Codice Penale art. 15 - Materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale.Materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale. [I]. Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito [68] (1). (1) V. in tema di illeciti depenalizzati l'art. 9 l. 24 novembre 1981, n. 689. InquadramentoLa norma in esame sancisce il principio di specialità, in base al quale, quando più norme risultano astrattamente applicabili alla medesima fattispecie concreta, la norma speciale prevale su quella generale, salvo che sia diversamente stabilito. Il concorso apparente di normePiù norme possono convergere nel disciplinare una stessa condotta, la quale appare astrattamente riconducibile sotto ognuna di esse. Tale convergenza può essere reale, dando vita ad un concorso di reati, oppure fittizia, dando vita ad un concorso apparente di norme. Ogni volta in cui un fatto appare riconducibile sotto più norme, l'interprete si deve quindi porre il problema se si tratti di un concorso reale di norme (nel senso che tutte devono trovare applicazione) e quindi di un concorso formale di reati, oppure di un concorso apparente di norme (nel senso che una soltanto deve trovare applicazione) e quindi di un solo reato. E, in tale ultima circostanza, si deve porre l'ulteriore problema di quale norma, fra le tante in concorso, debba essere applicata. Nell'ambito del diritto penale sostanziale, situazioni di concorso apparente possono riscontrarsi fra disposizioni di ogni tipo: norme che disciplinano circostanze, cause di giustificazione, cause di estinzione del reto e della pena (Conti, 1009), fra norme incriminatrici e norme di liceità (Pagliaro 1961, 550). Come vedremo più avanti, anche il concorso apparente fra fattispecie penali e illeciti amministrativi è risolto alla stregua del principio di specialità ex art. 9 l. n. 689/1981. Il principio di specialitàPer quanto riguarda l'individuazione del carattere apparente o reale del concorso di norme, il legislatore ci ha fornito un solo criterio, quello di specialità, che trova esplicito riconoscimento all'art. 15 Il principio in esame postula un rapporto di specialità fra fattispecie, in virtù del quale tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie (generale) sono contenuti anche in un'altra fattispecie (speciale), la quale a sua volta contiene ulteriori elementi specializzanti (Cass. III, n. 5518/1984; in dottrina: Moro, 48). Quest'ultimi possono essere degli elementi che specificano corrispondenti elementi della fattispecie generale (c.d. specialità per specificazione: si pensi, ad esempio, all'abrogato oltraggio rispetto all'ingiuria, dove l'elemento “pubblico ufficiale” è una species del genus “persona”) oppure che si aggiungono rispetto alla fattispecie generale (c.d. specialità per aggiunta: si pensi, ad esempio, alla rapina rispetto al furto, dove la violenza o la minaccia si aggiunge all'impossessamento e alla sottrazione). Geometricamente, il rapporto di specialità può essere raffigurato come due cerchi concentrici (Cass. VI, n. 3018/1993), con la conseguenza che tutti i fatti che si trovano nel cerchio di diametro più ristretto (fattispecie speciale) rientrano anche nel cerchio di diametro più ampio (fattispecie generale), ma non viceversa (in giurisprudenza si fa riferimento ad un “rapporto di continenza”: Cass. S.U., n. 1235/2011). Chiarito il rapporto di specialità, occorre definire cosa si intende per “stessa materia”, dal momento che ciò rappresenta il presupposto per l'esistenza stessa di un concorso apparente di norme. Secondo un primo orientamento, diffuso soprattutto in giurisprudenza (Cass. S.U., n. 9568/1995), la stessa materia implica non solo che il fatto concreto sia riconducibile a più norme in rapporto di specialità, ma anche che le stesse tutelino lo stesso bene giuridico o comunque beni giuridici omogenei. In tal senso la giurisprudenza di legittimità ha statuito che il reato di commercio di sostanze dopanti attraverso canali diversi da farmacie e dispensari autorizzati (art. 9, comma 7, l. n. 376/2000) può concorrere con il reato di ricettazione (art. 648), non solo e non tanto in considerazione della diversità strutturale delle due fattispecie, quanto e soprattutto per la non omogeneità del bene giuridico protetto, poiché la ricettazione è posta a tutela di un interesse di natura patrimoniale, mentre il reato di commercio abusivo di sostanze dopanti è finalizzato alla tutela della salute di coloro che partecipano alle manifestazioni sportive (Cass. S.U., n. 3087/2005). Così facendo, però, si pretende di inserire nell'ambito di un rapporto logico-giuridico, quale il rapporto genere-specie, un elemento di valore, la cui interpretazione nei casi concreti è oltretutto assai controversa. Lo conferma l'assurdità dei risultati a cui si approderebbe seguendo tale ragionamento: andrebbe escluso il rapporto di specialità, ad esempio, anche fra l'ingiuria e l'oltraggio a magistrato in udienza, atteso che la prima tutela l'onore e il secondo tutela il prestigio dell'amministrazione della giustizia (Antolisei, Manuale, 155; Mantovani, PG, 479; Fiandaca-Musco, PG, 717). Secondo un'altra impostazione (Cass. III, n. 5669/1981; in dottrina: Moro, 50; Pannain, Manuale, 162; Conti, 1013), invece, per stessa materia, si deve intendere stessa situazione di fatto intesa in senso naturalistico, ossia il caso in cui un fatto concreto integra tutti i requisiti di più fattispecie, anche se queste in astratto non si trovano in rapporto di specialità. Conseguentemente, secondo quest'impostazione dogmatica, si avrebbe concorso apparente di norme anche qualora sussistesse tra le fattispecie un rapporto di specialità c.d. in concreto. Per esemplificare si pensi alle ipotesi di millantato credito (art. 346) e di truffa (art. 640). Astrattamente tra le due fattispecie non sussiste un rapporto di genus a species. Tuttavia, che cosa accadrebbe se, ad esempio, un soggetto si facesse dare del denaro da un altro individuo millantando di avere, presso la casa comunale, delle conoscenze tali da poter garantire alla vittima il rilascio in brevissimo tempo di un permesso per costruire? La condotta posta in essere dal soggetto agente integrerebbe, ad un tempo, sia il reato di truffa, dal momento che sarebbe lesiva di interessi patrimoniali della vittima, sia il reato di millantato credito, dal momento che sarebbe lesiva anche del prestigio della Pubblica Amministrazione. Seguendo quest'impostazione dottrinale tra le fattispecie di cui sopra sussisterebbe un rapporto di interferenza per il quale le norme si troverebbero in concorso apparente tra loro così che risulterebbe applicabile solo una di esse che di regola è quella che prevede il trattamento sanzionatorio più severo (nel nostro caso l'art. 346). La più importante critica mossa a quest'impostazione dogmatica risiede nel fatto che il rapporto di specialità, che è un rapporto tra norme, come si evince dallo stesso art. 15 c.p., che parla di “più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale che regolano la stessa materia”, non può in alcun modo essere fatto dipendere dalle particolarità del fatto concreto. Essendo un rapporto logico-giuridico, esso deve risultare in astratto, a prescindere dal particolare atteggiarsi del fatto storico. Peraltro, la prova che non si possa far dipendere l'instaurazione di un rapporto di specialità da una situazione fattuale concreta risiede nel fatto che i sostenitori della presente teoria per individuare quale sia la norma speciale che debba essere applicata ripiegano sul criterio della più grave sanzione penale che nulla ha a che vedere con i criteri propri dell'art. 15 c.p. (Fiandaca-Musco, PG, 718). Secondo gli approdi da considerare ormai stabilizzati e reiteratamente espressi dalle Sezioni Unite, il criterio di specialità è da intendersi in senso logico-formale: il presupposto della convergenza di norme, necessario perché risulti applicabile la regola relativa alla individuazione della disposizione prevalente, può ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le stesse alla cui verificazione deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le fattispecie astratte rispettivamente configurate mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie stesse (Cass. S.U., n. 27727/2024; Cass. S.U., n. 20664/2017; Cass. S.U., n. 1235/2010). Altro orientamento (Cass. S.U., n. 10/1976; in dottrina: Mantovani, PG, 477; Siniscalco, 117; Lozzi, 82; De Francesco, 59; Padovani, Codice, 492), poi, estende il concorso apparente di norme anche alle fattispecie che, in astratto, si trovino in rapporto di specialità bilaterale (o reciproca), per specificazione e per aggiunta, ossia quando nessuna norma è speciale o generale, ma ciascuna è ad un tempo generale e speciale, perché entrambe presentano, accanto ad un nucleo di elementi comuni, elementi specifici ed elementi generici rispetto ai corrispondenti elementi dell'altra. Geometricamente, il rapporto di specialità bilaterale può essere raffigurato come due cerchi intersecantisi, con la conseguenza che solo alcuni fatti che si trovano in un cerchio rientrano anche nell'altro e viceversa. Per esemplificare