Codice Penale art. 8 - Delitto politico commesso all'estero.Delitto politico commesso all'estero. [I]. Il cittadino o lo straniero [248 2, 249 2], che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel numero 1 dell'articolo precedente, è punito secondo la legge italiana [11 2, 201 1], a richiesta del ministro di grazia e giustizia (1) [128-129; 342 c.p.p.] (2). [II]. Se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa, occorre, oltre tale richiesta, anche la querela [120-126; 336-340, 342 c.p.p.]. [III]. Agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino [241-294]. È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici. (1) Ora ministro della giustizia, ai sensi del d.lg. 30 luglio 1999, n. 300, come da ultimo modificato dal d.l. 18 maggio 2006, n. 181, conv., con modif., in l. 17 luglio 2006, n. 233. (2) Per una deroga v. art. 48 2 l. 24 gennaio 1979, n. 18. InquadramentoLa norma in esame prevede la punizione, a difesa dello Stato, dei delitti politici interamente commessi, da chiunque, all'estero (mentre per i delitti politici parzialmente realizzati nel territorio nazionale, la legge italiana trova applicazione in forza dell'art. 6 c.p.). Aspetti generaliIl delitto politico realizzato interamente all'estero è punibile secondo la legge italiana su richiesta del Ministro della giustizia, salvo che si tratti di delitto contro la personalità dello Stato (artt. 241-313 c.p. e artt. 1088-1090 cod. nav.) per il quale l'art. 7, n. 1, prevede la punizione incondizionata. Tuttavia, occorre rilevare che per alcuni delitti contro la personalità dello Stato l'art. 313 prescrive l'autorizzazione o la richiesta del Ministro della giustizia. Si deve, quindi, ritenere che per i delitti menzionati dalla suddetta norma occorra la richiesta o l'autorizzazione ministeriale anche quando sono commessi all'estero, perché sarebbe illogico esigerle quando sono commessi nel territorio dello Stato e non quando sono commessi all'estero (Vinciguerra, Diritto, 380). Le condizioni di procedibilitàLa perseguibilità del delitto politico è subordinata alla richiesta ministeriale. Essa è rivolta all'autorità giudiziaria perché proceda, a differenza dell'autorizzazione a procedere che presuppone una domanda dell'autorità giudiziaria al Governo. Si tratta di un atto politico, come tale insindacabile dall'autorità giudiziaria, in quanto esprime la valutazione ministeriale sull'opportunità e la convenienza politica di perseguire certi fatti (Vinciguerra, Diritto, 381). Data la discrezionalità politica dell'atto, la richiesta deve essere sottoscritta personalmente dal Ministro o, al più, delegata ad altro soggetto politico quale un sottosegretario di Stato (Cass. I, n. 1837/1994). La richiesta ministeriale non può più essere proposta decorsi tre mesi dal giorno in cui il Ministro ha avuto notizia del reato (art. 128, comma 1), a differenza dell'autorizzazione a procedere, che non è soggetta a termini di decadenza, ma opera nei termini prescrizionali del reato. Tuttavia, è stato chiarito che la qualificazione di un delitto come politico spetta esclusivamente all'autorità giudiziaria, e non al Ministro della Giustizia, con la conseguenza che il termine trimestrale inizia a decorrere soltanto da quando il Pubblico Ministero comunichi al Ministro l'intenzione di procedere in relazione ad un delitto in tal modo qualificato (Cass. I, n. 24795/2018). La giurisprudenza ha chiarito che la richiesta di procedimento non perde efficacia o validità a seguito del decreto di archiviazione, di guisa che nel caso di riapertura delle indagini non vi è la necessità di una nuova richiesta (Cass. I, n. 23181/2004). Quando il delitto politico è perseguibile a querela, occorre anche quest'ultima, oltre alla richiesta (art. 8, comma 2). Il concetto di delitto politicoL'art. 8, comma 3 distingue fra delitto oggettivamente politico diretto (« ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato »), delitto oggettivamente politico indiretto (« ogni delitto, che offende un diritto politico del cittadino ») e delitto soggettivamente politico (« il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici ») (Vinciguerra, Diritto, 374; Mantovani, Diritto, 906; Cadoppi- Veneziani, Manuale, 154). La specificazione dei diritti politici del cittadino — l'attentato dei quali è punito in via generale dall'art. 294— è contenuta nel titolo IV della parte I della Costituzione (artt. 48-54 Cost.) che concerne i « rapporti politici ». I diritti politici del cittadino sono i diritti di partecipare alla formazione della volontà statuale (tutelati dai delitti elettorali): elettorato attivo (art. 48 Cost.) e passivo (art. 51 Cost.); partecipazione alle altre consultazioni elettorali come quelle referendarie (art. 75 Cost.); associazione in partiti politici (art. 49 Cost.); petizione alle Camere (art. 50 Cost.). La giurisprudenza ritiene che la qualificazione di un delitto come politico data dall'art. 8 vada letta alla luce dell'art. 10 Cost., secondo il quale