Codice Penale art. 30 - Interdizione da una professione o da un'arte.Interdizione da una professione o da un'arte. [I]. L'interdizione da una professione o da un'arte priva il condannato della capacità di esercitare, durante l'interdizione, una professione, arte, industria, o un commercio o mestiere, per cui è richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell'Autorità, e importa la decadenza dal permesso o dall'abilitazione, autorizzazione, o licenza anzidetti. [II]. L'interdizione da una professione o da un'arte non può avere una durata inferiore a un mese, né superiore a cinque anni [31, 139, 140 4], salvi i casi espressamente stabiliti dalla legge [79] (1). (1) V. artt. 216 4, 2173 e 2182 r.d. 16 marzo 1942, n. 267; art. 20 4-5 l. 31 dicembre 1982, n. 979; art. 12 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74. InquadramentoL'interdizione da una professione o da un'arte (art. 30 ) priva il condannato della capacità di esercitare, per tutto il periodo di durata dell'interdizione, una professione, arte, industria, ovvero un commercio o mestiere, per il cui esercizio sono richiesti uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell'Autorità. L'interdizione di cui trattasi determina la decadenza dal permesso o dall'abilitazione, autorizzazione o licenza sopra menzionata. L'interdizione da una professione o da un'arte non può avere una durata inferiore a un mese, né superiore a cinque anni, salve le eccezioni indicate dalla legge. PresuppostiA norma dell'art. 31, l'interdizione da una professione o da un'arte consegue ex lege alle condanne per delitti commessi con abuso dei poteri o mediante violazione dei doveri relativi all'esercizio di una professione, arte, industria, commercio o mestiere. In primo luogo, giova evidenziare che l'interdizione in parola può applicarsi soltanto nei confronti di coloro che esercitino un'attività per la quale sia richiesta una speciale autorizzazione o licenza dell'autorità (Cass. n. 2454/1978). Ancora, è bene precisare che l'abuso della professione presuppone un uso abnorme del diritto all'esercizio di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione. Perché sussista l'abuso, detto utilizzo deve essere effettuato con il precipuo intento di conseguire uno scopo diverso da quello per il quale il diritto è riconosciuto e l'abilitazione concessa (Cass. VI, n. 14368/1999, relativa al caso di un medico che aveva reiteratamente consentito ad un soggetto non abilitato di utilizzare il suo nome e la sua posizione fiscale per l'esercizio abusivo della professione di dentista). È altresì richiesto un comportamento contra legem che possa considerarsi grave, sia sul piano oggettivo che su quello soggettivo. Infine, perché possa essere disposta l'interdizione di cui trattasi deve sussistere un nesso di strumentalità tra l'abuso del potere o la violazione del dovere ed il reato commesso, essendo necessario che la commissione del reato risulti agevolata dall'esercizio della funzione o del servizio. Quando il soggetto agente che esercita una professione è allo stesso tempo un pubblico ufficiale, l'interdizione di cui all'art. 30 si cumula all'interdizione dai pubblici uffici di cui all'art. 28 (si pensi, ad esempio, all'ipotesi di un notaio che sia condannato per il delitto di peculato: Cass. VI, n. 3079/1984). EsclusioniL'interdizione da una professione o da un'arte non può conseguire alla condanna per delitto colposo, a meno che non si versi in una delle ipotesi di cui all'art. 31, se la reclusione non è inferiore a tre anni. A norma dell'art. 98, comma 2 l'interdizione da una professione o da un'arte deve ritenersi non applicabile nei confronti del condannato minorenne. EffettiAll'applicazione dell'interdizione in parola consegue la perdita della capacità di svolgere le attività professionali esercitando le quali è stato commesso il reato. Consegue altresì la decadenza dai permessi, abilitazioni, autorizzazioni e licenze relativi alla medesima professione. Scontata la pena accessoria, il condannato deve chiedere nuovamente le autorizzazioni, i permessi, ecc. affrontando l'intero iter che questo comporta (affrontare esami, seguire il procedimento amministrativo prescritto, sostenere costi, ecc.). Ne discende che gli effetti interdittivi si possono prolungare oltre la durata dell'interdizione (Salafia, 45; Turano, 63). DurataL'interdizione di cui trattasi è pena accessoria temporanea, la cui durata va da un mese a cinque anni. La determinazione della durata nel caso concreto è effettuata a norma dell'art. 37. Nella legislazione temporanea sono talvolta previste