l'ipotesi di specialità bilaterale per specificazione, si pensi alle ipotesi di aggiotaggio comune (art. 501) e di aggiotaggio societario (art. 2628 c.c.). In questi casi le fattispecie a raffronto sono contestualmente generali (infatti entrambe prevedono, quale nucleo comune, atti di aggiotaggio) e speciali (infatti, se da un lato l'art. 501, richiedendo il dolo specifico, è speciale rispetto all'art. 2628 c.c., che si “accontenta” del dolo generico, dall'altro l'art. 2628 c.c., prevedendo che solo soggetti con determinate qualifiche possono integrare la fattispecie, è speciale rispetto all'ipotesi prevista dall'art. 501 che fa riferimento semplicemente a chiunque). Per esemplificare l'ipotesi di specialità bilaterale per aggiunta, si pensi, invece, alla fattispecie dell'insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.) e a quella di ricorso abusivo al credito (art. 218 r.d. n. 267/1942). In queste ipotesi l'art. 218 r.d. n. 267/1942 (l. fall.) è speciale per specificazione rispetto all'art. 641, in quanto il primo parla di imprenditore, mentre il secondo parla semplicemente di chiunque. Tuttavia, l'art. 641 è speciale per aggiunta rispetto all'art. 218 r.d. n. 267/1942 (l. fall.) per quanto concerne l'elemento soggettivo, dal momento che richiede che l'obbligazione debba essere contratta col proposito di non adempierla e debba peraltro risultare inadempiuta, tutti elementi, questi, non presi in considerazione dall'art. 218 r.d. n. 267/1942. Alla teoria sopra esposta viene però replicato che così opinando si finisce per tradire la logica del ragionamento per specificazione, il quale implica, per definizione, che un gruppo di casi rappresenti un sottoinsieme più specifico rispetto ad un altro gruppo di casi più generico, mentre non ha senso ipotizzare un tale rapporto in senso inverso. Inoltre, fra i criteri proposti per risolvere i casi di specialità reciproca viene indicato quello del trattamento sanzionatorio più severo che, in quanto criterio di valore, risulta del tutto avulso dalla natura della relazione di specificità (Fiandaca-Musco, PG, 22). Più recentemente, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che l'art. 15 si riferisce alla sola specialità unilaterale, poiché le altre tipologie di relazioni tra norme, quali la specialità reciproca o bilaterale, non evidenziano alcun rapporto di genus a speciem (Cass. S.U., n. 27727/2024). Parte della dottrina (Fiandaca-Musco, PG), infine, ritiene che per stessa materia si debba intendere semplicemente medesima situazione di fatto sussumibile, a prima vista, sotto più norme, e che le esigenze che hanno portato i vari autori ad intendere diversamente tale inciso devono essere soddisfatte ricorrendo ai principi di sussidiarietà e di consunzione. Le diverse interpretazioni “correttive” dell'art. 15 c.p. portate in rassegna nascono dalla consapevolezza dell'insufficienza del solo criterio logico della specialità. Infatti, ragioni di giustizia sostanziale impongono di considerare l'accadimento concreto nel suo complessivo significato di disvalore penale, al fine di porre dei limiti al cumulo materiale o giuridico delle sanzioni penali nei casi in cui se ne avverte l'irragionevole gravosità per il reo rispetto alla rilevanza del fatto commesso. Prima di passare ad analizzare i vari criteri elaborati per soddisfare le esigenze di giustizia sostanziale sopra evidenziate, è opportuno chiarire che un fenomeno di concorso di norme non si pone quando è la legge stessa a indicare quale fra le norme apparentemente in concorso debba prevalere, attraverso clausole di riserva (o di sussidiarietà espressa). Più precisamente, come chiarisce parte della dottrina (Mantovani, PG, 485), tali clausole possono essere: a) determinate, quando la norma incriminatrice rinvia con precisione ad una fattispecie determinata (si pensi, ad esempio, all'art. 496 che punisce “chiunque fuori dai casi indicati negli articoli precedenti” fornisce a persone dotate di specifiche qualità personali false informazioni sull'identità o sulle qualità personali proprie od altrui); b) relativamente indeterminate, quando la norma incriminatrice rinvia ad altra che di regola prevede un trattamento sanzionatorio più incisivo (si pensi, per esempio, all'art. 513, comma 1, c.p., secondo il quale chi turba la libertà dell'industria o del commercio con violenza sulle cose o con mezzi fraudolenti, “se il fatto non costituisce un più grave reato”, è punito [...]; c) assolutamente indeterminate, quando la norma incriminatrice rinvia a qualsiasi altra norma che disciplini la stessa situazione di fatto (si pensi, ad esempio, all'art. 615-ter c.p., che prevede la punizione dell'accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico “se il fatto non è previsto come reato da altra disposizione di legge”). In realtà, soltanto le clausole determinate escludono un concorso apparente di norme, in quanto le clausole relativamente determinate e, soprattutto, quelle assolutamente indeterminate lasciano residuare dubbi sull'applicabilità di una sola norma e di quale. Poiché spesso tali clausole rinviano a reati con oggettività giuridiche eterogenee, ciò starebbe a significare che la diversità del bene protetto non è di ostacolo al concorso apparente di norme e che il reato assorbente ha una oggettività giuridica complessa, comprensiva anche di quella della norma assorbita (con conseguente plurioffensività del reato da essa previsto). Per esemplificare si pensi all'art. 307, che punisce l'assistenza ai partecipanti di una cospirazione o di una banda armata (bene tutelato: personalità dello Stato), il quale contiene l'inciso fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, ove il favoreggiamento personale ex art. 378 prevede come bene tutelato l'amministrazione della giustizia. Tuttavia, secondo la giurisprudenza, quando la clausola di riserva fa salvo il fatto che costituisce più grave reato, il meccanismo dell'«assorbimento» presuppone che il reato più grave sia posto a tutela del medesimo interesse protetto dal reato meno grave da assorbire. In tal caso, la maggiore o minore gravità dei reati concorrenti va accertata avendo riguardo alla pena in concreto irrogabile, tenuto conto delle circostanze ritenute e dell'eventuale bilanciamento tra esse (Cass. II, n. 25363/2015). Secondo la giurisprudenza, le clausole di riserva non sempre sono connessa con il problema del concorso apparente di norme e, in particolare, col principio di specialità di cui allo art. 15 o con quello di consunzione, tendendo nella maggior parte dei casi ad escludere il concorso (formale) di reati. Invero, il concetto di «fatto» di cui alle suddette clausole può non coincidere con quello di «stessa materia» di cui all'art. 15. Quest'ultima (peraltro comprensiva, diversamente dalla prima, anche di norme non incriminatrici) si riferisce in genere alla omogeneità degli elementi costitutivi delle fattispecie astratte e dei beni-interessi tutelati. La nozione di «fatto» concerne, invece, l'avvenimento concretamente verificatosi, il quale prescinde dalla omogeneità delle fattispecie astratte ed ha riguardo al profilo concreto delle ipotesi criminose disciplinate da più norme sia in concorso apparente sia in concorso effettivo o reale (Cass. V, n. 2817/1986). Il principio di sussidiarietàNon tutta la dottrina adotta un'impostazione monista, accontentandosi del solo principio di specialità, per risolvere il problema dell'apparenza o meno di un concorso di norme. Molti autori (Moro, 36; Fiandaca-Musco, PG, 722; Pannain, Manuale, 223; Pagliaro, PG, 186) adottano un'impostazione pluralista, nel senso di integrare l'insufficiente criterio di specialità con altri criteri. Il veicolo normativo utilizzato per dare ingresso nel nostro ordinamento a criteri ulteriori rispetto al principio di specialità viene individuato nell'inciso finale dell'art. 15 c.p., il quale fa salvo il caso in cui sia altrimenti stabilito. Infatti, mentre i fautori della concezione monistica interpretano tale inciso come un riferimento alle clausole di riserva, i fautori della concezione pluralistica lo leggono come un'apertura legislativa a criteri diversi dalla specialità. Tra i criteri più consolidati vi è senz'altro quello di sussidiarietà, in base al quale, quando più norme prevedono stadi o gradi diversi di offesa di un medesimo bene, il concorso apparente di norme che si viene a creare può essere risolto accordando la prevalenza alla norma che prevede l'offesa più grave, con conseguente assorbimento della norma sussidiaria (Moro, 85; Fiandaca-Musco, PG, 721) (si pensi, ad esempio, al rapporto sussistente tra l'art. 611 e l'art. 610: nessun dubbio sussiste circa il fatto che l'art. 610 c.p. garantisce alla libertà morale una tutela meno incisiva rispetto a quella riservata alla stessa dall'art. 611 che conseguentemente risulta fattispecie principale ed assorbente rispetto alla prima). Accanto ad una sussidiarietà espressa dal legislatore attraverso l'uso delle clausole di riserva, vi è una sussidiarietà tacita ottenuta attraverso l'estensione analogica delle ipotesi espresse a casi analoghi (Moro, 85). Tuttavia, in mancanza di un criterio certo per