Codice Penale art. 21 - [Pena di morte] (1).[Pena di morte] (1). (1) Per i delitti previsti nel codice penale e in altre leggi diverse da quelle militari di guerra, la pena di morte è stata soppressa e sostituita con l'ergastolo: d.lg.lt. 10 agosto 1944, n. 224 e d.lg. 22 gennaio 1948, n. 21. Per i delitti previsti dalle leggi militari di guerra, la pena di morte è stata abolita e sostituita con quella «massima prevista dal codice penale» (l. 13 ottobre 1994, n. 589). V. ora anche art. 27 4 Cost., come modificato dall'art. 1, l. cost. 2 ottobre 2007, n. 1. V. inoltre la l. 15 ottobre 2008 n. 179, di ratifica del Protocollo n. 13 del 3 maggio 2002 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali, relativo all'abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza. Il testo recitava: «[I]. La pena di morte si esegue, mediante la fucilazione, nell'interno di uno stabilimento penitenziario, ovvero in un altro luogo indicato dal Ministro della giustizia. [II]. L'esecuzione non è pubblica, salvo che il Ministro della giustizia disponga altrimenti». InquadramentoPrevista nelle codificazioni ottocentesche, la pena di morte è stata progressivamente esclusa dal novero delle pene irrogabili in alcuni ambiti del diritto penale, fino ad essere abolita con il codice Zanardelli, nel 1889. Ripristinata in epoca fascista ad opera della l. 25 novembre 1926, n. 2008, è stata successivamente eliminata dalle pene applicabili per i reati previsti dal codice penale (d.lgs.lt. 10 agosto 1944, n. 224) e mantenuta per i reati previsti dai codici penali militari e nella legislazione speciale. Reintrodotta momentaneamente dal d.lgs.lt. 10 maggio 1945, n. 234, la pena di morte è stata di fatto bandita dall'ordinamento italiano a seguito dell'entrata in vigore della Costituzione, con cui si è posta in inevitabile contrasto, stante la previsione di cui all'art. 27, comma 3, Cost. per cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono invece tendere alla rieducazione del condannato, ed alla luce degli artt. 1, 2 e 3, che sanciscono il principio dell'inviolabilità della vita e della dignità umana. La pena di morte, tuttavia, è stata definitivamente ed ufficialmente espunta dal nostro ordinamento ad opera della l. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, che ha modificato il quarto comma dell'art. 27 Cost. eliminando dopo le parole « Non è ammessa la pena di morte » l'inciso « se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra ». Ambito internazionaleNella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, i Governi firmatari hanno annoverato tra le pene applicabili la pena di morte (art. 2) precisando che essa è consentita nell'ipotesi in cui essa sia prevista dalla legge e sia inflitta con una sentenza di condanna pronunciata da un tribunale. All'epoca — siamo nell'immediato secondo dopoguerra — la pena di morte era prevista da in tutti gli Stati firmatari (tra cui l'Italia) e per molti anni la previsione in parola è stata considerata in linea con gli standard internazionali. Col passare del tempo si è tuttavia imposta un'interpretazione evolutiva secondo la quale la previsione in favore della pena di morte dovrebbe ritenersi di fatto superata. Con il VI Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 28 aprile 1983, ratificato dall'Italia con l. 2 gennaio 1989, n. 8, gli Stati membri hanno sottoscritto l'obbligo di abolire la pena di morte, salvo che per gli atti « commessi in tempo di guerra o di pericolo imminente di guerra »; successivamente, con il XIII Protocollo addizionale (3 maggio 2002) si è prevista l'abolizione della pena di morte anche per le ipotesi di reati commessi in tempo di guerra e si è espressamente previsto che dalla sua entrata in vigore l'art. 2 Cedu deve considerarsi abrogato nella parte in cui legittima il ricorso alla pena di morte. Il XIII Protocollo addizionale è stato ratificato dall'Italia a seguito della modifica del quarto comma dell'art. 27 Cost. più sopra menzionata. Tra gli atti internazionali che manifestano una posizione abolizionista nei confronti della pena di morte merita di essere menzionato anche il Secondo Protocollo facoltativo al Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici sull'abolizione della pena di morte adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 15 dicembre 1989, ratificato dall'Italia con l. 9 dicembre 1994, n. 734. Anche l'Unione europea ha messo al bando la pena di morte: la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e parzialmente riveduta a Strasburgo nel 2007 dispone infatti che