario non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento — e, dunque, della designazione di un nuovo giudice “naturale” — che il legislatore, nell'esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente » (Corte cost. n. 56/1967; conforme, Corte cost. n. 42/1996).

La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, chiarito che « la legge processuale non contempla i reati e non “dispone” rispetto a questi, ma provvede soltanto per l'avvenire, cioè per tutti i procedimenti e per tutti gli atti processuali da compiersi nel momento in cui entra in vigore, salve le eccezioni stabilite dalla legge medesima. Con la conseguenza che è erroneo parlare di retroattività delle leggi processuali allorquando esse vengono applicate a fatti commessi prima della loro entrata in vigore: tale pretesa retroattività si riferisce infatti ai reati, e cioè a cosa in ordine alla quale la legge processuale non dispone; mentre le norme sono irretroattive rispetto ai procedimenti e agli atti processuali, che costituiscono il vero oggetto delle loro disposizioni », e che l'art. 25, comma 1, Cost. « non contiene, ai fini della determinazione dell'organo competente a giudicare, una esplicita individuazione del punto di riferimento temporale al quale ancorarsi; così che, non solo non è illegittimo, ma è addirittura ragionevole e corretto considerare che tale momento deve coincidere non con quello della commissione del fatto penalmente illecito, ma con il momento dell'avvio del processo, e quindi, nell'ipotesi concreta, con il giorno dell'emissione del decreto di citazione a giudizio innanzi al giudice di pace » (Cass. S.U., n. 3821/2006).

Bibliografia

Cordero, Procedura penale, Milano, 2006; Lattanzi, Il principio di precostituzione del giudice nella giurisprudenza penale della Corte di cassazione, in Cass. pen. 1993, 1578; Macchia, Sub art. 4, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da G. Lattanzi-E. Lupo, I, Agg. 2003-2007, Soggetti (artt. 1-108), a cura di Aprile- Bronzo- Cantone-Ciani- De Leo- Gargiulo- Macchia, Milano, 2008, 14; Marvulli, voce Competenza e incompetenza penale, in Enc. dir., Agg., V, Milano, 2001, 217; Mazza, La norma processuale penale nel tempo, Milano, 1999.

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