Codice di Procedura Penale art. 12 - Casi di connessione.

Aldo Aceto

Casi di connessione.

1. Si ha connessione di procedimenti:

a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso [110 c.p.] o cooperazione [113 c.p.] fra loro, o se più persone con condotte indipendenti [41 c.p.] hanno determinato l'evento;

b) se una persona è imputata [60, 61] di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso [81 c.p.]1 ;

c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri23.

[1] [1] Le lettere b) e c) sono state sostituite dall'art. 1 d.l. 20 novembre 1991, n. 367, conv., con modif., nella l. 20 gennaio 1992, n. 8. Successivamente, l'art. 11l. 1° marzo 2001, n. 63, ha modificato la lett. c). V. la disposizione transitoria di cui all'art. 25 l. n. 63, cit. Si tenga presente che la disciplina, in base alla disposizione transitoria contenuta nell'art. 151 d.l. n. 367, cit., si applica «solo ai procedimenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto», e cioè a partire dal 22 novembre 1991. Il testo originario delle lettere soppresse recitava: «b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni in unità di tempo e di luogo; c) se una persona è imputata di più reati, quando gli uni sono stati commessi per eseguire od occultare gli altri».

[2] [2] Le lettere b) e c) sono state sostituite dall'art. 1 d.l. 20 novembre 1991, n. 367, conv., con modif., nella l. 20 gennaio 1992, n. 8. Successivamente, l'art. 11l. 1° marzo 2001, n. 63, ha modificato la lett. c). V. la disposizione transitoria di cui all'art. 25 l. n. 63, cit. Si tenga presente che la disciplina, in base alla disposizione transitoria contenuta nell'art. 151 d.l. n. 367, cit., si applica «solo ai procedimenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto», e cioè a partire dal 22 novembre 1991. Il testo originario delle lettere soppresse recitava: «b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni in unità di tempo e di luogo; c) se una persona è imputata di più reati, quando gli uni sono stati commessi per eseguire od occultare gli altri».

[3] [3] Per il procedimento davanti al giudice di pace, v. gli artt. 6 e 7 d.lg. 28 agosto 2000, n. 274.

Inquadramento

Esigenze di natura sostanziale e processuale impongono che la conoscenza della regiudicanda non vada dispersa in tanti rivoli processuali quanto sono i reati che la compongono. Il quadro d'insieme ne potrebbe uscire danneggiato con pregiudizio degli interessi dell'imputato e della collettività ad una più completa ed esaustiva conoscenza possibile di fatti che sono unitari o legati tra loro da un rapporto qualificato. Al soddisfacimento di queste esigenze, e al loro bilanciamento con il rispetto del principio del giudice naturale precostituito per legge, provvede la norma in commento.

La connessione quale criterio predeterminato e oggettivo di attribuzione, a titolo originario, della competenza

La connessione di procedimenti costituisce causa originaria di attribuzione della competenza ad un unico giudice naturale precostituito per legge (Corte cost. n. 441/1998, Cass. S.U., n. 27343/2013; Cass. VI, n. 12405/2017), individuato secondo i criteri predeterminati e oggettivi (e con i limiti) stabiliti dai successivi artt. 13,14,15 e 16. La Relazione preliminare al codice di procedura penale, spiega che la connessione non costituisce un fatto che produce «effetti sulla competenza» (secondo l'espressione usata dal precedente codice di rito), modificandone i criteri normali, bensì — come detto — un criterio originario di competenza (pag. 10).

I presupposti e l'ambito di applicabilità della norma.

La connessione presuppone che per un medesimo reato o per più reati siano astrattamente competenti, secondo le regole generali (e suppletive) stabilite dagli artt. 8 e 9, giudici (nel senso di uffici giudiziari) diversi e poiché costituisce criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza, non è nemmeno necessario che i relativi procedimenti pendano nello stesso stato e grado (Cass. S.U. n. 27343/2013, cit.).  È stato tuttavia precisato (anche se con riferimento alla connessione teleologica di cui alla lettera c della norma in commento) che i diversi procedimenti devono essere comunque effettivamente pendenti e che incombe sulla parte che formula l’eccezione di incompetenza di provare il fatto dal quale dipende il suo accoglimento (Cass. III, n. 12225/2024).

