Codice Penale art. 55 - Eccesso colposo.Eccesso colposo. [I]. Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51,52,53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo [422, 43]. [II]. Nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all'articolo 61, primo comma, n. 5)ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto1. [1] Comma aggiunto dall'art. 2 l. 26 aprile 2019, n. 36, in vigore dal 18 maggio 2019. InquadramentoSecondo la nozione tradizionalmente accolta, l'eccesso colposo di cui alla norma in commento «ricorre allorché sussistono i presupposti di fatto di una causa di giustificazione, ma l'agente per colpa ne travalica i limiti» (Fiandaca-Musco, PG, 274; Cass. I, n. 33707/2018 - ha ritenuto non configurabile l'eccesso colposo in mancanza di una situazione di effettiva sussistenza della singola scriminante, di cui si eccedono colposamente i limiti).In terminis: Cass. III, n. 49883/2019; Cass. IV, n. 9463/2019; Cass. III, n. 30910/2018. Quanto alla natura giuridica, la dottrina più recente, non sembra più nutrire dubbi nel ritenere che i reati commessi eccedendo «colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'autorità ovvero imposti dalla necessità» si configurino come vere e proprie ipotesi di delitti colposi non soltanto quoad poenam ma anche quoad substantiam (Fiandaca-Musco, PG, 275; Romano, Commentario, 581; Pagliaro, 286; Siracusano§ 2; Antolisei, PG 1975, 300 però, classifica le ipotesi di eccesso colposo fra i casi eccezionali della cd. colpa impropria ossia quei casi in cui l'evento è voluto ma l'agente risponde di reato colposo a tutti gli effetti penale e non solo quoad poenam; Mantovani contesta la distinzione fra colpa propria ed impropria, essendo il concetto di colpa unitario).In terminis, Cass. I, n.1946/1981; Cass. I, n. 3571/1982. Alla teoria secondo la quale si tratterebbero di ipotesi di delitti dolosi equiparate solo quoad poenam ai delitti colposi in quanto l'evento è voluto (Pannain, Manuale, 752; Cass. I, 185/1969) si è replicato che, pur essendo vero che l'evento più grave può essere dall'agente previsto e voluto, «è pur vero, tuttavia, che la volontarietà del fatto è qui viziata da un errore inescusabile che si converte in una falsa rappresentazione dei confini entro i quali è consentito agire: mancando l'esatta conoscenza della situazione concreta, esula l'elemento conoscitivo del dolo» (Fiandaca-Musco, PG, 275; Pagliaro, PG, 287; in giurisprudenza, Cass. I, n. 4413/1999. La dottrina (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 259; Fiandaca-Musco, PG, 274; Romano, Commentario, 580; Siracusano, § 4) è sostanzialmente d'accordo nel rilevare che la norma in commento, prevede due situazioni: a) la colpa che cade sull'erronea valutazione della situazione scriminante ossia sui presupposti fattuali; ad es. l'agente credendo, erroneamente, che un aggressore che si accingeva a percuoterlo, avesse un'arma, reagisce uccidendolo: in tale ipotesi la colpa cade non sull'aggressione (che c'era) ma sull'entità della medesima. L'agente è, quindi, costituito in colpa in quanto «oggetto del rimprovero non è di avere voluto l'evento [...] bensì di averlo imprudentemente, negligentemente ecc. causato» (Romano, Commentario, 582). b) la colpa cade nella fase esecutiva della condotta; ad es. l'agente estrae una pistola per intimorire l'aggressore che stava per percuoterlo, ma nel maneggiarla, fa partire, inavvertitamente, un colpo che uccide l'aggressore. In tal caso, l'agente è costituito in colpa non per avere estratto la pistola per intimorire l'aggressore (la suddetta condotta, infatti, è scriminata perché stava per essere realmente aggredito) ma perché l'evento non voluto si verifica a causa di imperizia, negligenza o imprudenza nella condotta (Romano, Commentario, 582). Va ricordato che l'eccesso colposo è altresì previsto nelle ulteriori seguenti disposizioni normative: dall'art. 4 commi 1-sexies e 1-septies d.l. 4 novembre 2009, n. 152 conv. con modif., in l. 29 dicembre 2009, n. 197; art. 45 c.p.mil.p. Il campo d'applicazioneL'art. 55 prevede una situazione non solo al confine con l'ipotesi di cui all'art. 59 ma anche con altre situazioni fattuali che è bene tenere concettualmente differenziate. Il presupposto applicativo della norma. L'eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti a quest'ultima collegati, sicché, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della scriminante, bisogna, innanzitutto, accertare l'inadeguatezza della reazione difensiva, per l'eccesso nell'uso dei mezzi a disposizione dell'aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con valutazione ex ante - secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in sé considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere sé o altri da un’ingiusta aggressione - e, poi verificare che non si verta in un caso di eccesso volontario: Cass. I, n. 27595/2013 (in tema di legittima difesa); Cass. V, n. 33253/2015; Cass. IV, n. 24084/2018 (con nota di Mossa Verre). La suddetta linea interpretativa è rimasta immutata anche dopo della modifica della norma in commento introdotta dalla l. n. 36/2019. Cass. V, n. 40414/2019 ha, infatti, limpidamente chiarito che: «[…] va da sé che, se non è giuridicamente prospettabile l'esimente della legittima difesa, non è, concettualmente, ipotizzabile neppure l'eccesso colposo. Come è ovvio, l'eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti ad essa immanenti, sicché, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima accertare la inadeguatezza della reazione difensiva, per l'eccesso nell'uso dei mezzi a disposizione dell'aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con valutazione "ex ante", e, poi, procedere ad una ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell'eccesso colposo delineato dall'art. 55, mentre il secondo consiste in una scelta volontaria, la quale comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante; Cass. I, n. 23977/2022; Cass. V, n. 19065/2020. La differenza con l'eccesso volontario. L'eccesso consapevole e volontario consiste in una scelta volontaria, la quale comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante, sicché rientra nella disposizione dell'art. 55, solo l'eccesso dovuto a errore di valutazione. Infatti, la scelta deliberata di una determinata condotta, ancorché reattiva, la quale superi i limiti imposti dalla necessità della difesa, e non per precipitazione, imprudenza od errata valutazione delle circostanze di fatto, bensì per consapevole determinazione, esclude l'eccesso colposo perché radica la volontarietà dell'evento, che diviene semplicemente punitivo, trovando nella precedente azione altrui pretesto, non causale: Cass. I. n. 37289/2018; Cass. I, n. 27595/2013; Cass. IV, n. 36280/2012, sul controverso caso Aldrovandi;Cass. I, n. 45425/2005; Cass. I, n. 8773/1992. In dottrina Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 259, riconducono la suddetta ipotesi al caso dell'agente che, pur essendosi esattamente rappresentata la situazione scriminante e, pur avendo il pieno controllo dei mezzi esecutivi, abbia volontariamente realizzato un fatto antigiuridico eccedente la causa di giustificazione come ad es. chi, aggredito da una persona che voglia solo percuoterlo, pur avendo realizzato che l'unico pericolo che corre è quello, al più di essere percosso o di subire lesioni, impugni un'arma ed uccida l'aggressore. In tal caso, l'agente risponde di omicidio doloso; sul punto cfr. Cass. IV, n. 36280/2012, sul controverso caso Aldrovandi. La differenza con l'eccesso incolpevole. Tale è la situazione in cui è assente anche la colpa, sicché l'eccesso diventa assolutamente irrilevante, consentendo, quindi la configurabilità della scriminante: Cass. I, n. 7834/1987. In dottrina Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 260, adduce come esempio di tale situazione quella di chi, «aggredito da un energumeno disarmato che gli torce un braccio a rischio di spezzarlo, afferra una pistola e mira alle gambe dell'aggressore, ma questi inopinatamente si abbassa, viene colpito al ventre e muore». La differenza con l'errore sul fatto. Vedi sub art. 59. Problemi applicativiLe questioni applicative di natura pratica che si sono evidenziate rispetto all'art. 55 riguardano i seguenti casi: a) il consenso dell’avente diritto: la prima questione che si è posta, consiste nello stabilire se l’art. 55 si applichi anche all’art. 50 ed alle altre scriminanti speciali (ad es., la reazione legittima agli atti arbitrari del pubblico ufficiale, ex art. 393-bis), posto che di esse non vi è alcun cenno nella norma in commento che prevede espressamente le sole ipotesi di cui agli artt. 51,52,53 e 54. Sul punto la dottrina ritiene che la suddetta norma debba essere interpretata in modo estensivo. A tale conclusione, si è pervenuti argomentando sia dalla non tassatività dell'elencazione, sia, soprattutto dal fatto che l'art. 55 non è altro che un'applicazione dei principi generali in materia di colpa e di errore (Pagliaro, PG 286, che evidenzia la superfluità della norma; Fiandaca-Musco, PG, 275; Romano, Commentario, 583; Mantovani, PG 1979, 251). In giurisprudenza, si rinviene un unico precedente di merito, nel quale si è accolta la tesi estensiva: Pret. Arezzo, 24 marzo 1997, Giust. pen. 1997, II, 533, che ritenne il delitto di lesioni colpose a seguito di un intervento chirurgico il cui consenso risultava viziato da una inadeguata informazione sui rischi e sulle alternative possibili. b) le scriminanti putative: es. Tizio, credendo, erroneamente, di stare per essere aggredito da Caio, reagisce colpendolo a morte. In tale ipotesi, la dottrina, ritiene applicabile l’art. 55, in base al principio dell’equiparazione del putativo al reale, ex art. 59 quando «le cause stesse sono valutate a favore del soggetto che le ritenga esistenti — mentre in realtà non lo sono — per errore di fatto incolpevole: in materia, il putativo equivale quindi al reale »: Malizia, § 2; Pannain; Pagliaro, PG, 285; Romano, Commentario, 584. Cass. I, 298/1991 ha, invece, espressamente affermato che l'ipotesi della scriminante erroneamente ritenuta sussistente esula dalla disciplina dell'art. 55 , essendo riconducibile alla figura generale dell'art. 59 comma 4, «che implicitamente prevede anche una forma di eccesso: l'agente, cioè, opera nella erronea ma giustificata convinzione della esistenza di una scriminante, che nella realtà, non sussiste e che sarebbe quindi coperta dalla scriminante positiva ma, per colpa, non si rappresenti o non osservi i limiti della scriminante stessa e, concretamente li trascenda»; Cass. I, 3148/2013. c) la legittima difesa. In dottrina si ritiene che, poiché l'eccesso colposo costituisce, comunque, un'offesa ingiusta, si può reagire con la legittima difesa (Romano, Commentario, 585). In giurisprudenza Cass. I, 10111/1974, ha ritenuto che qualora, il derubato, inseguendo il ladro, arma in pugno, dopo l'abbandono della refurtiva, non si limiti ad intimargli il fermo ed a mantenere, nei suoi confronti, un atteggiamento genericamente minaccioso, ma tenti di lederne la integrità fisica o ponga comunque in essere atti suscettibili di essere interpretati, per errore scusabile, come diretti ad attentare alla incolumità personale del fuggitivo, questi può fruttuosamente invocare, a giustificazione della propria violenza, e sempre che concorrano tutti gli altri requisiti (attualità del pericolo, necessita cogente di difesa, rispetto del necessario criterio di proporzione), la legittima difesa, reale o putativa, non potendosi negare carattere di giustizia alla cennata offesa (effettiva o ragionevolmente opinata) da parte del derubato. Ove, poi, la reazione difensiva del ladro risulti sproporzionata alla gravita del pericolo (reale o incolpevolmente supposto), per eccesso dovuto a colpa, il fatto delittuoso commesso, se e preveduto dalla legge come delitto colposo, deve essere punito secondo le disposizioni concernenti i delitti colposi»; d) le contravvenzioni. La dottrina, argomentando dal disposto dell'art. 43 comma 2, ritiene che la disposizione in commento, nonostante in essa si parli solo di “delitto colposo”, si applichi anche alle contravvenzioni, in quanto «non vi è ragione alcuna di ritenere che la previsione del fato come delitto colposo indichi l'esclusione di una responsabilità a titolo di colpa per le contravvenzioni» (Romano, Commentario, 585; Pagliaro, PG, 285). La contraria opinione (Manzini, Trattato, II, 371), fa leva oltre che sulla lettera della legge anche sulla Relazione al codice nella quale il Guardasigilli, pur prendendo atto che, in astratto, la norma avrebbe potuto applicarsi anche alle contravvenzioni, rilevava che «non tutto ciò che è possibile e che può sembrare logico,è altresì opportuno. Con lo stabilire la responsabilità contravvenzionale nel caso ipotizzato dalla Commissione, si sarebbe fatta, in verità, cosa eccessiva [...]»; e)le circostanze: la tesi negativa in relazione all’applicabilità dell’art. 61 n. 3, argomenta dal fatto che la suddetta circostanza si applica solo ai delitti colposi e non quindi alle ipotesi di eccesso colposo, perché l'evento, comunque voluto, «non può essere semplicemente preveduto, e perché sarebbe contraddittorio rimproverare all'agente di avere errato nella valutazione della necessità ed anche di aver agito nonostante la previsione di un evento da lui ritenuto necessario» (Malizia § 4; Pannain, 1967, 754; Romano, 582; contra: Pagliaro, 286, il quale, pur ammettendo che all'accesso colposo solo di rado inerisce la suddetta aggravante, osserva che «l'evento significativo non è previsto dal soggetto se non nei casi in cui questi si rappresenti la possibilità di superare i limiti della scriminante». Quanto, invece, all'art. 62 n. 2 , parte della dottrina ritiene che l'attenuante della provocazione sia compatibile con fattispecie di eccesso colposo «non essendo ad essa essenziale la non volizione dell'evento» (Romano, 582; Manzini, Trattato, II, 271, secondo il quale, occorre avere presente la concreta situazione fattuale, richiamando, in tale modo, una datata sentenza secondo la quale «non si può escludere che l'autore di un delitto compiuto in stato di eccesso colposo di legittima difesa, possa avere agito anche perché sospinto da turbamento cagionato da precedenti fatti ingiusti»). A tale soluzione, si oppone altra dottrina secondo la quale, invece, poiché l'eccesso colposo postula la presenza di tutti gli estremi della causa di non punibilità, il medesimo si porrebbe «in contrasto con la provocazione la quale, presuppone una lesione verificata» (Pannain, Manuale, 754). In giurisprudenza: Cass. I, 26 novembre 1976 , motiva l'incompatibilità perché «nel caso di eccesso colposo si agisce per motivi di difesa e non per ragioni di ira»; Cass. V, n. 1989/1983. f) il tentativo. Lo si ritiene inammissibile perché il fatto previsto come conseguenza dell'eccesso colposo può essere punito soltanto come delitto colposo, sicché non vi potrebbe essere mai punibilità per il tentativo non essendo previsto, nell'ordinamento, un tentativo colposo (Pannain, 1967, 754; Malizia § 4). Cass. I, n. 22727/2007, ha affermato che il « tentativo di omicidio colposo non è previsto dal nostro ordinamento, essendo il tentativo, ai sensi dell'art. 56, un reato che presuppone la direzione univoca degli atti propria del dolo diretto, ontologicamente incompatibile con la colpa. g) la continuazione: anche in tal caso si ritiene la continuazione incompatibile con l’art. 55 «perché, anche se il reato è considerato doloso, nel caso di pluralità di azioni colposamente eccessive si può avere identità di determinazione, ma non di disegno «criminoso» (Malizia § 4); h) le pene accessorie: «le pene accessorie non possono essere inflitte in caso di condanna per delitto commesso per eccesso colposo di legittima difesa, trattandosi di reato a tutti gli effetti colposo»: Cass. I, n. 1946/1981; i) concorso di persone: «Il soggetto, che abbia avuto la piena consapevolezza di partecipare all'azione colposa di un altro imputato, per essere stato in definitiva l'istigatore, deve ritenersi responsabile a titolo di concorso improprio (art. 113 c.p..) anche in ordine al diverso evento, non voluto ma prevedibile, per avere egli stesso cooperato alla sua produzione con il proprio imprudente comportamento»: Cass. I, n. 7611/1981; l) risarcimento del danno: Nell'ipotesi in cui l'aggressore resti danneggiato dalla reazione di chi, agendo in stato di legittima difesa incorre in eccesso colposo, il fatto dell'aggressore resta causalmente estraneo all'eccesso, che è atto esclusivo dell'offeso in quanto l'azione antigiuridica che ha determinato la reazione difensiva dell'aggredito si connota con il ruolo di semplice occasione, rispetto all'eccesso. Di conseguenza, il danno subito dall’aggressore dev’essere interamente risarcito da costui (Cass. IV, n. 11840/1994); contra: Cass. I, n. 1751/1989 secondo la quale «il fatto dell'aggressore, avendo provocato la reazione difensiva della vittima, deve considerarsi come causa del danno a lui cagionato dall'aggredito, per cui trova applicazione l'art. 1227, primo comma, cod. civ., che stabilisce una ragionevole diminuzione del risarcimento nel caso di concorso del fatto colposo del danneggiato». Le nuove cause di non punibilitàL'art. 2 della l. 26 aprile 2019, n. 36, ha aggiunto all'art. 55 il seguente comma secondo: «Nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all'articolo 61, comma 1, n. 5), ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto». Si è, quindi, previsto un caso di deroga alla punibilità per eccesso colposo: infatti, anche nell'ipotesi in cui nella condotta dell'agente sia ravvisabile un comportamento colposo, la punibilità, nonostante la previsione del primo comma, è, appunto, esclusa a condizione che la reazione avvenga: a) nei casi di cui ai commi secondo e terzo (legittima difesa domiciliare); b) nel caso di cui al quarto comma (respingimento dell'intrusione); c) “in circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o la privata difesa” ex art. 61 n. 5: trattandosi di una circostanza avente natura oggettiva (si rinvia, sul punto, al commento dell'art. 61 n. 5), l'accertamento deve limitarsi a verificare solo la sussistenza dei suddetti elementi; d) “ovvero in stato di grave turbamento”: trattandosi di uno stato d'animo e, quindi, di uno stato di natura soggettiva, per valutarne la sussistenza al momento della reazione, non si può che ricorrere ad indici esterni e, pertanto, a concrete circostanze di fatto come ad es. le condizioni sia dell'agente che dell'aggressore, del tempo e del luogo dell'aggressione e ad ogni altra modalità dell'azione: in pratica, sembra, almeno in parte, una situazione sovrapponibile a quella dell'art. 61 n. 5 in quanto le oggettive situazioni in esso previste non possono non avere una refluenza anche sullo stato d'animo dell'agente (sul punto, Bacco; Roiati); e) “per la salvaguardia della propria o altrui incolumità”. In ordine a quest'ultima condizione, va osservato quanto segue. Sia nel caso della legittima difesa domiciliare (art 52, commi 2-3) che nell'ipotesi del respingimento dell'intrusione (art 52, comma 4), la causa di non punibilità ex art. 55, comma 2, è prevista solo ed esclusivamente nel caso in cui la reazione avvenga per difendere la propria o l'altrui incolumità. Di conseguenza, continua ad applicarsi la norma di cui all'art. 55, comma 1 (applicabilità delle disposizioni concernenti i delitti colposi): a) in caso di eccesso colposo nella reazione finalizzata a difendere i beni propri o altrui (art. 52, comma 2 lett. b); b) in caso di reazione - per difendere “la propria o l'altrui incolumità” – che avvenga, però, al di fuori dell'ipotesi di cui all'art. 61 n. 5 o dello stato di grave turbamento. Il secondo comma della norma in commento, è stato oggetto di una penetrante interpretazione da parte della Cass. III, n. 49883/2019. La Corte, dopo avere escluso che la nuova disposizione abbia codificato un'ulteriore scriminante in aggiunta a quelle già previste dagli artt. 50 ss., ha ritenuto che «si tratta, invece, di una situazione che, inserendosi nell'ambito di applicazione di una scriminante esistente, esclude la soggettiva imputabilità all'agente di condotte antigiuridiche colpose rispetto alle quali sia già stata accertata la violazione di una regola cautelare». Ad avviso della Corte, «La situazione codificata nell'art. 55, comma 2, si riferisce, tra le diverse cause di giustificazione, soltanto a quella della legittima difesa e, nell'ambito di questa, è ulteriormente circoscritta alle sole ipotesi in cui il fatto avvenga nei casi previsti dall'art. 52, commi 2, 3 e 4. Essa, inoltre, non si riferisce a tutte le possibili situazioni che, pur nei riferiti luoghi, possono dar luogo ad una difesa legittima, essendone stato delimitato il campo di applicazione con esclusivo riferimento a chi abbia "commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità", da ritenersi comprensiva dei casi di eccesso colposo commessi in legittima difesa di beni propri o altrui quando sia ragionevolmente ipotizzabile quel pericolo di aggressione personale considerato dall'art. 52, comma 2, lett. b). Laddove non sia neppure ipotizzabile che l'azione difensiva illecita ascritta a titolo di eccesso colposo possa essere stata determinata dall'intento di difendere l'incolumità dell'agente o di terzi - per essere la stessa esclusivamente riferibile alla difesa dei beni propri o altrui - la causa di non punibilità non è dunque configurabile [….] In secondo luogo, la nuova disposizione si colloca in una fattispecie di per sè certamente antigiuridica, per difetto della necessità della reazione in concreto tenuta, strutturalmente configurabile quale reato colposo rispetto al quale sussiste un profilo di rimproverabilità della condotta (altrimenti, il soggetto agente andrebbe già esente da responsabilità ai sensi della previsione di cui al comma 1). Mentre sul piano civile la condotta continua ad essere fonte di responsabilità - sia pur nella forma attenuata dell'indennizzo, piuttosto che in quella, piena, del risarcimento del danno: cfr. l'art. 2044 c.c., u.c., quale introdotto dall'art. 7, l. n. 36 del 2019 - sul piano penale essa viene invece ritenuta non punibile perchè i limiti imposti dalla necessità della reazione sono stati (colpevolmente) superati per avere il soggetto agito in stato di minorata difesa, ovvero di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto. Una volta positivamente compiuto il giudizio di soggettiva rimproverabilità effettuato con riguardo all'agente modello, dunque, ricorrendo le altre condizioni quali più sopra riepilogate, l'agente non sarà punibile laddove, alternativamente, ricorra una delle due, distinte, situazioni codificate». La Corte, quanto alle condizioni di cui all'art. 61, comma 1, n. 5), ha ritenuto che la disposizione, in buona sostanza, «recepisce quell'orientamento giurisprudenziale, nel tempo divenuto dominante, che richiede un giudizio sul profilo di colpa compiuto avendo riguardo anche alla concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue specifiche qualità personali, in relazione alle quali va individuata la specifica classe di agente modello di riferimento (Cass. IV, n. 20270/2019, Cass. IV, n. 53455/2018, Cass. IV, n. 49707/2014». Quanto allo stato di grave turbamento, la Corte, a livello sistematico, ha rammentato che, sebbene le situazioni psicologiche fondate su connotazioni emotive, normalmente vengono considerate ininfluenti ai fini della responsabilità penale (art. 90), tuttavia, in particolari casi, lo stesso codice riconosce talora rilievo, a situazioni emotive dell'agente che, pur non dipendenti da infermità, abbiano influito sulla sua capacità di autodeterminarsi, prevedendo circostanze attenuanti (v. art. 62, nn. 2 e 3) o addirittura cause di non punibilità (art. 599, comma 2). D'altra parte, la stessa giurisprudenza ha talvolta riconosciuto rilevanza agli stati emotivi o passionali ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sul rilievo che essi influiscono sulla misura della responsabilità penale (Cass. I, n. 7272/2013, Cass. I, n. 2897/1982). Alla stregua di tali considerazioni la Corte, ha, quindi, ritenuto che questa nuova causa di non punibilità, rappresenta una situazione codificata di inesigibilità della condotta che, in quanto espressamente prevista consente di ritenere superata quella giurisprudenza che, sotto il previgente regime, escludeva che potessero considerarsi sufficienti, ai fini della non punibilità, gli stati d'animo e i timori personali. Ad avviso della Corte, pertanto, poiché il "grave turbamento" dev'essere prodotto "dalla situazione di pericolo in atto", la situazione psicologica del soggetto agente dev'essere valutata alla luce di parametri oggettivi esistenti al momento del fatto: «Se, dunque, sono per un verso irrilevanti stati d'animo che abbiano cause preesistenti e/o diverse, d'altro lato occorrerà esaminare, con giudizio ancora una volta calibrato sulla globale considerazione di tutti gli elementi della situazione di specie, se, e in che misura, il pericolo in atto - per concretezza e gravità rispetto alla lesione dell'integrità fisica propria o altrui - possa aver determinato nell'agente un turbamento così grave da rendere inesigibile quella razionale valutazione sull'eccesso di difesa che costituisce oggetto del rimprovero mosso a titolo di colpa. Per poter fondare l'esclusione di responsabilità, peraltro, la gravità del turbamento non potrà non essere parametrata anche alla gravità del rimprovero che discenderebbe dall'applicazione degli ordinari parametri di ricostruzione del profilo di colpa. Ancora, utili parametri di riferimento per la valutazione della contingente situazione di turbamento possono essere costituiti dall'analisi circa la maggiore o minore lucidità e freddezza che hanno contraddistinto l'azione difensiva, anche nei momenti ad essa immediatamente precedenti e successivi». Cass. IV, n. 34345/2020, in una fattispecie in cui l’imputato - intervenuto in una normale lite tra madre e figlio, aveva cagionato lesioni personali alla donna - era stato condannato essendosi escluso che dalla suddetta lite potesse essere derivato nel soggetto agente un grave turbamento, ha enunciato il seguente principio: In tema di legittima difesa, lo stato di grave turbamento, che funge da presupposto, in alternativa alla minorata difesa, per l’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 55, comma secondo, c. p. come introdotto dalla legge 26 aprile 2019, n. 36, richiede che esso sia prodotto dalla situazione di pericolo in atto, rendendo, di conseguenza, irrilevanti stati d’animo che abbiano cause preesistenti o diverse e necessario, invece, da parte del giudice, un esame di tutti gli elementi della situazione di specie, per accertare se la concretezza e gravità del pericolo in atto possa avere ingenerato un turbamento così grave da rendere inesigibile quella razionale valutazione sull’eccesso di difesa che costituisce oggetto del rimprovero mosso a titolo di colpa; negli stessi termini, Cass. III, n. 49883/2019 (con note di Piva, Cairoli, De Lia), che ha indicato quali utili parametri, per la valutazione del turbamento, la maggiore o minore lucidità e freddezza che hanno contraddistinto l’azione difensiva; Cass. I, n. 23977/2022. Va, infine, rammentato che «in tema successione delle leggi nel tempo, gli effetti di uno "ius novum" più favorevole al reo (nel caso di specie, l'ampliamento della sfera scriminante di una causa di giustificazione) sono applicabili, in pendenza di giudizio, anche durante il periodo della "vacatio legis", in quanto la funzione di garanzia per i consociati, perseguita dagli artt. 73, comma 3, Cost. e 10 delle preleggi, prevedendo un termine per consentire la conoscenza della nuova norma, non preclude al giudice di tener conto di quella che è già una novazione legislativa»: Cass. I, n. 39977/2019. BibliografiaBacco: Il “grave turbamento” nella legittima difesa. Una prima lettura in Dir. pen. cont. n. 5/2019; Cairoli Alberto: Legittima difesa ed eccesso colposo: la riforma ex legge n. 36/2019 al vaglio della Corte Suprema in Arch. Pen., 2020, fasc, 2; De Lia Andrea: Brevi note a margine della legittima difesa domiciliare, tra spinte legislative securitarie, controspinte dottrinali ed incertezze giurisprudenziali in Cass. Pen., 2020, fasc, 10, 3572; Malizia, Eccesso colposo, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965; Mossa Verre: L’errore sulla legittima difesa e l’eccesso colposo: osservazioni a margine di un ‘caso da manuale in Dir.Pen.Cont. n. 4/2020, 185; Perrone: L’errore nella legittima difesa: dal criterio del difensore modello al giudizio ad personam? in Legislazione pen., 2/9/2019; Piva Daniele: Oggettivo e soggettivo nell'eccesso di difesa per "grave turbamento"., in Dir. Pen. e Proc., 2020, fasc. 5, 656; Roiati: Il grave turbamento emotivo e l’inesigibilità per contesto e tipo di autore in Arch. pen. 2020, n. 1; Siracusano, Eccesso colposo, in Dig. d. pen., IV, Torino, 1990. |