distinguere il diverso stadio o grado di offesa del medesimo bene, la dottrina ripiega il più delle volte sul trattamento sanzionatorio. Contrariamente a quanto sostenuto da alcuni autori, il criterio in esame non è un inutile doppione della specialità, in quanto, mentre quest'ultimo si riferisce al rapporto tra fattispecie incriminatrici astratte, il primo fa riferimento ad una situazione fattuale concreta, implicando l'assorbimento del fatto meno grave in quello più grave anche se le norme incriminatrici astrattamente possiedono elementi strutturali completamente differenti. Il principio di consunzione o assorbimentoCome il principio di sussidiarietà anche quello di consunzione (o assorbimento) è un criterio di valore che non possiede alcun fondamento normativo. L'idea di partenza consiste in un dato di esperienza: la commissione di certi reati implica, secondo l'id quod plerumque accidit, il passaggio attraverso altre ipotesi delittuose (si pensi, ad esempio, al rapporto tra il reato di danneggiamento e quello di violazione di domicilio: normalmente per introdursi nell'altrui abitazione è necessario manomettere i sistemi posti a presidio della stessa). Poiché al legislatore non sfugge tale dato esperienziale, nel momento in cui formula le fattispecie incriminatici con il relativo trattamento sanzionatorio, la pretesa di applicare tutte le norme in concorso produrrebbe una ingiusta moltiplicazione di sanzioni. Occorre, pertanto, ritenere che la norma che prevede il reato più grave assorba quella relativa all'ipotesi meno grave, con conseguente applicazione solo della prima, in quanto fattispecie che esprime l'intero disvalore del fatto (Fiandaca-Musco, PG, 721; Pagliaro 1976, 217). Come chiarisce la dottrina dell'assorbimento, il fatto può considerarsi unico non solo nell'ipotesi di identità naturalistica, ma anche nel caso in cui sia ravvisabile una identità normativo-sociale, ossia nell'ipotesi in cui le varie (dal punto di vista naturale) azioni esprimono un disvalore penale omogeneo, potendo quindi essere considerate unitariamente (dal punto di vista normativo), anche se fra le rispettive norme non sussiste in astratto un rapporto logico-giuridico di specificazione (Moro, 61; Fiandaca-Musco, PG, 722; Pagliaro, PG, 186). Secondo i fautori del principio in esame, la consunzione troverebbe riconoscimento legislativo nell'art. 15 c.p., che consente di derogare al principio di specialità nei casi previsti dalla legge (Pagliaro 1961, 548). Accanto ad una consunzione espressa in cui il legislatore esplicitamente dichiara applicabile la sola disposizione che prevede il trattamento penale più severo (v. artt. 68 e 84: concorso di circostanze e reato complesso), vi è una consunzione tacita ottenuta attraverso l'estensione analogica delle ipotesi espresse a casi analoghi (Pagliaro 1961, 553). La posizione della giurisprudenzaPer quanto riguarda la giurisprudenza, l'adesione o meno alla teoria pluralistica e ai relativi criteri di valore ha subito varie oscillazioni che è opportuno brevemente riportare. L'adesione alla concezione pluralistica vi è stata con una pronuncia del 2001 (Cass.S.U., n. 22902/2001), nella quale viene riconosciuto come ammissibile e legittimo il ricorso al criterio della consunzione, ritenendo che il concorso di norme sia apparente ogni volta in cui l'applicazione della sola norma che prevede la pena più grave esaurisce l'intero disvalore del fatto. Nel 2005 i giudici di legittimità ritornano sul tema (Cass.S.U., n. 41164/2005) ripudiandoespressis verbis i criteri diversi da quello legislativo di specialità, in quanto il loro accoglimento sarebbe in contrasto sia col principio di legalità, mancando per essi qualsiasi fondamento normativo, sia col principio di tassatività, rimettendo ad incontrollabili valutazioni intuitive del giudicante l'applicazione della norma. A distanza di pochi mesi, la Corte di Cassazione è nuovamente ritornata sui suoi passi (Cass. I, n. 7629/2006) ammettendo sia il criterio di sussidiarietà che quello di consunzione e riconducendo entrambi al superiore principio del ne bis in idem sostanziale. In realtà, le distanze tra quest'ultima pronuncia e l'arresto del 2005 sono minori di quello che potrebbe sembrare a prima vista, in quanto l'ammissione dei principi di sussidiarietà e consunzione non deriva da un'apertura a criteri di valore extralegislativi in contrasto con la legalità che deve informare l'ordinamento penale, ma dalla ricognizione di un fondamento normativo degli stessi nel superiore principio del ne bis in idem sostanziale estrapolato dall'art. 15. In definitiva, il contrasto tra le due pronunce si riduce al problema dell'ammissibilità o meno del ne bis in idem come principio generale dell'ordinamento e a tal riguardo diventano decisamente attuali le teorie sostenute da una illustre dottrina di cui si parlerà infra. In seguito, la Suprema Corte ha osservato che i criteri di assorbimento e di consunzione sono privi di fondamento normativo, perché si riferiscono solo a casi determinati, non generalizzabili, in quanto i giudizi di valore che essi richiederebbero sono tendenzialmente in contrasto con il principio di legalità, in particolare con il principio di determinatezza e tassatività, facendo dipendere da incontrollabili valutazioni intuitive del giudice l'applicazione di una norma penale (Cass. II, n. 10994/2012). Da ultimo, la Suprema Corte, nella sua composizione più autorevole, ha di nuovo preso posizione espressa in favore del principio di specialità, osservando che né la giurisprudenza di legittimità, nè quella della Corte EDU e della Corte costituzionale offrono argomenti ermeneutici in favore dell'adozione, nell'ambito dell'istituto del concorso apparente di norme, di criteri valutativi diversi da quello di specialità (Cass. S.U., n. 20664/2017). Reato complesso, reato progressivo, antefatto e postfatto non punibiliVa detto che al principio di consunzione vengono tradizionalmente ricondotte le figure del reato complesso (v. subart. 84), del reato progressivo e dell'antefatto e del postfatto non punibili (Pagliaro 1961, 552). Si ha reato progressivo quando uno stesso bene giuridico viene offeso con intensità crescente (Antolisei, Manuale, 511). Secondo alcuni autori si tratterebbe di una ipotesi di specialità intesa in senso lato (Conti, 1017), mentre secondo altri si tratterebbe di un'applicazione del principio di consunzione, visto che la norma che prevede il reato più grave assorbe l'intero disvalore del fatto (Fiandaca-Musco, PG, 724). Altra dottrina lo ritiene un'ipotesi di reato complesso la cui peculiarità sta nella progressione dell'offesa al medesimo bene (Mantovani, PG, 490). Per quanto riguarda l'antefactum e il postfactum non punibili, con tali termini la dottrina, non senza incertezze, intende indicare quei reati che, secondo l'id quod plerumque accidit, rappresentano il mezzo per realizzare un reato più grave oppure per conseguire lo scopo per cui fu commesso un reato più grave (Fiandaca-Musco, PG, 725; Pagliaro, PG, 197). Costituendo un reato la premessa logica per la consumazione di un altro reato oppure il suo normale sbocco, si ritiene che il disvalore del reato meno grave debba rimanere assorbito nel reato più grave e dunque non meritare autonoma sanzione. In tali ipotesi, ciò che astrattamente potrebbe condurre alla pluralità di reati viene assorbito in un unico reato (Cass. I, n. 2584/1971; in dottrina: Fiandaca-Musco, PG, 722; Pagliaro 1961, 52). Altra parte della dottrina esclude, invece, che in tali ipotesi possa trovare applicazione il principio dell'assorbimento, poiché, salva un'espressa voluntas legis, deve valere il principio della pluralità di reati (Mantovani, PG, 494; Antolisei, Manuale, 515; Padovani, Codice, 511). In giurisprudenza si è escluso che il delitto di cessione di materiale pedopornografico (art. 600-ter, comma 4) concorra con quello di detenzione dello stesso materiale (art. 600-quater), in quanto la condotta di detenzione rappresenta un antefatto non punibile rispetto a quella di cessione, rimanendo assorbita in quest'ultima (Cass. III, n. 36364/2008). Infatti, la clausola di riserva espressamente inserita nell'art. 600-quater («al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 600-ter») impedisce che il soggetto che ha realizzato alcuna delle condotte previste dall'art. 600-ter possa essere chiamato a rispondere anche della fattispecie di detenzione di materiale pedopornografico. Difatti, da un punto di vita logico, il reo, per cedere il materiale, ha dovuto prima procurarselo e, quindi detenerlo. Sicché, la condotta di cui all'art. 600-quater rimane assorbita, per espressa volontà legislativa, in quella più grave di cessione. La Suprema Corte esclude il concorso di reati anche tra il favoreggiamento dell'altrui prostituzione e l'esercizio di una casa di prostituzione, ritenendo che il primo reato rimanga assorbito nel secondo (Cass. III, n. 38941/2011). Ciò in quanto l'azione che è propria del reato di favoreggiamento costituisce un minus attraverso cui passa necessariamente quella costitutiva di esercizio di una casa di prostituzione. Il principio del ne bis in idem sostanzialeFra