Il diverso istituto della riunione dei processi di cui al successivo art. 17, presuppone invece la competenza, per materia e per territorio, del medesimo giudice (ufficio giudiziario).

La possibilità che del medesimo reato, commesso da più persone in concorso o in cooperazione tra loro, possano conoscere giudici diversi egualmente competenti, non solo non è esclusa dalla regola generale secondo cui, in caso di fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, astrattamente competente è il giudice del luogo dell'azione o dell'omissione e non dell'evento (art. 8, comma 2), ma è espressamente prevista dall'art. 16, comma 2.

La necessità che del medesimo reato, o di più reati posti in relazione qualificata tra loro, conosca un solo giudice risponde a esigenze di natura diversa, variamente delineatesi nel corso del tempo ma così riassumibili in base alla disciplina vigente: a) quella di prevenire possibili casi di revisione (art. 630, lett. a) nelle ipotesi di connessione oggettiva e teleologica, ma anche soggettiva; b) quella di anticipare, già nella fase della cognizione, e con la pienezza dei poteri in essa previsti, l'accertamento del concorso formale tra reati o del reato continuato, in linea con la residua (e più limitata) possibilità che a tanto provveda il giudice dell'esecuzione (art. 671), nei casi di connessione soggettiva; c) l'esigenza di concentrare in un solo giudizio la conoscenza del medesimo fatto (connessione oggettiva), della medesima condotta (connessione soggettiva prima ipotesi) o dei reati che ne costituiscono l'immediato movente (connessione teleologica).

L'istituto non soddisfa esigenze di semplificazione probatoria, anche se la prova di più reati dovesse derivare anche in parte dalla stessa fonte (art. 371, comma 2, lett. c). La connessione probatoria opera, sul piano investigativo, quale causa di collegamento delle indagini condotte da uffici diversi del pubblico ministero (art. 371) e di riunione di processi pendenti davanti al medesimo giudice già competente a conoscere ciascuno di essi (art. 16), ma non vale a sottrarre l'imputato dal proprio giudice naturale, trattandosi di esigenza recessiva rispetto a quella tutelata dall'art. 25, comma 1, Cost.

La connessione nella fase delle indagini preliminari.

In quanto causa originaria di attribuzione della competenza, la connessione produce i suoi effetti sin dalla fase delle indagini preliminari, in particolare nella individuazione dell'ufficio del pubblico ministero competente a procedere (art. 51, commi 3 e ss.) e del giudice per le indagini preliminari (artt. 279 e 328). Fino a quando non viene esercitata l'azione penale, la competenza del pubblico ministero non può che essere valutata rebus sic stantibus e risentire della necessaria fluidità e dinamicità delle acquisizioni investigative e delle determinazioni conseguenti. L'archiviazione, per esempio, del procedimento relativo al reato che esercita la vis attractiva produce conseguenze sulla individuazione del diverso pubblico ministero competente a procedere per gli altri reati ed al quale gli atti devono essere trasmessi (art. 54, comma 1). La natura oggettiva e predeterminata delle regole che disciplinano la connessione fra procedimenti ne consente una costante verifica sia da parte degli stessi organi requirenti (artt. 54 e ss.), sia da parte della persona sottoposta alle indagini (art. 54-quater), che da parte del giudice per le indagini preliminari (art. 22).

La connessione dopo l'esercizio dell'azione penale. La perpetuatio jurisdictionis.