nessuno può essere condannato alla pena di morte, né può essere giustiziato (art. 2) ovvero allontanato, espulso o estradato verso uno Stato che preveda la pena di morte ed esista un serio pericolo che il soggetto sia sottoposto a detta pena (art. 19). L'Unione europea si è fatta inoltre promotrice della prima moratoria universale sulla pena di morte, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2007; da allora numerose moratorie si sono succedute, l'ultima risale al 22 novembre 2014. Divieto di allontanamento in un Paese ove è prevista la pena di morteLa ricaduta applicativa più significativa dell'intervenuta abolizione della pena di morte nel nostro Paese ed il rispetto dei sopra richiamati vincoli europei consiste nel divieto di estradizione ed espulsione verso Paesi nei quali l'individuo corre il rischio di essere sottoposto a detta pena. Poiché il trattamento sanzionatorio è rimesso — ad eccezione della sola previsione della pena di morte — alle diverse ed autonome valutazioni di ciascun ordinamento, sono reciprocamente insindacabili la statuizioni in merito all'entità della pena prevista per ciascun reato dai diversi ordinamenti e l'entità della pena non rileva ai fini della pronuncia favorevole all'estradizione, a meno che non vi sia fondato motivo di ritenere che la persona verrà sottoposta ad atti, pene o trattamenti di cui all'art. 698, comma 1, c.p.p. (Cass. VI, n. 36550/2003). Oggi a disciplinare espressamente detto divieto è l'art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, più sopra menzionato, che in tema di protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione, dopo aver disposto che sono vietate le espulsioni collettive, dispone che « Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti ». Pare opportuno precisare che nel disporre il divieto di estradizione « se vi è motivo di ritenere che la persona verrà sottoposta agli atti, alle pene o ai trattamenti indicati nell'articolo 698 comma 1 » l'art. 705, comma 2, lett. c), c.p.p. fa esclusivamente riferimento alle ipotesi nelle quali ciò sia riferibile ad una scelta normativa o di fatto dello Stato richiedente, considerato nella sua veste istituzionale, a nulla rilevando il rischio che l'estradando, una volta consegnato allo Stato richiedente, possa subire in quel Paese atti di violenza ad opera di persone estranee agli apparati istituzionali che agiscano di propria iniziativa per motivi personali di vendetta o di altra natura, trattandosi di evenienze che possono essere prevenute con le opportune cautele e nei confronti delle quali è astrattamente possibile una tutela legale (Cass. VI, n. 3702/1998, pronuncia relativa ad un caso in cui l'estradando aveva prospettato il rischio di poter essere oggetto di minacce di morte a causa della natura infamante del reato addebitatogli, pericolo ritenuto dalla Suprema Corte non ostativo all'estradizione verso gli U.S.A.). La giurisprudenza In passato la Corte Edu ha fatto ricorso all'art. 3 Cedu a norma del quale « Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti », per sancire che agli Stati membri è fatto divieto di estradare o espellere una persona in un Paese nel quale corra il rischio di essere sottoposta alla pena di morte. Ad avviso della Corte, poiché il « deliberato e premeditato annientamento di un essere umano da parte delle autorità dello Stato, causando dolore fisico e intensa sofferenza psicologica per il fatto di conoscere in anticipo la data della propria morte, può essere ritenersi inumano e degradante, e contrario all'Articolo 3 », rimpatriando delle persone verso Paesi nei quali probabilmente saranno sottoposti alla pena di morte, gli Stati membri violano deliberatamente la menzionata norma (cfr. Al-Saadoon e Mufdhi vs. Regno Unito del 2010, ove la Corte Edu ha sanzionato il governo del Regno Unito per aver rimpatriato i due cittadini iracheni nella consapevolezza della probabilità che entrambi avrebbero potuto affrontare la morte per impiccagione). A questa conclusione era pervenuta anche la nostra Corte costituzionale, che ha enunciato il carattere assoluto del divieto di pena di morte e ha ritenuto la tutela della vita dell'estradando prevalente rispetto alle esigenze di cooperazione giudiziaria tra Paesi affermando che lo Stato italiano non può in alcun modo concorrere nell'esecuzione di pene che non possono essere inflitte in Italia (cfr. Corte cost, n. 54/1979, con cui è stato dichiarato illegittimo in relazione agli artt. 3 comma 1 e 27 comma 4 Cost. il R.d. 30 giugno 1870, n. 5726, relativo al Trattato di estradizione tra Italia e Francia). Il mandato di arresto europeo Come noto, il mandato di arresto europeo (M.A.E.) è un provvedimento giudiziario emesso da uno Stato membro della Unione europea al fine di ottenere l'arresto o la consegna da parte di uno Stato membro di un soggetto ricercato dall'Autorità ai fini dell'esercizio di un'azione penale (c.d. M.A.E. processuale), dell'esecuzione di una pena (c.d. M.A.E. esecutivo), ovvero per consentire l'esecuzione di una misura di sicurezza privativa della libertà. Il fondamento di detto istituto si rinviene nella decisione quadro 2002/584/Gai del Consiglio europeo, emessa in data 13 giugno 2002 ed attuata nel nostro Paese per mezzo della l. 22 aprile 2005, n. 69. La consegna del soggetto può essere rifiutata se sussiste un serio pericolo che la persona ricercata venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti nel Paese che la chiede (così dispone l'art. 18, lett. h, l. 22 aprile 2005, n. 69). La Suprema Corte si è espressa nel senso di ritenere che non ricorre un serio pericolo, idoneo a rifiutare la consegna di cui trattasi ove sia meramente prospettata l'esistenza nello Stato richiedente di una condizione di sovraffollamento carcerario o di una possibile mancanza di adeguata assistenza medica, ove non sia provato il livello di pericolo corso in concreto, né siano forniti elementi concreti sulla reale situazione nelle carceri dello Stato richiedente (Cass. VI, n. 47237/2015). Casistica La Suprema Corte ha avuto modo di precisare che nel caso in cui, secondo la legge dello Stato richiedente l'estradizione, il reato per il quale essa è richiesta è punito con la pena di morte, l'autorità giudiziaria italiana non può pronunciare sentenza favorevole alla estradizione sulla base delle assicurazioni dello Stato richiedente che non consentano di pervenire a conclusioni di certezza circa la ineseguibilità di detta pena (Cass. VI, n. 33980/2006, che ha ritenuto prive di ogni carattere di certezza in ordine alla non applicazione della pena di morte le dichiarazioni di intenti pervenute dalla procura di un tribunale della Bielorussia; Cass. VI, n. 1117/2000, relativa ad una richiesta di estradizione avanzata dalla Repubblica Popolare Cinese per un reato economico, punibile con la pena di morte in detto Paese). Ancora, in tema di estradizione per l'estero la Suprema Corte ha chiarito che costituisce garanzia assoluta ai fini della concessione dell'estradizione la previsione nella legislazione dello Stato richiedente che la pena capitale non è prevista per il reato in ordine al quale l'estradizione è richiesta e precisato che il rispetto degli accordi internazionali vieta che il Paese richiedente possa procedere successivamente per una diversa e più grave ipotesi delittuosa che preveda la pena capitale una volta ottenuta l'estradizione del soggetto richiesto (Cass. VI, n. 35069/2005). Profili processualiGiova ricordare che in tema di estradizione per l'estero, il provvedimento di convalida emesso dal Presidente della Corte d'Appello a norma dell'articolo 716, comma 3, c.p.p. si esaurisce in una verifica cartolare sull'esistenza delle condizioni che legittimano l'arresto ed ha riguardo esclusivamente al fatto-reato contestato, al fondamento probatorio della richiesta ed all'esistenza del titolo custodiale emesso dallo Stato richiedente; la verifica della sussistenza delle condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione (artt. 698 e 705, comma 2, c.p.p.) competono alla Corte di Appello nella fase successiva del procedimento (Cass. VI, n. 4344/2004). Contro la sentenza con cui la Corte di appello ha disposto l'estradizione può essere proposto ricorso per cassazione anche per il merito (art. 706, comma 1, c.p.p.); poiché davanti alla corte stessa si applicano le disposizioni di cui all'art. 704 c.p.p., vale a dire tutte le disposizioni riguardanti il procedimento davanti alla corte di appello, ne discende che al giudice di legittimità sono in tal caso conferiti gli stessi poteri istruttori che sono propri del giudizio di primo grado e che la Corte di Cassazione non può adottare decisione di rinvio (Cass. VI, n. 4511/1995). BibliografiaGioisis, La revisione dell'art. 27, comma 4 della Costituzione: l'ultima tappa di un lungo cammino, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2008, 1655; Marinucci, La pena di morte, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2009, 3; Palazzo, Pena di morte e diritti umani (a proposito del Sesto Protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo), in Riv. it. dir. e proc. pen., 1984, 758. |