Codice Penale art. 47 - Errore di fatto.Errore di fatto. [I]. L'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo [43]. [II]. L'errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso. [III]. L'errore su una legge diversa dalla legge penale [5] esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato (1). InquadramentoL'errore consiste nella falsa rappresentazione di una realtà, e va distinto: a) dall'ignoranza, che si concretizza in un assoluto difetto di conoscenza (laddove l'errore dà conoscenza inesatta), ma produce i medesimi effetti dell'errore; b) dal dubbio, che suscita nell'agente uno stato di incertezza, perdurando il quale non si forma quella convinzione soggettiva (pur inesatta) che caratterizza l'errore: “il dubbio del soggetto agente esclude la ravvisabilità dell'errore di fatto” (Cass. II, n. 9069/1982). Il soggetto agente può incorrere in più errori, ma essi possono essenzialmente incidere, alternativamente: - sulla fase ideativa del reato (c.d. errore-vizio od errore-motivo). L'errore-vizio inficia il procedimento di formazione della volontà (criminosa) dell'agente, ed incide sulla colpevolezza, poiché fa venir meno il dolo (che, oltre alla coscienza e volontà della condotta e dell'evento, richiede l'esatta conoscenza di tutti gli altri elementi costitutivi del reato). Può derivare dall'inesatta rappresentazione di una situazione di fatto (art. 47, comma 1) o di diritto: in quest'ultimo caso, è diversa la disciplina, a seconda che l'errore incida su norme penali (ex art. 5) od extrapenali (art. 47, comma 3). La rubrica dell'art. 47 («Errore di fatto») è, pertanto, inesatta, poiché soltanto il 1° comma della norma disciplina l'errore di fatto, laddove nel comma 3 viene disciplinato un errore di diritto, “accomunato negli effetti al primo in quanto (come il primo) si risolva nel caso concreto in un errore sugli elementi del fatto storico congruenti con il modello legale” (Romano, 463). Nel suo ambito è, pertanto, possibile distinguere l'errore sul divieto ex art. 5, l'errore sul fatto ex art. 47, commi 1 e 2, l'errore su legge extrapenale, che a sua volta, come si vedrà può esser ricondotto all'uno od all'altro; - sulla fase esecutiva dei reato (c.d. errore-inabilità). L'errore-inabilità dà vita alle c.d. aberrationes (ovvero al c.d. reato aberrante, ex artt. 82 s.). In relazione all'elemento sul quale l'errore-inabilità incide, si distinguono tre forme di aberrationes: a. causae; a. ictus; a. delicti. L'errore sul fatto quale causa di esclusione della colpevolezzaL'errore sul fatto che, ai sensi dell'art. 47, comma 1, esclude la punibilità dell'agente, è quello « che cade su un elemento materiale del reato e che consiste in una difettosa percezione o in una difettosa ricognizione della percezione che alteri il presupposto del processo volitivo, indirizzandolo verso una condotta viziata alla base; mentre, se la realtà è stata esattamente percepita nel suo concreto essere, non v'è errore sul fatto, bensì errore sulla interpretazione tecnica della realtà percepita e sulle norme che la disciplinano, ininfluente ai fini dell'applicazione della citata disposizione » (Cass. VI, n. 32329/2010: fattispecie nella quale la S.C. ha escluso la configurabilità dell'errore di fatto nella condotta del concorrente in cessione illecita di stupefacenti, al quale era stato affidato in Olanda un borsone dichiaratamente contenente altre sostanze proibite, e cioè steroidi, che, attraverso l'Italia, si sarebbero dovuti trasportare in Grecia); Cass. V, n. 1780/2022: fattispecie nella quale, in applicazione del principio, è stato escluso, in tema di abbandono di persone minori od incapaci, l’errore di fatto scusante nell’errata percezione, da parte dei genitori, del pericolo, anche solo potenziale, per i figli di tenera età lasciati addormentati in auto, dinanzi ad un locale in ore serali e con i finestrini aperti). Trattasi di errore che consiste nella mancata od inesatta percezione di uno o più dati della realtà esterna, in virtù della quale l'agente, pur conoscendo la norma penale, crede di porre in essere un fatto diverso da quello tipico incriminato: in tal caso, l'esclusione del dolo deriva dall'assenza di un atteggiamento antidoveroso, poiché l'agente: a) conosce la norma penale e...; b)... non ha l'intenzione di violarla, ma vuole (e crede) di realizzare un fatto diverso da quello incriminato, senza arrecare offesa al bene protetto: si pensi, ad es., al soggetto che prelevi in aeroporto una valigia altrui, avendola scambiata per quella propria, ovvero al cacciatore che spara ad una persona nascosta dietro una siepe, credendo si tratti di selvaggina. Per assumere rilevanza di causa di esclusione della punibilità (Cass. III, n. 37837/2014), l'errore di fatto deve essere essenziale, cioè riguardare uno degli elementi costitutivi del reato, ovvero la condotta, gli elementi di fatto precedenti