Una volta esercitata l'azione penale, però, in ossequio al principio della perpetuatio iurisdictionis, la competenza per connessione del giudice non risente delle successive vicende processuali e ciò anche se, successivamente alla verifica della propria competenza, il giudice accertasse l'insussistenza del reato attraente (a maggior ragione se dovesse trattarlo separatamente) (Cass. VI, n. 12405/2017; Cass. II, n. 3662/2016). Allo stesso modo, la contestazione del reato emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale connesso a quello più grave per il quale si procede, non fa venir meno la competenza del primo giudice, il quale conoscerà del nuovo reato solo se competente ai sensi degli artt. 12 e ss.

La portata applicativa del principio è stata autorevolmente precisata da Cass. S.U., n. 48590/2019 secondo cui il principio della "perpetuatio iurisdictionis", inteso come immutabilità della competenza a fini di certezza ed economia processuale e di tutela della ragionevole durata del processo, non può che riferirsi alla contestazione risultante dal complessivo vaglio del giudice dell'udienza preliminare sull'accusa formulata dal pubblico ministero e alla conseguente individuazione del giudice naturale operata sulla base dell'esito di quel controllo; sicché in tema di riparto tra giudice monocratico e collegiale, l'attribuzione determinata da ragioni di connessione va valutata al momento del rinvio a giudizio e non sulla base dei fatti così come contestati nella richiesta del pubblico ministero. Con l'ulteriore conseguenza che il giudice dell'udienza preliminare che, all'esito di tale fase, pronunci sentenza di non luogo a procedere in ordine al reato determinante la cognizione collegiale, deve disporre il rinvio a giudizio dinanzi al tribunale in composizione monocratica e non la restituzione degli atti al pubblico ministero. La restituzione degli atti al pubblico ministero, ai sensi dell'art.33-sexies, è necessaria nei soli casi in cui, già in relazione all'originaria imputazione, fosse previsto l'esercizio dell'azione penale mediante citazione diretta.

La connessione oggettiva (lett. a)

Le ragioni della connessione in caso di concorso di persone nel reato doloso e di cooperazione colposa di cui all'art. 113, c.p. o di più persone che, con condotte indipendenti, hanno determinato l'evento, sono legate all'opportunità che del medesimo fatto si occupi un solo giudice. La connessione opera, naturalmente, sul presupposto che altrimenti, in base alle regole generali, del reato sarebbero competenti a conoscere giudici diversi, ognuno competente per territorio.

La relazione preliminare al codice di procedura penale indica, come esempio, il caso della morte di una persona attribuita, alternativamente o cumulativamente, a colui che le abbia cagionato lesioni e al medico che l'abbia malamente curata (cfr., altresì, Tranchina - Di Chiara, in Siracusano, Galati, Tranchina, Zappalà, 65 e ss.), ma si può anche ipotizzare il caso dell'omicidio consumato da un solo autore materiale in circondario diverso da quello nel quale il reato è stato concordato e deciso con gli altri complici, o nel quale è avvenuta l'istigazione.

Anche per il reato interamente commesso all'estero da più persone che hanno residenze, dimore o domicili in circondari diversi, dovrebbero essere astrattamente competenti più giudici; in tal caso, però, opera la speciale regola di attribuzione della competenza ad un unico giudice prevista dall'art. 10, comma 1, ultima parte, e comma 2.

L'applicazione della norma presuppone, in buona sostanza, la dissociazione, ai fini dell'attribuzione della competenza ordinaria, tra condotta ed evento, in particolare nei casi in cui tale criterio è preferito a quello del luogo della consumazione del reato (art. 16, comma 2). Al di fuori di tali casi, infatti, non è necessario far ricorso alla connessione fra procedimenti per individuare il giudice competente, essendo sufficiente il criterio del locus commissi delicti. In caso di reato associativo o a concorso necessario, per esempio, è competente il giudice del luogo in cui il reato è stato consumato o, in caso di concorso nel reato permanente, in quello nel quale ha avuto inizio la consumazione. Se più persone commettono il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, competente a procedere è il giudice del luogo nel quale è iniziata la permanenza, anche se dovesse derivare la morte della vittima. Ma se la morte della vittima dovesse derivare dalla condotta di un concorrente posta in essere in un luogo diverso da quello nel quale è iniziata la permanenza e intervenuto solo successivamente alla consumazione del delitto, la competenza appartiene al giudice del luogo nel quale si è verificata la morte della vittima.

