Codice Penale art. 62 - Circostanze attenuanti comuni.

Geppino Rago
aggiornato da Ignazio Pardo

Circostanze attenuanti comuni.

[I]. Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, le circostanze seguenti:

1) l'avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale;

2) l'avere reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui [5992];

3) l'avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall'Autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale [102-104] o professionale [105], o delinquente per tendenza [108];

4) l'avere, nei delitti contro il patrimonio [624-648-ter; 1135-1149 c. nav.], o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, l'avere agito per conseguire o l'avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l'evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità [278 c.p.p.]1;

5) l'essere concorso a determinare l'evento, insieme con l'azione o l'omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa [413];

6) l'avere, prima del giudizio [484, 492 c.p.p.], riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni [185]; o l'essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell'ultimo capoverso dell'articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato [289-bis4, 525, 6304-5]  ; o l'avere partecipato a un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato, concluso con un esito riparativo. Qualora l'esito riparativo comporti l'assunzione da parte dell'imputato di impegni comportamentali, la circostanza e' valutata solo quando gli impegni sono stati rispettati 23.

 

[1] Numero così sostituito dall'art. 2 l. 7 febbraio 1990, n. 19. Il testo originario recitava: «4) l'avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità;».

[2] Le parole «; o l'avere partecipato a un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato, concluso con un esito riparativo. Qualora l'esito riparativo comporti l'assunzione da parte dell'imputato di impegni comportamentali, la circostanza e' valutata solo quando gli impegni sono stati rispettati» sono state aggiunte dall'art. dall'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.   Ai sensi dell'art. 92, comma 2-bis d.lgs. n. 150, cit. le disposizioni in materia di giustizia riparativa si applicano nei procedimenti penali e nella fase dell'esecuzione della pena decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Il comma 2-bis è stato da ultimo inserito dall'art. 5-novies d.l. n. 162, cit.,  in sede di conversione.  Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199.  

[3] In tema di stupefacenti v. artt. 737 e 747 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; in tema di criminalità mafiosa v. art. 8 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv., in l. 12 luglio 1991, n. 203; in tema di sanzioni applicabili agli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato vedi artt. 12 e 17 d.lg. 8 giugno 2001, n. 231.

Inquadramento

L'art. 62 c.p. elenca le circostanze attenuanti comuni, così denominate in quanto, da un lato, comportano una mitigazione della pena commisurata dal giudice per il reato semplice, e, dall'altro, sono previste per un numero indeterminato di reati, cioè per tutti i reati con i quali non siano incompatibili (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 533).

Motivi di particolare valore morale o sociale (art. 62, n. 1)

La circostanza è inversa all'aggravante di cui al n. 1 dell'art. 61 (Antolisei, PG, 361; Pagliaro, 310) e valorizza i motivi che normalmente determinano azioni moralmente nobili, come tali approvate dalla coscienza etica del popolo o che corrispondono alle direttive e finalità della comunità organizzata (in giurisprudenza, Cass. V, n. 4728/1981).

Secondo la dottrina, «è di particolare valore morale o sociale il motivo ispirato a ragioni corrispondenti rispettivamente o a un'etica che dell'uomo sottolinei i valori più elevati (amore paterno; solidarietà al proprio simile), o a ragioni sentite in virtù delle necessità della comunità civile (amor di patria; aiuto agli emarginati)» (Romano, Commentario, 671). In particolare, per motivi di particolare valore morale si debbono intendere i motivi meritevoli di apprezzamento in quanto espressione di un sentimento etico comunemente condiviso, mentre i motivi di particolare valore sociale sono quelli valutati favorevolmente perché rispondenti, in un certo momento storico, agli obiettivi propri della comunità organizzata nello Stato (Mantovani, PG, 421; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 561, il quale, al fine di non condannare la norma ad una tacita disapplicazione in considerazione della sempre maggiore frammentarietà sociale, esclude che le finalità sociali debbano essere riferite all'intera collettività e propone quale metro di giudizio, innanzitutto, i principi costituzionali e, in secondo luogo, i valori emersi dopo l'avvento della Carta costituzionale ma che abbiano trovato riconoscimento e protezione nella legislazione ordinaria).

In base al costante insegnamento della giurisprudenza, i motivi di particolare valore morale o sociale sono soltanto quelli che oggettivamente e non soggettivamente (Cass. I, n. 7390/2018; Cass. VI, n. 19764/2020) sono avvertiti come tali dalla prevalente coscienza collettiva (non, quindi, quelli radicati nel ristretto ambiente di alcuni strati sociali in particolari aree geografiche: Cass. I, n. 2386/1994), ed intorno ai quali vi sia un generale consenso (Cass. VI, n. 27746/2018; Cass. I, n. 20312/2010; Cass. VI, n. 11878/2003), oppure i motivi della condotta che superino l'entità della morale comune media e non siano di scarsa rilevanza rispetto alla gravità del reato commesso (Cass. I, n. 11236/2008); presupposti impliciti della norma sono:

a) che l'agente sia stato spinto a compiere azioni caratterizzate da una componente altruistica (Cass. I, n. 11043/1995, la quale ha escluso la configurabilità dell'attenuante in relazione ad un omicidio determinato dalla volontà di interrompere una relazione sentimentale della vittima con la sorella dell'imputato, poiché animato dal soddisfacimento di un interesse egoistico, costituito, nella specie, dalla c.d. causa d'onore); 

b) che l’agente non abbia concorso a creare quella situazione di illiceità, per la cui rimozione violenta si invoca dallo stesso l’attenuante: Cass. I, n. 481/1971;

c) che i motivi della condotta superino l'entità della morale comune media e non siano di scarsa rilevanza rispetto alla gravità del reato commesso come desumibile dall’aggettivo “particolare” adoperato dal legislatore (Cass. I, n. 1715/1995; Cass. I, n. 11236/2009).

Segue. Natura giuridica e conseguenze applicative

Si tratta di una circostanza soggettiva concernente i motivi a delinquere (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 562; Pagliaro, 311; Fiandaca-Musco, PG, 459; Romano, Commentario, 672; Antolisei, PG, 365), anche se, come è stato precisato da un Autore, la circostanza «consta di una parte oggettiva (la qualificazione del motivo, che deve obiettivamente essere di valore morale o sociale) e di una psicologico-soggettiva (il soggetto deve essere spinto da quale motivo: ma ciò non significa che deve conoscerne anche l'ispirazione nobile)» (Romano, Commentario, 672).

Attesa la natura soggettiva, nel quadro del concorso di persone è applicabile, ai sensi dell'art. 118, soltanto alla persona animata da quel motivo (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 562).

Segue. Compatibilità con altre fattispecie

Sul presupposto che la valutazione dell'«azione», comunque illecita perché criminosa, deve essere tenuta separata da quella del «motivo», la dottrina ritiene l'art. 62, n. 1, applicabile a tutti i reati, anche ai più gravi (Fiandaca-Musco, PG, 458, e Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 561, i quali spiegano la rigorosa applicazione dell'aggravante da parte della giurisprudenza proprio in ragione della tendenza a riferire il giudizio di meritevolezza, anziché al motivo, alla condotta, che però, essendo per sua natura oggettivamente illecita, non può mai essere oggetto di un apprezzamento favorevole); in terminisCass. S.U., n. 2/1960; Cass. VI, n. 6093/1983), ad eccezione del delitto di calunnia, quale che sia stata la finalità perseguita dal reo, posto che l'ordinamento giuridico non può ammettere o riconoscere alcuna positiva valenza alla falsa incolpazione di un innocente. (Cass. VI, n. 3025/1990).

