Codice Penale art. 4 - Cittadino italiano. Territorio dello Stato.Cittadino italiano. Territorio dello Stato. [I]. Agli effetti della legge penale, sono considerati cittadini italiani [i cittadini delle colonie, i sudditi coloniali] (1), gli appartenenti per origine o per elezione ai luoghi soggetti alla sovranità dello Stato e gli apolidi [29 prel.] residenti nel territorio dello Stato [242 3]. [II]. Agli effetti della legge penale, è territorio dello Stato il territorio della Repubblica, [quello delle colonie] (1) e ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato [2, 3 c. nav.]. Le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come territorio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, a una legge territoriale straniera [4 c. nav.]. (1) I riferimenti all'istituto coloniale devono ritenersi non più operanti a seguito di quanto previsto dal Trattato di pace ratificato nel 1947 e dalla cessazione della Amministrazione fiduciaria italiana sulla Somalia dal 1° luglio 1960. InquadramentoL'art. 4 definisce le nozioni di «cittadino italiano» e di «territorio dello Stato» rilevanti a fini penali. Le nozioni di «cittadino» e di «straniero». Gli apolidi«Cittadino» è il soggetto legalmente in possesso della cittadinanza italiana, secondo quanto stabilito in sede civile dalla l. n. 91/1992 («pertanto, tutti coloro che secondo la legislazione sulla cittadinanza sono cittadini italiani sono anche cittadini agli effetti della legge penale: costoro, dalla norma in commento, sono indicati con la locuzione “appartenenti per origine o per elezione ai luoghi soggetti alla sovranità dello Stato”»: Fanuli e Laurino 142). Sono considerati cittadini italiani anche gli apolidi che risiedano in territorio italiano: con specifico riguardo ad essi, la giurisprudenza ha chiarito che, agli effetti dell'art. 4, per residenza si deve intendere non un soggiorno occasionale e temporaneo, ma una dimora abituale, caratterizzata da un elemento materiale, che consiste nel fissare la propria sede in un luogo, e da un elemento soggettivo ed intenzionale, che consiste nella volontà di mantenere questa sede in modo stabile: questi caratteri possono riscontrarsi, in concreto, solo se l'apolide abbia soggiornato nel territorio dello stato per un tempo non breve (Cass. III, n. 5745/1962, per la quale, inoltre, la stabile dimora dell'apolide può essere provata con tutti i mezzi consentiti dalla legge, ivi comprese le presunzioni). Per effetto di tali disposizioni, «straniero» è il soggetto legalmente in possesso della cittadinanza di altro Stato, oltre che l'apolide che risieda in territorio estero. La rilevanza della distinzione In virtù del principio di obbligatorietà sancito dall'art. 3 (al cui commento si rinvia), agli effetti del diritto penale la distinzione tra «cittadini» e «stranieri» assume rilievo non per i reati commessi nel territorio dello Stato (salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale), bensì: - ai fini della punibilità dei delitti comuni commessi all'estero (artt. 9 e 10); - ai fini dell'individuazione del soggetto attivo o passivo dei di cui agli artt. 242, 243, 244, 245, 246, 247, 250, 294, 364, 501 comma 3 n. 1, 583-bis comma 4, 591, comma 2, 604; - a fini estradizionali (art. 13 comma 4; cfr. anche artt. 10 e 26 della Costituzione); - con riferimento all'espulsione (artt. 235 e 312, nonché 86 d.P.R. n. 309/1990); - con riferimento alla disciplina dettata in tema di rinnovamento del giudizio ed al principio del ne bis in idem internazionale (art. 11). Le disposizioni del d.lgs. n. 286 del 1998 Il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione di straniero, non considera come stranieri, ai fini delle disposizioni in esso contenute, i cittadini degli Stati appartenenti all'Unione Europea (art. 1 d.lgs. n. 286/1998), che, pertanto, ad ogni altro fine, sono «stranieri». La nozione di «territorio dello Stato»«Territorio dello Stato» è «il territorio della Repubblica e ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato»: «il territorio dello Stato