Se uno dei concorrenti o se l'autore di una delle condotte che hanno determinato l'evento è minorenne al momento del fatto, la connessione non opera nei suoi confronti anche se, per avventura, abbia raggiunto la maggiore età al momento della iscrizione della notizia di reato. La competenza a procedere nei suoi confronti appartiene esclusivamente al Tribunale per i minorenni (art. 16).

Diversamente da quanto prevedeva il codice di rito previgente, la connessione oggettiva non opera in caso di reato commesso da più persone in danno reciproco le une dalle altre, ipotesi quest'ultima contemplata dall'art. 371, comma 2, lett. b, che consente soltanto la riunione dei processi nei casi previsti dagli artt. 17 e ss. solo quando competente sia lo stesso giudice in base alle regole generali.

La connessione soggettiva (lett. b)

Non è sufficiente che una persona sia imputata di più reati (come prevedeva l'art. 45, n. 3 dell'abrogato codice di rito), è necessario che tali reati siano stati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale) o con più azioni od omissioni poste in essere in tempi diversi purché in esecuzione di un medesimo disegno criminoso (reato continuato). La versione originaria del vigente codice era ancora più restrittiva poiché prevedeva i soli casi del concorso formale di reati (commessi con un'unica azione od omissione) e del concorso materiale di reati consumati quando le azioni od omissioni fossero commesse in unità di tempo e di luogo: «Il concetto di unità di tempo — spiegava la Relazione preliminare — intende fare riferimento ad una frazione temporale più ampia della mera contestualità, ma tale comunque da consentire una concentrazione cronologica delle varie condotte».

Sicché, ove una persona avesse commesso in circondari diversi più reati esecutivi di un medesimo disegno criminoso, l'accertamento della sussistenza dell'unica ideazione criminosa restava incidentalmente affidato a giudici diversi, senza peraltro che ne derivassero all'imputato conseguenze pratiche concrete in termini di attenuazione del trattamento sanzionatorio, con l'ulteriore rischio di decisioni confliggenti sulla applicazione della continuazione. Si pensi all'ipotesi di più furti (o rapine) commessi in località diverse, ciascuna delle quali ricadente in altrettanti circondari, posti in essere al fine di racimolare il denaro necessario a pagare cure costose. In tali casi, l'art. 671 consentiva di recuperare in sede esecutiva il disegno più complessivo che poteva sfuggire al singolo giudice della cognizione con il rischio, però, che questi potesse escluderla.

Non poteva ovviare a queste possibili incongruenze l'ipotesi della connessione teleologica di cui alla successiva lett. c) che esclude i casi in cui il fine del reato non si identifichi a sua volta in un altro reato (nel caso sopra ipotizzato, il pagamento della cura costosa non costituisce a sua volta reato e non avrebbe potuto costituire da collante teleologico per attrarre tutti i reati alla competenza di un solo giudice).

La continuazione tra reati costituiva motivo di collegamento tra uffici diversi del pubblico ministero (art. 371, comma 2, lett. a), ma la cognizione del  giudice competente, per territorio e per materia, era limitata al singolo episodio, restandone il disegno attuativo “confinato” nell'accertamento del relativo movente. La frammentazione investigativa derivante dalla concorrente competenza di più pubblici ministeri, ciascuno dei quali competente a investigare sul singolo episodio, oltre a costituire motivo di potenziali conflitti e divergenti impostazioni nell'accertamento dell'unica ideazione criminosa, poteva pregiudicare la completezza e compiutezza delle indagini soprattutto per i più gravi reati associativi, nei quali più spesso e con maggiori rischi, la sconnessione tra il reato-mezzo associativo e i reati-fine poteva pregiudicare la possibilità stessa di accertare la sussistenza del primo mediante la prova della consumazione dei secondi e la loro riconducibiltà al programma associativo.