gli autori che adottano una impostazione monistica merita particolare attenzione la posizione del Mantovani. Come abbiamo visto sopra, tale autore interpreta l'art. 15 riferendolo anche ai casi di specialità reciproca. Tuttavia, quando le norme sono in tale peculiare rapporto, non è possibile applicare il principio di specialità, in quanto entrambe le norme sono allo stesso tempo speciali e generali l'una rispetto all'altra (e non è possibile stabilire quale delle due sia “più speciale” dell'altra). In questi casi, qualora manchi una clausola di riserva che risolva alla radice il problema, l'autore suggerisce di ricorrere al superiore principio del ne bis in idem sostanziale, dal quale discende lo stesso principio di specialità. Il ne bis in idem sostanziale vieta di addossare allo stesso soggetto più volte lo stesso fatto, e porta ad affermare l'apparenza del concorso in tutti i casi di specialità reciproca (sia per specificazione che per aggiunta). Peraltro, a differenza dei principi di sussidiarietà e consunzione, quello del ne bis in idem sostanziale è un principio di diritto positivo, proprio come l'omonimo principio processuale di cui agli artt. 649 e 669 c.p.p. Il punto di partenza sono gli artt. 15,61,62,84 e le clausole di riserva. Da tali dati normativi viene tratto il principio in esame il quale, in quanto regolare e non eccezionale, può essere esteso analogicamente anche ai casi di specialità reciproca, attesa l'identità di ratio e il favor rei. Secondo questa dottrina, quindi, il concorso di reati potrebbe sussistere solo qualora: a) le fattispecie si trovino in rapporto di interferenza, ossia coincidano soltanto per la condotta: si pensi, ad esempio, alle ipotesi di violenza sessuale ex art. 609-bis e di incesto ex art. 564, che hanno in comune solamente la condotta di congiunzione carnale che, peraltro, di per sé non rappresenta condotta penalmente rilevante; b) le fattispecie si trovino in rapporto di eterogeneità, ossia nessuno degli elementi strutturali dell'una sia in alcun modo ravvisabile nell'altra e viceversa: si pensi, ad esempio, all'appropriazione indebita e alla rissa; c) le fattispecie si trovino in rapporto di incompatibilità, ossia prevedano elementi strutturali che si escludono reciprocamente: si pensi, ad esempio, alle ipotesi di furto ex art. 624 e di appropriazione indebita ex art. 646. Infatti, se in base alla prima fattispecie l'agente non deve avere già il possesso della cosa mobile altrui (s'impossessa dice l'art. 624), nella seconda il soggetto agente deve essere, a qualsiasi titolo, già in possesso del denaro o della cosa mobile altrui (abbia, a qualsiasi titolo, il possesso dice l'art. 646). La norma prevalenteUna volta stabilito che ci troviamo di fronte ad un concorso apparente di norme, occorre individuare quale delle norme apparentemente applicabili deve trovare effettiva applicazione. I criteri individuati dalla dottrina sono molteplici: a) il criterio di specialità, per il quale deve trovare applicazione la norma speciale (lex specialis derogat legi generali). Stante il rapporto di continenza che ricorre fra le due norme, è speciale, e quindi prevalente, quella che contiene tutti gli elementi costitutivi dell'altra e che descrive, più specificamente, condotte già comprese, sul piano astratto, nella prima, con la quale si pone in rapporto di specialità (Cass. II, n. 9273/2005);. b) il criterio cronologico, per il quale deve trovare applicazione la norma successiva (lex posterior derogat legi priori); c) il criterio gerarchico, per il quale deve trovare applicazione la norma superiore (lex superior derogat legi inferiori); d) le clausole di riserva (determinate), per le quali deve trovare applicazione la norma indicata dal legislatore; e) il trattamento sanzionatorio più severo, per il quale deve trovare applicazione la norma che prevede pene più severe; f) complesse operazioni ermeneutiche volte ad individuare i rispettivi confini applicativi delle norme in concorso apparente. Il concorso apparente tra norme penali e disposizioni amministrativeQualora la sanzione penale e quella amministrativa con funzione punitiva risultino applicabili nella medesima situazione fattuale l'art. 9, comma 1, l. 24 novembre 1981, n. 689 prevede che “si applica la disposizione speciale”. Pertanto, il concorso tra una disposizione penale ed una disposizione che prevede una sanzione amministrativa può e deve essere risolto in base al principio di specialità (confrontando le fattispecie astratte: Cass.S.U., n. 1963/2001); di regola, ciò comporta che la sanzione amministrativa, essendo maggiormente specializzata rispetto ad una determinata materia, risulti norma prevalente ed applicabile rispetto alle fattispecie penali comuni, che hanno natura maggiormente generica. Tuttavia, la regola generale prevista dal l'art. 9, comma 1, l. n. 689/1981 trova tre eccezioni: a) qualora il legislatore stesso, per il tramite di clausole di riserva inserite nella norma amministrativa, preveda, comunque, la prevalenza della norma penale, così che la disposizione amministrativa reprime solo quelle condotte che non sono idonee ad integrare gli estremi di un illecito penale; b) qualora le norme penali concorrano con disposizioni amministrative di fonte regionale o delle provincie autonome di Trento e Bolzano, nel qual caso il comma 2 dell'art. 9, l. 24 novembre 1981, n. 689 sancisce la prevalenza delle fattispecie penali sulle concorrenti disposizioni amministrative. Trattasi di formula normativa idonea a garantire il monopolio legislativo statale in materia penale; c) qualora le sanzioni penali concorrano con disposizioni amministrative in materia di frodi alimentari (l'art. 9, comma 3, l. 24 novembre 1981, n. 689 stabilisce la prevalenza delle prime sulle seconde). CasisticaIl giudice può legittimamente negare la concessione delle circostanze attenuanti generiche e, contemporaneamente, ritenere la recidiva, valorizzando per entrambe le valutazioni il riferimento ai precedenti penali dell'imputato, in quanto il principio del ne bis in idem sostanziale non preclude la possibilità di utilizzare più volte lo stesso fattore per giustificare scelte relative ad elementi la cui determinazione è rimessa al prudente apprezzamento dell'autorità decidente (Cass. n. 47537/2013). In tema di circostanze aggravanti, la Suprema Corte ha ritenuto configurabile il concorso tra quella prevista dall'art. 61, comma 1, n. 5 e quella di cui all'art. 61, comma 1, n. 11-sexies, in quanto la prima, riguardante le condotte commesse in danno di soggetti che versano in condizione di minorata difesa, non assorbe l'altra, riguardante invece le condotte commesse in luoghi di assistenza e di cura in cui si esige un adeguato standard comportamentale nell'approccio verso le persone che siano ivi ospitate, non potendo ritenersi che il ricovero in dette strutture comporti necessariamente una situazione di minorata difesa (Cass. III, n. 8169/2022). Il concorso è stato ravvisato anche tra la circostanza aggravante di cui all'art. 61, comma 1, n. 5 e quella di cui all'art. 61, comma 1, n. 11, in quanto la prima, riguardante le condotte commesse in danno di soggetti che versano in condizione di minorata difesa, non assorbe l'altra, riguardante invece le condotte realizzate approfittando di relazioni domestiche o lavorative, che dovrebbero garantire un affidamento da parte della vittima (Cass. III, n. 34384/2021). La fattispecie di associazione eversiva di cui all'art. 270-bis è speciale rispetto a quella di associazione sovversiva di cui all'art. 270, in quanto la natura della violenza che il sodalizio si propone di esercitare assume connotazione terroristica (Cass. V, n. 12252/2012). È configurabile il concorso formale tra il reato di peculato (art. 314) e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione (art. 216 l.fall.), in quanto essi si differenziano tra loro per il soggetto attivo, per l'interesse tutelato, per le modalità di aggressione del bene giuridico, per il momento della consumazione e per la condizione di punibilità, prevista solo in relazione al reato fallimentare (Cass. VI, n. 14402/2021). Il reato di malversazione in danno dello Stato (art. 316-bis) concorre con quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis), in quanto le due fattispecie presentano una diversità strutturale che consente il verificarsi in concreto di una interferenza fra le condotte (Cass. S.U.,n. 20664/2017). Il reato di cui all'art. 316-ter si distingue da quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640, comma 2), perché la condotta non ha natura fraudolenta, in quanto la presentazione delle dichiarazioni o documenti attestanti cose non vere costituisce « fatto » strutturalmente diverso dagli artifici e raggiri, e per l'assenza della induzione in errore (Cass. II, n. 49642/2014). L'art. 316-ter, posto a tutela della libera formazione della volontà della Pubblica Amministrazione o dell'Unione europea in ordine all'erogazione di risorse pubbliche e, quindi, dell'integrità e dell'efficiente collocazione delle risorse patrimoniali a favore soltanto dei soggetti che ne abbiano diritto, non è assorbito nell'art. 