o concomitanti rispetto ad essa (caratteristiche del soggetto passivo, strumento utilizzato, oggetto materiale, tempo o luogo della condotta), l'evento (non anche le diverse modalità del suo verificarsi: Cass. I, n. 16264/1990), il nesso di causalità. La dottrina ha precisato che “l'errore sul fatto è rilevante quando cade su uno o più elementi descrittivi (accessibili ad un accertamento dei fatti, anche senza riferimento a norme: es. uomo, cosa), oppure su uno o più elementi normativi (comprensibili solo sul presupposto logico di una norma: es. altruità, distrazione, atto pubblico, segreto) costitutivi del reato, non invece quando cade su elementi non essenziali del reato stesso. Così, l'idoneità dell'oggetto dell'azione, intesa come sintesi di dati di qualità, identificanti il medesimo oggetto, non appartiene al fatto e l'errore su di essa è perciò irrilevante (error in persona, error in obiecto); diversamente, sarà rilevante l'errore per il quale l'agente non «afferri» il significato dell'oggetto dell'azione in termini congruenti con l'elemento essenziale del reato (es. A dà uno schiaffo ad una bimba ritenendola una bambola da cui si sente fissato: niente dolo di percosse)” (Romano, 461). Non sarebbe, ad es., rilevante, ai fini della non punibilità, l'errore di chi abbia sparato alla vittima, confondendola per il proprio nemico: la norma che vieta l'omicidio (art. 575) vieta infatti l'uccisione di ogni essere umano, non quella di un determinato soggetto. L'errore di fatto (sul fatto) esclude il dolo e, quando scusabile (ovvero non colposo) la colpa: peraltro, se l'errore è inescusabile (cioè è determinato da colpa), esso esclude il solo dolo, ma non la punibilità a titolo di colpa (se il fatto è previsto dalla legge come reato colposo: art. 47, comma 1, ult. parte): ad es., se l'errore del cacciatore che abbia ucciso la vittima scambiandola per selvaggina è dovuto a colpa, il cacciatore risponderà di omicidio colposo; diversamente, non risponderà di alcun reato chi abbia prelevato l'altrui valigia per colpa, poiché il furto colposo non è previsto come reato. Ciò vale, naturalmente, anche in relazione alle contravvenzioni, di massima punibili anche a titolo di colpa. Inoltre, l'errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità dell'agente un reato diverso (art. 47, comma 2): “ciò avviene quando il fatto di reato abbia un elemento specializzante rispetto ad un altro reato (rapporto tra fattispecie speciale e fattispecie generale) e su tale elemento cada l'errore dell'agente” (Romano, 462). Si pensi, ad es., al soggetto che abbia ingiuriato Tizio, credendolo un privato cittadino, e non un magistrato in udienza (art. 343). Non basta il mero dubbio su una circostanza di fatto che costituisce elemento essenziale della fattispecie criminosa ad escludere il dolo, e quindi la punibilità dell'agente, in quanto, «mentre l'errore determina il convincimento circa l'esistenza di una situazione che non corrisponde alla realtà, chi agisce nel dubbio è invece consapevole di potersi esporre a violare la legge, cosicché il compimento dell'azione comporta l'accettazione del rischio nella causazione dell'evento, concretizzando così una forma di responsabilità a titolo di dolo eventuale» (Cass. III, n. 37837/2014: fattispecie nella quale la S.C. ha giudicato corretta la condanna di soggetto imputato di prostituzione minorile per condotte anteriori all'introduzione dell'art. 602-quater e perpetrate nonostante il dubbio circa la minore età della persona offesa). Premesso che nell'omicidio del consenziente (art. 579) il consenso è elemento costitutivo del reato, la giurisprudenza ha ritenuto che, nei casi in cui il reo sia incorso in errore circa la sussistenza del consenso, trova applicazione la previsione dell'art. 47, con la conseguenza che l'errore predetto non esclude la punibilità per un reato diverso, nel caso di specie individuabile nel delitto di omicidio volontario (Cass. I, n. 12928/2016). L'errore su legge extrapenaleLegge diversa da quella penale, od extrapenale, ai sensi dell'art. 47, comma 3, è quella «destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa richiamata neppure implicitamente» (Cass. VI, n. 25941/2015: fattispecie relativa al reato di cui all'art. 328 c.p., in riferimento alla quale la S.C. ha escluso che l'art. 25 l. n. 241 del 1990 — che disciplina il diritto di accesso ai documenti amministrativi, consentendone al soggetto interessato non solo l'esame, la anche l'estrazione di copia — costituisca legge extrapenale; conforme, Cass. VI, n. 14011/2015, per la quale l'art. 76 d.P.R. n. 115/2002 — che disciplina la materia del patrocinio a spese dello Stato ed è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui all'art. 95 stesso d.P.R. — non costituisce legge extrapenale): si pensi, ad esempio, alle norme di diritto civile che definiscono i concetti di «altruità», «possesso», «detenzione» della cosa, rilevanti in tema di reati contro il patrimonio, ovvero a quelle che regolano l'esercizio di determinate professioni, richiamata dall'art. 348 (che prevede il reato di esercizio abusivo di una professione). L'orientamento assolutamente dominante in giurisprudenza (Cass. V, n. 2174/2000; Cass. II, n. 17205/2002) distingue, nell'ambito delle norme extrapenali, quelle che integrano il precetto penale e quelle che non lo integrano; conseguentemente, l'errore su legge extrapenale potrà incidere: a) sulla struttura del reato ovvero su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotti nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa: proprio perché tali elementi, richiamati ed incorporati — implicitamente od esplicitamente — nella norma incriminatrice, determinano il contenuto del comando penale, in tal caso l'errore investe il precetto penale, ed esclude, pertanto, la responsabilità penale soltanto se derivante da ignoranza inevitabile (art. 5). Si pensi, ad es., alla definizione di «imprenditore» (art. 2082 c.c.) che integra le norme incriminatrici di cui agli artt. 216 s. l. fall.; all'errore sulla qualifica qualifica demaniale di un'area o terreno, che “non esclude l'elemento psicologico del reato di occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo [art. 1161 c. nav.], in quanto (...), in relazione alla indicata fattispecie, tale legge risulta incorporata in via esplicita nella disposizione penale” (Cass. III, n. 22813/2004); all'errore sulle norme sul diritto d'autore che affermano l'illegittimità della pratica di duplicazione abusiva di Vhs e Dvd, “posto che i riferimenti normativi per stabilire l'abusività della duplicazione delle cassette e la illiceità penale della stessa formano con la disposizione dell'art. 648 c.p., nel punto ove menziona quale oggetto del reato «denaro o cose provenienti da qualsiasi delitto» un contesto unitario, un tutt'uno” (Cass. II, n. 148/1994); b) su norma destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, non richiamata né inserita — né esplicitamente né implicitamente — nella norma penale: l'errore su un tale elemento si risolve in un errore sul fatto, che, secondo quanto stabilito dall'art. 47, comma 3 (ed 1), esclude il dolo e, se non colposo, anche la colpa: “l'errore su legge diversa da quella penale non rileva nel caso di norme da ritenersi incorporate nel precetto penale, fra le quali, tuttavia, non vanno annoverate quelle che — come nel caso delle norme privatistiche che disciplinano il trasferimento della proprietà — siano destinate in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale” (Cass. II, n. 17205/2002: fattispecie nella quale la S.C. ha ravvisato gli estremi dell'errore scusabile su legge extrapenale risolventesi in errore sul fatto, in un caso in cui all'imputato erano stati addebitati i reati di cui agli artt. 632 e 639 per avere egli apposto dei cordoli di cemento su di un'area da lui erroneamente ritenuta di sua proprietà). Sempre esemplificando, con riguardo al reato di bigamia (art. 556 c.p.), sono immaginabili un errore su legge extrapenale: - incidente sul precetto e quindi disciplinato ex art. 5: è il caso dell'agente che, avendo contratto un primo matrimonio concordatario, ed essendo consapevole dei conseguenti effetti civili, si sia risposato civilmente ritenendo, per errore, che l'art. 556 glielo consentisse; - ovvero incidente sul fatto e quindi disciplinato ex art. 47, comma 3: è il caso dell'agente che si sia nuovamente sposato, ritenendo, per errore sulla legge civile, che il precedente matrimonio concordatario non producesse anche effetti civili. Nel primo caso, infatti, l'agente vuole effettivamente contrarre un secondo matrimonio, nella consapevolezza che dal primo matrimonio derivano effetti civile: il suo errore (inescusabile, avendo egli il dovere di accertare con precisione il tenore delle norme in tema di matrimonio) riguarda il divieto posto dalla norma incriminatrice; nel secondo, l'agente non vuole violare la norma incriminatrice, poiché contrae nuove nozze ritenendo di non essere già legato da un matrimonio produttivo di effetti civili, e quindi errando sul fatto. Si osserva, in particolare, che “l'errore scusabile ai fini dell'elemento intenzionale del reato, oltre che ad incidere sul fatto costituente reato, deve discendere dall'erronea interpretazione di una legge extrapenale e cioè deve cadere su una norma destinata esclusivamente a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, né richiamati, esplicitamente o implicitamente, dalla norma penale, in quanto tale legge, inserendosi nel precetto ad integrazione della fattispecie criminosa, concorre a formare l'obiettività giuridica del reato, con la conseguenza che l'errore che ricade su di essa non può avere efficacia scusante al pari dell'errore sulla legge penale vera e propria” (Cass. IV, n. 