Il d.l. n. 367/1991, conv. con modif. in l. n. 8/1992, significativamente intitolato «Coordinamento delle indagini nei procedimenti per reati di criminalità organizzata» e istitutivo della Procura nazionale antimafia e delle odierne Direzioni distrettuali antimafia, ha ampliato i casi di connessione prevedendo, alla lettera b) dell'art. 12, il reato continuato tra le ipotesi di connessione.

Operando la continuazione tra reati quale criterio originario di attribuzione della competenza, è necessario che la continuazione sia quantomeno astrattamente ipotizzabile in sede di indagini preliminari  e di successivo esercizio dell'azione penale.

In ogni caso, in caso di concorso di persone nel reato continuato, la connessione fondata sull'astratta configurabilità del vincolo della continuazione è idonea a determinare lo spostamento della competenza soltanto quando l'identità del disegno criminoso sia comune a tutti i compartecipi, giacché l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria di fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al giudice naturale ( Cass. IV, n. 57927/2018 ; Cass. II, n. 17090/2017).

Si è così sostenuto che ai fini della determinazione della competenza per territorio, la connessione tra delitto associativo e reati-fine può ritenersi sussistente solo nell'eccezionale ipotesi in cui risulti che, fin dalla costituzione del sodalizio criminoso o dall'adesione ad esso, un determinato soggetto, nell'ambito del generico programma criminoso, abbia già individuato uno o più specifici fatti di reato, da lui poi effettivamente commessi (Cass. II, n. 26007/2018; Cass. II, n. 35630/2017).

Tuttavia, in caso di reati associativi contemplati dall'art. 51, comma 3-bis, la giurisprudenza ritiene che tale norma abbia introdotto una deroga assoluta ed esclusiva agli ordinari criteri di determinazione della competenza per effetto della quale, in caso di concorso tra il reato associativo e i reati-fine consumati in distretti diversi, é sempre competente il giudice del luogo di consumazione del reato associativo (Cass. I, n. 41225/2018;Cass. I, n. 43599/2017).

La connessione teleologica (lett. c)

Il tenore letterale della norma (diverso da quello del capoverso che precede nel quale si fa esplicito riferimento a “una persona imputata di più reati”) lasciava aperto il problema della sua applicabilità ai soli casi in cui i diversi reati siano commessi dallo (o dagli) stesso(i) autore(i) (connessione teleologica monosoggettiva) ovvero anche a quelli in cui i reati siano commessi da più autori tra loro diversi (connessione teleologica plurisoggettiva).

L'indirizzo giurisprudenziale maggioritario riteneva fondata la prima ipotesi; l'indirizzo minoritario sosteneva che ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall'art. 12, lett. c), non fosse richiesta l'identità fra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo.

Il contrasto è stato risolto da Cass.  S.U., n. 53390/2017 che, facendo leva sul tenore letterale della norma e sulla ratio della modifica della lettera c) ad opera del d.l. n. 367/1991, convertito con modificazioni dalla l. n. 8/1992, ha affermato il seguente principio di diritto: ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall'art. 12, lett. c),  e della sua idoneità a determinare uno spostamento della competenza per territorio, non è richiesto che vi sia identità fra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo, ferma restando la necessità di accertare che l'autore di quest'ultimo abbia avuto presente l'oggettiva finalizzazione della sua condotta alla commissione o all'occultamento di un altro reato.