italiano, agli effetti della legge penale, è costituito in primo luogo dalla superficie terrestre compresa nei suoi confini politico-geografici, ossia da quella zona che è parte integrante ed elemento costitutivo dello Stato, secondo i confini stabiliti dai Trattati Internazionali e dalle leggi di annessione dei precedenti Stati» (Cass. VI, n. 1749/1969); esso ricomprende anche «le strutture dove si esercita il controllo di frontiera e si manifesta la potestà di imperio dello Stato italiano con la presenza dei suoi militari armati» (Cass. I, n. 8037/1981: fattispecie in tema di contrabbando commesso al valico di frontiera da cittadino straniero); vi rientra anche il relativo sottosuolo, «fin dove può spingersi l'attività umana» (Fanuli e Laurino 144). Premesso che il territorio dello Stato si identifica con tutto l'ambito spaziale soggetto alla sovranità nazionale e si estende fino ai cippi confinari ed alla linea che li congiunge, la giurisprudenza ha ritenuto che il superamento del confine di Stato verso l'interno produce senz'altro la consumazione del delitto di detenzione di sostanza stupefacente, dato che, dopo il superamento del confine, indipendentemente dalla visita doganale e dai controlli di pubblica sicurezza, integralmente si realizza (o meglio continua a realizzarsi) il fatto della detenzione (Cass. I, n. 7000/1972). L'esistenza degli uffici doganali non apporta alcuna limitazione alla sovranità dello Stato territoriale sulla zona compresa tra il confine e l'ufficio: conseguentemente, costituendo quella zona parte del territorio dello Stato, ogni attività posta in essere in essa deve essere valutata, ai fini dell'applicazione della legge penale, come quella commessa in qualsiasi altra parte del territorio dello Stato, con le sole limitazioni conseguenziali alle funzioni specifiche degli uffici doganali (Cass. I, n. 6902/1972: applicazione in tema di importazione abusiva di sostanze stupefacenti, con riguardo alla quale i giudici di merito avevano erroneamente affermato che i controlli effettuati dagli organi di P.S. e dalle autorità doganali devono ritenersi a tutti gli effetti avvenuti sulla linea di confine, con la conseguenza che la merce, ancorché siano state superate le sbarre di confine, ma prima dell'espletamento delle formalità doganali, non avrebbe potuto considerarsi entrata nel territorio dello Stato, con la conseguenza che l'azione diretta all'introduzione della merce nel territorio avrebbe integrato l'ipotesi del tentativo). I concetti di «mare territoriale» e di «spazio aereo soggetto alla sovranità dello Stato» (entrambi soggetti alla sovranità dello Stato), sono definiti, rispettivamente, dagli artt. 2 e 3 c. nav.; l'art. 29 d.P.R. n. 43/1973 delimita l'ambito della vigilanza doganale. Piazza S. Pietro fa parte del territorio dello Stato (Cass. VI, n. 10898/1977: l'art. 3 del Trattato tra lo Stato e la Santa Sede, attribuendo alle autorità italiane i poteri di polizia sulla piazza di San Pietro e, quindi, tra l'altro il potere-dovere di prevenire, accertare e reprimere in detto luogo i reati, ha equiparato per tali effetti la piazza al territorio dello Stato, recependo per il suo perimetro le previsioni incriminatrici espresse dall'ordinamento penale italiano). Anche il territorio di Campione d'Italia costituisce parte integrante di quello italiano (Cass. III, n. 230/1971). Nell'ambito del territorio italiano non rientrano le sedi consolari e diplomatiche situate all'estero; analogamente, non sono extraterritoriali le sedi consolari e diplomatiche estere site in territorio italiano: «parlare di “extraterritorialità” a proposito di tali luoghi è improprio: in realtà tali sedi beneficiano di immunità particolari che limitano l'esercizio dei poteri coercitivi da parte dello Stato, ma continuano a far parte del territorio cui attengono» (Padovani56). Segue. Navi ed aerei