14819/2004: nella fattispecie, è stato escluso il profilo dell'errore con riferimento al reato di furto, perché non contiene alcun riferimento, diretto o indiretto, a norme extrapenali). Invero, proprio l'art. 47, comma 3, nell'escludere la punibilità soltanto ove l'errore su legge extrapenale abbia cagionato «un errore sul fatto che costituisce reato», legittima la distinzione tra l'errore su legge extrapenale incidente sul fatto e quello incidente sul divieto (quest'ultimo sicuramente non disciplinato dalla norma citata, e riconducibile all'art. 5): “considerare dunque l'art. 47, comma 3, come norma regolatrice di ipotesi particolari di errore su legge penale non appare fondato. A questa conclusione, secondo cui il comma 3 sarebbe una deroga all'art. 5 (poiché disciplinerebbe veri e propri errori su legge penale con efficacia scusante), perviene invece la maggior parte della dottrina italiana, secondo la quale il comma 3 prevederebbe un errore sulla fattispecie legale astratta (...): ciò perché da un lato sarebbe concettualmente impossibile distinguere tra norme extrapenali integratrici (per le quali valga la irrilevanza dell'ignoranza o errore di cui all'art. 5) e norme extrapenali non integratrici (alle quali sia da riferire l'errore disciplinato dall'art. 47, comma 3), dall'altro non sarebbe pensabile che un errore di diritto cagioni un errore sul fatto se non cadendo su una norma che concorra a configurare la fattispecie astratta»; al contrario, è proprio il sistema vigente ad imporre la distinzione «fra leggi extrapenali integratrici (da assimilare nel trattamento all'ignoranza o errore sul divieto: art. 5) e leggi extrapenali non integratrici (quelle dell'art. 47, comma 3) si ricava dalla constatazione che talvolta la norma extrapenale concorre effettivamente con la norma incriminatrice alla definizione del singolo tipo di illecito, integrandone la descrizione legale mediante l'aggiunta o la specificazione di elementi da intendere come essenziali; mentre altre volte la norma extrapenale non aggiunge nulla al tipo di illecito né specifica nulla di esso, non lo arricchisce di alcun contenuto, non si pone in alcun modo come «garante» del «senso del divieto» espresso dalla norma incriminatrice” (Romano 463 s.). In sintesi: a) l'errore su norma extrapenale incidente sul precetto posto dalla norma incriminatrice è soggetto alla disciplina dettata dall'art. 5; b) l'errore su norma extrapenale incidente sul fatto esclude sempre la responsabilità per dolo, non anche quella per colpa, che residua se (b1) l'errore è inescusabile e (b2) il reato è punito anche a titolo di colpa (art. 47, commi 3 ed 1: resta salva la responsabilità per il fatto diverso, prevista dall'art. 47, comma 2). Anche la giurisprudenza chiarisce che l'errata interpretazione di una legge diversa da quella penale, cui fa riferimento l'art. 47, ultimo comma, ai fini dell'esclusione della punibilità, deve essere sempre originata da errore scusabile (Cass. II, n. 43309/2015). Si è ritenuto che l'errore sulla qualifica demaniale di un'area o terreno non esclude l'elemento psicologico del reato di occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo, in quanto ai sensi dell'art. 47, la punibilità è esclusa solo in riferimento all'errore su «legge diversa da quella penale», intendendosi per legge diversa solo quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non implicitamente richiamata in una norma penale, mentre, in relazione alla indicata fattispecie, tale legge risulta incorporata in via esplicita nella disposizione penale (Cass. III, n. 22813/2004). Si è da ultimo osservato che non integra un errore di fatto che esclude la colpevolezza, ex art. 47, ma un errore di diritto, irrilevante ai sensi dell'art. 5 c.p., salva l'ignoranza inevitabile, la convinzione di aver commesso il fatto per interrompere un altrui comportamento ritenuto erroneamente illecito (Cass. V, n. 2892/2020: la S.C. ha confermato la condanna per violenza privata posta in essere da un componente di un comitato religioso che aveva impedito un'attività di volantinaggio, pienamente legittima ma che egli considerava illecita). Le ipotesi controverseL’errore sulla regola cautelare nei reati colposi Ai fini della configurabilità della responsabilità per colpa per la mancata attuazione di una misura atta a eliminare una situazione di rischio, non occorre che l'agente abbia conoscenza della situazione di pericolo e della regola cautelare da adottare, essendo sufficiente la loro conoscibilità, e rilevando l'ignoranza incolpevole soltanto della prima, in quanto l'errore sulla regola cautelare non integra errore sul fatto (Cass. IV, n. 32899/2021). L'errore sulla qualificazione soggettiva nei reati propri Di massima, l'errore del soggetto investito di una determinata qualifica sull'effettività di essa non giova a discriminarlo, perché esso si risolve in una inammissibile