Codice Penale art. 42 - Responsabilità per dolo o per colpa o per delitto preterintenzionale. Responsabilità obiettiva.

Sergio Beltrani

Responsabilità per dolo o per colpa o per delitto preterintenzionale. Responsabilità obiettiva.

[I]. Nessuno può essere punito per un'azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l'ha commessa con coscienza e volontà.

[II]. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l'ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale [571 2, 572 2, 584, 586] o colposo [259, 326 2, 335, 350, 355 3, 387, 391 2, 449, 450, 451, 452, 500 2, 527 2, 589, 590] espressamente preveduti dalla legge [43].

[III]. La legge determina i casi nei quali l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente, come conseguenza della sua azione od omissione.

[IV]. Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa [43 2] (1).

(1) In tema di sanzioni applicabili agli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato v. art. 5 d.lg. 8 giugno 2001, n. 231. In tema di violazione tributaria v. art. 5 d.lg. 18 dicembre 1997, n. 472.

Inquadramento

L'art. 42 riveste un'importanza fondamentale nell'impianto del codice, «perché questo (...) riconosce il fondamento della responsabilità nell'elemento morale (...) ove non è volontà non può sorgere responsabilità: volontà cosciente e libera, perché non esiste volontà se non è rivestita degli attributi della consapevolezza e della libertà (...) la necessità dell'esplicito richiamo alla coscienza è determinato dalla considerazione che la coscienza deve illuminare, non solo l'atto interno di volere, ma l'atto esterno di agire» (Relazione del Guardasigilli sul Libro I del Progetto definitivo del C.P., 1929, 86).

Per i riferimenti al principio di personalità, costituzionalizzato dall'art. 27, comma 1, Cost., si rinvia sub art. 5.

La coscienza e volontà della condotta

La condotta (c.d. azione in senso lato) è il comportamento umano tipicamente descritto dalla norma incriminatrice, e costituisce elemento necessario, ma non sufficiente, del reato (in proposito, si rinvia amplius sub art. 40).

L'art. 42, comma 1, indica che la condotta tipica può consistere in una azione od omissione: si distinguono, pertanto, reati di azione, che presuppongono una condotta attiva (ad es., furto, ex art. 624), di omissione, che presuppongono una condotta omissiva (ad es., omissione di atti d'ufficio, ex art. 328, o di soccorso, ex art. 593), ed a condotta mista, che presuppongono entrambe (ad es., insolvenza fraudolenta, ex art. 591); altri reati possono essere indifferentemente posti in essere attraverso l'una o l'altra (ad es., patrocinio infedele, ex art. 380, o maltrattamenti in famiglia, ex art. 572).

L'interprete, prima ancora di valutare se ricorra uno dei possibili criteri di imputazione soggettiva del fatto-reato, deve valutare se la condotta sia in concreto riferibile all'agente: «l'azione e l'omissione dolose o colpose, prima ancora che essere (valutate come) dolose o colpose, sono qualificabili come comportamento umano (...) se ed in quanto siano dominate od almeno dominabili dalla volontà. Solo quando sia presente questa signoria della volontà (effettiva o potenziale) del soggetto sulla (od in relazione alla) situazione concreta, il fatto dell'uomo si distingue dai semplici accadimenti naturali e diviene oggetto plausibile delle pretese valutative delle norme giuridico-penali. L'azione (dolosa o colposa) come anzitutto inerzia o inattività volontaria, non necessitata (cioè libera, come “possibile-azione”), hanno appunto nella volontà lo “specifico” umano, come esternazione o obiettivazione di una persona» (Romano, Commentario, 421).

La giurisprudenza ha precisato che «volontario è non soltanto il comportamento che trae origine da una cosciente determinazione, ma anche quello che, derivando da una inerzia del volere, rientra nel campo in cui l'individuo, con le sue facoltà di impulso e di inibizione, è in grado di esercitare il suo dominio volitivo» (Cass. I, n. 8264/1997).

Sono, pertanto, riferibili all'agente non soltanto le condotte che derivano da suoi impulsi coscienti, ma anche quelle che egli avrebbe potuto impedire attraverso l'esercizio dei poteri di controllo ed arresto del proprio agire, incluse quelle compiute in stato di forte emozione (art. 90).