173 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, che tutela il patrimonio culturale italiano (Cass. II, n. 4284/2011). Non sussiste alcun rapporto di specialità fra il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319) e quello di utilizzazione di segreti di ufficio (art. 326, comma 3), data la diversità degli elementi strutturali delle rispettive fattispecie incriminatrici, la prima contemplando un reato bilaterale a concorso necessario, in cui la condotta antidoverosa del pubblico agente si pone come prestazione di un accordo sinallagmatico corruttivo, e la seconda, incentrata sulla utilizzazione del segreto, avendo ad oggetto un reato monosoggettivo “di mano propria”, a concorso solo eventuale dell'extraneus, in cui il profitto indebito degrada ad elemento di dolo specifico (Cass. VI, n. 5390/2022). Il reato di abuso d'ufficio (art. 323) non è assorbito in quello di cui all'art. 12, l. n. 121/1981, poiché è posto a tutela dell'interesse al normale ed imparziale funzionamento della Pubblica Amministrazione, mentre il secondo tutela la riservatezza dei dati e delle informazioni del Ced del Ministero dell'Interno (Cass. II, n. 4253/2011). La condotta del pubblico ufficiale che si esaurisca in un fatto qualificabile come falso in atto pubblico integra il solo reato di falso e non anche quello di abuso di ufficio (art. 323), da considerare assorbito nel primo per il suo carattere sussidiario e residuale (Cass. II, n. 1417/2012). Il reato di abuso d'ufficio (art. 323) e quello di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319) non possono formalmente concorrere fra loro giacché, quando il vantaggio economico del pubblico ufficiale sia da questi conseguito in dipendenza di un'erogazione altrui e di un proprio comportamento, attivo od omissivo, contrario ai doveri d'ufficio, trova applicazione, per il principio di specialità, la più grave delle due figure criminose in questione, e cioè quella della corruzione, caratterizzata, rispetto all'altra, dalla presenza del soggetto erogatore di un'utilità collegata da nesso teleologico al suindicato comportamento del pubblico ufficiale (Cass. VI, n. 4459/2016). In giurisprudenza si registra un contrasto di opinione in merito ai rapporti fra il delitto di abuso d'ufficio (art. 323) e quello di falso ideologico in atto pubblico (art. 479). Infatti, a fronte di decisioni che ritengono sussistente un concorso formale fra le due fattispecie, in quanto offendono beni giuridici distinti (Cass. II, n. 5546/2013), ve ne sono altre che escludono il concorso quando la condotta addebitata all'imputato si esaurisca nella mera commissione della falsità, stante la clausola di riserva di cui all'art. 323 - preordinata ad evitare la doppia incriminazione - la quale, con riguardo ad un unico fatto, impone di applicare esclusivamente la sanzione prevista per la fattispecie più grave, ancorché quest'ultima abbia ad oggetto la tutela di un bene giuridico diverso da quello tutelato dalla disposizione con pena meno severa (Cass. VI, n. 13849/2017). Non si verifica l'assorbimento o la consunzione del delitto di abuso di ufficio (art. 323) in quello di lesioni personali (art. 582), neanche quando la condotta del pubblico agente si esaurisce nella mera produzione delle lesioni e ricorre tra i due illeciti il nesso teleologico di cui all'art. 61, n. 2 (Cass. VI, n. 4584/2014).La fattispecie di omissione di atti d'ufficio è speciale rispetto a quella di omissione di soccorso (Cass. VI, n. 28005/2011). Non sussiste il concorso apparente di norme tra il reato di calunnia (art. 368) e il reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico (art. 479) e non è, pertanto, applicabile il principio di specialità di cui all'art. 15, stante la diversità del fatto tipico — avuto riguardo al confronto strutturale tra le fattispecie astratte dei due reati — costituito quanto alla calunnia dall'incolpazione di un reato e quanto al falso dall'attestazione in atto pubblico, con la conseguenza che le due fattispecie incriminatrici si pongono in rapporto di mera interferenza, essendo il falso solo uno dei possibili strumenti di calunnia (Cass. V, n. 39822/2014). Il delitto di false dichiarazioni al pubblico ministero (art. 371-bis) si pone in rapporto di specialità unilaterale per specificazione rispetto al reato di favoreggiamento personale (art. 378), pertanto non è configurabile il concorso formale tra le due fattispecie, determinandosi l'assorbimento della meno grave ipotesi di favoreggiamento nel più grave reato di false dichiarazioni. La suprema Corte ha precisato che entrambe le fattispecie di reato tutelano il regolare svolgimento dell'attività investigativa con la differenza che il secondo prevede una fattispecie a forma libera, rispetto alla quale il primo incrimina le condotte che si sostanziano in dichiarazioni false o reticenti rese al pubblico ministero (Cass. VI, n. 44698/2019). Il reato di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria (art. 374-bis) si pone in rapporto di specialità rispetto al delitto di falso ideologico in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, in quanto si differenzia da questo per la funzione della falsa rappresentazione e per la destinazione dell'atto, ivi contemplato, all'autorità giudiziaria (Cass. VI, n. 11540/2017). Le norme che prevedono rispettivamente il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388) e quello di sottrazione di persona incapace (art. 574) non danno luogo ad un concorso di norme governato dal principio di specialità, poiché il primo reato è caratterizzato dalla elusione di un provvedimento del giudice, mentre il secondo è qualificato da un'incidenza su un rapporto di cui il minore è parte e che si collega alla potestà genitoriale o ad altre situazioni particolari, ed inoltre le diverse componenti delle fattispecie sono indicative di offese diverse, che si realizzano congiuntamente quando con la stessa condotta vengono violate entrambe le norme (Cass. VI, n. 33989/2015). Fra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (art. 393) e quello di sequestro di persona (art. 605) non sussiste alcun rapporto di specialità, in quanto la privazione della libertà personale, intesa quale impedimento alla libertà di locomozione, è requisito estraneo alla fattispecie astratta di cui all'art. 393, con la conseguenza che le anzidette ipotesi delittuose possono concorrere tra loro (Cass. V, n. 48359/2014). La previsione di cui all'art. 404, comma 2 (come modificato dalla l. 24 febbraio 2006, n. 85) è norma speciale rispetto al delitto di deturpamento e imbrattamento di cose di interesse storico o artistico, di cui all'art. 639, comma 2, essendo il primo reato integrato da ogni forma di offesa che si estrinsechi sulle cose di culto ed a danno di queste, attraverso la loro distruzione, ovvero il loro deterioramento o imbrattamento (Cass. III, n. 41821/2015, che in motivazione ha chiarito che le due disposizioni incriminatrici differiscono per la diversa ratio, individuata — per il reato di cui all'art. 404, comma 2 — nel fatto che tali condotte siano strumento di offesa alle confessioni religiose). In tema di associazione per delinquere (art. 416) e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 d.P.R. n. 309/1990), al fine di distinguere le ipotesi di concorso apparente di norme da quelle di concorso formale di reati occorre far riferimento al principio di specialità di cui all'art. 15, fondato sul rapporto logico formale tra le norme incriminatrici, mentre gli altri criteri (sussidiarietà, assorbimento, progressione degli illeciti) basati su giudizi di valore, risolti con la prevalenza della sola sanzione prevista per l'ipotesi più grave, non sono utilizzabili, in quanto i due eventi di pericolo che le predette associazioni realizzano (pericolo di diffusione di sostanze stupefacenti l'una, prevalente pericolo di commissione di delitti contro il patrimonio e le persone l'altra) non si pongono in rapporto di graduazione di dignità e gravità di offesa ai medesimi beni, bensì in rapporto di diversità di beni giuridici tutelati (Cass. VI, n. 11413/1995). Il delitto di devastazione (art. 419) può concorrere con quello di strage (art. 422 c.p.), non sussistendo tra i due alcun rapporto di specialità essendo diversi i beni giuridici protetti, le condotte di aggressione agli stessi e l'elemento soggettivo, in quanto, con riferimento alla devastazione, il bene giuridico si identifica con l'ordine pubblico, la condotta consiste in atti di violenza contro beni patrimoniali e l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, mentre, con riferimento alla strage, il bene giuridico si identifica con l'incolumità pubblica, la condotta consiste in atti di violenza contro la persona e l'elemento soggettivo è integrato dal dolo specifico di uccidere (Cass. I, n. 9520/2019). Il delitto di falso per soppressione, distruzione e occultamento di atti veri (artt. 490-476) può concorrere con quello di omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale (art. 361) (Cass. VI, n. 21351/2011). Il delitto di sostituzione di persona (art. 494) non è assorbito nel delitto di falsità in certificati (art. 477) in relazione alla condotta di falsificazione della carta d'identità di un soggetto, utilizzata per commettere ulteriori reati (Cass. VI, n. 13328/2015). Il delitto di illecita concorrenza con violenza o minaccia (art. 513-bis) concorre con il reato di estorsione (art. 629 c.p.) e con quello di concussione (art. 317), trattandosi di fattispecie preordinate alla tutela di beni giuridici diversi (Cass. fer., n. 45132/2014). È configurabile il concorso materiale tra il reato di frode nell'esercizio del commercio (art. 515) e quello di vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517), in quanto gli stessi hanno una diversa obiettività giuridica costituita, per il primo, dalla consegna di aliud pro alio con conseguente violazione del leale esercizio dell'attività commerciale e, per il secondo, dalla sola vendita o messa in circolazione del prodotto, indipendentemente dalla effettiva cessione del bene, con conseguente violazione dell'ordine economico che deve essere garantito contro gli inganni tesi al consumatore (Cass. III, n. 32388/2020). È configurabile il concorso formale - e non l'assorbimento - tra il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.) e quello di lesioni personali (art. 582 c.p.) quando le lesioni risultano consumate in occasione della commissione del delitto di maltrattamenti, con conseguente sussistenza dell'aggravante dell'art. 576, comma 1, n. 5: in tal caso, infatti, non ricorre l'ipotesi del reato complesso, per la cui configurabilità non è sufficiente che le particolari modalità di realizzazione in concreto del fatto tipico determinino un'occasionale convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati, ma è necessario che sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro (Cass. VI, n. 17872/2022). I reati di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572) e di abbandono di persone minori o incapaci (art. 591) possono concorrere in quanto le relative fattispecie incriminatrici sono poste a tutela di beni diversi ed integrate da condotte differenti (Cass. II, n. 10994/2012). E' configurabile il concorso tra i reati di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572) e sequestro di persona (art. 605) quando la condotta di sopraffazione che privi la vittima della libertà personale non si esaurisce nella abituale coercizione fisica e psicologica, ma ne costituisce un picco esponenziale dotato di autonoma valenza e carico di ulteriore disvalore, idoneo a produrre, per un tempo apprezzabile, un'arbitraria compressione, pur non assoluta, della libertà di movimento della persona offesa. (Cass. V, n. 34504/2020). In caso di omicidio aggravato perché commesso “in occasione” della commissione di una violenza sessuale (art. 576, comma 1, n. 5), il reato previsto dall'art. 609-bis non resta assorbito nel reato di omicidio, ma concorre con esso qualora difetti la contestualità tra le due condotte (Cass. I, n. 29167/2017). Il reato di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576, comma 1, n. 5.1 perché commesso a seguito di quello di atti persecutori da parte dell'agente nei confronti della medesima vittima, integra, in ragione della unitarietà del fatto, un reato complesso circostanziato ai sensi dell'art. 84, comma 1 (Cass. S.U., n. 38402/2021).Il reato di abbandono di persone minori o incapaci (art. 591) è in rapporto di specialità rispetto a quello di omissione di soccorso (art. 593), in quanto, a differenza di quest'ultimo che punisce chiunque si trovi occasionalmente a contatto diretto con una persona in stato di pericolo, sanziona la violazione di uno specifico dovere giuridico di cura o di custodia, che incombe su determinate persone o categorie di persone, da cui derivi una situazione di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo (Cass. V, n. 12644/2016). Poiché il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù (art. 600) implica per sua natura il maltrattamento, la sussistenza di questo reato esclude, per il principio di consunzione, la configurabilità di quello di maltrattamenti in famiglia (art. 572) (Cass. V, n. 44017/2014). Il reato di sequestro di persona (art. 605) è assorbito in quello di rapina aggravata (art. 628, comma 3, n. 2,) soltanto quando la violenza usata per il sequestro si identifica e si esaurisce col mezzo immediato di esecuzione della rapina stessa, non quando invece ne preceda l'attuazione con carattere di reato assolutamente autonomo anche se finalisticamente collegato alla rapina ancora da porre in esecuzione o ne segua l'attuazione per un tempo non strettamente necessario alla consumazione (Cass. II, n. 22096/2015, relativa ad una rapina in banca, nella quale è stato ritenuto il concorso dei due reati, in ragione del fatto che i dipendenti della agenzia erano stati costretti con minaccia ad intrattenersi in un locale e a rimanervi per un tempo apprezzabile anche dopo l'esaurimento della condotta criminosa e l'allontanamento dei rapinatori). In tema di reati sessuali non è ravvisabile un'ipotesi di concorso apparente di norme tra il delitto di atti sessuali con minorenne e quello di corruzione di minorenne, così da ritenere il secondo assorbito nel primo, in quanto mentre la fattispecie di cui all'art. 609-quater presuppone il compimento di atti sessuali attraverso un contatto corporeo con la vittima, il reato di cui al successivo art. 609-quinques ricorre solo quando il soggetto minorenne non è il destinatario degli atti sessuali, ma si limita a fare da spettatore rispetto ad atti sessuali commessi da altri (Cass. III, n. 15827/2014). È configurabile il concorso tra il delitto di violenza privata (art. 610) e quello di atti persecutori (art. 612-bis), non sussistendo tra di essi un rapporto strutturale di specialità unilaterale ai sensi dell'art. 15 c.p., dal momento che il delitto di cui all'art. 612-bis, diversamente dal primo, non richiede necessariamente l'esercizio della violenza e contempla un evento - l'alterazione delle abitudini di vita della vittima - di ampiezza molto maggiore rispetto alla costrizione della vittima ad uno specifico comportamento, che basta ad integrare il delitto previsto dall'art. 610. La Suprema Corte ha precisato che neppure impiegando il criterio della specialità reciproca per specificazione potrebbe pervenirsi all'assorbimento del delitto di violenza privata in quello di atti persecutori, sussistendo al più tra le due fattispecie astratte, in ragione di quanto detto, un rapporto di specialità reciproca per aggiunta (Cass. V, n. 22475/2019). Il delitto di violenza privata (art. 610), preordinato a reprimere fatti di coercizione non espressamente contemplati da specifiche disposizioni di legge, ha in comune con il delitto di sequestro di persona (art. 605) l'elemento materiale della costrizione, ma se ne differenzia perché in esso viene lesa la libertà psichica di autodeterminazione del soggetto passivo, mentre nel sequestro di persona viene lesa la libertà di movimento; ne consegue che, per il principio di specialità di cui all'art. 15, non è configurabile il delitto di violenza privata qualora la violenza, fisica o morale, sia stata usata direttamente ed esclusivamente per privare la persona offesa della libertà di movimento (Cass. V, n. 44548/2015). Fra il delitto di atti persecutori (art. 612-bis) e quello di violazione di domicilio (art. 614) non sussiste alcun rapporto di specialità, unilaterale o bilaterale, con la conseguenza che i due reati concorrono materialmente, fatta salva l'applicazione della clausola di riserva di cui all'art. 612-bis, in base alla quale il delitto di atti persecutori, quando commesso esclusivamente mediante più violazioni di domicilio aggravate, può essere assorbito nel reato di cui all'art. 614, ultimo comma, se quest'ultimo è ritenuto in concreto più grave (Cass. III, n. 9069/2021). Non sussiste alcun rapporto riconducibile all'ambito di operatività dell'art. 15 tra il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico e telematico (art. 615-ter) e quello di illecito trattamento di dati personali (art. 167 d.lgs. n. 167/2003) in quanto costituiscono fattispecie differenti per condotte finalistiche e attività materiali che escludono la sussistenza di una relazione di omogeneità idonea a ricondurle ad unum nella figura del reato speciale ex art. 15 (Cass. V, n. 11994/2016; Cass. V, n. 1761/2022). Il delitto di furto aggravato dalla violenza sulle cose(artt. 624 e 625, n. 2) non concorre con il reato di danneggiamento (art. 635) delle medesime cose ma lo assorbe, in quanto la violenza si trova in rapporto funzionale con l'esecuzione della condotta di furto (Cass. V, n. 49571/2014, in un caso in cui la violenza era consistita nella rottura del vetro di una autovettura dalla quale erano stati sottratti tergicristalli, fari e antenne). In giurisprudenza si registra un contrasto di opinioni in merito all'assorbimento nel delitto di rapina della circostanza aggravante della connessione teleologica (art. 61, comma 1, n. 2) contestata in relazione all'omicidio, qualora la violenza, esercitata immediatamente dopo la sottrazione dei beni oggetto dell'impossessamento, abbia cagionato la morte della persona