ignoranza della legge (Cass. VI, n. 8333/1980; Cass. V, n. 2174/2000). Ad es., l'imprenditore che, per errore sulla normativa civilistica di settore, ritenga di non essere tale, e ponga in essere i fatti puniti dalla norma che vieta la commissione di fatti di bancarotta, vuole fatti identici a quelli vietati dalla norma incriminatrice, nell'erronea convinzione di poter agire impunemente: troverà, pertanto, applicazione la disciplina dettata dall'art. 5 c.p. Peraltro, anche con riguardo ai reati propri è possibile enucleare errori che hanno diversa incidenza, e, conseguentemente, diversa disciplina (Romano, 467): a) è configurabile un mero (e scusabile ex art. 47, comma 1) errore di fatto (“es. l'amministratore di società ritiene intervenuta una delibera di revoca nei suoi confronti per un errore di computo dei voti)”; b) è configurabile un errore su norma extrapenale non integratrice del precetto, scusabile ex art. 47, comma 3 (“es. su una legge amministrativa che regola il momento della nomina nell'organico della P.A.)”. In quest'ultimo caso, residuerebbe la punibilità (anche a titolo di dolo) per il corrispondente reato comune (es., per l'estorsione, ove l'errore sulla qualifica abbia reso non punibile la concussione). L'errore su norme penali in bianco In presenza di norme penali in bianco “gli elementi costitutivi del reato risultano unendo alla norma contenente la sanzione la norma di «riempimento» contenente il precetto. Ciò posto, l'art. 47 si applicherà di conseguenza: l'errore su un elemento del fatto storico congruente con il modello legale così ricavato escluderà il dolo; l'errore sulla (come l'ignoranza della) esistenza o sull'interpretazione della norma di «riempimento» (così come l'errore o l'ignoranza circa l'esistenza o l'interpretazione della norma contenente la sanzione) sarà rilevante nei limiti di cui alla nuova versione dell'art. 5. Si noti che tale conclusione vale solo per le norme effettivamente in bianco, che cioè ricevono un completamento da norme in senso proprio, intese come disposizioni generali ed astratte; quando la norma rinvii invece a prescrizioni o ordini individuali e concreti, oltre al «contenuto» appartiene al fatto anche la stessa esistenza della concreta prescrizione od ordine (es. rilevante ex art. 47 l'errore del datore di lavoro sull'emanazione dell'ordine del giudice ex art. 28, comma 4, Statuto dei lavoratori [con conseguente non punibilità della contravvenzione ex art. 650 c.p.])” (Romano, 460). L'orientamento assolutamente consolidato in giurisprudenza ritiene, in linea di principio, che l'errore su norme penali in bianco sia parificabile a quello ricadente sulla norma penale, e non abbia, pertanto, valore scriminante in base all'art. 47 (Cass. VI, n. 1632/1997, relativa al reato di cui all'art. 348 c.p., in fattispecie riguardante la normativa disciplinante l'attività sanitaria, in ordine alla quale si assumeva da parte della difesa che l'imputato, biologo accusato del predetto reato per avere praticato un prelievo di sangue venoso a fini di analisi, fosse incorso in errore; Cass. VI, n. 47028/2009, per la quale costituisce ignoranza inescusabile della legge penale la mancata conoscenza dei limiti di attività autorizzati dalla disciplina normativa del titolo professionale conseguito: fattispecie in cui un massoterapeuta è stato ritenuto responsabile di esercizio abusivo della professione medica e di quella di fisioterapista, per aver improvvisato diagnosi ed esaminato radiografie e referti, eseguendo massaggi per lenire e curare diverse patologie, secondo un proprio programma di sedute). L'errore sulla c.d. antigiuridicità speciale Nei casi di c.d. antigiuridicità od illiceità speciale, l'errore sulla norma extrapenale che costituisce presupposto delle connotazioni di antigiuridicità si risolve in un errore sul fatto, ed esclude (ex art. 47) il dolo dell'agente, per difetto di consapevolezza dell'illiceità della condotta: invero, l'agente, per errore sulla norma extrapenale richiamata, ritiene di agire legittimamente, di porre un essere un fatto diverso da quello tipico vietato dalla norma incriminatrice (nel medesimo senso, in dottrina, Romano 1995, 467 s.). Peraltro, in senso contrario, si è ritenuto in giurisprudenza che “le disposizioni legislative che disciplinano i doveri del custode di cose sequestrate non hanno natura di norma extrapenale poiché l'art. 328 con l'avverbio «indebitamente» recepisce ogni violazione delle regole riguardanti l'attività dei singoli pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio” (Cass. VI, n. 11156/1989: nella specie trattavasi di custode di cosa sequestrata, rifiutatosi di consegnare la res a persona — diversa dall'imputato —, in favore della quale era stata ordinata la restituzione. Ha osservato la Corte che l'art. 48 disp. att. c.p.p., nel prevedere il preventivo pagamento delle spese di custodia e nel