Cass. II, n. 44678/2019 ha precisato che per ritenere la connessione teleologica di cui all'art. 12 lett. c), idonea a determinare uno spostamento di competenza, dovrà essere individuato, in concreto, un effettivo legame finalistico fra i reati commessi da soggetti diversi, con conseguente necessità di verificare che chi ha commesso un reato abbia avuto presente l'oggettiva finalizzazione della sua condotta (espressa dalla preposizione "per", che grammaticalmente introduce un complemento di fine e che precede la formula "eseguire od occultare gli altri") alla commissione di un altro reato oppure all'occultamento di un reato precedente. La spia di tale finalizzazione ben può essere ricercata, ma non solo, nella contestazione dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 2 c.p. nelle ipotesi di connessione sovrapponibili a quelle di cui all'art. 12, lett. c). La mancata contestazione dell'aggravante, dunque, non esclude il legame finalistico ma in tal caso deve accertarsi non solo l'effettiva esistenza di una relazione di natura oggettiva fra i delitti commessi in luoghi diversi ma anche che il nesso finalistico abbia costituito oggetto della rappresentazione e volontà dell'agente (in senso conforme Cass. VI, n. 30998/2018). E' necessario che l'autore del reato  abbia avuto presente l'oggettiva finalizzazione della sua condotta alla commissione o all'occultamento di un altro reato. L'individuazione di un effettivo legame finalistico fra i reati commessi da soggetti diversi è quindi indagine che va effettuata in concreto, con conseguente verifica che chi ha commesso un reato abbia avuto presente l'oggettiva finalizzazione della sua condotta alla commissione di un altro reato oppure all'occultamento di un reato precedente. 

In ogni caso se uno dei reati teleologicamente connessi è stato commesso da (o in danno di) un magistrato che esercita le funzioni nel distretto di corte di appello del giudice competente (o le esercitava al momento del fatto) la competenza appartiene per tutti gli imputati al giudice ugualmente competente per materia che ha sede nel diverso distretto di corte di appello determinato ai sensi degli artt. 11 e 11-bis. In questi casi, dunque, opera il criterio della connessione teleologica plurisoggettiva (art. 11, comma 3; Cass. VI, n. 3606/2017Cass. VI, n. 46244/2012).

Gli ulteriori effetti della connessione

La connessione non opera solo quale criterio di attribuzione della competenza. I suoi riflessi su altri istituti di diritto processuale penale (ma anche di diritto penale sostanziale) sono molteplici e di notevole rilevanza.

Una delle conseguenze più rilevanti riguarda, per esempio, l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona coindagata ovvero indagata di reato connesso.

Si è al riguardo precisato che l'omissione dell'avviso di cui all'art. 64, comma 3 lett. c), nei confronti del soggetto coindagato o indagato di reato connesso, ai sensi dell'art. 12 lett. a) e c), o collegato, ai sensi dell'art. 371, comma 2 lett. b),determina l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nei confronti dei soggetti terzi cui si riferiscono le medesime, anche se rese nelle indagini preliminari e di iniziativa della polizia giudiziaria (Cass. I, n. 15849/2018; in precedenza analogo principio era stato affermato da Cass. S.U. n. 33583/2015, secondo cui il mancato avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lett. c), all'imputato di reato connesso o collegato a quello per cui si procede, che avrebbe dovuto essere esaminato in dibattimento ai sensi dell'art. 210, comma 6, determina la inutilizzabilità della deposizione testimoniale resa senza garanzie si veda, altresì, Cass. III, n. 36331/2021, secondo cui le dichiarazioni rese in sede di esame ai sensi dell'art. 210 da persona imputata in procedimento connesso ex art. 12, comma 1, lett. a), ed ivi legittimamente acquisite in forza del combinato disposto di cui agli artt. 511-bis e 238, commi l e 2-bis, sono utilizzabili nei suoi confronti, non essendo, in tal caso, analogicamente applicabile il divieto sancito dall'art. 197-bis, comma 5, espressamente riferibile al solo esame di persona imputata in procedimento connesso ex art. 12, comma 1, lett. c), o di un reato collegato ex art. art. 371, comma 2, lett. b) .

Un'ulteriore conseguenza riguarda la possibilità di utilizzare i risultati delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti (art. 270). Cass. S.U., n. 51/2019ha affermato il principio di diritto secondo il quale «il divieto di cui all'art. 270 di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza – non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12, a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata "ab origine" disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266.» 