Una risalente decisione ha in proposito osservato che lo stato di agitazione psichica in cui il soggetto venga a trovarsi a causa di una emozione o di una concitazione d'animo non comporta il difetto dell'elemento psicologico richiesto dall'art. 42 per la giuridica esistenza del reato, sempreché non risulti rigorosamente dimostrato che dall'improvviso e forte turbamento dell'equilibrio psichico sia derivata una malattia di mente, cioè un'alterazione patologica tale da incidere sulla capacita di intendere e di volere del soggetto (Cass. VI, n. 11316/1976).

Con riguardo ai cc.dd. atti semiautomatici o riflessi (si pensi al fumatore assorto nei suoi pensieri che getti in terra un fiammifero acceso senza avvedersi della presenza di materiale infiammabile) ed alle omissioni inconsapevoli, deve ritenersi che:

a ) le condotte dominabili con un ordinario sforzo di volontà sono riferibili all'agente (si pensi al cacciatore che per distrazione esploda un colpo ferendo un compagno):

b ) quelle che tali non sono, perché avvengono inconsapevolmente (si pensi alle condotte poste in essere dal sonnambulo, ovvero in stato di delirio) o sono indotte da superiori ed incontrollabili forze naturali od umane (una forza maggiore, l'altrui costringimento fisico invincibile: v. artt. 45 s. ), oppure sono conseguenza di “puri atti o movimenti riflessi, indotti da una stimolazione diretta del sistema nervoso”, non sono riferibili all'agente.

Le particolari problematiche attinenti ai rapporti tra la suitas ed i reati colposi saranno esaminate sub art. 43.

Le possibili cause di esclusione della suitas (con particolare riguardo ai casi problematici del malore improvviso, del sonno fisiologico e del sonno patologico) saranno esaminate sub art. 45.

L'inaccoglibilità della teoria dell'inesigibilità

La giurisprudenza ha tradizionalmente ritenuto l'inaccoglibilità della cosiddetta teoria dell'inesigibilità, secondo la quale verrebbe meno la colpevolezza, quando sia impossibile pretendere dal soggetto una condotta conforme al precetto (a ciò si giunge richiamando la ratio della colpevolezza, in riferimento a casi in cui l'agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui «umanamente» pretendere un comportamento diverso, ovvero la ratio dell'antigiuridicità in riferimento a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell'agente di uniformare la condotta al precetto penale): “il vigente ordinamento giuridico penale è fondato sul principio di legalità ed al giudice non è lasciato alcun margine per la individuazione della condotta punibile. Ne deriva che in tema di tutela delle acque dall'inquinamento i ritardi della P.A. nella attivazione di un impianto centralizzato di depurazione non determinano la insussistenza dell'elemento psicologico del reato di superamento dei limiti di accettabilità dello scarico” (Cass. III, n. 4342/1991); essa. può trovare collocazione e spazio soltanto nell'ambito delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l'analogia juris (Cass. VI, n. 973/1993).

E, da ultimo, si è chiarito che il principio della non esigibilità di una condotta diversa - sia che lo si voglia ricollegare alla ratio della colpevolezza, riferendolo ai casi in cui l'agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui "umanamente" pretendere un comportamento diverso, sia che lo si voglia ricollegare alla ratio dell'antigiuridicità, riferendolo a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell'agente di uniformare la condotta al precetto penale - non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l'analogia iuris (Cass. III, n. 38593/2018: fattispecie in tema di omesso versamento dell'IVA, che il ricorrente aveva preteso di giustificare con la crisi del mercato immobiliare e con i problemi finanziari della società da lui rappresentata).

Imputabilità e colpevolezza: cenni

L'imputabilità (intesa quale capacità di intendere e di volere), e la colpevolezza (intesa quale coscienza e volontà del fatto illecito) esprimono concetti diversi, che operano su piani diversi.