offesa. Infatti, a fronte di decisioni che escludono che la predetta aggravante rimanga assorbita nel reato di rapina, in quanto non sussiste incompatibilità giuridica tra il reato di rapina impropria e l'aggravante del nesso teleologico laddove la violenza esercitata dall'agente risulti esorbitante rispetto a quella idonea configurare la rapina (Cass. I, n. 18116/2017), ve ne sono altre di senso contrario sul presupposto che la volontà dell'agente di assicurarsi, con violenza sulla persona, il prodotto del bene sottratto o l'impunità è di per sé elemento costitutivo del delitto contro il patrimonio (Cass. I, n. 51457/2017). I reati di estorsione (art. 629) e di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina (12, comma 5, d.lgs. n. 286/1998) possono concorrere, in quanto le relative fattispecie incriminatrici sono poste a tutela di beni diversi ed integrate da condotte differenti (Cass. II, n. 933/2013). È configurabile il concorso tra i reati di truffa e di falso in assegno, nel caso in cui la falsificazione sia in concreto usata come strumento del raggiro per la commissione della truffa (Cass. V, n. 1926/2018). ll delitto di ricettazione (art. 648) e quello di commercio di prodotti con segni falsi (art. 474) possono concorrere, atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore (Cass. II, n. 21469/2019). Non ricorre un rapporto di specialità tra il reato di getto pericoloso di cose (art. 674) e le previsioni incriminatrici previste a tutela dell'ambiente dall'art. 137, commi 6 e 7, d.lgs. n. 152/2006, né si verifica assorbimento tra tali fattispecie penali, in quanto il primo si distingue dalle seconde per il presupposto dell'attitudine della condotta incriminata a provocare molestie alle persone, che costituisce elemento essenziale della contravvenzione di pericolo prevista dalla norma codicistica (Cass. III, n. 48406/2019). TrinciAlessandro Il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina di una prostituta e quello di favoreggiamento della prostituzione della medesima non concorrono materialmente, in quanto, in virtù della clausola di riserva contenuta nell'art. art. 12, comma 5, d.lgs. n. 286/1998, il primo deve ritenersi assorbito dal secondo (Cass. III, n. 46223/2013). Il reato di sfruttamento della prostituzione, aggravato dall'uso della violenza o della minaccia (artt. 3, n. 8 e 4, n. 1, l. n. 75/1958), differisce dalla fattispecie di estorsione (art. 629 ) in quanto, nel primo caso, il soggetto sfruttato, e sul quale vengono applicate la violenza o la minaccia, sceglie comunque volontariamente di esercitare il meretricio, mentre nel secondo caso si configura il reato di estorsione se la persona che si prostituisce viene costretta con la violenza o la minaccia, contro la propria volontà, a soggiacere allo sfruttamento e se lo sfruttatore consegue, con danno del soggetto sfruttato, un ingiusto profitto (Cass. III, n. 41774/2013). Sussiste il concorso di reati tra il delitto di detenzione di arma clandestina e quello di ricettazione (art. 648) pur quando il delitto presupposto della ricettazione sia quello di alterazione dell'arma medesima. Ciò in quanto non vi può essere assorbimento, essendo diversi sia la condotta dell'agente che l'interesse protetto dalle rispettive norme incriminatrici (Cass. VI, n. 45903/2013). I reati di detenzione e porto illegali in luogo pubblico o aperto al pubblico di arma comune da sparo non concorrono, rispettivamente, con quelli di detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico della stessa arma clandestina, in quanto i reati di cui all'art. 23, commi 1, 3 e 4, l. n. 110/1975 assorbono, rispettivamente, i reati di cui agli artt. 2,4 e 7 l. n. 895/1967 (Cass. S.U., n. 41588/2017). Il reato di cui all'art. 40, lett. c, d.lgs. n. 504/1995 non si pone in rapporto di specialità con il reato di truffa (art. 640), atteso che il ricorso alle modalità fraudolente che caratterizzano il reato codicistico non è elemento costitutivo della fattispecie disciplinata dalla disposizione in materia di accise, la quale punisce la mera destinazione degli oli minerali ad un utilizzo diverso rispetto a quello per cui è concessa l'agevolazione di imposta, di talché tale diversa destinazione può riguardare anche carburanti conseguiti legittimamente in regime di agevolazione (Cass. V, n. 44869/2013). Integra il solo delitto di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115/2002, e non anche quello di truffa aggravata (art. 640, comma 2) la falsa attestazione o le omissioni anche parziali di fatti riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (Cass. II, n. 8660/2011). Il delitto di ricorso abusivo al credito (art. 218 l.fall.), a seguito della eliminazione della clausola di sussidiarietà prevista per effetto dell'art. 32, comma 1, l. 28 dicembre 2005, n. 262, non concorre con il reato di truffa (art. 640), il cui disvalore deve ritenersi assorbito in quello del reato fallimentare, sussistendo tra le due fattispecie un rapporto di specialità. (La Suprema Corte ha precisato che il delitto fallimentare, in cui la condotta decettiva dell'imprenditore attiene alla dissimulazione del proprio stato di dissesto o di insolvenza, rispetto al delitto di truffa ha una più ampia oggettività giuridica, essendo volto a tutelare l'interesse pubblico dell'economia nazionale, e presenta più elementi specializzanti, consistenti nella particolare qualità che deve rivestire il soggetto attivo e nella necessità che alla condotta segua la sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. V, n. 36985/2019). È configurabile il concorso formale tra il reato di « comparaggio » di cui agli artt. 170 ss. r.d. n. 1265/1934 ed il reato di corruzione impropria (art. 318), stante la clausola di riserva dell'applicabilità delle norme sul concorso dei reati, espressamente prevista dal suddetto art. 170, comma 2, che esclude il rapporto di specialità tra le due fattispecie incriminatrici (Cass. VI, n. 1207/2011, in un caso in cui taluni medici convenzionati con il S.S.N. avevano prescritto ai pazienti, dietro compenso di somme di denaro, dei farmaci segnalati da promotori di ditte farmaceutiche). Va escluso il concorso apparente di norme tra le fattispecie di cui agli artt. 3 e 10 d.lgs. n. 74/2000, non sussistendo tra esse quel rapporto di genere a specie che solo può legittimare l'applicazione dell'art. 15. Tra i due reati ricorre un mero fenomeno di interferenza, determinato dalla peculiarità del fatto concreto, senza che però sussista alcun rapporto di specialità tra le fattispecie incriminatrici astrattamente considerate (Cass. III, n. 12455/2011). Va escluso il concorso apparente di norme tra il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 d.lgs. n. 74/2000) e quello di omessa dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi o ai fini I.V.A. (art. 5 d.lgs. n. 74/2000) (Cass. III, n. 32054/2013). È configurabile un rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale (artt. 2 ed 8 n. 74/2000) ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma 2, n. 1), in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all'interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all'evasione fiscale, quale l'ottenimento di pubbliche erogazioni (Cass. S.U., n. 1235/2011; Cass. III, n. 36916/2020).Il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 d.lgs. n. 74/2000) non si pone in rapporto di specialità con il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma 2) (Cass. III, n. 37044/2012). È configurabile il concorso tra il delitto di omesso versamento dell'IVA di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000, e quello di bancarotta impropria mediante operazioni dolose previsto dall'art. 223, comma 2, n. 2, l.fall., essendo diversi i beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici, ovvero gli interessi del Fisco, da un lato, e quelli dei creditori, dall'altro, e non comportando, le parziali interferenze fattuali, la configurabilità di un concorso apparente di norme (Cass. III, n. 11064/2022). Integra il reato di cui all'art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000, e non quello di truffa aggravata (art. 640), il comportamento fraudolento di porre in compensazione, ex art. 17 d.lgs. n. 241/1997, partite debitorie in favore del Fisco con crediti inesistenti, sussistendo tra le fattispecie un rapporto di specialità unilaterale (Cass. II, n. 22191/2014). Non è applicabile il principio di specialità di cui all'art. 19 d.lgs. n. 74/2000, tra il delitto di indebita compensazione, previsto dall'art. 10-quater del decreto medesimo e l'illecito amministrativo introdotto dall'art. 27, comma 18, d.l. n. 185/2008, convertito con modificazione dalla l. n. 2/2009, che punisce l'utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute, in quanto la fattispecie penale ha riguardo alla condotta, diversa ed ulteriore, consistente nell'omesso versamento dell'imposta dovuta (Cass. III, n. 30267/2014). E' configurabile il concorso tra il delitto di bancarotta impropria da operazioni dolose di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, l.fall. e quello di indebita compensazione di credito