diverse indicazioni in ordine alla durata della misura: si pensi, ad esempio, agli artt. 216, comma 4 e 217, comma 3, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e alla l. 2 dicembre 1975, n. 644. In ipotesi di concorso di reati il limite massimo è di dieci anni (art. 79). Questioni controverseSi discute se la titolarità dell'autorizzazione e l'effettivo esercizio dell'attività siano da considerare presupposti indefettibili per la sottoposizione alla sanzione di cui trattasi. In un primo tempo la Suprema Corte ha ritenuto che quella in esame sia una pena accessoria comune, applicabile anche nei confronti del soggetto che non sia titolare della licenza, autorizzazione, abilitazione o del permesso richiesto dalla legge per l'esercizio della professione o arte, finendo poi per circoscrivere l'applicazione dell'interdizione unicamente nei confronti di chi eserciti effettivamente la professione (Cass. VI, n. 6729/1979). Di tale più restrittivo avviso è anche parte della dottrina (Violante, 288; Larizza, 125). Secondo altro orientamento dottrinale, invece, l'art. 30 prevede due distinte sanzioni e può colpire soggetti differenti: vale a dire colui che già possieda l'autorizzazione abilitatrice all'esercizio della professione e colui che ancora non ne sia titolare, impedendogli di conseguire la capacità di esercitare detta professione. Secondo i sostenitori di detta tesi, l'orientamento più restrittivo determinerebbe una ingiustificata asimmetria rispetto alla previsione di cui all'art. 35 e finirebbe per agevolare coloro che esercitano l'attività senza la necessaria autorizzazione (Cerquetti, 843; Pisa, 116). La professione giornalistica Parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto di poter applicare l'interdizione di cui all'art. 30 a chi svolga la professione giornalistica. Illustre dottrina ha escluso l'applicabilità dell'interdizione a detta professione ritenendo che essa non sia sottoposta ad alcun permesso o licenza o abilitazione (Nuvolone, 140). Tale affermazione non pare tuttavia tenere nella giusta considerazione il fatto che la l. 3 febbraio 1963, n. 69 disciplina l'accesso alla professione giornalistica e dispone il superamento di un esame abilitativo per l'iscrizione all'albo dei giornalisti e l'obbligo di appartenenza all'ordine dei giornalisti, pertanto detta professione non può che ritenersi ricompresa tra quelle di cui all'art. 30 (Ferrante, 49; Larizza, 127, Pisa 1986, 122). Ancora, altra dottrina, pur ammettendo l'applicabilità dell'interdizione di cui trattasi nei confronti di chi esercita la professione giornalistica, esclude che essa possa essere disposta nei confronti del direttore responsabile di un periodico a seguito di condanna per il reato di cui all'art. 57, non ravvisandosi in tal caso l'abuso della professione di giornalista o la violazione di doveri ad essa inerenti (Ferrante, 48). A tale conclusione non può che obiettarsi che il dovere di controllo che compete al direttore difficilmente può ritenersi estraneo alla professione giornalistica (Pisa 1984, 123). Ammessa l'applicabilità della sanzione interdittiva in parola alla professione giornalistica, la Suprema Corte richiede un rigoroso accertamento in concreto della sussistenza dell'abuso dei poteri e della violazione dei doveri attinenti a detta professione, in modo da scongiurare il rischio di indebite compressioni del diritto di libera manifestazione del pensiero e della libertà di stampa (Cass. V, n. 12876/1986). Interdizione e sanzioni amministrative L'art. 3, comma 3, l. 20 febbraio 1958, n. 75 dispone che alla condanna per il delitto di tolleranza abituale del meretricio da parte dell'esercente può conseguire la perdita della licenzia d'esercizio. La Suprema Corte ha ricondotto detta previsione all'ambito di operatività dell'interdizione di cui agli artt. 30 e 31 e disposto che essa possa essere irrogata sia al titolare della licenza, che a chi ne sia sprovvisto, di talché non possa ottenerla a seguito della condanna (Cass. III, n. 123/1970). Sul punto la dottrina prevalente si è pronunciata nel senso di ritenere la sanzione in esame propria dell'esercente che sia titolare della necessaria licenza (Pisa 1984, 120). Ad avviso della Suprema Corte, la revoca della licenza di esercizio e l'esclusione dal rilascio di altra licenza di cui all'art. 3, comma 4, l. 2 luglio 1957, n. 474 sono riconducibili alla previsione di cui all'art. 30 e non costituiscono sanzioni criminali atipiche, sebbene l'applicazione delle stesse sia demandata all'autorità amministrativa (Cass. III, n. 2313/1978). Le sanzioni di cui trattasi