Si è discusso se la prima costituisca presupposto dell'altra: l'orientamento assolutamente dominante in dottrina, superato l'orientamento di quanti, facendo leva sugli artt. 203 (che, attraverso il rinvio all'art. 133, attribuisce rilevanza, ai fini del giudizio di pericolosità sociale dell'incapace, anche al grado del dolo e della colpa), 222 e 224 (che impongono, in taluni casi, l'accertamento del dolo e della colpa dell'incapace), ritenevano che l'imputabilità non costituisse presupposto della colpevolezza, considera l'imputabilità presupposto necessario della colpevolezza, poiché nessun rimprovero potrebbe essere mosso al non imputabile (proprio perché incapace di intendere e di volere) per non avere avuto una volontà diversa da quella sfociata nella condotta criminosa: “l'imputabilità non è dunque mera capacità di pena (...) ma è semmai “capacità di reato”, o meglio, “capacità di colpevolezza”, ovvero (...) è presupposto della colpevolezza. Non vi è allora colpevolezza senza imputabilità. In tale impostazione, che deriva dalla concezione normativa della colpevolezza, il reato è l'illecito commesso da un soggetto potenzialmente libero, signore dei suoi comportamenti, in grado di rappresentarsene il significato e le conseguenze e proprio per questo reso responsabile di essi ed assoggettabile alla reazione dell'ordinamento, la pena, che esprime la più autentica disapprovazione etico-sociale del fatto. Il non imputabile, invece, non ha soltanto, a suo favore, una causa personale di esenzione da pena. Più radicalmente, egli non commette un reato, bensì un fatto tipico antigiuridico non colpevole, poiché al dolo ed alla colpa non può aggiungersi, per la condizione personale del suo autore, la rimproverabilità del fatto stesso: il soggetto è quindi non responsabile e proprio per questo l'ordinamento, in presenza di pericolosità sociale, reagisce “neutralmente” (non con una pena ma) con l'applicazione di una misura di sicurezza” (Romano, Commentario, 2 s.).

L'imputabilità, quale componente naturalistica della responsabilità, costituisce dato esterno rispetto al fatto criminoso, e va quindi accertata con priorità rispetto alla colpevolezza (Cass. VI, n. 47379/2011).

Peraltro, secondo la dottrina, il dolo (o la colpa) possono manifestarsi anche come possibile atteggiamento psichico dell'incapace: “è dunque esatto affermare che il dolo e la colpa possono (o meglio devono, se il proscioglimento ha da esservi per la non imputabilità) ravvisarsi anche nel fatto del non imputabile (...), ma è invece errato ritenere che il dolo e la colpa esauriscano la colpevolezza e siano in tal modo sufficienti a trasformare il fatto del non imputabile in un fatto colpevole e perciò in un reato” (Romano, Commentario, 3).

Anche nei confronti di soggetto non imputabile, o parzialmente imputabile, dovrà, pertanto, essere stabilito, alla stregua delle regole di comune esperienza, se l'evento prodotto sia stato «secondo l'intenzione», «contro l'intenzione», o «oltre l'intenzione» (art. 43), salvo verificare se e come egli debba penalmente rispondere di tale evento, in ragione del suo stato di incapacità.

Dal canto suo, la giurisprudenza appare ben ferma nel ritenere che l'imputabilità, quale capacità di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volontà del fatto illecito, esprimono concetti diversi ed operano anche su piani diversi, sebbene la prima, quale componente naturalistica della responsabilità, debba essere accertata con priorità rispetto alla seconda (Cass. VI, n. 4292/2015: fattispecie nella quale la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ravvisato il delitto di evasione, commesso nelle forme della violazione della misura degli arresti domiciliari, pur in presenza di un disturbo della personalità dell'imputato); si è successivamente osservato che l'accertamento del dolo va tenuto distinto da quello dell'imputabilità e deve avvenire con gli stessi criteri valevoli per il soggetto pienamente capace anche nei confronti del soggetto non imputabile (Cass. VI, n. 14795/2020).

I criteri d'imputazione della responsabilità penale

Ai sensi dell'art. 42, comma 2, tutti i delitti previsti nella parte speciale del codice penale sono punibili, nel silenzio del legislatore, a titolo di dolo, mentre, per la punibilità a titolo di preterintenzione o colpa, occorre una espressa previsione di legge: “il criterio ordinario di imputazione è il dolo, mentre per la rilevanza (anche) della preterintenzione o della colpa è necessaria di volta in volta una previsione espressa. Il fondamento sostanziale di ciò deve ravvisarsi nella più intensa partecipazione soggettiva dell'autore nella commissione dolosa rispetto a quella (preterintenzionale o) colposa e nella minore opportunità di una tutela penale dei beni giuridici (quando siano di particolare rilievo: in generale figure delittuose non contravvenzionali) anche attraverso incriminazioni a titolo (di preterintenzione o di) colpa. Dal punto di vista di tecnica e di economia legislativa, poi, si capisce come la previsione ad hoc della rilevanza sia richiesta per le ipotesi eccezionali di responsabilità preterintenzionale o colposa, non per quelle ordinarie di responsabilità dolosa” (Romano, Commentario, 425). 