disciplinare come espressa eccezione il caso della restituzione a persona diversa dal prevenuto, integra il precetto penale: non può quindi essere invocato l'errore su legge extrapenale). CasisticaArmi, munizioni ed esplosivi Non esclude il dolo del delitto di detenzione illegale di arma l'erroneo convincimento dell'agente circa l'obbligo di denunciare il possesso dell'arma all'autorità competente, trattandosi di errore su norme che integrano il precetto penale e non possono quindi essere ricondotte alla disciplina di cui all'art. 47, comma 3, c.p. (Cass. VI, n. 33875/2014). Si è, inoltre, ritenuto che il dolo del delitto di detenzione illegale di arma non è escluso dall'erroneo convincimento dell'agente circa l'obbligo di denunciare il possesso dell'arma all'autorità competente, trattandosi di errore su norme che integrano il precetto penale e non possono quindi essere ricondotte alla disciplina di cui all'art. 47, comma 3, c.p. (Cass. VII, n. 24231/2019: fattispecie relativa alla detenzione illegale di una pistola da parte di una vedova il cui marito aveva denunciato - e successivamente rottamato - un'altra pistola avente matricola diversa rispetto a quella che la donna comunque non aveva denunciato in sede di successione); in tema, si è successivamente precisato che, in caso di morte del soggetto che ha denunciato il possesso di un'arma alla competente autorità, grava sull'erede l'obbligo di ripetere tale denuncia, anche quando l'accettazione dell'eredità sia avvenuta con beneficio di inventario che ha il solo effetto di tenere separati, ai fini civilistici, il patrimonio del de cuius e quello dell'erede (Cass. I, n. 15199/2020). L'errore di fatto sull'inefficienza dell'arma illegalmente detenuta ha efficacia scriminante, ai sensi dell'art. 47 solo quando attiene alla completezza ed interessa l'arma stessa in ogni sua parte essenziale, non quando riguarda un difetto di funzionamento (Cass. I, n. 16221/2020: fattispecie relativa ad illecita detenzione di un'arma antica, risultata inefficiente ma riparabile da un armaiolo). Circolazione stradale La segnaletica di località sia di inizio che di fine centro abitato, in virtù del combinato disposto di cui agli art. 131 commi 4 e 6 d.P.R. n. 495 del 1992, incide direttamente sulla disciplina della guida in riferimento al limite di velocità, di guisa che l'errore sulla interpretazione di detta segnaletica, tipizzata per forme e colori, si risolve in un irrilevante errore di diritto, sub specie di errore su norma extrapenale che integra la norma penale — nella specie la previsione di cui all'art. 589 — ai sensi dell'art. 47, comma 3 (Cass. IV, n. 6405/2012: fattispecie relativa alla responsabilità dell'imputato, in ordine al reato di cui all'art. 589, nella quale si è escluso che un cartello che non risponde alle caratteristiche tipizzate dalla legge e recante la dicitura 'arrivederci a..." valga ad ingenerare nell'automobilista il legittimo convincimento di essere fuoriuscito dal perimetro urbano, integrando l'errore scusabile). Obblighi di prevenzione In tema di contravvenzione agli obblighi derivanti dalla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, la persona sottoposta alla misura non può invocare a sua giustificazione l'errore sul fatto che costituisce il reato, se l'errore medesimo cade sul contenuto delle prescrizioni del decreto di sorveglianza, giacché in tal caso esso non riguarda un elemento materiale del reato, bensì l'interpretazione del provvedimento impositivo degli obblighi, così da restare del tutto ininfluente ai fini dell'applicazione dell'esimente di cui all'art. 47 (Cass. I, n. 29165/2008: fattispecie nella quale il sorvegliato riteneva di potere indifferentemente dimorare presso la propria abitazione e presso quella del padre, domicili che aveva indicato l'uno dopo l'altro all'autorità di p.s.; conforme, Cass. I, n. 42795/2017, per la quale l'erronea opinione dell'imputato circa la necessità della prescritta autorizzazione preventiva per allontanarsi dal comune di residenza non si configura come errore su legge diversa da quella penale, costituendo invece un errore di diritto inescusabile). Esercizio abusivo di attività finanziaria In tema di esercizio abusivo di attività finanziaria (art. 132 d.lgs. n. 385/1993), si è ritenuto che la sussistenza del dolo non è esclusa dalla finalità benefica della attività finanziaria e dal ragionevole affidamento nella sua liceità, in quanto esso non realizza un errore sul fatto ma un errore sul divieto, irrilevante, salva l'ignoranza inevitabile, ai sensi dell'art. 5 (Cass. V, n. 18317/2017). Reati tributari In tema di reati tributari, la giurisprudenza ha osservato che, ai fini dell'integrazione del reato di dichiarazione infedele (art. 4 d.lgs. n. 74/2000), la mancata conoscenza, da parte dell'operatore professionale, della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell'art. 