devono essere tenute distinte da sanzioni di contenuto interdittivo, ma aventi natura disciplinare, come la destituzione di diritto del notaio (art. 142, l. 16 febbraio 1913, n. 89) e la sospensione dall'esercizio della professione di avvocato (art. 40, r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578). Infatti, mentre la sospensione cautelare dall'esercizio della professione forense adottata a seguito di un procedimento disciplinare dall'Ordine degli Avvocati costituisce estrinsecazione di una funzione amministrativa, la sanzione interdittiva consegue di diritto alla condanna come effetto penale della stessa. Le due sanzioni operano dunque in ambiti e su basi diverse, con la conseguenza che, da un lato, possono concorrere e, dall'altro lato, le sorti dell'una non subiscono alcuna influenza dalle sorti dell'altra, disposta a seguito di altro e distinto procedimento. Ne discende, per esempio, che ove la pena accessoria dell'interdizione dalla professione venga dichiarata estinta a seguito dell'indulto, non può ritenersi parimenti estinta anche la sospensione disposta in via cautelare (Cass. VI, n. 2066/1995, relativa ad un caso in cui la sanzione interdittiva era stata dichiarata estinta a seguito dell'indulto disposto per effetto del d.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865). Ancora, ove il giudice di merito applichi erroneamente la sanzione disciplinare dell'interdizione dalla professione prevista dall'art. 8 l. 5 febbraio 1992, n. 175 in luogo della pena accessoria prevista dall'art. 30, in sede di legittimità la Suprema Corte può rilevare d'ufficio l'erronea applicazione dell'art. 8 citato, trattandosi di errore non determinante annullamento della decisione e comunque rettificabile ai sensi dell'art. 619 c.p.p. (Cass. VI, n. 21212/2001). Disciplina penitenziariaLa Suprema Corte ha avuto modo di precisare che il tempo trascorso in espiazione della pena nella misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale non può essere utilmente computato anche ai fini dell'espiazione di una pena accessoria (nella specie di quella dell'interdizione dalla professione) trattandosi di modalità esecutiva della pena detentiva (Cass. I, n. 13499/2011). CasisticaL'interdizione temporanea dall'esercizio della professione riguarda nel suo complesso l'attività il cui legittimo esercizio esige una speciale abilitazione e non soltanto il settore specializzato in cui essa viene in concreto espletata; commette dunque il reato di abusivo esercizio di una professione (art. 348) il medico odontoiatra che consenta ad un odontotecnico di prestare l'attività di medico odontoiatra presso il proprio studio dentistico, non potendo questi eccepire di aver subito l'interdizione temporanea dalla professione di medico-chirurgo anziché quella dell'attività di odontoiatra (Cass. VI, n. 9297/1995). Le pene accessorie dell'interdizione temporanea o sospensione dalla professione, arte, industria, commercio o mestiere non sono applicabili nei confronti di colui che abbia venduto o messo in vendita merci ovvero che abbia offerto od eseguito servizi o prestazioni a prezzi superiori a quelli stabiliti dal comitato interministeriale prezzi (Cip). La Suprema Corte ha avuto modo di precisare sul punto che la normativa vigente in materia concede esclusivamente al Ministro e al Presidente del comitato il potere di sospendere il denunciato dall'attività che abbia dato luogo all'infrazione oppure di escluderlo dalle assegnazioni di determinate materie, prodotti e di contingenti di esportazione e di importazione e dalla concessione dei relativi permessi, nonché dalle gare previste dal regolamento per la contabilità generale dello stato (Cass. VI, n. 8951/1984). BibliografiaCerquetti, Pene accessorie, in Enc. dir., Milano, 1982, 819; Ferrante, Professione di giornalista e condanna per delitto commesso con abuso della professione o con violazione di doveri ad essa inerenti, in Giur. merito, 1974, 46; Larizza, Le pene accessorie, Padova, 1986; Pisa, Le pene accessorie. Problemi e prospettive, Milano, 1984; Pisa, Diffamazione a mezzo stampa e interdizione dalla professione giornalistica, in Dir. inform., 1986, 122; Salafia, “Le interdizioni professionali e da altre determinate attività” esaminate dal VII Congresso di difesa sociale, in Giur. it., 1967, 45; Turano, Le interdizioni professionali dall'esercizio di alcune attività, in Arch. pen., 1968, 58; Violante, Contenuto e funzione delle pene accessorie: conseguenze in tema di applicabilità al concorso di persone nel reato, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1969, 263; |