La giurisprudenza ha affermato  che la bancarotta semplice documentale è punibile anche a titolo di colpa, osservando che a ciò non osta il tenore dell'art. 42, che esige la previsione espressa della punibilità di un delitto a titolo di colpa, in quanto la nozione di 'previsione espressa' non equivale a quella di 'previsione esplicita' e, nel caso della bancarotta semplice documentale, la previsione implicita è desumibile dalla definizione come dolosa della bancarotta fraudolenta documentale (Cass. V, n. 53210/2018; conforme, Cass. V, n. 38598/2009).

La responsabilità oggettiva

Il comma 3 dell'art. 42 evoca, quale possibile criterio di imputazione della responsabilità penale, la c.d. responsabilità oggettiva (d'ora in poi, r.o.), che imputa il fatto-reato prescindendo dalla colpevolezza dell'agente, basandosi unicamente sul rapporto di causalità tra la condotta (che, ai sensi del primo comma, deve comunque essere riferibile all'agente) e l'evento, senza attribuire alcuna rilevanza all'elemento psicologico (non, quindi, “senza dolo o colpa”, bensì “prescindendo dall'accertamento del dolo e della colpa”), e, pertanto, anche se, in ipotesi, nessun rimprovero possa essere mosso all'agente, neanche di avere agito con leggerezza.

L'imputazione a titolo di responsabilità oggettiva trova la sua ratio essenzialmente a livello processuale: “il ricorso a essa può servire ad eliminare difficoltà probatorie, con riguardo a quei casi in cui risulta particolarmente complesso l'accertamento giudiziale del dolo o della colpa” (Fiandaca-Musco, PG, 589).

La responsabilità oggettiva è circoscritta ai soli delitti, risultando estranea all'ambito delle contravvenzioni, in relazione alle quali l'imputazione può aver luogo soltanto, pur se indifferentemente, a titolo di dolo o colpa (art. 42, comma 4).

Nell'ambito della r.o., la dottrina distingue: a) casi di r. o. pura, nei quali si prescinde del tutto dalla colpevolezza dell'agente; b) casi di r. o. mista a dolo o colpa, nei quali non si prescinde dalla colpevolezza, poiché essi si collegano ad una precedente condotta dolosa o colposa.

Ad essa sono abitualmente ricondotti: a) i delitti aggravati dall'evento; b) la preterintenzione; c) le condizioni obiettive di punibilità.

Sub art. 5 sono già stati esaminati i problemi di compatibilità con il principio di personalità che l'imputazione a titolo di r.o. pone; in questa sede è sufficiente evidenziare che la sentenza n. 384/1988 della Corte costituzionale ha riconosciuto l'illegittimità dei soli casi di r.o. “pura”.

Altre fattispecie tradizionalmente ricondotte (come si vedrà, non sempre a ragione) alla r.o., saranno esaminate in altra parte del volume: a) la finzione legale di imputabilità nelle cc.dd. actiones liberae in causa (art. 87). b) l'aberratio ictus (art. 82); c) alcuni casi di concorso di persone (art. 117).

L'elemento soggettivo nelle contravvenzioni. Rinvio

Quanto all'elemento soggettivo delle contravvenzioni, si rinvia sub art. 43.

Bibliografia

Baraldi, Gli obblighi dello psichiatra, una disputa attuale: tra cura del malato e difesa sociale, in Cass. pen. 2008, 4622 ss.; R. Blaiotta, sub art. 42, in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da Lattanzi- Lupo, II, Aggiornamento, Milano, 2015; S. Crimi, Concorso colposo nel delitto doloso: intersezioni e cointeressenze tra causalità e colpa, violazione dello scopo di protezione della norma, posizioni di garanzia ed orizzonti del principio dell'affidamento, in Riv. pen. 2008, 1332 ss.; Ferrari, Sul concorso colposo del medico psichiatra nell'omicidio doloso di un infermo di mente, in Giur. it. 2008, 2285 ss.; Palma, Il concorso di persone nel reato a titoli soggettivi diversi: la cassazione mette davvero un punto fermo?, in Riv. pen. 2009, 301 ss.

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