5 c.p., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extrapenale, tale da far ritenere l'ignoranza inevitabile (Cass. VII, n. 44293/2017: in applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la condanna dall'imputato imprenditore, ritenendo non scusabile l'invocata mancata conoscenza delle prescrizioni contenute nell'art. 8 d.P.R. n. 633/1972 riguardanti le cessioni all'esportazione non imponibili). Ai fini dell'integrazione del reato di dichiarazione infedele, previsto dall'art. 4 d.lgs. 74 del 2000, la mancata conoscenza, da parte dell'operatore professionale, della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell'art. 5 c.p., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extrapenale, tale da far ritenere l'ignoranza inevitabile (Cass. III, n. 23810/2019: in applicazione del principio, la S.C. ha considerato inapplicabile anche l'art. 47 nel caso di errore sulla efficacia sanante della dichiarazione integrativa rispetto a quanto riportato falsamente nella dichiarazione originaria annuale). Errore e buona fede nelle contravvenzioniLa disciplina dettata dall'art. 47 si applica sia ai delitti che alle contravvenzioni: tuttavia, poiché queste ultime sono di norma punibili a titolo di colpa, l'errore sul fatto ne esclude la punibilità soltanto se incolpevole, non anche se dovuto a negligenza, imprudenza, imperizia. La responsabilità per la contravvenzione viene meno soltanto qualora l'agente versi in buona fede circa la liceità del proprio comportamento, che assume rilevanza se si traduce (a causa di un elemento positivo estraneo all'agente) in uno stato soggettivo tale da escludere anche la colpa: la buona fede è configurabile soltanto se la mancata coscienza della illiceità del fatto derivi non dall'ignoranza o dall'erronea interpretazione della legge penale (che potrebbe assumere rilevanza soltanto nei limiti consentiti dall'art. 5) ma da un elemento positivo esterno, cioè da circostanze di apparente legalità, che inducano incolpevolmente un uomo di comune diligenza a ritenere lecita la propria azione od omissione (Cass. III, n. 172/2008: fattispecie relativa a costruzione in assenza di concessione, nella quale non è stata ritenuta idonea a dimostrare la buona fede circa la natura vincolata dell'area, la necessità di accertamento, da parte del Comune, in sede di procedura di condono, dell'esistenza o meno di vincoli; Cass. III, n. 49910/2009: fattispecie nella quale è stata ritenuta la buona fede del presunto contravventore, indotta dal comportamento della P.A. che, richiesta dell'autorizzazione ad un'attività di smaltimento rifiuti, ne aveva ripetutamente confermato la non necessità; Cass. III, n. 42021/2014: fattispecie relativa a violazione della normativa sui rifiuti, in cui la Corte ha escluso che l'invocata buona fede del ricorrente possa derivare da un fatto negativo, quale la mancata rilevazione, da parte degli organi di vigilanza e controllo, di irregolarità da sanare; Cass. I, n. 47712/2015: fattispecie nella quale la S.C. ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna dell'imputato, che, nel denunziare l'arma ereditata dal padre, non aveva indicato le munizioni in suo possesso, in ciò indotto da una nota dell'ufficio di p.s., che esentava dall'obbligo anzidetto sino ad un limite di 200 munizioni). Nel medesimo senso, secondo l’orientamento più recente (Cass. IV, n. 14077/2024), la buona fede che, nei reati contravvenzionali, esclude l'elemento soggettivo ben può derivare da un fattore positivo correlato a un comportamento dell'Autorità amministrativa preposta alla tutela dell'interesse formante oggetto della disposizione normativa, idoneo a determinare nel trasgressore uno scusabile convincimento circa la liceità della condotta tenuta, ma tale principio dev'essere, comunque, valutato alla luce della gerarchia delle fonti di normazione e della conoscenza di esse che può discendere dal ruolo rivestito dal predetto agente. L'imputato deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per osservare la norma violata senza che ciò integri alcuna inversione dell'onere della prova, a lui spettando provare il contenuto dell'eccezione difensiva rispetto alla prova della colpa fornita dall'accusa (Cass. I, n. 13365/2013; fattispecie nella quale la S.C. ha confermato la condanna dell'imputato che, accusato di aver trasportato a bordo di un'autovettura non di sua proprietà un coltello a serramanico, non avesse dimostrato di aver compiuto quanto era nelle sue possibilità per osservare la norma violata, giacché l'arma bianca era collocata nel vano porta oggetti posto al suo fianco e, dunque, ben visibile e prontamente utilizzabile). L'elemento soggettivo del reato contravvenzionale non è escluso dall'errore sull'estensione di un'autorizzazione rilasciata per lo svolgimento di un'attività di gestione di rifiuti, perché si tratta di errore sul precetto che non