(si vedano, altresì: Cass. V, n. 37697/2021, secondo cui, in tema di intercettazioni telefoniche, secondo la disciplina applicabile ai procedimenti iscritti fino al 31 agosto 2020, antecedente alla riforma introdotta dal d.lgs. n. 216/2017, come modificato dal d.l. n. 28/2020, convertito dalla l. n. 70/2020, i risultati delle intercettazioni autorizzate per un determinato fatto-reato sono utilizzabili anche per gli ulteriori fatti-reato legati al primo dal vincolo della continuazione ex art. 12, lett. b), senza necessità che il disegno criminoso sia comune a tutti i correi; Cass. VI, n. 29194/2021, secondo cui, ai fini della utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi, la valutazione dell'esistenza di un vincolo di connessione ex art. 12 tra il reato "diverso" e quello per cui le captazioni siano state autorizzate va operata in relazione a quanto accertato, e non con riguardo alla mera prospettazione astratta, formulata dal giudice, nel momento in cui l'autorizzazione è stata resa).

Si vedano, per ulteriori profili (senza pretesa di esaustività) gli artt. 17, comma 1, lett. a), 33-quater, 197 e 197-bis, 210,297, comma 3, 371, comma 2, 423, comma 1, 449, comma 6, 453, comma 2, 517, 551, al cui commento si rimanda.

Per gli istituti di diritto penale sostanziale la connessione con reati procedibili d'ufficio può rendere a sua volta procedibile d'ufficio il reato normalmente perseguibile solo a querela di parte.

Casistica

Per la determinazione della competenza per territorio, nel caso in cui risulti la connessione tra delitto associativo e reati-fine, va applicato il criterio di cui all'art. 16 c.p., in base al quale la competenza per territorio appartiene al giudice competente per il reato più grave ovvero, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato (in motivazione la S.C. ha affermato che detta connessione è configurabile solo nell'ipotesi in cui risulti che, fin dalla costituzione del sodalizio criminoso o dall'adesione ad esso, i singoli partecipi, nell'ambito del generico programma criminoso, avevano già individuato uno o più specifici fatti di reato, dagli stessi poi effettivamente commessi) (Cass. II, n. 45337/2015).

In tema di competenza per territorio, l'art. 51, comma 3-bis, prevede, limitatamente ai reati in esso contemplati, una deroga assoluta ed esclusiva agli ordinari criteri di determinazione della competenza sicché, in caso di concorso tra il reato di cui all'art. 74 d.P.R. n. 309/1990 e altri reati in materia di stupefacenti, consumati in distretti diversi, è competente il giudice del luogo di consumazione del reato associativo (Cass. IV, n. 4484/2016; nello stesso senso Cass. II, n. 6783/2009; Cass. II, n. 19831/2006).

Ai fini dell'affermazione di sussistenza di un'ipotesi di spostamento della competenza per connessione fondata sulla continuazione, non può il giudice sottrarsi all'obbligo di accertare l'identità del disegno criminoso tra i più reati, rendendone adeguatamente conto in motivazione, sul presupposto della sufficienza di una configurabilità meramente astratta del vincolo tra i reati stessi, in quanto questa si riferisce soltanto alla minore consistenza del corredo informativo utilizzabile per la decisione rispetto alla concretezza dei risultati probatori acquisibili ad esito dell'istruttoria dibattimentale (Cass. I, n. 30433/2018).

Ai fini della determinazione della competenza per territorio nell'ipotesi di reati connessi di pari gravità, qualora non sia possibile individuare il luogo di consumazione di uno di essi, mentre sia certo quello dell'altro, non è consentito far ricorso alle regole suppletive stabilite nell'art. 9, che si riferisce a procedimenti con reato singolo, ma si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato residuo (Cass. III, n. 49643/2015; cfr., altresì, Cass. S.U., n. 40537/2009, secondo cui la competenza per territorio, nel caso in cui non sia possibile individuare, a norma degli artt. 8 e 9, comma 1, il luogo di commissione del reato connesso più grave, spetta al giudice del luogo nel quale risulta commesso, in via gradata, il reato successivamente più grave fra gli altri reati; quando risulti impossibile individuare il luogo di commissione per tutti i reati connessi, la competenza spetta al giudice competente per il reato più grave, individuato secondo i criteri suppletivi indicati dall'art. 9, commi 2 e 3).