Navi ed aerei italiani Sono considerati come territorio dello Stato (il c.d. «territorio mobile»), ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, ad una legge territoriale straniera. In particolare, le navi e gli aerei di Stato (da guerra, militari, di polizia) sono (salve le deroghe eventualmente contenute in Trattati internazionali) assoggettati, quanto ai reati verificatisi al loro interno, al c.d.«principio della bandiera», enunciato dall'art. 4, comma 2, e cioè, dovunque si trovino, alla legge penale italiana. La giurisdizione penale italiana si estende alle navi che si trovino fuori delle acque territoriali dello Stato col duplice limitea) che i fatti delittuosi siano commessi a bordo delle navi mercantili naviganti in acque territoriali di altro Stato; b) che questi fatti non estendano le loro conseguenze allo Stato rivierasco (Cass. IV, n. 789/1982, fattispecie di naufragio di nave italiana in acque territoriali di altro Stato, cagionato da un incendio scoppiato a bordo: la S.C. ha considerato commesso all'estero il reato di cui all'art. 449, e quindi sottoposto alla condizione di procedibilità prevista dall'art. 9). Navi ed aerei stranieri Analoghe regole, pur in difetto di espressa disciplina, possono essere ritenute valide anche per le navi e gli aerei stranieri, in applicazione del principio sancito dall'art. 10, comma 1, Cost. In particolare, con la ratifica della Convenzione di Ginevra del 29 aprile 1958 (art. 19), lo Stato italiano ha rinunciato alla giurisdizione in relazione ad illeciti penali commessi a bordo di una nave straniera che abbiano rilevanza solo all'interno della comunità viaggiante sulla stessa: pertanto, sussiste la giurisdizione dello Stato italiano in relazione a fatti idonei ad interferire nella vita della comunità costiera. La giurisprudenza ha evidenziato che è compito del giudice verificare in concreto se dal fatto contestato siano derivate conseguenze estesesi allo Stato rivierasco ovvero se il medesimo fatto sia stato di per sé idoneo a turbare la pace pubblica del Paese o il buon ordine del mare territoriale, dovendosi escludere, in entrambe le ipotesi, il difetto di giurisdizione dell'Autorità giudiziaria italiana; richiamando anche la prassi internazionale, ha, inoltre, precisato che, per riconoscere la giurisdizione dello Stato costiero, deve farsi riferimento ai requisiti del «disturbo effettivo» e del «disturbo morale», quest'ultimo relativo a fatti la cui natura è solo potenzialmente idonea a turbare l'ordine pubblico e la sicurezza della comunità territoriale (Cass. I, n. 44306/2007: nel caso di specie, è stata ritenuta la giurisdizione dello Stato italiano in considerazione delle ripercussioni all'esterno del fatto contestato — un tentato omicidio — e dell'allarme creato nella comunità locale, evidenziato dall'attivazione dell'apparato sanitario di emergenza e dell'apparato di polizia). In un caso di reato commesso su nave mercantile battente bandiera straniera attraccata in un porto italiano, o comunque che si trovi nelle acque territoriali italiane, prevale la giurisdizione dello Stato di bandiera allorché l'illecito concerna esclusivamente le attività e gli interessi della comunità nazionale cui appartiene il natante, mentre prevale quella dello Stato costiero ove le conseguenze del fatto compiuto a bordo si ripercuotano o siano idonee a ripercuotersi all'esterno incidendo su interessi primari della comunità territoriale. Gli interessi coinvolti vanno valutati con riferimento non solo al bene giuridico tutelato dalla norma di cui si assume la violazione, ma anche alla situazione verificatasi in concreto che diviene rilevante per lo Stato costiero allorquando per le sue connotazioni realizzi una condizione di effettivo pericolo che, rendendo probabile l'offesa per la pace pubblica del Paese o per il buon ordine del mare territoriale, imponga l'intervento dello Stato costiero (Cass.S.U., n. 1002/1990: nel caso di specie, a bordo di una nave mercantile straniera, in acque territoriali italiane, erano state ritrovate armi da guerra risultate costituenti dotazione della nave stessa, regolarmente iscritte nei libri di bordo e denunciate alle competenti autorità straniere, e la S.C. ha escluso la