d'imposta, previsto dall'art.10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non sussistendo tra le fattispecie un rapporto strutturale di specialità unilaterale ai sensi dell'art. 15 (Cass. V, n. n. 6350/2021). La giurisprudenza maggioritaria ritiene configurabile il concorso tra la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e la bancarotta fraudolenta in presenza di più fatti integranti entrambi i delitti, non trovando applicazione né la clausola di sussidiarietà (che postula che il medesimo « fatto » sia riconducibile a due diverse norme incriminatrici), né il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p. (che trova applicazione quando una legge speciale interviene a regolare una materia già regolata da una precedente normativa di carattere generale), né il principio dell'assorbimento di cui all'art. 84 (ai cui fini non basta che più fatti, i quali, isolatamente considerati, costituirebbero altrettanti reati, abbiano qualche elemento comune, occorrendo l'unificazione a livello normativo di tutti gli elementi che integrano ipotesi tipiche di reati tra loro differenti (Cass. V, n. 35591/2017). Tuttavia, si registrano anche decisioni di senso contrario. Si è, infatti, osservato che la fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte — che sanziona chiunque alieni simulatamente o compia atti fraudolenti su beni al fine di sottrarsi al versamento delle imposte (art. 11 d.lgs. n. 74/2000) — integra una condotta che può ben inserirsi in una complessiva strategia distrattiva, intesa consapevolmente a danneggiare colui che sui beni sottratti ha titolo per soddisfarsi; ne deriva che ove tale condotta sia finalizzata al fallimento, ovvero posta in essere in vista di esso, o da questo seguita, la distrazione operata in danno del fisco non assume connotazione autonoma ma è riconducibile al paradigma punitivo dell'art. 216 l.fall., le cui condotte di distrazione, occultamento, distruzione, dissipazione sono comprensive delle condotte di simulazione o integranti atti fraudolenti di cui all'art. 11 d.lgs. n. 74/2000, di guisa che, in tal caso, si applica il principio di specialità di cui all'art. 15, in virtù del quale resta integrato il solo reato di bancarotta fraudolenta — trattandosi di più grave reato — e si esclude la configurabilità del concorso tra i due delitti in relazione allo stesso fatto (Cass. V, n. 42156/2011). È configurabile il concorso tra i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e di dichiarazione infedele, di cui agli artt. 2 e 4 d.lgs. n. 74/2000, e quello di di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all'art. 216 l.fall., sussistendo un rapporto di eterogeneità strutturale tra le fattispecie, posto che la condotta di presentazione di una dichiarazione dei redditi fraudolenta o infedele, seppur preceduta dalla condotta di distruzione od occultamento della contabilità, non è elemento specializzante del delitto fallimentare (Cass. III, n. 15208/2022). Sussiste il concorso tra il reato di falsificazione od alterazione di carte di credito (art. 55, comma 9, d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231) ed il reato di truffa (art. 640) (Cass. II, n. 11699/2012). L'indebita utilizzazione, a fine di profitto proprio o altrui, da parte di chi non ne sia titolare, di carte di credito o analoghi strumenti di prelievo o pagamento, integra il reato previsto dall'art. 55, comma 9, d.lgs. n. 231/2007 (ora: 493-ter) e non quello di truffa (art. 640), che resta assorbito (Cass. II, n. 26865/2013). Il reato di esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa (art. 4 l. n. 401/1989) non è in rapporto di specialità con il reato di associazione per delinquere (art. 416) perché non richiede una stabile struttura, né la predisposizione di uomini e mezzi, né, infine, la necessaria partecipazione di una pluralità di soggetti (Cass. III, n. 40774/2019). Sussiste rapporto di specialità reciproca tra le disposizioni di cui agli artt. 186, comma 2-bis, e 222 d.lgs. n. 285/1992, nella parte in cui prevedono entrambi la revoca della patente di guida per il conducente in stato di ebbrezza con un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l che abbia, rispettivamente, provocato un incidente stradale o cagionato lesioni gravissime o un omicidio (Cass. IV, n. 3824/2014). La condotta di guida in stato di ebbrezza alcolica costituisce circostanza aggravante dei delitti di omicidio stradale (art. 589-bis) e di lesioni stradali gravi o gravissime (art. 590-bis), dovendosi conseguentemente escludere, in applicazione della disciplina del reato complesso, che gli stessi possano concorrere con la contravvenzione di cui all'art. 186 d.lgs. n. 285/1992 (Cass. IV, n. 26857/2018). Si registra in giurisprudenza un contrasto di opinioni in merito ai rapporti fra il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina (art. 12, comma 1, d.lgs. n. 286/1998) e quelli più gravi di tratta di persone e di riduzione in schiavitù (artt. 600 e 601. Infatti, a fronte di decisioni più risalenti che esclusono l'assorbimento del primo nei secondi, essendo diverso il bene giuridico tutelato dalle norme, in quanto la prima è a presidio dell'ordine pubblico, mentre le altre della libertà della persona (Cass. III, n. 50561/2015 che in motivazione ha precisato che il meccanismo dell'« assorbimento », a cui rimanda l'inciso « salvo che il fatto non costituisca più grave reato », presuppone che il reato più grave sia posto a tutela del medesimo interesse protetto dal reato meno grave da assorbire), ve ne sono altre, più recenti, che invece lo ammettono se la tratta o la riduzione in schiavitù vengono realizzate per favorire l'ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero extracomunitario, in quanto la clausola di riserva "salvo che il fatto costituisca più grave reato" di cui alla norma che prevede quest'ultimo delitto comporta l'applicazione della norma incriminatrice più gravemente punita (Cass. I, n. 33708/2021). È configurabile il concorso tra il delitto di trattamento illecito di dati personali (art. 167, comma 1, d.lgs 30 giugno 2003, n. 196) e quello di diffamazione (art. 595), poiché la clausola di riserva prevista dal primo (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”) presuppone l'identità dei beni giuridici tutelati dai diversi reati, identità che non ricorre nel caso di specie, poiché il delitto di diffamazione tutela la reputazione, attinente all'aspetto esteriore della tutela dell'individuo e al suo diritto di godere di un certo riconoscimento sociale, mentre il delitto di trattamento illecito di dati personali è posto a tutela della riservatezza che ha riguardo all'aspetto interiore dell'individuo e al suo diritto a preservare la propria sfera personale da ingerenze indebite e ricorrendo, altresì, tra le due fattispecie, un rapporto di eterogeneità strutturale, sotto il profilo dell'oggetto materiale (che, nel delitto di cui all'art. 167 d.lgs. n. 196/2003, può essere costituito dai soli dati sensibili) e del dolo (configurato nel solo delitto di trattamento illecito come dolo specifico orientato al profitto dell'agente o al danno del soggetto passivo) che esclude la configurazione di un rapporto di specialità ai sensi dell'art. 15 c.p. (Cass. V, n. 30455/2019). Tra il reato di commercio di sostanze dopanti attraverso canali diversi da farmacie e dispensari autorizzati, punito dall'art. 9, comma 7, l. 14 dicembre 2000, n. 376, e quelli di esercizio abusivo della professione di farmacista, di cui all'art. 348, e di somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica, di cui all'art. 445, sussiste un rapporto di specialità, in quanto chi commercia farmaci e sostanze dopanti in difetto della prescritta abilitazione professionale realizza altresì, con la medesima condotta, il compimento di attività riservate alla professione di farmacista, ulteriormente ponendo in essere, qualora le sostanze medicinali non corrispondano in specie, qualità o quantità alle ordinazioni mediche, il comportamento sanzionato dal predetto art. 445 (Cass. III, n. 19198/2017).
BibliografiaConti, Concorso apparente di norme, in Nss. d. I., vol. III, Torino, 1957, 1007; De Francesco, Concorso apparente di norme, in Dig. d. pen., vol. II, Torino, 1988, 416; Guicciardi, Ancora in tema di concorso apparente di norme giuridiche, in Riv. pen., 1957, 31; Lozzi, Profili di una indagine sui rapporti tra ne bis in idem e concorso formale di reati, Milano, 1974; Mantovani, Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, Bologna, 1966; Moro, Unità e pluralità di reati, Padova, 1951; Pagliaro, Concorso di norme (diritto penale), in Enc. dir., vol. VIII, Milano, 1961, 545; Pagliaro, Relazioni logiche ed apprezzamenti di valore nel concorso di norme penali, in Indice pen., 1976, 217; Papa, Le qualificazioni giuridiche multiple nel diritto penale. Contributo allo studio del concorso apparente di norme, Torino, 1997; Pizzi, Il concorso tra norme penali, in Nuovo dir., 2006, 758; Romano, Il rapporto tra norme penali. Intertemporalità, spazialità, coesistenza, Milano, 1996; Siniscalco, Il concorso apparente di norme nell'ordinamento penale italiano, Milano, 1961; |