L'attenuante può concorrere con quella della provocazione ex art. 62, n. 2, in quanto lo stesso fatto può determinare da una parte, in quanto offensivo di un sentimento nobile ed elevato, motivi di spinta all'azione approvati dalla coscienza etica collettiva e dall'altra, in quanto ingiusto, uno stato d'ira (Cass. I, n. 25/1970; Cass. I, n. 168/1969; Cass. I, n. 389/1968); la possibilità di applicare simultaneamente le due attenuanti è tuttavia subordinata all'accertamento, in concreto, della loro ascrivibilità a distinte situazioni concrete, poiché qualora il fatto che ne è alla base sia unico, per il principio del «ne bis in idem» sostanziale che impedisce la reiterata valutazione del medesimo elemento ai fini della riduzione della pena, deve applicarsi una sola delle anzidette circostanze (Cass. I, n. 29929/2010).

Si è affermata, inoltre, la compatibilità dell'art. 62, n. 1, con la premeditazione (Pagliaro, 311; Romano, Commentario, 672).

Segue. Casistica

Alla stregua dei suddetti principi generali (supra), pertanto, si è ritenuto che l'attenuante non ricorra:

— in relazione a reati commessi per motivi personali: Cass. I, n. 16200/1978 (in una fattispecie di tentato omicidio nei confronti di un uomo affetto da mania di esibizioni sessuali); Cass. I, n. 2783/1984 (in relazione ai reati di detenzione e porto illegale di pistola); Cass. I, n. 10892/1994 (tentato omicidio come reazione ad un'offesa semplicemente verbale); Cass. V, n. 31365/2008, Cass. VI, n. 27746/2018 (false dichiarazioni all'ufficiale di stato civile); Cass. III, n. 18896/2011 (commissione di un reato da parte di un appartenente alla polizia giudiziaria, pur se finalizzata al conseguimento di brillanti risultati investigativi); 

— in relazione a reati commessi durante manifestazioni di protesta: Cass. II, n. 101/1965 (atti di violenza in occasione di sciopero); Cass. I, n. 4135/1973 (sommossa di detenuti diretta a sollecitare l'attuazione del regolamento carcerario); Cass. VI, n. 11878/2003 (offerta ad altri di piccoli quantitativi di hashish e marijuana nel corso di una manifestazione avente l'obiettivo di sollecitare iniziative di modifiche della legislazione sulla droga); Cass. I, n. 11236/2008 (manifestazione antifascista); Cass. I, n. 20312/2010(manifestazione contro base USA); Cass. V, n. 21065/2006 (manifestazione contro la guerra); Cass. II, n. 197/2017(contestazione violenta delle missioni di pace dei militari italiani all'estero); Cass. VI, n. 19764/2020 (manifestazione “no Tav”);

— in relazione a reati edilizi nonché a una violazione dei sigilli apposti ad una costruzione abusiva commessa per realizzare una costruzione diretta a sopperire a ragionevoli ed indilazionabili necessità abitative dell'imputato proprietario e custode della costruzione medesima; la comune coscienza etica della società, infatti, non giustifica la costruzione abusiva di un edificio per dare abitazione alla propria famiglia a ragione del danno che deriva da tale illecita azione ai prevalenti interessi pubblici inerenti alla corretta attuazione degli strumenti urbanistici ed alla esatta osservanza dei vincoli imposti dalle leggi — statali e regionali — a tutela di specifici interessi (paesaggistici, archeologici, ecc.) (Cass. VI, n. 1063/1990; Cass. IV, n. 12851/1989; Cass. III, n. 11225/1987);

— in relazione a delitti commessi a causa del proprio stato di miseria e per sopperire a gravi bisogni della propria famiglia: Cass. III, n. 207/1965; Cass. V, n. 49674/2009 (spedita di monete falsificate); Cass. V, n. 3967/2016 (furto per acquistare medicinali);

— in caso di cessione di droga al tossicodipendente in presenza di crisi di astinenza, trattandosi di condotta che conserva intatta la sua illiceità anche se dettata da intenti altruistici o da solidarietà fra tossicodipendenti (Cass. VI, n. 10109/1990; Cass. I, n. 76/1987);

— in relazione a reati commessi pietatis causa (Cass. I, n. 47039/2007; Cass. I, n. 7390/2018; Cass. I. n. 50378/2018: omicidio del coniuge affetto da una grave forma di Alzheimer: con nota di Lombardi; assumendo una posizione opposta, una parte della dottrina ha osservato che l'applicazione dell'attenuante a favore di chi cagiona volontariamente la morte del malato allo scopo di anticipare la fine delle sue sofferenze è giustificata dal sentimento di pietà e non legittima affatto l'eutanasia (in dottrina Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 561).

— in relazione a reati commessi per motivi passionali (Cass. V, n. 10644/1991; Cass. I, n. 390/1968, in relazione a gelosia e vendetta; Cass. I, n. 37352/2007; Cass. I, n. 4439/1994; Cass. I, n. 9254/1996; Cass. I, n. 11659/1992, in relazione alla cosiddetta «causa d'onore»; Cass. III, n. 3069/1991: violenza carnale, commessa allo scopo di sposare la ragazza)

— in relazione reati commessi per motivi politici (Cass. I, n. 25275/2008; Cass. I, n. 3744/1992; Cass. I, n. 5807/1987: in relazione a reati di terrorismo); Cass. I, n. 11344/1993; Cass. II, n. 18581/2009 (in relazione a manifestazione per la realizzazione di un miglior assetto sociale).

 

 

Provocazione (art. 62, n. 2)

Questa attenuante, comunemente denominata “provocazione”, valorizza, in funzione mitigatrice della pena, il ruolo svolto dalla vittima nel processo di causazione del reato (Mantovani, PG, 422); si distingue, pertanto, sul piano degli effetti dalla provocazione nel delitto di diffamazione (art. 599, comma 2), in riferimento ai quali l'aver commesso uno di tali reati in uno stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso, costituisce una causa di non punibilità.

La circostanza è costruita su due momenti: uno oggettivo, rappresentato da un fatto ingiusto, e l'altro soggettivo, costituito dallo stato d'ira (Fiandaca-Musco, PG, 459), a cui deve aggiungersi il nesso causale tra fatto ingiusto del soggetto passivo e reazione dell'agente (in giurisprudenza Cass. I, n. 6931/1982).

In modo non dissimile dalla ricostruzione dottrinale secondo la quale l'attenuante della provocazione si compone di tre elementi concorrenti (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 561), la giurisprudenza (Cass. I, n. 21409/2019) afferma costantemente che, ai fini della sua configurabilità, occorrono:

a) lo «stato d'ira», costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi;

b) il «fatto ingiusto altrui», costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto ma anche dall'inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l'ordinaria, civile convivenza, per cui possono rientrarvi, oltre ai comportamenti sprezzanti o costituenti manifestazione di iattanza, anche quelli sconvenienti o, nelle particolari circostanze, inappropriati;

c) un rapporto di causalità psicologica tra l'offesa e la reazione: Cass. I, n. 25173/2016 (Fattispecie in cui la Corte di merito, relativamente ad un omicidio, aveva omesso di accertare compiutamente se la condotta fosse riconducibile allo stato d'ira provocato dalle molestie sessuali poste in essere dalla vittima nei confronti della moglie dell'imputato ovvero a mere questioni di vicinato);

d) la reazione non dev'essere eccessiva e, quindi, inadeguata rispetto all'episodio ultimo dal quale trae spunto, tale cioè da fare escludere la sussistenza di un ragionevole nesso causale tra offesa, sia pure potenziata per accumulo, e reazione, e tale, quindi, da far propendere invece per l'esistenza di uno stimolo psichico affatto diverso, connotato per esempio da sentimenti di rancore o vendetta: Cass. I, n. 1089/2017; Cass. V, n. 8945/2022.

Il fatto ingiusto

Il presupposto oggettivo dell'attenuante è l'altrui fatto ingiusto, il quale si reputa tale non solo quando sia in contrasto con norme di diritto, ma anche quando derivi dalla violazione di regole del vivere civile e, quindi, da comportamenti sprezzanti, di iattanza e, comunque, disdicevoli (Cass. I, n.11446/1988; Cass. I, n. 4516/1988; in dottrina, Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 561); detto altrimenti, il fatto ingiusto altrui può essere realizzato non solo da un comportamento antigiuridico ma anche dalla violazione di norme sociali o di costume, e deve contenere in sé la potenzialità di suscitare una commotio animi nel senso di una intensa eccitazione capace di alterare la funzionalità dei freni inibitori (Cass. I, n. 9373/1994; Cass. V, n. 55741/2017).

Anche l'esercizio di un diritto e il compimento di un atto legittimo possono assumere carattere provocatorio allorquando siano posti in essere con modalità che, secondo il costume sociale e le regole della civile convivenza, appaiono vessatorie, sconvenienti, irragionevoli e rappresentano espressione di iattanza, di dispetto, di esosità (Cass. I, n. 5318/1998; in dottrina, Marinucci-Dolcini, 561).

È stato altresì precisato che l'ingiustizia del fatto deve essere individuata e determinata con criteri obbiettivi, nel senso cioè che il fatto, oltre ad essere noto all'agente (Romano, Commentario, 473), deve essere ingiusto oggettivamente, senza che ai fini dell'applicazione dell'attenuante rilevi l'erroneo convincimento del reo sull'ingiustizia del fatto (Cass. I, n. 759/1994; Cass. I, n. 995/1986; Cass. I, n. 10201/1984), in quanto nel nostro ordinamento — in conformità al principio generale enunciato nel secondo comma dell'art. 59 — non è ammissibile una provocazione putativa, trovando applicazione il disposto dell’art. 59 comma 3 c.p. (Cass. I, n. 45322/2019; Cass. VI, n. 58087/2017; Cass. I, n. 281/1982).

Inoltre, il carattere di ingiustizia obiettiva (intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali), che deve rivestire il fatto ingiusto altrui, deve essere valutato nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale (Cass. I, n. 21409/2019; Cass. V, n. 55741/2017Cass. V, n. 49569/2014, in relazione ad una fattispecie in cui la Suprema Corte ha escluso la sussistenza dell'attenuante nei confronti dell'imputata di origine marocchina, condannata per l'omicidio di un uomo con cui aveva avuto una relazione sentimentale e che, dopo lunghi tergiversamenti, aveva rifiutato di sposarla, nonostante gli intercorsi rapporti sessuali, sposando, invece, un'altra donna; Cass. V, n. 2725/2020, in una fattispecie in cui una donna (e le sue due figlie) erano state ritenute colpevoli di stalking nei confronti dell’amante di suo marito ha negato l’attenuante in commento rilevando che l’intraprendere una relazione con il coniuge di un’amica «sono temi che esulano dal novero delle condizioni che possono condurre all'applicazione della circostanza invocata, trattandosi di dinamiche squisitamente affettivo-interpersonali caratterizzate da un possibile margine di opinabilità, che non rispondono a regole (neanche di ordine morale) generalmente riconosciute e sufficientemente stabilizzate e che, pertanto, non possono trovare sbocco in termini di attenuazione della risposta punitiva dello Stato», tanto più che il reato era stata commesso a due anni dalla scoperta della relazione.).

L'attenuante inerisce ad una situazione iniziale di legittimità o, almeno, di non illiceità dell'offensore, confliggente con una opposta situazione di illiceità dell'offeso e qualificata da un intento reattivo a siffatta situazione di illiceità. Ne consegue che la stessa non è applicabile a favore dell'autore di un delitto quando il fatto apparentemente ingiusto della vittima, cui l'agente abbia reagito, sia stato determinato a sua volta da un precedente comportamento ingiusto dello stesso agente o sia frutto di reciproche provocazioni (Cass. V, n. 42826/2014; Cass. I, n. 1285/1997).

Pertanto, l'attenuante della provocazione non può essere riconosciuta né in favore di chi per primo si sia posto nell'illecito (Cass. I, n. 1775/1987) provocando con il proprio pregresso comportamento la reazione della persona offesa del reato (Cass. I, n. 7573/2010), né in favore di chi, per libera scelta, si sia posto in una situazione suscettibile di dar vita ad azioni e reazioni penalmente rilevanti (Cass. I, n. 2934/1982); del pari, non è neppure configurabile quando l'esistenza di pregressi contrasti tra autore del fatto e vittima abbia progressivamente condotto a reciproche aggressioni e ripicche in termini tali da non consentire l'attribuzione all'uno o all'altra di uno specifico fatto ingiusto quale causa immediata della reazione (Cass. I, n. 26847/2010; Cass. V. n. 27698/2018).

E così, la circostanza va esclusa in caso di rissa o di sfida, perché allora la provocazione è reciproca e si elide vicendevolmente anche in considerazione del fatto che la spontanea offerta al pericolo e la preparazione all'offesa dell'avversario sono motivi di natura psichica caratterizzati dallo intento di infliggere una punizione all'offensore e sintomatici di rancore, di vendette e trovano radice in un sentimento diverso dall'ira (Cass. I, n. 7836/1988; nello stesso senso, Cass. I, n. 16123/2010, la quale ha precisato che impediscono l'applicazione della circostanza sia l'accettazione di una sfida, sia il portare una sfida).

Nondimeno, la circostanza attenuante della provocazione è eccezionalmente compatibile con il reato di rissa qualora risulti che l'azione offensiva di uno dei due gruppi contendenti sia stata preceduta e determinata da una pretesa tracotante e illecita o da una gravissima offesa proveniente esclusivamente dall'altro gruppo (Cass. V, n. 8020/2013), e può competere anche a chi abbia tenuto per primo un comportamento ingiusto (originario provocatore), quando il provocato reagisce in misura sproporzionata, così ponendo in essere con tale eccesso un nuovo fatto ingiusto e, come tale, provocatorio (Cass. I, n. 1323/1995; Cass. V, n. 10903/1981; Cass. I, n. 2638/1979).

Vi è un diffuso consenso — tanto in dottrina quanto in giurisprudenza — in merito alla possibilità di configurare l'attenuante anche nel caso di reato commesso da persona diversa dal provocato, purché però, al fine di poter affermare la sussistenza dell'indispensabile rapporto di causalità tra offesa e reazione, l'agente sia legato allo stesso provocato da vincoli di solidarietà giuridicamente e moralmente apprezzabili (Cass. I, n. 2554/1996, in relazione ad un caso in cui il legame era di amicizia; Cass. V, n. 7221/2021, in una fattispecie di aggressione perpetrata in danno di un coinquilino degli imputati, rimasto acquiescente, ha ritenuto non configurabile la circostanza attenuante della provocazione, in quanto la condotta criminosa era stata posta in essere quale reazione ad un fatto ingiusto altrui commesso nei confronti di un terzo non legato all'agente da rapporti personali tali da doverne assumere la difesa; in dottrina, Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 563; Mantovani, 422; Romano, Commentario, 673).

È discusso, invece, se la circostanza sia applicabile laddove il reato sia commesso nei confronti di persona diversa dall'autore del fatto ingiusto. La dottrina è divisa tra chi nega la configurabilità dell'attenuante (Marinucci-Dolcini, 563) e chi, al contrario, ritiene che la circostanza ricorra anche allorquando il provocatore sia legato alla vittima del reato da vincoli di solidarietà (Mantovani, PG, 422; Antolisei, PG, 363; Padovani, 221).

La giurisprudenza propende per la soluzione estensiva, sostenendo che la reazione del soggetto provocato può essere diretta contro persona diversa dal provocatore, purché la vittima sia legata a quest'ultimo da un rapporto che renda plausibile la reazione nei suoi confronti: in tal caso, è necessaria, se non una sua compartecipazione nel fatto provocatorio, almeno la sussistenza di rapporti giuridicamente o moralmente apprezzabili — come quelli di parentela, di solidarietà o di amicizia — tra il provocatore e la vittima stessa, così che sussista un nesso causale tra il fatto del provocatore, i rapporti tra costui e il terzo e la reazione dell'agente nei confronti di quest'ultimo (Cass. V, n. 7221/2021; Cass. V, n. 37950/2017; Cass. I, n. 35607/2002; Cass. I, n. 1737/1987; Cass. VI, n. 1439/1968; vedasi, però Cass. I, n. 84/1971, secondo la quale il semplice rapporto di parentela o di affinità fra provocatore e terzo non è sufficiente a giustificare l'applicazione dell'attenuante nella ipotesi di reazione esercitata verso il terzo).

La giurisprudenza ha escluso che integrino il «fatto ingiusto» di cui all'art. 62 n. 2:

- il rifiuto di continuare una relazione sentimentale, poiché tale rifiuto costituisce espressione del diritto alla libertà sessuale (Cass. III, n. 2702/2012; Cass. III, n. 915/2010);

- la mancata corresponsione del compenso pattuito per una prestazione carnale, in considerazione del carattere turpe dell'azione di chi si prostituisce e di chi ne compra i favori sessuali (Cass. I, n. 45514/2007; Cass. III, n. 7910/1976).

Lo stato d'ira

Lo stato d'ira, quale elemento di natura soggettiva per la sussistenza della circostanza in esame, è integrato da «un'emozione che genera impulsi aggressivi non contenibili con i normali freni inibitori» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 562), ovvero da uno sconvolgimento emotivo tale da far perdere il controllo delle proprie azioni (Padovani, 221).

Anche secondo la giurisprudenza, la circostanza attenuante della provocazione ricorre quando il reato sia commesso non già in un generico stato di emozione, agitazione, timore o paura, bensì in uno stato d’ira, essendo necessario che l’agente abbia perduto il controllo di se stesso in conseguenza di un fatto che sia privo di giustificazione nei contenuti e nelle modalità esteriori, capace di alterare i freni inibitori, come tale costituente eccezione al principio generale, secondo cui gli stati emotivi non sono causa di diminuzione della imputabilità: Cass., I, n. 40177/2009; Cass. V, n. 45314/2018; Cass. I, n. 6931/1992.

Lo stato d'ira non va confuso con altri stati psicologici, quali l'odio, il rancore o il risentimento, i quali, subentrati all'originaria eccitazione emotiva, servono invece a far maturare nell'animo dell'individuo, attraverso la riflessione ed il calcolo, il desiderio di vendetta (Cass. I, n. 7893/1988; Cass. I, n. 2064/1988; Cass. I, n. 10437/1984; Cass., I, n. 10696/1982; Cass. I, n. 5395/1982; Cass. I, n. 3405/1981; Cass. V, n. 4726/1981); cosicché, l'attenuante non è configurabile qualora l'agente sia animato da odio e rancore (Cass. I, n. 6981/1997), dall'intento di infliggere una punizione all'offensore (Cass. V, n. 8658/1990; Cass. IV, n. 11135/1984), da uno stato d’ira (Cass. I, n. 25936/2017), ovvero in relazione a reati commessi per vendicarsi di torti subiti in tempi pregressi (Cass. I, n. 25826/2007), sia pure se tali diversi stati d'animo siano insorti in correlazione con un fatto ingiusto altrui e, quindi, siano ricollegabili a precedenti azioni provocatorie (Cass. I, n. 16320/1990).

È stato tuttavia precisato che «lo stato d'ira è ovviamente compatibile con un preesistente stato di risentimento, di rancore o di odio, purché vi si innesti un autonomo e nuovo fatto ingiusto, come fattore scatenante dell'esplosione d'ira» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 563).

Il rapporto di causalità psicologica tra offesa e reazione

Ai fini della configurabilità dell'attenuante della provocazione, occorre, altresì, la sussistenza di un nesso di causalità psicologica tra il fatto ingiusto del soggetto passivo e la reazione dell'agente.

La circostanza non è integrata, per insussistenza dell'elemento eziologico, quando manca un rapporto di proporzione e di adeguatezza tra fatto provocante e fatto provocato, poiché in tal caso tra i due fatti sussiste soltanto un legame di mera occasionalità (Cass. I, n. 52766/2017; Cass. I, n. 9946/1977; Cass. I, n. 651/1969).

L'immediatezza della reazione

La giurisprudenza — in accordo con la prevalente dottrina (Mantovani, PG, 422; Marinucci-Dolcini, 2015, 563) — ritiene che l'attenuante sia configurabile non solo quando la reazione sia immediatamente successiva al fatto ingiusto del provocatore, ma anche quando la reazione avvenga a distanza di tempo (cd. provocazione per accumulo: Cass. I, n. 51041/2013; Cass. I, n. 4695/2011; Cass. I, n. 13921/2010; Cass. V, n. 12860/2005; Cass. I, n. 9844/1990), purché sia data la prova dell'esistenza di un fattore scatenante che giustifichi l'esplosione (cd. conflagrazione reattiva), in relazione e in occasione di un ultimo episodio pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si affermi sedimentata nel tempo e sempre che la reazione non si sia tramutata da passione in sentimento di odio, rancore o altro (Cass. I, n. 45454/2022; Cass. V, n. 7244/2016Cass. I, n. 11124/1997; Cass. I, n. 3067/1996; Cass. I, n. 16790/2008, peraltro, precisa che il passaggio di un lasso di tempo considerevole può assumere rilevanza al fine di escludere il rapporto causale e di riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l'odio o il rancore a lungo provato). Conferma di ciò si ricava, per un verso, dal confronto con l'esimente di cui all'art. 599, comma 2, nei delitti contro l'onore, ove è espressamente previsto che il reato sia stato commesso nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui e  ”subito dopo di esso”, e, per altro verso, dal fatto che il vigente codice penale ha abbandonato la formula di quello precedente, che parlava di ”impeto d'ira o di intenso dolore”, riferendosi testualmente invece a uno “stato”, cioè a una situazione psichica che ben può perdurare nel tempo, accumularsi sotto lo stimolo di reiterati comportamenti ingiusti della vittima, per esplodere infine e a distanza di tempo per un episodio trascurabile in sé, ma che scatena la condotta reattiva fino a quel punto contenuta (Cass. I, n. 6352/1993; Cass. I, n. 17590/1989). Ne consegue che l'acquiescenza dell'agente ad una pluralità di fatti, oggettivamente ingiusti perché contrari a norme etiche o giuridiche o di costume ovvero alle regole della convivenza sociale generalmente accettate, non esclude la sussistenza dello stato d'ira né sul piano psichico né su quello giuridico, qualora la vittima ponga in essere un nuovo ed ulteriore comportamento ingiusto che, ricollegandosi a quelli precedenti per il nesso di derivazione psicologica che li avvince, scateni nell'offeso un moto irrefrenabile e ne determini la reazione violenta (Cass. I, n. 6848/1991).

La proporzione tra offesa e reazione

È controverso, in dottrina, se debba sussistere un rapporto di proporzione tra il fatto di reato e il fatto ingiusto che ha prodotto lo stato d'ira. In senso contrario, taluni Autori osservano, da un lato, che tale limite non è richiesto dalla legge e, dall'altro, che «i più elementari dettami della psicologia insegnano che è caratteristico dell'ira cagionare reazioni non solo incontrollabili, ma anche, spesso, sproporzionate» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 563); altri, invece, ritengono che nel nesso causale tra fatto ingiusto e reato commesso in stato d'ira «è implicita l'idea di una proporzionalità o adeguatezza» (Romano, Commentario, 673).

L'indirizzo maggioritario in giurisprudenza opina nel senso che, pur non essendo il concetto di adeguatezza e proporzione fra le opposte condotte elemento caratterizzante l'attenuante, la provocazione va tuttavia negata ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere uno o più degli elementi propri dell'attenuante medesima, come lo stato d'ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l'ira (Cass. I, n. 52766/2017; Cass. I, n. 30469/2010; Cass. I, n. 1305/1994), sicché la reazione al fatto provocatorio debba essere considerato un mero pretesto di cui l'agente abbia approfittato per dare sfogo alla propria prepotenza, violenza, malvagità d'animo o aggressività, così escludendo la sussistenza del nesso causale fra fatto provocatorio e reazione (Cass. I, n. 16632/2013; Cass. V, n. 2076/1991; Cass. I, n. 5207/1985). Ai fini di stabilire l'adeguatezza tra reazione e fatto ingiusto altrui, il giudice non può limitarsi a valutare soltanto l'ultimo episodio aggressivo a cui l'agente ha reagito, ma deve considerare tutta l'eventuale serie di atti similari ripetuti nel corso del tempo, ed accertare se essi siano idonei a potenziare, per accumulo, la carica afflittiva di ingiusta lesione dei diritti dell'offeso, tali da incidere sul rapporto offesa — reazione (Cass. I, n. 12816/2017; Cass. V, n. 24693/2004; Cass. I, n. 6913/1992; Cass. I, n. 8133/1991).

Segue. Natura giuridica e conseguenze applicative

Secondo la dottrina maggioritaria, la circostanza ha natura soggettiva (Fiandaca-Musco, PG, 460; Romano, Commentario, 672; Antolisei, PG, 364; Pagliaro, 312).

Difatti, la circostanza in commento «dà rilievo ad uno stato emotivo che incide, indebolendola, sulla volontà di commettere il fatto di reato e quindi comporta una minore intensità del dolo»; per questa ragione, essa non si comunica ai concorrenti nel reato, ai sensi dell'art. 118 (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 562).

Segue. Compatibilità con altre fattispecie

L'attenuante prevista dall'art. 62 n. 2 è:

a) compatibile:

con il vizio parziale di mente, sempre che lo stato d'ira non si identifichi con la infermità mentale, tramutandosi in stato patologico (Cass. V, n. 4065/1981; Cass. I, n. 1023/1985).

con la premeditazione, sia perché quest'ultima non richiede la freddezza e pacatezza dell'animo sia perché, non esigendo l'art. 62 n. 2 l'impeto d'ira richiesto dal codice abrogato, lo stato d'ira può perdurare nel tempo: le due circostanze possono concorrere, tuttavia, solo se risulti accertato che alla persistenza dell'idea criminosa si sia accompagnato lo stato d'ira determinato dal fatto provocatore, quale fattore scatenante (Cass. I, n. 35512/2019Cass. I, 35957/2004; Cass. I, n. 4595/1984; Cass. I, n. 7472/1984) e sempre che l'oggetto della programmazione criminosa non sia impulsivamente rivolto contro persona diversa da quella cui si rivolgeva l'ideazione criminosa, investita da un accesso d'ira per essersi posta come ostacolo imprevisto rispetto all'intento originario (Cass.  n. 47880/2011); con l'attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale, in quanto lo stesso fatto può determinare da una parte, in quanto offensivo di un sentimento nobile ed elevato, motivi di spinta all'azione approvati dalla coscienza etica collettiva, e dall'altra, in quanto ingiusto, uno stato d'ira (Cass. I, n. 25/1970; Cass. I, n. 168/1969; Cass. I, n. 389/1968). Tuttavia, la possibilità di applicare simultaneamente l'attenuante ex art. 62 n. 1 e quella della provocazione è subordinata all'accertamento, in concreto, della loro ascrivibilità a distinte situazioni concrete, poiché qualora il fatto che ne è alla base sia unico, per il principio del ne bis in idem sostanziale che impedisce la reiterata valutazione del medesimo elemento ai fini della riduzione della pena, deve applicarsi una sola delle anzidette circostanze (Cass. I, n. 29929/2010; Cass. I, n. 12056/1992; Cass. I, n. 1015/1989);

Con l'esimente speciale della reazione agli atti arbitrari del pubblico ufficiale (art. 4 del d.lgs.lt. n. 288/1944, ora art. 393-bis), essendo diversi, sul piano oggettivo e soggettivo, i presupposti che condizionano la configurabilità dei due istituti (Cass. VI, n. 34089/2003); con l'ubriachezza (Romano, Commentario, 674; Pagliaro, 312);

con i reati colposi nei quali è presente la volontà di reagire ad un'offesa (Pagliaro, 312; Antolisei, PG, 363, il quale cita il caso dell'autista che, gravemente offeso da una persona, perda il controllo della macchina e investa un passante).

b) incompatibile:

con i motivi o futili abietti, non potendo, nel compimento della stessa azione, coesistere stati d'animo contrastanti, dei quali l'uno esclude l'ingiustizia dell'azione dell'antagonista (ex multis, Cass. V, n. 17686/2010; Cass. I, n. 24683/2008; Cass. I, n. 3600/2007);

con la legittima difesa, giacché colui che porta o accetta una sfida o si pone, comunque, volontariamente in una situazione di pericolo, dalla quale è prevedibile o ragionevole attendersi che derivi la necessità di difendersi dall'altrui aggressione, non può invocarla (Cass. I, n. 10406/2005);

con il reato permanente e con la continuazione nello stesso reato, poiché la persistenza o la reiterazione annullano l'effetto iniziale della provocazione, rivelando il subentrare all'originaria situazione emotiva di spinte psicologiche diverse dallo stato d'ira (Cass. I, n. 3637/1984; Cass. I, n. 38020/2004);

con i reati a condotta abituale: Cass. VI, n. 13562/2020, ha negato la configurabilità dell’attenuante in commento in una fattispecie in cui l’imputato – riconosciuto colpevole dei delitti di maltrattamenti e di lesioni aggravate in danno della coniuge – aveva provocato a costei lesioni subito dopo avere scoperto che intratteneva una relazione sentimentale con un altro uomo. La Corte, dopo avere rilevato, in punto di fatto, che le suddette lesioni costituivano l'ultimo episodio nella serie abituale di condotte violente e vessatorie, cui il ricorrente aveva sottoposto la moglie, ha osservato che l’invocata attenuante non è compatibile con un reato a condotta abituale. Infatti, l'attenuante della provocazione postula il fatto ingiusto altrui, lo stato d'ira e un nesso di causalità psicologica tra fatto e reazione, da ritenersi, nella fattispecie, insussistente, in quanto la relazione extraconiugale della donna aveva costituito solo la mera occasionalità per reiterare un comportamento antigiuridico (lesioni) come desumibile dalla reazione sproporzionata tenuta dall’imputato. In altri termini, poiché il reato di maltrattamenti è contrassegnato costitutivamente da una serie di comportamenti antigiuridici di analoga natura che si ripetono e si replicano nel tempo "quella che si vorrebbe prospettare come una reazione emotiva a un fatto ingiusto, si presenta - in realtà - come espressione di un proposito di rivalsa e di vendetta, al quale l'ordinamento non può dare riconoscimento alcuno": Cass. VI, n. 12307/2000; Cass. VI, n. 10006/91.

Segue. Profili processuali

Spetta all'imputato l'onere di provare gli elementi di fatto idonei a giustificare l'affermazione di sussistenza della circostanza attenuante della provocazione (Cass. I, n. 2663/2011).

Controversa è la rilevanza civilistica dell'attenuante in commento ai fini della riduzione della misura del risarcimento.

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, posto che l'art. 62 n. 2 postula la necessità di un nesso causale tra fatto provocante e fatto provocato, sul piano privatistico la provocazione deve considerarsi come un concorso nel fatto dannoso da parte del (provocatore) danneggiato, in quanto il comportamento del provocatore, determinando la reazione del provocato, si configura come concausa colposa dell'evento dannoso a lui successivamente inferto dal provocato; con la conseguenza che la provocazione posta in essere dal danneggiato deve essere valutata, a norma dell'art. 1227, comma 1, c.c., quale elemento concorrente alla produzione dell'evento e quindi idoneo ad incidere, diminuendola, sulla misura del risarcimento (Cass. V, n. 11708/1988Cass. V, n. 3879/1982). Su tali presupposti, pertanto, si è affermato che la parte civile è legittimata a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna che abbia riconosciuto all'imputato l'attenuante della provocazione, incidente sui soli effetti civili (Cass. I, n. 4775/2000, la quale in motivazione ha ritenuto che tale attenuante si configura come fatto colposo concorrente nella produzione dell'evento, posto in essere dal provocatore per non avere diligentemente calcolato le conseguenze del suo comportamento, e cioè la reazione del provocato; Cass, I, n. 38206/2019; Cass. I, n. 574/2020).

Per contro, altra parte della giurisprudenza ritiene che l'attenuante della provocazione non abbia incidenza sulla liquidazione dei danni patrimoniali, non potendo trovare applicazione l'art. 1227, comma 1, c.c. richiamato in materia extracontrattuale dall'art. 2056 stesso codice, atteso che non è ipotizzabile il concorso di colpa del danneggiato nella produzione dell'evento lesivo: la provocazione, anche se induce una spinta emotiva, non si inserisce nel rapporto causale vero e proprio tra il fatto reato che produce il danno ed il suo autore. In relazione ai danni non patrimoniali, la provocazione può avere rilevanza non come concorso di colpa bensì come uno degli elementi che possono influire sulla liquidazione, necessariamente equitativa, di tali danni, affidata al criterio discrezionale del giudice di merito (Cass. V, n. 21952/2001Cass. V, n. 7718/1999; Cass. I, n. 7401/1982; Cass. V, n. 7076/1982).

Suggestione della folla in tumulto (art. 62, n. 3)

L'attenuante di cui all'art. 62, n. 3, concerne l'ipotesi in cui l'agente abbia agito per suggestione di una folla in tumulto, purché non si tratti di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall'Autorità, e il colpevole non sia un delinquente o contravventore abituale o professionale, o un delinquente per tendenza.

All'origine della circostanza vi è l'addensamento in un determinato luogo di «una moltitudine di persone percorsa da una tensione o eccitazione collettiva» (Romano, Commentario, 674); uno stato, cioè, determinato dal fatto che all'interno della folla i singoli sono agitati da intense passioni che si comunicano e rimbalzano potenziate da soggetto a soggetto (Mantovani, PG, 418).

Nel dettaglio, i presupposti di operatività sono:

a) la presenza dell'agente in una folla in tumulto, ossia in una riunione imponente e disordinata di individui che, per un concorso di emozioni, reagisca in modo improvviso e rumoroso (Cass. V, n. 6396/1990, nella quale si è esclusa la configurabilità dell'attenuante, essendosi trattato di azione condotta da un gruppo coordinato di individui che avevano freddamente calcolato i fatti di aggressione; Cass. I, n. 12664/1977).

Il termine “folla” indica «una moltitudine di individui che, agitati dalla medesima o da passioni contrastanti, si addensano in un dato luogo»; tale agglomerato deve essere in tumulto, vale a dire «in uno stato di sollevazione, di insurrezione o di sommossa» (Antolisei, PG, 364).

b) il reato deve essere stato commesso “per suggestione” della folla in tumulto. Deve cioè sussistere uno stretto nesso di causalità psichica tra l'azione criminosa e la suggestione esercitata dalla folla tumultuante (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 564), nel senso che la prima sia l'effetto della seconda e che l'individuo non avrebbe agito in quella maniera se si fosse trovato fuori della sfera di influenza della suggestione. 

