Codice Penale art. 37 - Pene accessorie temporanee: durata.

Alessandro Trinci

Pene accessorie temporanee: durata.

[I]. Quando la legge stabilisce che la condanna importa una pena accessoria temporanea, e la durata di questa non è espressamente determinata, la pena accessoria ha una durata eguale a quella della pena principale inflitta, o che dovrebbe scontarsi, nel caso di conversione, per insolvibilità del condannato [136]. Tuttavia, in nessun caso essa può oltrepassare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria [79, 139, 140].

Inquadramento

La norma in esame si occupa di fissare un criterio di determinazione delle pene accessorie temporanee per i casi in cui il legislatore abbia omesso di stabilire la durata della sanzione. A tal fine, viene sancito un principio di equivalenza temporale tra le pene (principale ed accessoria), nel senso che la durata della pena accessoria deve essere commisurata a quella della pena principale, senza tuttavia poter superare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria.

Presupposti

In tema di pene accessorie, la previsione di cui all'art. 37 svolge una funzione residuale rispetto all'art. 29 ed è destinata ad operare nei soli casi in cui la durata delle pene accessorie temporanee non è normativamente predeterminata (Cass. I, n. 36299/2015;   Cass. II, n. 53001/2016 ): si pensi, ad esempio, all'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art. 32-bis).

La norma in esame ha carattere generale ed è applicabile sia alle fattispecie codicistiche che alle ipotesi contenute nella legislazione speciale.

Nella prassi si è posto il problema di individuare i casi nei quali non trova applicazione il criterio del parallelismo temporale.

Non vi sono dubbi che la regola sancita dall'art. 37 non trova applicazione quando la durata delle pene accessorie è espressamente determinata in misura fissa: si pensi, ad esempio, all'art. 29, il quale dispone che la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni comporta l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni; oppure all'art. 216 l. fall., che prevede la pena accessoria della inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, in misura fissa per dieci anni. Ne consegue che in questi casi il giudice deve applicare la sanzione accessoria nella misura fissata dal legislatore, anche se ha una durata superiore a quella della pena principale inflitta (Cass. V, n. 42731/2012).

Altrettanto pacifica l'inoperatività della norma in commento quando la pena accessoria è determinata in misura proporzionale rispetto a quella principale: si pensi, ad esempio, all'art. 34, il quale prevede che la sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori deve essere commisurata ad un periodo di tempo doppio rispetto alla pena principale inflitta.

Più problematica risulta, invece, l'ipotesi in cui la legge si limita a determinare il minimo e il massimo edittale della pena accessoria oppure solo il minimo o il massimo.

Sul punto si è formato un contrasto giurisprudenziale che ha reso necessario un intervento chiarificatore delle sezioni unite, che, aderendo all'orientamento maggioritario, hanno ritenuto che tali sanzioni siano riconducibili al novero delle pene accessorie la cui durata non è espressamente determinata dalla legge penale (Cass. S.U. , n. 6240/2014 ).

Va detto che le sezioni unite avevano anche stabilito che la durata delle pene accessorie in esame dovesse essere determinata dal giudice ai sensi dell'art. 37. La giurisprudenza successiva si era allineata a tale principio. Tuttavia, recentemente, le stesse sezioni unite hanno ritenuto di dover superare l'indirizzo espresso dalla precedente sentenza, affermando che le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p. (Cass. S.U., n. 28910/2019).

Tale soluzione trova la maggioranza di adesioni anche nella dottrina (Bruti Liberati, 1163; Frisoli, 511; Larizza, 102; contra Pisa, 1984, secondo il quale, in questi casi, il giudice, al fine della determinazione in concreto della durata della pena accessoria, dovrebbe fare ricorso all'esercizio del proprio potere discrezionale secondo i consueti parametri dettati dall'art. 133).

Va precisato che la pena principale inflitta, alla quale andrà commisurata di regola la pena accessoria, può anche essere pecuniaria, come si ricava dall'espresso riferimento contenuto nell'art. 37 alla « pena principale inflitta o che dovrebbe scontarsi nel caso di conversione, per insolvibilità del condannato ».

Quando la sanzione principale comporta una condanna sia alla pena detentiva sia a quella pecuniaria, occorre sommare anche quest'ultima, previa conversione ideale ex art. 135, ai fini della determinazione in concreto della durata della sanzione accessoria (Cass. VI, n. 8552 /1982).

Concorso di reati

Per determinare le pene accessorie in caso di concorso di reati, l'art. 77 prevede che si debba avere riguardo ai singoli reati per i quali è pronunciata la condanna e alle pene principali che, se non vi fosse concorso, si dovrebbero infliggere per ciascuno di essi. Se concorrono pene accessorie della stessa specie, queste si applicano tutte per intero. Peraltro, per alcune pene accessorie, l'art. 79 pone espressamente dei limiti massimi di durata.

Reato continuato

Nella determinazione della pena accessoria in caso di più reati unificati sotto il vincolo della continuazione, la giurisprudenza costante ritiene che occorra fare riferimento alla misura della pena base stabilita per il reato più grave e non a quella complessiva risultante dall'aumento della continuazione (Cass. VII, n. 48787/2014). Ciò sul presupposto che le plurime violazioni del reato continuato si considerano unitariamente solo ai particolari effetti previsti dalla legge, mentre ad ogni altro effetto, e quindi anche all'effetto dell'applicazione delle pene accessorie, esse vanno tenute distinte. In caso di patteggiamento per più reati in rapporto di continuazione deve essere considerata la pena in concreto individuata per il reato più grave, considerando l'incidenza delle circostanze attenuanti, del bilanciamento eventualmente operato con le circostanze aggravanti, nonché della diminuente per il rito speciale (Cass. VI, n. 22508/2011).

