Codice Penale art. 29 - Casi nei quali alla condanna consegue l'interdizione dai pubblici uffici.

Alessandro Trinci

Casi nei quali alla condanna consegue l'interdizione dai pubblici uffici.

[I]. La condanna all'ergastolo [22] e la condanna alla reclusione [23] per un tempo non inferiore a cinque anni importano l'interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici; e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque [28, 31, 33 1, 98 2, 139, 140 4, 317-bis, 371 3, 373 2, 377 3, 383, 386 5, 501 5] (1).

[II]. La dichiarazione di abitualità [102, 103] o di professionalità nel delitto [105], ovvero di tendenza a delinquere [108], importa l'interdizione perpetua dai pubblici uffici [33].

(1) Oltre all'art. 2637 2 c.c., v. anche art. 2 5 l. 20 giugno 1952, n. 645; art. 1131-2 d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361; art. 6 l. 20 febbraio 1958, n. 75; art. 1021 d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570; art. 2 2 l. 25 gennaio 1982, n. 17; art. 12 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74.

Inquadramento

Dopo aver disciplinato l'interdizione dai pubblici uffici (art. 28), il legislatore indica in quali ipotesi alla condanna consegue detta interdizione, indicandone la durata in relazione alla gravità della sanzione comminata (art. 29).

Si prevede dunque che in ipotesi di condanna all'ergastolo e di condanna alla pena della reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni si abbia l'interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici.

Ove la condanna sia alla pena della reclusione per un tempo non inferiore a tre anni, invece, l'interdizione dai pubblici uffici ha la durata di anni cinque.

La dichiarazione di abitualità o di professionalità nel delitto, ovvero la dichiarazione di tendenza a delinquere, determinano l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Presupposti

L'interdizione perpetua dai pubblici uffici consegue automaticamente alla condanna alla pena dell'ergastolo o della reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni ovvero a seguito della dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato del condannato o della dichiarazione della tendenza a delinquere di questi. In tale ultimo caso, la pena accessoria si cumula alla misura di sicurezza disposta al momento della condanna.

Vi sono poi taluni casi espressamente indicati dalla legge nei quali alla condanna consegue l'interdizione perpetua (v. artt. 28 e 317-bis).

L'interdizione ha invece la durata temporanea, fissata nel termine di cinque anni, in ipotesi di condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni.

Il legislatore ha altresì previsto che alla condanna per taluni reati consegua automaticamente l'interdizione temporanea, a prescindere dall'entità della pena principale inflitta. Si vedano l'elenco dei reati indicati dall'art. 317-bis, le previsioni di cui agli artt. 371, comma 3, 373, comma 2 e 377, comma 3,  e le previsioni della legislazione speciale di cui all'art. 180, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, all'art. 6, l. 20 febbraio 1958, n. 75 e all'art. 2637 c.c. Secondo la Suprema Corte, le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dall'esercizio della tutela e della curatela (art. 6, l. n. 75/1958) si applicano anche in caso di condanna per il delitto di prostituzione minorile di cui all'art. 600-bis c.p., norma che disciplina un'ipotesi speciale ed aggravata del reato di induzione, favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione ove commesso ai danni di persona minore, fattispecie in passato prevista dall'abrogato art. 4, comma 1, n. 2 della citata legge, che prevedeva l'applicazione delle menzionate pene accessorie (Cass. III, n. 17844/2008).

Esclusioni

L'interdizione dai pubblici uffici non può conseguire alla condanna per delitto colposo, a meno che non si versi in una delle ipotesi di cui all'art. 31 c.p., se la reclusione non è inferiore a tre anni.

Nei confronti del condannato minorenne non può essere disposta l'interdizione perpetua.

A norma dell'art. 98 c.p., nei confronti del condannato minorenne può essere disposta soltanto l'interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale, ove la condanna inflitta sia superiore a cinque anni di reclusione. Ove la pena inflitta sia inferiore a cinque anni o sia irrogata la pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie.

Determinazione della pena principale

Secondo la prevalente giurisprudenza, quando l'interdizione dai pubblici uffici è correlata — quanto all'an ed alla sua durata — alla pena principale, deve farsi riferimento alla pena inflitta in concreto, tenuto conto delle eventuali diminuzioni processuali (Cass. I, n. 18149/2014; in dottrina: Pisa, 101).

La concessione dell'indulto che determini un'estinzione parziale della pena ha ricadute sulla pena accessoria temporanea e può perfino escluderne l'applicazione (Cass. III, n. 7905/1983), fatta eccezione dell'interdizione perpetua (Cass. V, n. 5558/1992).

Tentativo, concorso di reati, reato continuato

La pena accessoria è applicabile anche ove la pena principale — rientrante nei limiti più sopra indicati — sia comminata per delitto tentato e non consumato (Cass. VI, n. 9204/2005).

Si richiama la previsione di cui all'art. 6, l. n. 75/1958, che prevede espressamente l'applicazione della sanzione accessoria in ipotesi di delitto tentato.

In ipotesi di concorso materiale di reati, per la determinazione dell'applicabilità dell'interdizione e della sua durata è necessario far riferimento alle singole pene irrogate, secondo il dettato dell'art. 77 c.p. (Cass. I, n. 11633/1992).

In ipotesi di reato continuato, deve aversi riguardo alla pena inflitta per il reato più grave e non a quella finale che deriva dall'aumento per la continuazione (Cass. I, n. 27700/2007; Cass. I, n. 8126/2017).

Profili processuali

Il divieto di reformatio in peius di cui all'art 597, comma 3, c.p.p. non è violato quando il giudice d'appello aggiunga d'ufficio alla pena principale inflitta in primo grado le pene accessorie che conseguono ope legis alla condanna; l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e l'interdizione legale durante la pena, infatti, sono predeterminate in ogni elemento dalla legge e costituiscono un necessario ed automatico effetto penale di determinate condanne, secondo la previsione legislativa. Diverso è il caso delle pene accessorie che dipendono in qualche misura dalla valutazione discrezionale del giudice, tra le quali va annoverata la sospensione dall'esercizio della patria potestà nel caso previsto dall'art 32, comma 3, c.p., la cui applicazione in appello è illegittima ove manchi l'impugnazione da parte della pubblica accusa (Cass. I, n. 3828/1972).

Bibliografia

Larizza, Le pene accessorie, Padova, 1986; Pisa, Le pene accessorie. Problemi e prospettive, Milano, 1984; Pisa, Art. 29, in Crespi-Forti-Zuccalà (a cura di), Commentario breve al codice penale, Padova, 2008.

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