giurisdizione del giudice italiano). È stata perseguita in base alla legislazione italiana la violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro accertata a bordo di una nave battente bandiera straniera, attraccata in un porto italiano, quando detta violazione, ed i conseguenti effetti lesivi, non abbiano interessato soggetti appartenenti alla c.d. «comunità navale» (che, come tale, sarebbe sottoposta alla giurisdizione dello Stato cui la nave appartiene), bensì soggetti estranei a detta comunità (quali, nella specie, lavoratori italiani addetti alle operazioni di carico) (Cass. IV, n. 16028/2003; conforme, Cass. IV, n. 7409/2000). Casistica
Reati consumati in acque internazionali L'art. 111 della Convenzione ONU sul diritto del mare, firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982, attribuisce allo Stato il diritto d'inseguimento della nave straniera anche in alto mare e, quindi, oltre il mare territoriale e la zona contigua, quando abbia fondati motivi di ritenere che la stessa abbia violato le sue leggi, purché detto inseguimento sia iniziato in tali zone e sempre che non sia stato interrotto (Cass. I, n. 5157/2018: in applicazione del principio, la S.C. ha riconosciuto la giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana in relazione al reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, in una fattispecie in cui la nave utilizzata per il trasporto dei cittadini extracomunitari, avvistata mentre si trovava nel mare territoriale, era stata seguita senza soluzione di continuità anche in alto mare, dove era avvenuto l'abbordaggio). Con riguardo a reati consumati in acque internazionali connessi a reati commessi nel mare territoriale, la giurisprudenza (Cass. I, n. 32960/2010) ha ritenuto che il diritto di inseguimento ed il principio della c.d. «presenza costruttiva» consentono — in virtù dell'art. 23 della Convenzione di Ginevra sull'alto mare del 29 aprile 1958, ratificata con l. n. 1658/1961 — di inseguire una nave straniera che abbia violato le leggi dello Stato rivierasco, purché l'inseguimento stesso sia iniziato nel mare territoriale, o nella zona contigua, e sia proseguito ininterrottamente nelle acque internazionali, fino all'intercettamento dell'imbarcazione inseguita. In applicazione del principio, è stata esclusa la giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana in relazione al reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, rilevando che l'inseguimento della motonave turca utilizzata per il trasporto dei cittadini extracomunitari era avvenuto oltre lo spazio delle acque territoriali, e che la Turchia, Stato di bandiera della predetta motonave, non aveva mai aderito alla Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982, ratificata con l. n. 689/1994. Contrabbando doganale Per stabilire se sia commesso nel territorio dello Stato un contrabbando o un tentativo di contrabbando effettuato con un'imbarcazione, occorre aver riguardo non al punto del mare in cui è avvenuto il fermo, bensì a quello in cui il natante è stato avvistato (Cass. III, n. 7817/1978). Traffico di droga Nell'ipotesi in cui il passeggero di una nave mercantile italiana diretta in Italia abbia affidato al personale della stessa un bagaglio contenente sostanza stupefacente, sussiste il reato previsto attualmente dall'art. 73 d.P.R. n. 309/1990, e tale reato si considera commesso nel territorio dello Stato non appena la nave abbia abbandonato le acque territoriali straniere (Cass. I, n. 2491/1980). BibliografiaCasagli, Responsabilità per infortunio a straniero su nave straniera in territorio italiano, in Dir. lav. 203, 288 ss.; Natoli, La Costituzione (l'Europa) e lo straniero, in europeanrights.eu 2010, newsletter n. 18; Perin, L'applicazione ai Rom ed ai Sinti non cittadini delle norme sull'apolidia, sulla protezione internazionale e sulla condizione degli stranieri comunitari ed extracomunitari, in europeanrights.eu 2010, newsletter n. 23; S. Reverso, Osservazioni sull'istituzione della zona contigua, in Dir. trasporti 2011, 599 ss. |