A tale regola fa eccezione l'ipotesi di continuazione fra reati omogenei, in quanto l'identità dei reati unificati comporta necessariamente la applicazione di una pena accessoria per ciascuno di essi, di modo che la durata complessiva va commisurata all'intera pena principale inflitta con la condanna, ivi compreso l'aumento per la continuazione, ferma restando in ogni caso la necessità di rispettare il limite edittale massimo previsto per la specifica sanzione accessoria da applicare (Cass. III, n. 14954/2014).

Casistica

Per i reati di violenza sessuale, l'art. 609-nonies, comma 1, n. 4, distingue l' "interdizione temporanea da pubblici uffici" dall'"interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque in seguito alla condanna da tre a cinque anni"; ne deriva che nella prima ipotesi, trattandosi di pena accessoria la cui durata non è espressamente determinata dalla legge penale, il giudice deve uniformarne la durata a quella della pena principale, ai sensi dell'art. 37  (Cass. III, n. 40679/2016).

In giurisprudenza si registra un contrasto di opinioni in merito alla durata delle pene accessorie temporanee conseguenti la condanna per reati tributari previste dall'art. 12 d.lgs. n. 74/2000. Infatti, secondo alcune pronunce le predette sanzioni hanno limiti edittali minimi e massimi prefissati dal legislatore ed, in relazione ad esse, non opera il principio dell'uniformità temporale tra pena accessoria e pena principale, ma deve essere il giudice, nell'ambito dell'intervallo temporale indicato, a stabilire la concreta durata della pena accessoria da irrogare (Cass. III, n. 4916/2016); altre decisioni, invece, sostengono che la durata delle pene accessorie temporanee previste per i reati tributari debba essere dal giudice uniformata, ai sensi dell'art. 37, a quella della pena principale inflitta (Cass. III, n. 8041/2018).

Anche in merito alla durata delle pene accessorie dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e dell'incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa previste per il delitto di bancarotta fraudolenta si registra un ampio dibattito giurisprudenziale. Fino al 2018 le predette sanzioni avevano la durata fissa ed inderogabile di dieci anni; dunque, la loro durata doveva essere quella fissata dal legislatore (dieci anni, appunto), diversamente dalle pene accessorie previste per il reato di bancarotta semplice, che devono essere commisurate alla durata della pena principale, in quanto, essendo determinate solo nel massimo, sono soggette alla regola di cui all'art. 37 (ex multis Cass. V, n. 15638/2015). Tuttavia, si registrava anche un orientamento minoritario ad avviso del quale, essendo le predette pene accessorie determinate dalla legge soltanto nel massimo, la loro durata doveva corrispondere, ai sensi dell'art. 37, a quella della pena principale inflitta (Cass. V, n. 23720/2010). Sul tema è intervenuta la Corte costituzionale che, in linea con la propria giurisprudenza in tema di pene fisse, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 216, ultimo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui stabilisce in dieci anni, e non “fino a dieci anni”, la durata delle pene accessorie dell'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e dell'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa che conseguono alla condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta (Corte cost., n. 222/2018). A seguito dell'intervento manipolativo del Giudice delle leggi, le pene accessorie in tema di bancarotta fraudolenta sono ora previste nella sola durata massima («fino a dieci anni») e non più in misura fissa («per la durata di dieci anni»); ci si è quindi comandati se la loro durata debba essere determinata dal giudice nella stessa misura della pena principale inflitta secondo il meccanismo di cui all'art. 37 c.p., dovendole considerare delle pene accessorie di durata “non predeterminata” (secondo l'insegnamento delle Sezioni unite nella sentenza n. 6240 del 2014), oppure commisurando la sanzione accessoria ai sensi dell'art. 133 c.p., dovendole intendere come  pene accessorie di durata “predeterminata” proprio per effetto della nuova formulazione della norma ad opera della Consulta (che peraltro suggerisce questa soluzione nell'impianto motivazionale della sentenza n. 222 del 2018). Sulla questione sono intervenute le Sezioni Unite stabilendo che la durata delle pene accessorie in esame, non essendo più, a seguito dell'intervento della Corte costituzione, fissato dal legislatore, deve essere determinato in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p. (Cass. S.U., n. 28910/2019).

Profili processuali

Erronea applicazione della pena accessoria e incidente di esecuzione

L'applicazione di una pena accessoria extra o contra legem da parte del giudice della cognizione può essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell'esecuzione, purché essa sia determinata per legge ovvero determinabile, senza alcuna discrezionalità, nella specie e nella durata, e non derivi da errore valutativo del giudice della cognizione (Cass. S.U., n. 6240/2014; Cass. I, n. 20466/2015).

Bibliografia

Bruti Liberati, Il ruolo del giudice nell'applicazione delle pene accessorie, in Monit. trib., 1968, 1162; Cerquetti, Pene accessorie, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, 819;Frisoli, Durata delle pene accessorie speciali nella bancarotta semplice, in Riv. it. dir. proc. pen., 1961, 507; Larizza, Le pene accessorie, Padova, 1986; Manca, Le Sezioni unite ammettono l'intervento in executivis sulla pena accessoria extra o contra legem, purché determinata per legge nella specie e nella durata, in penale contemporaneo.it, 8 marzo 2015; Pazienza, Ancora in tema di pene accessorie: pene accessorie e reato continuato, in Arch. pen., 1976, I, 113; Pisa, Le pene accessorie. Problemi e prospettive, Milano, 1984.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario