Codice Penale art. 57 - Reati commessi col mezzo della stampa periodica (1).Reati commessi col mezzo della stampa periodica (1). [I]. Salva la responsabilità dell'autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso [110], il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati [528, 565, 596-bis, 683, 684, 685], è punito, a titolo di colpa [43], se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo [57-bis, 58-bis]. (1) L'art. 1, l. 4 marzo 1958, n. 127 ha sostituito il testo originario dell'art. 57 con gli attuali artt. 57 e 57-bis. Il testo recitava: «Responsabilità per reati commessi col mezzo della stampa. [I] Per i reati commessi col mezzo della stampa si osservano le disposizioni seguenti: 1) qualora si tratti di stampa periodica, chi riveste la qualità di direttore o redattore responsabile risponde, per ciò solo, del reato commesso, salva la responsabilità dell'autore della pubblicazione; 2) qualora si tratti di stampa non periodica, del reato commesso risponde l'autore della pubblicazione, ovvero, se questi è ignoto o non è imputabile, l'editore, ovvero, se anche questi è ignoto o non è imputabile, lo stampatore». V. art. 3 l. 8 febbraio 1948, n. 47, nonché art. 30 3 l. 6 agosto 1990, n. 223. InquadramentoLa norma in commento, nella sua attuale formulazione novellata dall'art. 1 L. 4 marzo 1958, n. 127, contempla un'ipotesi di responsabilità per fatto proprio di natura omissiva del direttore o vice-direttore responsabile del giornale o di altro periodico per ogni reato commesso col mezzo della stampa (tra i tanti, Delitala); secondo l'orientamento prevalente, l'art. 57 configura, inoltre, un reato proprio e autonomo rispetto a quello commesso dall'autore della pubblicazione, avente struttura colposa e d'evento. Nella versione originaria, il direttore o il redattore responsabile rispondeva “per ciò solo” del reato commesso dall'autore della pubblicazione, vale a dire per il sol fatto di ricoprire tale qualità. Valorizzando l'inciso “per ciò solo”, si è quindi sostenuto — da parte di alcuni Autori — che l'art. 57 c.p. configurasse una forma di responsabilità oggettiva per fatto altrui, indipendente dalla presenza di un apporto causale materiale o psichico (Nuvolone, Il diritto, 178). Già sotto la vigenza del testo precedente la riforma, in dottrina era tuttavia maggioritaria la tesi che vi ravvisava una forma di responsabilità personale per fatto proprio fondata sull'inosservanza dell'obbligo di controllo sulla pubblicazione (Antolisei, ed. 1949, 211; Pannain, ed. 1942, 332), sebbene qualificata come oggettiva o anomala, poiché lo stesso rispondeva a titolo di dolo anche in assenza di dolo e sussistendo semplice negligenza; sulla stessa linea interpretativa si attestava la giurisprudenza di legittimità, che delineava la responsabilità del direttore come responsabilità per fatto proprio colposo per omissione di controllo. In questo contesto, si inscrive l'intervento della Corte costituzionale, la quale, con sentenza interpretativa di rigetto (Corte Cost. n. 3/1956), pur avendo dichiarato l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta per violazione dell'art. 27 Cost. — decisione fondata sull'assunto che, in base al diritto vivente sopra richiamato, l'espressione “per ciò solo” dovesse essere intesa nel senso che la responsabilità del direttore del periodico consegue ad suo comportamento omissivo, consistente nella mancata osservanza degli obblighi di vigilanza e controllo, causalmente connessa all'evento e sorretta dall'elemento soggettivo della colpa —, sollecitò nondimeno un intervento riformatore da parte del legislatore. A seguito della modifica legislativa operata con la l. 4 marzo 1958, n. 127, la responsabilità penale del direttore (e del vice direttore) è oggi, dunque, una responsabilità per fatto proprio e a titolo di colpa, individuata nell'omesso controllo sul contenuto delle pubblicazioni, finalizzato ad evitare che, per mezzo delle stesse, siano commessi reati. Riassumendo ed anticipando ciò che sarà oggetto del commento nei paragrafi seguenti, si può affermare che: a) quanto alla natura giuridica: è una fattispecie complessa, costruita sugli elementi costitutivi del fatto colposo del direttore e di un evento dato dal “reato” commesso dall'autore della pubblicazione. La colpa consiste in una condotta omissiva: resta fuori, quindi, dal campo applicativo della norma, l'ipotesi dolosa; b) quanto all'oggetto: la norma trova applicazione limitatamente ai reati commessi a mezzo stampa e non ai reati di stampa; c) quanto all'ambito di applicazione soggettiva: è un reato proprio in quanto può essere commesso solo dal direttore e dal vice-direttore. La natura giuridicaLa giurisprudenza e la dottrina dominante concordano nel considerare l'art. 57 una fattispecie autonoma di reato costituita da un fatto colposo e da un evento rappresentato dal reato a mezzo stampa (Delitala, 550; Nuvolone, voce Stampa, 102; Antolisei, 342; Romano, 618). La norma, infatti, non contempla un'ipotesi di concorso colposo nel reato doloso commesso dall'autore della pubblicazione, bensì una figura di agevolazione colposa del reato doloso altrui, il quale si pone come evento costitutivo anziché come condizione obiettiva di punibilità, in quanto, essendo la commissione del reato realizzato attraverso la pubblicazione ciò che l'imposizione del controllo sul contenuto del periodico mira ad evitare, lo stesso costituisce elemento che accentra in sé l'offensività del fatto (Cass. VI, n. 6338/1994, Cass. V, n. 10252/1981; Cass. V, n. 5589/1982). Tale tesi trova conforto: a) nell'incipit dell'art. 57 c.p., che sancisce la responsabilità del direttore e del vice-direttore “fuori dei casi di concorso” con l'autore della pubblicazione; b) nell'art. 58 bis c.p., il quale, nel prevedere che la querela, istanza o richiesta presentata contro il direttore o il vice-direttore ha effetto anche nei confronti dell'autore della pubblicazione, non contempla l'ipotesi inversa di estensione nei confronti del direttore responsabile della condizione di procedibilità proposta contro l'autore del reato a mezzo stampa; c) nei decreti di amnistia emanati negli anni più recenti il legislatore ha fatto riferimento all'art. 57 come reato autonomo. Largamente minoritaria è, di contro, la tesi dottrinaria secondo cui il reato di diffamazione è condizione di punibilità del reato omissivo del direttore o vice-direttore (Albeggiani, 110). In particolare, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che l'art. 57 prevede a carico del direttore e del vice direttore responsabile di un periodico un reato proprio e autonomo, rispetto al quale il reato commesso dall'autore dello scritto si configura come evento e non come condizione obiettiva di punibilità dell'autonomo reato di cui risponde il direttore o vice direttore (Cass. S.U., n. 1328/1958); negli stessi termini, si è espressa la giurisprudenza successiva (Cass. I, n. 13/1966; Cass. V, n. 1062/1999; Cass. I, n. 48119/2009). In proposito, occorre precisare che l'evento costitutivo della fattispecie può essere rappresentato dalla realizzazione di un qualsiasi reato, sia esso doloso che colposo, commesso col mezzo della stampa (reati contro l'onore, contro la moralità, contro lo Stato, contro l'ordine pubblico, ecc.). Affinché possa essere integrata la responsabilità del direttore o del vice-direttore, ci si è interrogati, poi, in ordine alla necessità che il reato dell'autore della pubblicazione debba o meno essere completo in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi. Benché non siano mancati Autori per i quali sarebbe sufficiente la sola presenza dei presupposti oggettivi, ossia la realizzazione di un fatto (obiettivamente) antigiuridico e non colpevole (Mantovani, 410; Romano, 617), l'utilizzo legislativo della locuzione “reato”, nonché dell'espressione “salva la responsabilità dell'autore”, ha fatto prevalere in letteratura la tesi secondo la quale il reato a mezzo stampa debba essere perfetto sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo e, pertanto, sia da intendersi come fatto umano tipico, antigiuridico e colpevole (Antolisei, 402; Musco, 642); Cass. V, n. 5589/1982; Cass. V, n. 8418/1992; Cass. V, n. 2840/1983; Cass. V, n. 8118/1999; Cass. V, n. 19827/2003. Per le implicazioni processuali dell'autonomia della fattispecie ex art. 57 rispetto al reato a mezzo stampa, cfr. sub art. 58-bis. La condotta colposaNonostante la nuova dizione legislativa, il dibattito intorno alla natura della responsabilità del direttore del periodico non si è del tutto sopito. Parte della dottrina, infatti, ritiene che l'inciso «a titolo di colpa» si riferirebbe non al fondamento della responsabilità, ma alla disciplina del fatto come reato colposo, cosicché l'art. 57 continuerebbe a sancire, anche sotto il vigore della attuale formulazione, una strutturale responsabilità oggettiva con semplice modellazione delle conseguenze «come se il reato fosse colposo» (Pisapia, 318). Resta maggioritaria, però, la dottrina che, valorizzando l'espresso richiamo all'imputazione a titolo di colpa, riconosce nella fattispecie di cui all'art. 57 una forma di responsabilità strutturalmente colposa a tutti gli effetti (Romano, 616; Fiandaca-Musco, 581; Mantovani, 337; Padovani, 805). Dello stesso avviso è anche la giurisprudenza, la quale costantemente afferma che «la responsabilità del direttore e del vice-direttore deve essere sempre sorretta dallo elemento soggettivo della colpa, l'evento da essi non voluto (commissione di un reato col mezzo della pubblicazione) venendo in considerazione come effetto della omissione della doverosa attività di controllo del soggetto responsabile» (Cass. S.U., n. 1328/1958, cit.). Reato continuato La giurisprudenza ha fatto applicazione, alla fattispecie di cui all'art 57 , del principio secondo cui «in materia di reati colposi non è applicabile la continuazione perche l'unicità del disegno criminoso, dal quale scaturiscono le varie manifestazioni della condotta antigiuridica dell'agente, attiene ad un momento psicologico che non può sussistere nei reati colposi in cui l'evento non e voluto» (Cass. VI, n. 878/1972). Il contenuto dell'obbligo di controlloPacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza, è il carattere omissivo della condotta. Secondo la Suprema Corte, «l'art. 57 , che configura un'ipotesi di reato proprio, autonoma e strutturalmente caratterizzata dall'omissione dell'attività di controllo, contemplata come causa di un evento non voluto, ed addebitabile al direttore (o al vice direttore) di stampa periodica a titolo di colpa, richiede che la colpa del direttore medesimo tragga origine dall'inosservanza di norme che devono regolare la sua condotta e che gli impongono, per le funzioni che gli competono, la vigilanza ed il sindacato sul materiale da stampare, al fine di impedire che vengano commessi reati». (Cass. VI, n. 6338/1994; Cass. V, n. 8180/2019; Cass. V, n. 22850/2019). Trattasi, pertanto, di un reato omissivo improprio, che si sostanzia nel mancato impedimento, a causa dell'omesso doveroso controllo, della commissione del reato per mezzo della pubblicazione. Particolarmente delicata, per i possibili profili di violazione del principio costituzionale di colpevolezza (art. 27 Cost.), è l'individuazione del contenuto dell'obbligo di controllo posto a carico del direttore o vice-direttore responsabile. Una parte della dottrina, valorizzando la posizione gerarchicamente sovraordinata ricoperta dal direttore, richiede allo stesso un controllo continuo e capillare, sostanzialmente consistente nel «leggere il materiale che deve essere pubblicato, risalire alla fonte nei casi dubbi, scegliere oculatamente i suoi collaboratori e vigilare sul loro operato» (Nuvolone, Il diritto, 119). Sulla medesima linea interpretativa si colloca chi afferma che il direttore «deve visionare tutti gli scritti destinati alla pubblicazione, allo scopo di individuare quelli che presentino un contenuto lesivo dell'altrui reputazione. Ove questa prima attività di controllo dia un risultato positivo, su tali scritti deve: direttamente controllare sia l'esistenza dell'interesse pubblico alla conoscenza della notizia, sia la mancanza di modalità espressive intrinsecamente offensive; ed inoltre controllare indirettamente, cioè mediante un'attività di riesame delle procedure di acquisizione e di riscontro poste in essere dal giornalista sulle notizie, l'autenticità di queste. Solo nel caso che la procedura seguita da chi ha raccolto la notizia sia metodologicamente corretta, sia sotto il profilo dell'affidabilità della fonte sia sotto quello dei necessari riscontri «storici» il direttore può ritenere assolto il suo dovere di controllo e legittimamente autorizzare la pubblicazione» (Polvani, 248). Altri Autori (Fiandaca-Musco, 649), allo scopo di evitare che la responsabilità del direttore si trasformi di fatto in una sorta di responsabilità di posizione (i.e. connessa alla semplice titolarità del ruolo), osservano che al direttore deve potersi rivolgere l'addebito o di non aver controllato, a causa di un atteggiamento negligente, il contenuto dell'articolo, ovvero di averne superficialmente valutato la liceità penale. La portata dell'obbligo di controllo, quindi, deve essere limitata tenendo in considerazione, per un verso, le modalità di funzionamento, la struttura e l'articolazione dei ruoli all'interno delle moderne aziende giornalistiche (quanto più complessa sarà la struttura organizzativa, tanto meno esigibile sarà un diffuso obbligo di controllo personale del direttore), e, per altro verso, la natura informativa o valutativa dello scritto sottoposto alla sua vigilanza (così, il controllo dovrà essere più rigoroso nei confronti delle notizie e delle relative fonti, mentre potrà essere più blando nei riguardi delle valutazioni personali espresse dall'autore dell'articolo a commento dei fatti). La giurisprudenza pare aver assunto una posizione di marcato rigore. È stato statuito, infatti, che «la responsabilità del direttore di un periodico per il reato di diffamazione a mezzo della stampa trova il suo fondamento nella sua posizione di preminenza che si estrinseca anche nell'obbligo di controllo, nel potere di censura e nella facoltà di sostituzione. Ne deriva che sussiste l'ipotesi del reato proprio del direttore medesimo, quando egli ometta il dovuto controllo nell'ambito dello Esercizio dei menzionati poteri, volti ad impedire la consumazione di fatti penalmente rilevanti. Tale omissione può essere espressione sia di consapevole volontà del soggetto, che di mera negligenza o di controllo attuato in modo superficiale» (Cass. V, n. 4563/1985; Cass. VI, n. 6338/1994). Di conseguenza, integra l'ipotesi di reato di cui all'art. 57 la condotta del direttore responsabile di un quotidiano il quale autorizzi la pubblicazione di un articolo contenente notizie raccolte dal giornalista, secondo una procedura metodologicamente scorretta, sotto il profilo della affidabilità della fonte e dei necessari riscontri storici e, quindi, senza esplicare alcun controllo sulla verità sostanziale di quanto narrato (Cass. V, n. 32364/2002). Segue. CasisticaL'atteggiamento rigoroso tenuto dalla giurisprudenza emerge anche nella determinazione dei limiti del sopra descritto dovere di controllo incombente sul direttore. In particolare, si è affermato che: - in tema di diffamazione a mezzo stampa può essere riconosciuta l'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca qualora vengano dal cronista rispettate le seguenti condizioni: a) che la notizia pubblicata sia vera; b) che esista un interesse pubblico alla conoscenza dei fati riferiti; c) che l'informazione venga mantenuta nei limiti della obiettività. Questi principi hanno rilevanza oltre che per il giornalista autore dell'articolo, anche per il direttore responsabile, con la differenza che per quest'ultimo deve farsi riferimento alla peculiare funzione del suo ruolo. Egli, infatti, oltre a vigilare a che nessuno venga offeso attraverso gli articoli del giornale, ha la funzione di disporre o quanto meno approvare, l'impaginazione e quindi la presentazione degli articoli, attraverso la loro disposizione nelle pagine, e la redazione grafica e letterale dei titoli. L'aggressività di alcune espressioni, usate da un giornalista o, da un intervistato, non comporta in modo automatico la responsabilità del direttore, ma va valutata la correttezza dell'informazione anche in relazione alle modalità di presentazione della notizia (Cass. V, n. 8622/2000); - il controllo sul contenuto del giornale unitariamente considerato compete in via esclusiva al direttore responsabile, con la conseguenza che deve escludersi ogni rilevanza, ai fini della sussistenza del reato, al conferimento al redattore capo delle edizioni decentrate delle funzioni di controllo che gli art. 57 e 3 l. n. 47/1948 demandano al direttore responsabile e che non sussiste la possibilità della delega ad altri soggetti del potere-dovere di controllo, che fa capo alla posizione di garanzia del direttore responsabile (Cass. V, n. 51111/2014; Cass. V, n. 7407/2009; Cass. V, n. 46786/2004, la quale ha precisato che deve sempre esserci coincidenza tra la funzione di direttore o vice direttore responsabile e la posizione di garanzia); - le difficoltà organizzative non esentano il direttore responsabile dagli obblighi di controllo preventivo che gli incombono per legge (Cass. V, n. 31491/2007); - in tema di reati commessi col mezzo della stampa, il fatto che la notizia incriminata sia stata attinta da un'agenzia di stampa presieduta da un direttore responsabile non limita o esclude il dovere di controllo del responsabile del periodico che l'ha ripresa (Cass. V, n. 5151/1992). Ed infatti, «la responsabilità a titolo di colpa del direttore per l'omesso controllo sul contenuto del periodico in riferimento al fatto diffamatorio a mezzo stampa può dirsi esclusa ove si dimostri che il predetto, titolare di una posizione di garanzia, ha fatto quanto in suo potere per prevenire la diffusione di notizie non rispondenti al vero, prescrivendo e imponendo regole e controlli, anche mediati, di accuratezza, di assoluta fedeltà e di imparzialità rispetto alla fonte-notizia» (Cass. I, n. 48119/2009). Tra le fattispecie applicative tratte dalla casistica giurisprudenziale si segnalano: a) la pubblicazione di una lettera, apparentemente firmata da un comune cittadino, dal contenuto denigratorio nei confronti di amministratori comunali, accusati di una serie di illeciti di rilievo penale, senza che fosse stata effettuata alcuna verifica non solo sulla fondatezza delle affermazioni in essa contenuta, ma sulla stessa esistenza del mittente e sulla riferibilità allo stesso dello scritto fatto pervenire al periodico: Cass. V, n. 46226/2003; b) la pubblicazione di annunci di soggetti privati su un periodico, in relazione ai quali è stato ritenuto che il direttore responsabile è tenuto a verificare la certezza della notizia, l'identità dei richiedenti l'annuncio, assicurandosi che le dette disposizioni siano eseguite, con la conseguenza che, in assenza di detti adempimenti, egli è tenuto a rispondere della pubblicazione di annunci che, in quanto falsi, cagionino l'offesa del bene penalmente tutelato ex art. 57: Cass. V, n. 11881/2000; c) la pubblicazione di un articolo senza nome comporta l'attribuzione di questo al direttore responsabile del periodico; la firma apposta sull'articolo, infatti, ha la funzione di individuare la persona che si assume professionalmente la responsabilità delle notizie pubblicate. (Cass. V, n. 16988/2001). Conformemente, è stata ritenuta legittima la decisione con cui il giudice di merito dichiari la responsabilità penale per il reato di diffamazione a titolo di concorso ex art. 110 c.p. e non dal reato di omesso controllo, ex art. 57, nei confronti: c1) del direttore di un mensile a tiratura limitata ed esclusivamente locale, in ordine alla pubblicazione di un articolo non firmato, in quanto, in assenza di diversa allegazione, esso deve considerarsi di produzione redazionale, riferibile al direttore redazionale, nella specie, investito anche della funzione di direttore responsabile del mensile (Cass. V, n. 43084/2008); c2) del direttore di un periodico “on line” per un articolo a firma anonima (Cass. V, n. 52743/2017). Al contrario, nel caso di articolo sottoscritto, il direttore è chiamato a rispondere solo del “reato proprio” previsto dall'art. 57 (Cass. V, n. 16988/2001); d) la pubblicazione di una notizia diffamatoria contenuta in un breve pezzo non firmato (cosiddetta «brevina») comporta la responsabilità del direttore di un quotidiano, ex art. 57 c.p. in relazione all'art. 595 c.p., in quanto il direttore di un organo di stampa è titolare di una posizione di garanzia preordinata alla tutela dell'interesse diffuso, prevenendo la lesione dell'altrui reputazione e garantendo l'aderenza alla verità storica; né, a tal fine, rileva la circostanza della brevità del pezzo, in quanto la carenza di una firma dell'informazione induce a supporre un diretto e più stringente controllo al riguardo, divenendo immediato il titolo di coinvolgimento del preposto al giornale verso i destinatari di eventuali resoconti diffamatori (Cass. V, n. 15004/2012). Il concorso doloso del direttore responsabilePresupposto applicativo dell'art. 57 c.p. è l'assenza di un accordo fra il direttore responsabile e l'autore della pubblicazione ovvero, comunque, di dolo in capo al direttore, il quale non deve concorrere nel reato commesso a mezzo stampa (“fuori dei casi di concorso”). Il reato proprio del direttore ex art. 57 c.p., dunque, deve essere tenuto distinto non soltanto dal reato a mezzo stampa, ma anche dalla diversa fattispecie di responsabilità concorsuale, alla cui integrazione il direttore stesso può partecipare in concorso con l'autore della pubblicazione. Ed infatti, «Se è vero che la responsabilità del direttore viene configurata dalla legge come un'agevolazione colposa del delitto commesso da altri, ai sensi dell'art 57, è pur vero che il direttore del periodico possa egli stesso essere ritenuto colpevole di diffamazione vera e propria e non di omissione del controllo imposto dalla legge al direttore, quando rimanga accertato che lo stesso abbia compiuto atti diretti a ledere l'altrui reputazione ovvero abbia concorso con i suoi collaboratori, consapevolmente, a raggiungere tale evento» (Cass. VI, n. 4724/1978; Cass. V, n. 29410/2007, in motivazione). La giurisprudenza ha tracciato una netta linea di confine tra la responsabilità del direttore per fatto proprio, configurabile come «reato proprio, autonomo, punibile a titolo colposo, a condotta oggettivamente e soggettivamente omissiva» per non aver impedito la commissione del reato a causa dell'omesso controllo dovuto, e quella a titolo di concorso, la quale, dal momento che il direttore concorre con un terzo secondo la ordinaria disciplina normativa, sussiste «in quanto siano presenti tutti gli elementi generalmente occorrenti a norma dell'art. 110, tra i quali in primo luogo il dolo» (Cass. V, n. 4563/1985; Cass. V, n. 11494/1990). Pertanto, perché si configuri il concorso del direttore del giornale nel reato commesso dall'autore della pubblicazione, in luogo della responsabilità colposa per omesso controllo, occorre che la condotta omissiva del direttore sia animata dalla coscienza e volontà di cooperare, con la sua omissione, alla commissione del reato che avrebbe dovuto impedire. In particolare, per affermare il concorso del direttore nella diffamazione commessa dall'autore dello scritto occorre dimostrare che il direttore abbia voluto la pubblicazione nell'esatta conoscenza del suo contenuto lesivo e, quindi, con la consapevolezza di aggredire la reputazione altrui (Cass. V, n. 10252/1981; Cass. V, n. 11494/1990). Sul punto si è chiarito che la pubblicazione di un articolo di contenuto diffamatorio firmato con uno pseudonimo di autore non identificabile disposta dal direttore di un quotidiano integra l'ipotesi di concorso nel reato di diffamazione e non quella di omesso controllo prevista dall'art. 57 c.p., quando vi sia prova della consapevole adesione dello stesso al contenuto dello scritto, desumibile da un complesso di circostanze esteriorizzate nella pubblicazione del testo (come la forma, l'evidenza, la collocazione tipografica, i titoli, le illustrazioni e la correlazione dello scritto con il contesto culturale che impegna e caratterizza l'edizione su cui compare l'articolo) che facciano ritenere che la suddetta pubblicazione rappresenti il frutto di una precisa scelta redazionale (Cass. V, n. 41249/2012). Nel caso di pubblicazione di un articolo il cui autore sia rimasto anonimo, è invece applicabile la fattispecie di cui all'art. 57 c.p.: (Cass. V, n. 29410/2007). In questo caso, peraltro, la Suprema Corte ha stabilito l'insussistenza dell'esimente del diritto di cronaca, giacché la notizia riportata utilizzando uno scritto anonimo è inidonea a meritare l'interesse pubblico e insuscettibile di controlli circa l'attendibilità della fonte e la veridicità della notizia (Cass. V, n. 46528/2008). Vi è, d'altra parte, incertezza in merito alla estensibilità, in favore del direttore, della immunità parlamentare di cui goda l'autore del reato a mezzo stampa. In giurisprudenza, è di gran lunga prevalente l'orientamento giurisprudenziale secondo cui «l'immunità assicurata dall'art. 68 Cost. ai membri del Parlamento che esprimano opinioni nell'esercizio delle loro funzioni non si estende al direttore del giornale che non abbia impedito la pubblicazione della notizia diffamatoria coperta dalla detta immunità, la quale non integra una causa di giustificazione estensibile al concorrente ma costituisce una causa soggettiva di esclusione della punibilità della quale non può giovarsi il compartecipe privo della medesima guarentigia» (Cass. V, n. 15323/2008; Cass. V, n. 43090/2007; Cass. V, n. 13198/2010); si registrano, tuttavia, sentenze di segno opposto, nelle quali si afferma che «la speciale causa di giustificazione prevista dall'art. 68 comma primo Cost. in favore del parlamentare che esprima opinioni nell'esercizio delle proprie funzioni configura una ipotesi di legittimo esercizio di un diritto (art. 51) ed integra, come tale, una causa di giustificazione», con la conseguenza che «la condotta è lecita, in quanto espressione dell'esercizio di un diritto che non può configurare una mera causa di esclusione della colpevolezza che lascerebbe sussistere la illiceità del fatto e, pertanto, la insindacabilità delle espressioni usate dal parlamentare, riconosciuta dall'art. 68 Cost., giova al concorrente, ai sensi dell'art. 119» (Cass. V, n. 38944/2006). Assumendo una posizione mediana, di recente la Suprema Corte, pur confermando la natura di mera causa di non punibilità dell'immunità funzionale riservata ai parlamentari, ha d'altra parte statuito che «è scriminata dall'esercizio del diritto di cronaca la condotta del giornalista che riporti dichiarazioni lesive della reputazione di alcuni magistrati della Procura della Repubblica rilasciate in sede di intervista da un autorevole parlamentare, in quanto, ancorché la causa di non punibilità ex art. 68 Cost. non si comunichi dal parlamentare al concorrente, deve, tuttavia, ritenersi operante, in tal caso, la causa di giustificazione di cui all'art. 51» (Cass. V, n. 2384/2010). Ambito di applicazioneL'art. 57 trova applicazione in riferimento con riguardo non già ai reati di stampa, bensì ai reati commessi col mezzo della stampa, per tali dovendosi intendere quelli nei quali «la stampa funge da strumento di offesa del bene giuridico penalmente tutelato, nel senso, cioè, che la stampa medesima costituisce elemento costitutivo tipico dell'illecito, sia quando ne rappresenta una delle modalità, sia quando ne e una circostanza aggravante e sia, infine, quando ne integra il presupposto per la consumazione» (Cass. I, ord. n. 2805/1977); nello stesso senso, anche la dottrina li ha definiti come «quei reati che non si identificano col fatto della pubblicazione (come invece i reati di stampa), ma in cui la pubblicazione è strumento per la realizzazione di un evento esterno rispetto alla stampa (offesa alla reputazione, vilipendio di istituzioni, offesa al comune sentimento del pudore ecc.)» (Nuvolone, voce, Stampa). Sul versante soggettivo, l'art. 57 c.p. configura un reato proprio, i cui soggetti attivi sono il direttore e il vice-direttore responsabili, nominati ai sensi degli artt. 3 e 5 l. 8 febbraio 1948, n. 47 che detta «disposizioni sulla stampa» (Romano, 618). Restano quindi escluse dal campo di applicazione della norma: - la figura del redattore responsabile di un periodico, che, non essendo prevista dall'ordinamento della professione giornalistica, non è assimilabile a quella del direttore; di conseguenza, tale soggetto risponde del reato commesso per mezzo di esso a titolo di dolo, allorché risulti accertata la sua partecipazione diretta e consapevole alla pubblicazione (Cass. I, n. 11578/1997; Cass. V, n. 51111/2014); - la figura del direttore editoriale, nei cui confronti l'estensione dei doveri di controllo e della connessa responsabilità comporterebbe l'applicazione dell'analogia in malam partem, vietata dalla legge penale (Cass. V, n. 42125/2011). In dottrina, peraltro, si è manifestato un contrasto in merito alla delimitazione dei soggetti attivi. Alla impostazione che, al fine di scongiurare possibili rischi di estensione analogica in malam partem dell'art. 57 c.p. e non vanificare lo scopo della norma mirante a consentire l'immediata identificazione del responsabile del periodico, adotta una nozione formalistica di direttore necessariamente correlata ad una formale investitura (Vignale, 1672), si è contrapposta una lettura funzionalistica, in forza della quale è chiamato a rispondere ai sensi dell'art. 57 c.p. anche il soggetto che, pur non rivestendo la qualifica predetta, risulti effettivamente esercitare le funzioni di controllo delle pubblicazioni sul periodico (Romano, 618).
La giurisprudenza più recente ha aderito al primo orientamento: Cass. V, n. 42309/2016, secondo la quale «non è configurabile, ex art. 57 la responsabilità del soggetto che "di fatto" eserciti il controllo sul contenuto del giornale, dovendosi escludere qualsivoglia rilevanza anche all'effettiva organizzazione interna dell'azienda giornalistica in virtù della quale siano conferite ad altri soggetti funzioni di coordinamento e di controllo». In senso contrario, si era espressa, Cass. V, n. 5653/1983. Secondo la quale «soggetto attivo del reato di cui all'art. 57 è anche chi, non essendo state osservate le prescrizioni concernenti la sua nomina, eserciti di fatto le mansioni di direttore responsabile del periodico, ragione per cui l'omessa registrazione del mutamento del direttore responsabile non costituisce motivo di impunità per il soggetto che, sia pure irregolarmente, succede nella carica di direttore responsabile assumendone in concreto le mansioni. Invero, a norma dell'art. 58, le disposizioni dei precedenti artt. 57 e 57-bis si applicano anche nell'ipotesi della stampa clandestina, nel cui ambito ricade la violazione dell'art. 6 della legge sulla stampa, concernente l'obbligo della dichiarazione dei mutamenti». Ipotesi di esenzione dalla responsabilitàa) in caso di sostituzione del direttore responsabile, il direttore sostituito non incorre in responsabilità ai sensi dell'art. 57 qualora abbia colposamente omesso di accertare l'avvenuta registrazione del mutamento ad opera del proprietario, il quale, nella specie, non aveva tempestivamente provveduto a tale incombente (Cass. V, n. 5653/1983); b) nell'ipotesi di dimissioni, il direttore dimissionario del periodico può ritenersi esonerato dalla responsabilità penale derivante dalla pubblicazione di un articolo diffamatorio solo quando alle dimissioni si accompagni l'effettiva cessazione delle funzioni inerenti all'incarico ricoperto, in quanto, indipendentemente dalle dimissioni, il direttore potrebbe aver continuato di fatto ad esercitare le sue mansioni in seno al giornale, così violando in concreto il dovere di controllo sulla pubblicazione (Cass. V, n. 11958/2000); Cass. V, n. 13069/2021 (con nota di Eduardo Calvo), ha ribadito e precisato che«La posizione di garanzia che fonda la responsabilità penale del direttore responsabile del quotidiano, invero, non è (soltanto) di fonte negoziale, ma è (soprattutto) di fonte normativa (artt. 3 I. n. 47 del 1948 e 57 cod.pen.) e, per effetto della peculiare rilevanza dei beni giuridici altrui suscettibili di protezione, è anche corredata da un particolare regime di pubblicità, con la conseguenza che di essa si deve far carico il direttore dimissionario fino a quando i terzi non siano messi in condizione di sapere quale sia il responsabile della pubblicazione periodica nell'ipotesi in cui tramite essa siano stati commessi reati»: pertanto, sul direttore dimissionario incombe il dovere giuridico di informarsi circa le modalità di adempimento degli obblighi propri della posizione di garanzia rivestita. c) nell'ipotesi di assenza per ferie del direttore responsabile, la giurisprudenza più recente sostiene che «nella valutazione sulla responsabilità del direttore di un periodico ai sensi dell'art. 57 , l'esigenza, cui tale disposizione si ispira, di evitare che con il mezzo della stampa vengano commessi reati, deve essere contemperata con il diritto al godimento delle ferie da parte del direttore medesimo, nonché con i principi posti dagli artt. 42 e 43 , secondo i quali nessuno può essere punito se non ha commesso il fatto con coscienza e volontà; pertanto, ad escludere la responsabilità ex art. 57 del direttore di un periodico nel tempo in cui egli gode delle ferie spettantigli è sufficiente, senza che sia necessario il ricorso alla procedura prevista per i mutamenti radicali nell'organico del giornale dagli artt. 5 e 6 l. n. 47/1948, la preventiva individuazione ed indicazione nello stesso periodico della persona che lo sostituisce, in modo che sia ricostituita, sia pur in via provvisoria, la struttura della compagine del giornale e sia così assicurato il controllo sulla pubblicazione, con la possibilità di individuare la persona che risponda dell'eventuale omissione» (Cass. V, n. 10496/1997). Contra: Cass. VI, n. 925/1968; Cass. V, n. 5090/1987 ; Cass. V, n. 7229/1991. d) Quanto alla delegabilità elle funzioni di controllo da parte del direttore responsabile. Mentre la giurisprudenza di legittimità nega rilievo al conferimento delle funzioni di controllo al redattore capo delle edizioni decentrate, in quanto il controllo sul giornale, unitariamente considerato, compete, ex art. 57 e 3 l. n. 47/1948, in via esclusiva al direttore responsabile (Cass. V, n. 51111/2014). Del pari, in dottrina si sono fronteggiati due opposti orientamenti. Uno che, coerentemente alla visione funzionalistica della nozione di direttore responsabile, ammette la possibilità di ricorrere alla delega in favore di «soggetto che non rivesta la qualifica ma che dal direttore o dagli organi aziendali risulti in via temporanea propriamente (non necessariamente in modo formale) investito dei compiti e dei poteri del direttore» (Romano, 618); un altro, contrario ad attribuire efficacia esimente alla delega, sul triplice rilievo: i) che l'art. 57. contempla il direttore quale esclusivo soggetto attivo del reato; ii) che diversamente opinando, si finirebbe per snaturare il compito legislativamente affidato al direttore, tramutando il dovere di controllo nel diverso dovere di predisporre una adeguata struttura aziendale alla quale viene demandata ogni attività; iii) si vanificherebbe sia la responsabilità penale del direttore che il legislatore ha, invece, voluto per sensibilizzarlo alle responsabilità del controllo, sia quella del delegato, al quale non può essere addebitato di aver violato un dovere di controllo che non gli è imposto da alcun precetto penale (Polvani, 237). Segue. Casistica
Il direttore responsabile di una testata radiotelevisiva È pacifico — tanto in dottrina quanto in giurisprudenza — che il direttore responsabile di un telegiornale non risponde per l'omesso controllo necessario ad impedire il reato di diffamazione né ai sensi dell'art. 57, dettato solo per i reati commessi con il mezzo della stampa periodica, né ai sensi dell'art. 30 della l. 6 agosto 1990, n. 223, atteso che le norme speciali previste in questa disposizione in tema di trattamento sanzionatorio e di competenza territoriale per il reato di diffamazione commesso attraverso trasmissioni televisive si riferiscono a soggetti specificamente indicati — il concessionario privato, la concessionaria pubblica ovvero la persona da loro delegata al controllo della trasmissione —, né possono trovare applicazione analogica (Cass. V, n. 27823/2017; Cass. V, n. 50987/2014; Cass. II, n. 34717/2008); l'equiparazione del direttore responsabile di una testata radiotelevisiva a quello della carta stampata, infatti, è effettuata dalla legge ai soli fini dell'obbligo della registrazione presso la cancelleria del Tribunale dei giornali e periodici (Trib. Roma, 20 marzo 1995). A conferma, va segnalato che una disciplina analoga a quella dettata dall'art. 57 è contenuta all'art. 30, comma 3, l. 6 agosto 1990, n. 223, la quale, nel prevedere una responsabilità colposa per omissione di controllo del concessionario privato o della concessionaria pubblica ovvero della persona da loro delegata al controllo della trasmissione radiofonica o televisiva, ne limita tuttavia l'operatività alle sole ipotesi di spettacoli osceni e di trasmissioni a contenuto impressionante, raccapricciante o istigatorio. Sicché, anche in considerazione di questa precisa scelta legislativa, nel caso di una diffamazione realizzata in occasione di una trasmissione radiotelevisiva mediante l'attribuzione di un fatto determinato (fattispecie, ai sensi dell'art. 30, comma 4, l. n. 223/1990, equiparata sul piano del trattamento sanzionatorio alla diffamazione aggravata a mezzo stampa di cui all'art. 13 l. n. 47/1948), la norma ex art. 57 risulta inapplicabile, pena una inammissibile incriminazione analogica in malam partem (Polvani, 269); ne consegue che il direttore responsabile della trasmissione o il concessionario potranno rispondere di tale reato esclusivamente qualora ricorrano i presupposti del concorso nell'illecito realizzato da altri (es. dal conduttore della trasmissione). Il direttore responsabile di un telegiornale non risponde per l'omesso controllo necessario ad impedire il reato di diffamazione né ai sensi dell'art. 57, dettato solo per i reati commessi con il mezzo della stampa periodica, né ai sensi dell'art. 30 della l. 6 agosto 1990, n. 223, atteso che le norme speciali previste in questa disposizione in tema di trattamento sanzionatorio e di competenza territoriale per il reato di diffamazione commesso attraverso trasmissioni televisive si riferiscono a soggetti specificamente indicati — il concessionario privato, la concessionaria pubblica ovvero la persona da loro delegata al controllo della trasmissione —, né possono trovare applicazione analogica (Cass. V, n. 50987/2014; Cass. II, n. 34717/2008). Il direttore responsabile di un giornale telematico Negli ultimi anni, sono intervenute numerose pronunce sul tema dell'applicabilità dell'art. 57 c.p. al reato di diffamazione commesso a mezzo Internet. Sul punto si registra un contrasto di giurisprudenza. Secondo una prima tesi, «il direttore di un giornale «on line» non è responsabile di omesso controllo sui contenuti pubblicati, ai sensi dell'art. 57, sia per l'impossibilità di ricomprendere detta attività on-line nel concetto di stampa periodica, sia per l'impossibilità per il direttore della testata on-line di impedire le pubblicazioni di contenuti diffamatori “postate” direttamente dall'utenza» (Cass. V, 35511/2010; Cass. V, n. 44126/2011; Cass. V, n. 10594/2014; Cass. V, n. 52743/2017 (con nota di Pietrocarlo in Dir. pen. cont. 20 giugno 2018) ha precisato che «In tema di diffamazione commessa mediante pubblicazione di un articolo a firma anonima su un giornale "on line", il direttore del periodico risponde di concorso ex art. 110 c.p. nel reato di diffamazione e non dal reato di omesso controllo, ex art. 57 c.p., quando vi sia prova del suo consenso e della sua adesione al contenuto dello scritto diffamatorio». Secondo altra più recente tesi, l'amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell'art. 57, in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, Facebook). Si è, infatti, affermato, sulla scia di Cass. S.U.n. 31022/2015, che « l'interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata del termine “stampa” non può riguardare tutti in blocco i nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, pagine Facebook), a prescindere dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi, ma deve rimanere circoscritto a quei soli casi che, per i profili strutturale e finalistico che li connotano, sono riconducibili nel concetto di “stampa” inteso in senso più ampio. Deve tenersi, infatti, ben distinta, l'area dell'informazione di tipo professionale, veicolata per il tramite di una testata giornalistica on line, dal vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo [….] »: Cass. n. 16751/2018 (con nota di Pedullà). Il suddetto principio di diritto è stato ribadito da Cass. V, n. 1275/2019 (con note di Mauri e Cecchini) secondo la quale la testata giornalistica telematica rientra nella nozione di “stampa” di cui all'art. 1 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, in quanto funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo. La Corte, dopo avere rammentato che un quotidiano o un periodico telematico è strutturato come un vero e proprio giornale tradizionale, con una sua organizzazione redazionale e un direttore responsabile (spesso coincidenti con quelli della pubblicazione cartacea), non potendo, per converso, paragonarsi ai siti web, in cui chiunque può inserire dei contenuti, ed assumendo, invece, una sua peculiare connotazione, funzionalmente coincidente con quella del giornale tradizionale, ha concluso che, in caso contrario, si legittimerebbe un irragionevole trattamento differenziato dell'informazione giornalistica veicolata su carta rispetto a quella diffusa in rete con conseguente lesione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.; conformi, Cass. V, n. 27675/2019 (fattispecie relativa ad un blog); Cass. V. n. 12546/2019 (fattispecie in relazione alla responsabilità di un blogger, con nota di Pagella); Cass. III, n. 19059/2019 (fattispecie relativa a facebook). La pena«L'art. 57 c.p., nel prevedere che l'omesso controllo da parte del direttore responsabile di un periodico a stampa sia punito con la pena «stabilita» per il reato eventualmente commesso con la pubblicazione, istituisce un criterio autonomo di determinazione di tale pena, ancorato a quella astrattamente prevista per il suddetto reato, così come eventualmente circostanziato, e non già a quella concretamente irrogata al colpevole, senza che però l'eventuale circostanza aggravante debba ritenersi riferibile anche al reato d'omesso controllo». Ne consegue che, in un caso in cui tanto all'autore di un articolo ritenuto diffamatorio quanto al direttore responsabile erano state riconosciute le attenuanti generiche, valutate come equivalenti all'aggravante contestata per il solo reato di diffamazione, la pena da infliggere per il reato di omesso controllo dovesse essere diminuita per effetto di dette attenuanti (Cass. V, n. 23039/2008). Profili processualiCompetenza territoriale «Nei reati commessi con il mezzo della stampa, il locus commissi delicti rilevante ai fini della competenza per territorio, va individuato in quello della «prima diffusione» dello stampato, luogo che segna il momento di distacco di quest'ultimo dalla sfera di disponibilità dell'impresa tipografica, per realizzare le condizioni di fatto della pubblicazione, le quali rendono percepibile l'idea criminosa» (Cass. I, n. 2436/1984), «essendo del tutto irrilevanti i luoghi ove poi sia avvenuta la messa in vendita dello stampato» poiché non può dubitarsi che, uscito lo stampato dalla tipografia, esiste l'immediata possibilità che venga letto da altre persone prima della distribuzione nelle librerie o nelle edicole (Cass. I, ord. n. 1636/1978). Si segnala, tuttavia, che la regola secondo la quale il luogo di cd. «prima diffusione» di solito coincide con quello della stampa, nella ragionevole presunzione che, una volta uscito lo stampato dalla tipografia, si verifica l'immediata possibilità che esso venga letto da altre persone e, quindi, la diffusione dello stesso in senso potenziale (ex multis, Cass. I, n. 25804/2007; Cass. I, n. 41038/2002), subisce una deroga qualora le varie parti di cui un giornale periodico può essere composto (copertina, inserti, etc.), siano realizzate in luoghi diversi, per cui, non potendo in siffatta ipotesi verificarsi la suddetta coincidenza, il luogo di prima diffusione va necessariamente individuato in quello in cui avviene il deposito in questura delle c.d. «copie d'obbligo» (Cass. I, n. 4158/2000). Diverso è il caso di periodico a diffusione nazionale, corredato di edizioni locali stampate in luoghi diversi, in riferimento al quale la competenza per territorio va determinata con riferimento al luogo di stampa dell'edizione per mezzo della quale è stato realizzato il reato (Cass. I, n. 22580/2015; Cass. I, n. 15523/2006). Nei reati commessi con il mezzo della stampa nell'ipotesi di edizione teletrasmessa e destinata alla pubblicazione in più parti del territorio nazionale, il luogo della consumazione rilevante ai fini della competenza per territorio va normalmente individuato in quello ove è sita l'officina grafica del luogo di redazione dello stampato e non già in quello dell'officina periferica che lo riproduce, dato che in quel luogo e non in questo si realizza normalmente la condizione della prima diffusione dello stesso; e anche qualora dovesse risultare impossibile determinare il luogo, rilevante ai fini della determinazione della competenza per territorio, della prima diffusione dello stampato — e ciò in ipotesi potrebbe avvenire nel caso che dopo la teletrasmissione delle stesse si sia verificato un dimostrato ritardo nelle successive operazioni di incisione, stampa e diffusione nel luogo di redazione — la competenza per territorio dovrà essere determinata sulla base dei criteri sussidiari previsti dall'art. 40 c.p.p., sì che la stessa si radicherà sempre nel luogo di redazione, ove è avvenuta l'operazione tipografica del «montaggio» dello stampato, costituente l'ultimo atto certo antecedente la consumazione e ove, prima ancora, si è realizzata l'omissione del controllo imposto al responsabile del giornale dall'art. 57 c.p. (Cass. I, n. 2436/1984). Condizione di procedibilità La querela presentata contro l'autore della pubblicazione non spiega alcuna efficacia estensiva, ai sensi dell'art. 123, nei confronti del direttore responsabile ex art. 57, atteso che tale norma prevede l'estensione a tutti coloro che sono individuabili come autori del medesimo reato, mentre l'omesso controllo sulla pubblicazione di un articolo offensivo costituisce reato distinto dalla diffamazione, e considerato che l'art. 58 bis, che prevede che la querela proposta contro il direttore abbia effetto anche nei confronti dell'autore dello scritto, ha natura eccezionale (Cass. V, n. 4595/2000). Quanto alle modalità con cui la volontà del querelante debba essere manifestata, la giurisprudenza dominante afferma che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, il giudice può ravvisare a carico del direttore responsabile di un giornale il reato di omissione di controllo ex art. 57, pur essendo stata la querela proposta esclusivamente per la diffamazione a mezzo stampa, in quanto non compete al querelante dare una qualificazione giuridica del fatto, dovendo egli limitarsi ad esporre lo stesso nella sua materialità, considerato che il diritto di querela concerne unicamente il fatto delittuoso, quale enunciato nella sua essenzialità e che spetta al giudice e non al privato attribuirne la qualificazione giuridica in ordine alla eventuale sussistenza di un determinato tipo di reato e alle conseguenze che ne derivano (Cass. V, n. 37213/2017; Cass. V, n. 15643/2005; Cass. V, n. 19020/2009; Cass. V, n. 45249/2001; Cass., n. 34543/2001; Cass. VI, n. 10537/2000 ; Cass. V, n. 7741/1999). Altra giurisprudenza, tuttavia, ha deciso che in tema di diffamazione a mezzo stampa, attesa l'autonomia dell'ipotesi colposa prevista dall'art. 57 a carico del direttore responsabile per omesso controllo sul contenuto della pubblicazione, deve escludersi che essa sia perseguibile allorché il querelante si sia limitato ad indicare tanto l'autore dello scritto quanto il direttore responsabile come correi nel reato di diffamazione in suo danno, occorrendo invece che nella querela sia esplicitamente espressa la volontà che il direttore responsabile venga perseguito a titolo di colpa per omesso controllo ovvero che si proceda per qualsiasi ipotesi di reato riscontrabile a suo carico (Cass. V, n. 46226/2003). In giurisprudenza è pacifico sia che «la remissione della querela proposta nei confronti del giornalista per il reato di diffamazione a mezzo stampa non estende i suoi effetti nei confronti del direttore del giornale, responsabile ai sensi dell'art. 57» (Cass. V, n. 40446/2009; Cass. V, n. 36078/2004), sia che «la remissione della querela proposta nei confronti del direttore di un giornale per il reato di diffamazione a mezzo stampa non si estende in favore dell'autore dell'articolo incriminato» (Cass. V, n. 38735/2014; Cass. VI, n. 3291/1978), giacché, in entrambe le ipotesi, l'autonomia delle due fattispecie criminose è ostativa all'effetto estensivo, il cui presupposto è il concorso di più persone nel medesimo reato. Prova della colpa Secondo un indirizzo giurisprudenziale risalente, la prova della colpa del direttore o vicedirettore responsabile si identifica con la prova dell'omissione cosciente e volontaria del controllo sul periodico (Cass. V, n. 6787/1981; Cass. S.U., n. 28/1958; Cass. I, n. 350/1990). In dottrina, mentre una parte ritiene che nell'art. 57 la colpa è presunta e che, dunque, il direttore responsabile sarebbe gravato da un'inversione dell'onere della prova (Delitala, 556), altra parte della dottrina sostiene che l'art. 57 non contiene né una presunzione di colpa, né una inversione dell'onere probatorio (Romano, 619). In adesione a quanto affermato da quest'ultima dottrina, la giurisprudenza più recente ritiene quindi che «la prova del concorso del direttore di un periodico nel reato di diffamazione a mezzo stampa è desumibile da un complesso di circostanze esteriorizzate nella pubblicazione. Legittimamente essa è rinvenibile nel contenuto degli scritti, nella loro correlazione con il contesto sociale dal quale traggono ispirazione, dalla forma, dall'evidenza e dalla collocazione tipografica loro assegnata nello stampato. Tali circostanze sono infatti espressione del meditato consenso e della consapevole adesione del direttore al suo oggetto, quale manifestazione del convincimento e della partecipazione attiva di colui che la deve autorizzare» (Cass. V, n. 4563/1985; Cass. I. n. 48119/2009, secondo la quale la responsabilità resta esclusa «ove si dimostri che il predetto, titolare di una posizione di garanzia, ha fatto quanto in suo potere per prevenire la diffusione di notizie non rispondenti al vero, prescrivendo e imponendo regole e controlli, anche mediati, di accuratezza, di assoluta fedeltà e di imparzialità rispetto alla fonte-notizia»). La Cass. V, n. 12548/2019, ha ritenuto che «il direttore responsabile di un giornale risponde del reato di cui all'art. 595, comma terzo, in relazione al titolo di tenore diffamatorio che accompagni l'articolo pubblicato, soltanto laddove sia provato che egli abbia formato o contribuito a formare detto titolo o abbia consapevolmente aderito ai contenuti dello scritto prima della pubblicazione». Correlazione tra accusa e sentenza In tema di correlazione tra accusa e sentenza, le previsioni di cui agli articoli 521 e 522 c.p.p. hanno lo scopo di garantire il contraddittorio sul contenuto dell'accusa e, quindi, l'esercizio effettivo del diritto di difesa dell'imputato, con la conseguenza che non è possibile ipotizzarne una violazione in astratto, prescindendo dalla natura dell'addebito specificamente formulato nell'imputazione e dalle possibilità di difesa che all'imputato sono state concretamente offerte dal reale sviluppo della dialettica processuale. Ne deriva che non sussiste la violazione del principio di correlazione qualora, come nella fattispecie, la variazione dell'imputazione si concreti nella sostituzione dell'addebito di natura dolosa di cui all'art. 595 c.p.(diffamazione) con l'addebito di natura colposa di cui all'art. 57 c.p. (omissione dell'obbligo di controllo sul contenuto del periodico), in quanto detta modifica del titolo della responsabilità non può essere ritenuta di per sé lesiva del diritto di difesa dell'imputato e non lo è in concreto qualora — ancorché si ipotizzi la responsabilità dell'imputato a titolo di concorso nel delitto di diffamazione — si faccia riferimento anche al suo ruolo di direttore del giornale, idoneo ad includere anche la responsabilità a titolo di colpa (art. 57 c.p.) e, quindi, si strutturi l'addebito in modo tale da consentire la difesa anche in relazione alla fattispecie di cui all'art. 57 c.p. (Cass. V, n. 46203/2004; Cass. V, n. 2074/2008; Cass. V, n. 29410/2007, ha ritenuto che la stessa Corte di cassazione può provvedere alla modifica della qualificazione giuridica del fatto operando direttamente tale sostituzione dell’addebito doloso di cui all’art. 595 c.p. con quello colposo di cui all’art. 57. Sequestro Per quanto riguarda il sequestro, la normativa di riferimento è costituita dagli artt. 21, commi 3 e 4, Cost., R.d. n. 561/1946 e artt. 207 e 229 disp. att. c.p.p. Riparazione pecuniaria ex art. 12 l. n. 47/1948Controverso è l'ambito di applicazione dell'istituto della riparazione pecuniaria previsto dall'art. 12 della l. 8 febbraio 1948, n. 47 che prevede il versamento di una somma, determinata in relazione alla gravità dell'offesa ed alla diffusione dello stampato. Secondo la giurisprudenza più recente, il suddetto istituto «non è applicabile al direttore del giornale che sia dichiarato responsabile del delitto di omesso controllo colposo della pubblicazione ai sensi dell'art. 57, in quanto l'irrogazione della sanzione pecuniaria costituisce una sanzione civile che consegue al reato di diffamazione, dei cui elementi costitutivi presuppone l'accertamento»: Cass. V, n. 44117/2019; Cass. I, n. 35646/2008; Cass. V, n. 1188/2002. In senso contrario, si è pronunciata altra giurisprudenza, secondo la quale, invece, «In tema di diffamazione con il mezzo della stampa, la persona offesa può richiedere anche al direttore del giornale, ritenuto responsabile del delitto di omesso controllo, ai sensi dell'art. 57, la riparazione pecuniaria di cui all'art. 12 della legge n. 47 del 1948 in quanto a detta riparazione è tenuto, non solo l'autore dello scritto diffamatorio, ma chiunque abbia contribuito a cagionare l'evento tipico del reato, sia in concorso, sia per aver omesso di impedire l'evento»: Cass. V . n. 13198/2010 ; Cass. V, n. 15114/2002. Questioni di legittimità costituzionaleDue sono stati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati in relazione alla norma in commento. La Corte cost. n. 168/1982, ha respinto la questione di incostituzionalità degli artt. 57 e 595 e degli artt. 1, 8, 9, 12 e 21 l. 8 febbraio 1948, n. 47, in riferimento all'art. 3 Cost. sotto il profilo della disparità di trattamento fra diffamazione commessa a mezzo stampa e diffamazione commessa a mezzo di diffusione radiotelevisiva, ritenendo, per un verso, ragionevole il diverso trattamento in forza della persistente maggiore pericolosità della stampa quale mezzo di diffamazione e precisando, per altro verso, che ogni intervento estensivo della disciplina speciale sarebbe spettato al solo legislatore. La Corte cost. n. 198/1982, è stata altresì respinta l'eccezione di incostituzionalità, in riferimento all'art. 3 Cost., riguardante la denunciata disparità di trattamento fra il direttore di un periodico a diffusione locale e il direttore di un grande periodico a tiratura nazionale, in quanto l'art. 57 non distingue fra la prima realtà in cui opera il primo, che per il numero limitato dei redattori e l'interesse principalmente locale delle notizie, come tali facilmente verificabili, consente l'adempimento dell'obbligo di controllo imposto dalla legge, e la ben diversa e più complessa situazione in cui si viene a trovare il secondo, che, per il numero di redattori e l'ampiezza del materiale incluso nelle varie edizioni, rende praticamente impossibile il corretto esercizio del controllo stesso. BibliografiaAlbeggiani, I reati di agevolazione colposa, Milano, 1994, 110; Calvo Eduardo: Diffamazione a mezzo stampa: verità putativa e responsabilità del direttore dimissionario, in Sistema Pen., 08/07/2021; Cecchini, La responsabilità del direttore di periodico telematico ex art. 57 c.p. tra divieto di analogia, “esigibilità” del controllo e prevedibilità dell’esito giudiziario, in Arc. pen., 2019; Delitala, Titolo e struttura della responsabilità penale del direttore per i reati commessi sulla stampa periodica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1956, 544; Mauri R. E.: Applicabile l’art. 57 c.p. al direttore del quotidiano online: un revirement giurisprudenziale della Cassazione, di problematica compatibilità con il divieto di analogia, in Dir. pen. cont, 2019, 28 febbraio 2019; Musco, voce Stampa (reati di), in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, 377; Nuvolone, Il diritto penale della stampa, Padova, 1971; Nuvolone, voce Stampa, in Nss. DI, XVIII, Torino, 1971; Padovani, Il momento consumativo dei reati commessi col mezzo della stampa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1971, 805; Pagella, La Cassazione sulla responsabilità del blogger per contenuti diffamatori (commenti) pubblicati da terzi, in Dir. Pen. Cont., 17 maggio 2019; Pedullà, L’amministratore di un sito Internet non è responsabile ai sensi dell’art. 57 c.p. in Cass. Pen. 2018, 3743; Pisapia, La nuova disciplina della responsabilità per reati commessi a mezzo della stampa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1958, 304; Polvani, La diffamazione a mezzo stampa, Torino, 1996; Vignale, Spunti problematici sulla nozione di direttore ex art. 57 c.p. e sui limiti della sua responsabilità, in Cass. pen. 1984, 1672. |