l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale, tra le quali si pone in particolare la Cedu, che obbliga gli Stati al rispetto di alcuni diritti fondamentali nei confronti di ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione (Cass. I, n. 23181/2004, che in applicazione di tale principio ha definito come politici i delitti di oggettiva gravità, commessi in danno di cittadini italiani residenti in Argentina, in esecuzione di un preciso piano criminoso diretto all'eliminazione fisica degli oppositori al regime senza il rispetto di alcuna garanzia processuale e al solo scopo di contrastare idee e tendenze politiche delle vittime, iscritte a sindacati, o partiti politici o ad associazioni universitarie, in quanto tali delitti non solo offendono un interesse politico dello Stato italiano, che ha il diritto ed il dovere di intervenire per tutelare i propri cittadini, ma anche i diritti fondamentali delle stesse vittime). Per « interesse politico » dello Stato deve ritenersi ogni interesse relativo al mantenimento di ciò da cui dipende la sua soggettività internazionale (popolo, territorio, sovranità) e del suo assetto costituzionale (C. Fiore-S. Fiore, Diritto, 100). Non rientrano nella nozione di delitto oggettivamente politico « i delitti che offendono il potere amministrativo o il potere giudiziario dello Stato » (Fiandaca-Musco, PG, 136; C. Fiore-S. Fiore, Diritto, 100). Quanto al delitto soggettivamente politico, si tratta di reati comuni (come l'omicidio, la rapina, ecc.) che l'agente commette allo scopo di incidere sull'esistenza, costituzione e funzionamento dello Stato ovvero favorire o contrastare idee o tendenze politiche proprie dello Stato, o anche offendere un diritto politico del cittadino, sì che non è sufficiente ad escludere la natura politica del delitto comune la circostanza che esso sia stato commesso per motivi in parte o non prevalentemente politici (Cass. I, n. 16808/2004; in dottrina: Marinucci-Dolcini, Corso, 124, 127). Il motivo politico può coesistere con un movente personale, purché il primo risulti prevalente (Fiandaca-Musco, PG, 137). La giurisprudenza ritiene che possa integrare un'ipotesi di delitto politico anche il crimine di guerra, quando, pur non possedendo connotati di estensione e sistematicità tali da farlo assurgere a crimine contro l'umanità, si caratterizzi per una così spiccata gravità della condotta da determinare una lesione dei diritti fondamentali della persona e, pertanto, anche del cittadino, la cui tutela è sancita da norme inderogabili sia dell'ordinamento internazionale che di quello interno (Cass. I, n. 24795/2018, relativa ad un caso in cui tre volontari italiani della Croce Rossa in missione umanitaria in Bosnia-Erzegovina erano stati catturati, depredati ed uccisi in un'azione di guerra da un reparto dell'esercito bosniaco al comando dell'imputato nell'ambito della c.d. "guerra dei convogli", caratterizzante il conflitto croato-musulmano). Il divieto di estradizione per reati politiciGli artt. 10, comma 4 e 26, comma 2, Cost. prevedono il divieto di estradizione dello straniero e del cittadino per reati politici. La dottrina suggerisce da tempo di attribuire a tale nozione di reato politico una portata più ampia di quella riconosciuta all'art. 8, in modo da proteggere l'estradando dalle applicazioni concrete della norma penale quando queste siano prevedibilmente influenzate da fattori ideologici o persecutori (Mantovani, PG, 924; Fiandaca-Musco, PG, 138). Anche la giurisprudenza ritiene che la nozione di reato politico a fini estradizionali non debba trovare fondamento nell'art. 8, nel quale il reato politico è definito in funzione repressiva, bensì nelle norme costituzionali, che lo assumono in una più ampia funzione di garanzia della persona umana, finalizzata a limitare il diritto punitivo dello Stato straniero (Cass. VI, n. 31123/2003). A tal fine (divieto di estradizione) si è ritenuto che il reato vada considerato politico anche quando, indipendentemente dal bene giuridico offeso dalla condotta illecita, vi sia fondata ragione di ritenere che, proprio per la «politicità» della condotta illecita, l'estradando possa essere sottoposto nello stato straniero richiedente ad un processo non equo o all'esecuzione di una pena discriminatoria ovvero ispirata da iniziative persecutorie per ragioni politiche che ledono diritti fondamentali dell'individuo quali il diritto al rispetto del principio di uguaglianza, il diritto ad un equo processo ed il divieto di trattamenti disumani o degradanti verso i detenuti (Cass. VI, n. 5089/2014). BibliografiaAltavilla, Delitto politico, in Nss. D.I., V, 1960, 410; De Francesco, Reato politico, Enc. dir., XXXVIII, 1987, 897; Del Tufo, Estradizione e reato politico, 1985; Marinelli, Il delitto politico, in Arch. pen. 1976, 71; Mazzacuva, Reato politico e divieto di estradizione del cittadino nella Costituzione, in Indice pen. 1980, 229; Pulitanò, Delitto politico, in Dig. d. pen., vol. III, 1989, 358. |