integra lo stato di «buona fede» (Cass. III, n. 11497/2011). L'errore del soggetto non imputabileL'errore commesso dai soggetti non imputabili può assumere distinte connotazioni: (a) l'errore c.d. patologico è condizionato proprio dal difetto di imputabilità (si pensi al paranoico che uccida il suo presunto persecutore, credendo che questi stia per aggredirlo), e resta assorbito in esso: “non è pertanto prospettabile l'errore sul fatto costituente reato perché il giudizio sulla volontà, che si dovrebbe ritenere viziata dall'erronea rappresentazione della realtà, presupporrebbe quella capacità di intendere e di volere, nella specie esclusa, mentre la falsa rappresentazione non sarebbe espressione di una errata valutazione, ma di uno stato delirante dovuto a malattia mentale” (Cass. VI, n. 979/1985). La conseguenza, in termini pratici, è che al proscioglimento dell'agente per difetto di imputabilità potrà accompagnarsi l'applicazione di una misura di sicurezza; b) tutti gli altri errori, non condizionati dalla causa di non imputabilità (si pensi, ad es., all'infermo di mente che si impossessi della valigia altrui perché simile alla propria), restano disciplinati dall'art. 47. Con specifico riguardo ai reati commessi dall'ubriaco, si è chiarito in giurisprudenza (con affermazione di principio di portata generale) che il dolo è escluso dal solo errore sul fatto determinato da una causa indipendente dall'ubriachezza, poiché, con riguardo agli errori cagionati dal predetto stato, “la presunzione di sopravvivenza della capacità di intendere e di volere non può non estendersi alle possibilità di percezione e di rappresentazione della realtà” (Cass. I, n. 1123/1971; Cass. VI, n. 8873/1975). Ed anche la colpa “non potrà accertarsi valutando a favore le condizioni anomale in cui si trovava l'agente in quel momento, dovendosi considerare piuttosto quale sarebbe stata la sua capacità personale in condizioni di sobrietà” (Romano, 57). Profili processualiOnere della prova ed onere di allegazione La giurisprudenza ha osservato che, nell'ordinamento processuale penale, non è previsto un onere probatorio a carico dell'imputato, modellato sui principi propri del processo civile, ma è, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale l'imputato è tenuto a fornire all'ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all'accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore, fra i quali possono annoverarsi le cause di giustificazione, il caso fortuito, la forza maggiore, il costringimento fisico e l'errore di fatto (Cass. II, n. 20171/2013). Si è ritenuto che, per l'imputato, non è sufficiente affermare di non avere avuto la consapevolezza su un elemento costitutivo del reato che caratterizza il fatto tipico, poiché ricade su chi invoca l'errore l'onere di provare — o almeno di allegare elementi specifici che consentano una verifica dell'assunto — di aver agito presupponendo una realtà diversa da quella effettiva (Cass. III, n. 949/2015: fattispecie in tema di ignoranza dell'età della persona offesa del reato di prostituzione minorile commesso in epoca antecedente all'introduzione dell'art. 602-quater). Motivi nuovi di impugnazione I motivi nuovi di impugnazione devono essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall'impugnazione principale già presentata, essendo necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari. (Cass. VI, n. 45075/2014: nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibili i motivi aggiunti di appello con cui era stata prospettata la sussistenza delle condizioni per ritenere l'imputato non punibile per errore sul fatto che costituisce il reato, ai sensi dell'art. 47, dopo che, nell'originario atto di impugnazione, erano stati dedotti motivi concernenti l'elemento materiale del reato, ed era stata sollecitata, nelle conclusioni, l'assoluzione dell'imputato con la formula «perché il fatto non sussiste» ovvero, in subordine, e senza addurre argomentazioni pertinenti in proposito, «perché il fatto non costituisce reato»). Subprocedimento cautelare reale Nel giudizio cautelare concernente il sequestro di immobili o terreni abusivamente lottizzati, la dedotta buona fede del terzo acquirente può essere oggetto di valutazione a condizione che risulti immediatamente evidente (Cass. III, n. 24435/2011: fattispecie nella quale il sequestro preventivo era stato disposto sull'area e sui manufatti ivi insistenti, acquistati da terzi asseritamente in buona fede, buona fede che però, non era risultata percepibile ictu oculi in presenza delle plurime violazioni riscontrate nel piano di lottizzazione e per la notevole sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulle vicende giudiziarie riguardanti le costruzioni in questione). BibliografiaDi Salvo, sub art. 47, in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da Lattanzi-Lupo, V, Aggiornamento, Milano, 2015. |