Ai fini della determinazione della competenza relativa a procedimenti connessi a quelli riguardanti magistrati, si applicano le regole ordinarie, e non invece la disposizione di cui all'art. 11, comma 3, quando il procedimento connesso è ancora in fase di indagini e quello relativo ad appartenenti all'ordine giudiziario è stato definito con archiviazione, perché tale vicenda determina il venir meno del rapporto di connessione (in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto che, una volta intervenuta l'archiviazione del procedimento riguardante magistrati, il procedimento connesso doveva essere trattato dall'A.G. competente secondo le regole ordinarie) (Cass. V, n. 42854/2014; Cass. II, n. 13296/2014).

Nell'ipotesi di reati fiscali avvinti da connessione eventualmente probatoria, la competenza per territorio va individuata nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale (Cass. III, n. 8552/2012).

Qualora si proceda per associazione finalizzata al narcotraffico e reati connessi, una volta accertata l'impossibilità di determinare il luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del delitto associativo, per il quale è prevista l'applicazione delle regole derogatorie della competenza stabilite nell'art. 51, comma 3-bis, al fine di individuare il giudice competente non si può fare applicazione tout court delle regole suppletive indicate nell'art. 9, comma 3, stesso codice, con la conseguente determinazione della vis attractiva del giudice distrettuale anche su reati originariamente sottratti alla sua competenza, ma si deve tenere conto del luogo di consumazione dei reati via via meno gravi, e solo quando quest'operazione non approdi ad alcun risultato utile, far ricorso alle predette regole suppletive (fattispecie in tema di procedimento de libertate) (Cass. I, n. 27561/2010).

La competenza per connessione opera anche tra reati commessi all'estero e reati commessi in Italia (fattispecie relativa a reati di detenzione e importazione di stupefacenti, commessi all'estero ma connessi ad analoghi reati realizzati in Italia nell'ambito dell'attività di un'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti) (Cass. I, n. 14666/2008).

Il criterio residuale di determinazione della competenza per territorio, che ha riferimento al luogo ove ha sede l'ufficio del pubblico ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato, attribuisce la cognizione ad uno stesso ufficio giudiziario anche per i concorrenti nel reato, i cui nominativi risultino iscritti nel registro delle notizie di reato di diversi uffici del pubblico ministero, perché ha riguardo alla notizia di reato oggettivamente considerata (Cass. I, n. 44182/2009).

Quando un imputato, con la stessa dichiarazione, commette il reato di calunnia nei confronti di un magistrato ed il reato di falsa testimonianza, gli atti devono essere trasmessi, senza operare alcuna separazione, al giudice competente ex art. 11 (Cass. I, n. 23972/2008).

La connessione tra procedimenti di competenza del giudice di pace e quelli di altro giudice determina, ai sensi dell'art. 6 d.lgs. n. 274/2000, l'attribuzione della competenza per materia al giudice superiore soltanto in caso di concorso formale di reati, dovendo escludersi l'operatività degli altri casi di connessione previsti dall'art. 12, in quanto la menzionata disposizione speciale prevale sulle norme generali del codice di procedura penale; ne consegue che la connessione non opera nel caso in cui più persone abbiano commesso reati in danno reciproco (Cass. I, n. 14679/2008; cfr. altresì Cass. I, n. 39764/2016, secondo cui la connessione tra procedimenti di competenza del giudice di pace e quelli di competenza di altro giudice opera soltanto qualora una persona sia imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione e qualora sia comunque possibile la riunione tra i procedimenti).

Bibliografia

Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2012, 47 e ss.; Turco, Sub art. 12, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, Milano, 2012, I, 256 e ss.

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