Cass. II, n. 22903/2023 , ha ribadito che «che la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 3 cod. pen. ricorre in presenza di tre presupposti: a) una moltitudine di persone in un determinato luogo, mosse da sentimenti che determinano un diffuso stato di agitazione e di eccitazione collettiva; b) la presenza del soggetto agente in mezzo alla folla che non abbia avuto, in precedenza, intenzione di commettere l'illecito, c) un nesso di causalità psichica tra la suggestione derivante dalla folla e la condotta illecita».

Ne discende che la circostanza attenuante in esame non può essere applicata nel caso di una manifestazione preordinata almeno nella fase iniziale, quindi non sorta improvvisamente per moto spontaneo, ed a maggior ragione qualora il colpevole abbia in precedenza predisposto l'azione criminosa da compiersi in occasione, e non a causa, della prevista manifestazione, per giunta facendo parte del gruppo di persone costituitosi proprio per spingere ad atteggiamenti violenti di intolleranza (Cass. I, n. 10234/1988; Cass. III, n. 2715/1965).  Cass. VI, n. 52172/2017, ha chiarito che l a circostanza attenuante in commento «presuppone che l'autore del reato non abbia concorso e non sia confluito con altri per provocare l'assembramento delle persone e compiere il fatto di reato». Alla stregua di tale principio la Corte ha escluso che il pacifico assembramento dei tifosi sugli spalti di uno stadio integri il concetto di "folla in tumulto", trattandosi di una riunione di persone del tutto lecita, dalla quale l'imputato si era distaccato, assieme ad un gruppo di facinorosi, per creare la situazione di disordine collettivo da cui era scaturita la successiva invasione di campo.

Del pari, anche la dottrina ritiene che l'agente non potrà beneficiare della riduzione di pena allorquando si sia determinato a commettere il reato già prima di mescolarsi alla folla, magari ripromettendosi di approfittare del tumulto per delinquere con maggiore facilità (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 564; Romano, Commentario, 674).

Inoltre, l'effetto determinante della suggestione deve essere altresì escluso quando il colpevole sia entrato a far parte liberamente del gruppo (Cass. V, n. 4557/1973).

In senso contrario è però schierata una parte della dottrina, secondo la quale la circostanza sarà applicabile anche nel caso in cui il soggetto abbia preso parte per libera scelta ad un assembramento di persone già in tumulto, a condizione che la decisione di commettere il reato sia insorta successivamente (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 564; Romano, Commentario, 674).

La norma prevede, inoltre, due limiti alla sua applicabilità:

1) uno di carattere oggettivo, dovendosi trattare di riunione o assembramento non vietati dalla legge o dall'Autorità; la dottrina ha precisato che per riunione deve intendersi un «concorso di gente previamente deciso», mentre l'assembramento indica una adunata improvvisa (Romano, Commentario, 674).

2) l'altra di carattere soggettivo, non potendo essere il colpevole un delinquente o contravventore abituale o professionale, o un delinquente per tendenza.

Quanto alla ratio delle predette limitazioni, in letteratura si registrano varie opinioni: secondo taluni, le condizioni negative innanzi ricordate «sono ispirate allo scopo di rafforzare il principio di autorità e di evitare che possano fruire dell'attenuante gli individui che sono socialmente pericolosi» (Antolisei, PG, 364); secondo altri, il primo limite risponde «all'esigenza di non riconoscere un'attenuazione di pena a chi agisce all'interno di una situazione di illegalità», mentre il secondo limite «riflette una logica di prevenzione speciale nei confronti di chi, già incline a delinquere, può trovare ulteriori spinte criminogene nella folla in tumulto» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 564); altra dottrina, infine, ravvisa le ragioni di tali deroghe «nell'opportunità della prevenzione da un lato di riunioni vietate, dall'altro della partecipazione a manifestazioni pubbliche di soggetti socialmente pericolosi» (Romano, Commentario, 674).

In aggiunta alle limitazioni legali, un orientamento costante della giurisprudenza richiede che l'autore non abbia concorso e confluito con altri per provocare l'assembramento delle persone e compiere il fatto reato (Cass. VI, n. 11915/2014; Cass. I, n. 15111/2011).

In dottrina  è maggioritaria l'opinione secondo cui anche i capi e gli agitatori possono beneficare della riduzione di pena, purché abbiano a loro volta subito l'influsso della folla (Antolisei, PG, 364; Pagliaro, 312; Romano, Commentario, 674): contra:Cass. I, n. 10234/1988;Cass. III, n. 2715/1965.

Segue . Ratio , natura giuridica e conseguenze applicative

L'attenuante trova il suo fondamento nello stato di minorata resistenza psichica cagionata dalla folla tumultuante (Cass. V, n. 6396/1990), giustificandosi in considerazione del dato dell'esperienza secondo cui «le folle possono talora esercitare un'efficacia che allenta i freni inibitori e facilita la commissione di reati» (così in dottrina, Fiandaca-Musco, PG, 460; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 564); Cass. VI, n. 54424/2018, ha chiarito che l’attenuante in esame «attiene ai motivi a delinquere, sicchè la sua configurabilità deve essere verificata, ai sensi dell'art. 118, in relazione a ciascun imputato e non sulla base di una valutazione omnicomprensiva ed indistinta riferita alle condotte di tutti i concorrenti nel reato.».

Ed infatti, la giurisprudenza richiede quale presupposto che l'autore del reato si sia determinato alla sua condotta illecita solo perché, trovatosi in mezzo ad una situazione di disordine, ha avuto una minore resistenza psichica alle spinte criminali e si sia, di conseguenza, lasciato andare al compimento di atti illeciti in quanto contaminato dalla fermentazione psicologica per contagio, che si sprigiona dalla folla (Cass. VI, n. 37367/2014, la quale, con riferimento al reato di devastazione, ha escluso che una precedente condanna per fatto analogo implichi la necessità logica di negare l'ipotesi della «suggestionabilità» dell'imputato; Cass. I, n. 42130/2012, con riferimento ai fatti di devastazione commessi nell'ambito delle proteste collegate al «G8» di Genova, del luglio 2001).

La dottrina dominante le riconosce natura soggettiva (Fiandaca-Musco, PG 460; Antolisei, PG, 364; Pagliaro, 312; Romano, Commentario, 674).

In senso conforme, si è precisato che «l'influenza emotiva esercitata dalla folla in tumulto, indebolendo i processi volitivi che hanno portato alla commissione del fatto, si traduce in una minore intensità del dolo», cosicché, ai sensi dell'art. 118, la circostanza non si comunica ai concorrenti nel reato (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 564).

Segue. Casistica

Si è esclusa l'applicabilità della circostanza in commento:

- in una fattispecie in cui vi era stata preordinazione del lancio di razzi in occasione di una partita di calcio da parte di sostenitori di una delle due squadre in competizione, con conseguente ferimento e morte di uno spettatore appartenente all'opposto schieramento di tifosi (Cass. I, n. 10234/1988);

- nel caso in cui il reato venga commesso dopo una zuffa ed indipendentemente da questa, giacché manca quella condizione di menomata libertà e di minorato discernimento, che sono il presupposto dell'attenuante (Cass. VI, n. 2269/1969).

Danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62, n. 4)

 

L’attenuante del danno di speciale tenuità ha natura pacificamente oggettiva (Fiandaca-Musco, PG, 462; Romano, Commentario, 675; Pagliaro, 313).

La norma è stata modificata, rispetto alla sua formulazione originaria, ad opera dell'art. 2 l. n. 19/1990, che ha esteso l'applicabilità della circostanza — inizialmente prevista per i soli delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio — a tutti i delitti determinati da motivi di lucro, indipendentemente dalla natura giuridica del bene tutelato, quando l'agente abbia agito per conseguire o abbia comunque conseguito un lucro di speciale tenuità e anche l'evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità (Cass. V, n. 26807/2013; Cass. V, n. 43342/2005).

L'integrazione, dettata proprio da ragioni di equità e di parziale simmetria con l'aggravante di cui all'art. 61, n. 7 (Fiandaca-Musco, PG, 461), consente pertanto di dare rilevanza alla speciale tenuità non più soltanto del «danno», ma anche del «lucro»; nei delitti determinati da motivi di lucro, tuttavia, il legislatore ha introdotto una duplice limitazione, specificando che la speciale tenuità deve necessariamente riguardare sia l'entità del lucro (conseguendo o conseguito dall'agente) che l'entità della lesione-evento dannoso o pericoloso subito dalla vittima.

Segue. La speciale tenuità del danno patrimoniale

In tema di delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, il danno patrimoniale, comprensivo sia del danno emergente che del lucro cessante (in dottrina Marinucci-Dolcini, 2015, 565), deve essere specialmente tenue, vale a dire non solo lieve, ma lievissimo, ossia di rilevanza economica minima (ex plurimis, Cass. VII, n. 5329/2022; Cass. IV, n. 6635/2017). Ne consegue che un danno non grave o di esigua rilevanza, mentre può costituire utile elemento di valutazione ai fini della quantificazione della pena o anche della concessione delle attenuanti generiche, non può rivestire quel carattere di speciale tenuità che è elemento della specifica attenuante in esame (Cass. IV, n. 9931/1985).

La giurisprudenza interpreta l'espressione “danno patrimoniale” in senso lato, come comprensiva anche del danno fisico o morale procurato dalla condotta illecita alla persona offesa, e non può quindi attribuirsi rilievo ostativo agli elementi indicati dall'art. 133, e, in particolare, alla capacità a delinquere (Cass. II, n. 13575/2014).

Inoltre, è insegnamento giurisprudenziale costante che, ai fini della configurabilità dell'attenuante in parola, rilevano, oltre al valore economico del danno, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa complessivamente valutata (Cass. IV, n. 16218/2019ha escluso la configurabilità dell'attenuante in esame, in relazione al furto di un documento di identità e di un bancomat; Cass. IV, n. 6635/2017; Cass. V, n. 24003/2014; Cass. II, n. 36916/2011; Cass. II, n. 21014/2010).

L'affermazione risulta recentemente ribadita dalle  Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 42124/2024 ) secondo cui nel reato di rapina, ai fini della configurazione dell'attenuante in oggetto occorre considerare, oltre al valore del bene mobile sottratto alla vittima, anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia,  e ciò essenzialmente avuto riguardo alla natura plurioffensiva dei delitti di rapina ed estorsione, che ledono non soltanto il patrimonio, ma anche la libertà e l'integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto, con la conseguenza che, solo ove la valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati ad entrambi i beni tutelati sia di speciale tenuità, può farsi luogo al riconoscimento della predetta circostanza attenuante.

La stessa decisione (Cass. S.U. n. 42124/2024 )  ha ribadito che il momento in cui va considerata l'entità del danno è quello della consumazione del reato in quanto il danno non può divenire di speciale tenuità in conseguenza di eventi successivi;  proprio in questo senso si è negata rilevanza nella pronuncia in esame alla restituzione del telefono cellulare dapprima sottratto con violenza alla persona offesa.

Tale apprezzamento, risolvendosi nella verifica di circostanze fattuali, è riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici (Cass. II, n. 21872/2001). Il giudice ha l'obbligo di motivare in ordine al valore intrinseco ed economico della cosa e non può limitarsi a valutarla unicamente in relazione alle sue potenzialità di uso ed al servizio da essa reso (Cass. V, n. 43268/2011, la quale, in tema di tentato furto di un cellulare, ha ritenuto illegittima la decisione con cui il giudice di merito ha escluso la configurabilità dell'attenuante senza indicarne la ragioni; Cass. IV, n. 20303/2004).

Con la pronuncia Corte cost. n.141/2023 la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 69, quarto comma, c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 62, numero 4), c.p. sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, c.p.; la Consulta, dato per presupposto che la circostanza sia applicabile anche a reati plurioffensivi come la rapina, nei quali il patrimonio è soltanto uno dei beni giuridici che il legislatore ha inteso tutelare osservava che l'attenuante del danno di particolare tenuità si applica, per espresso dettato normativo, ai delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio. Tra tali delitti assumono particolare rilievo prasseologico i delitti di rapina ed estorsione, caratterizzati da una pena minima edittale particolarmente elevata, pari a cinque anni di reclusione nelle ipotesi non aggravate; una pena minima che è essa stessa frutto di successivi interventi legislativi che hanno alterato le originarie scelte sanzionatorie del codice del 1930, determinando una «pressione punitiva […] ormai diventata estremamente rilevante», rispetto alla quale deve invocarsi una «attenta considerazione da parte del legislatore, alla luce di una valutazione, complessiva e comparativa, dei beni giuridici tutelati dal diritto penale e del livello di protezione loro assicurato». La latitudine dello schema legale dei delitti in parola, d'altra parte, fa sì che essi si prestino ad abbracciare anche condotte di modesto disvalore: non solo con riferimento all'entità del danno patrimoniale cagionato alla vittima, che può anche ammontare (nel caso oggetto del giudizio a quo si trattava della minaccia effettuata all'indirizzo degli addetti alle casse di un supermercato finalizzata ad ottenere la consegna di 10 euro) a pochi euro sottratti alle casse di un supermercato; ma anche con riferimento alle modalità della condotta, che può esaurirsi in forme minimali di violenza (come una lieve spinta) ovvero, nella mera prospettazione verbale di un male ingiusto, senza uso di armi o di altro mezzo di coazione, che tuttavia già integra la modalità alternativa di condotta costituita dalla minaccia. Ed anche rispetto a simili fatti, osservava la Corte la disciplina vigente impone una pena minima di cinque anni di reclusione: una pena che risulterebbe, però, manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità oggettiva dei fatti medesimi – anche in rapporto alle pene previste per la generalità dei reati contro la persona –, se l'ordinamento non prevedesse meccanismi per attenuare la risposta sanzionatoria nei casi meno gravi. Ne conseguiva, pertanto, la declaratoria di illegittimità costituzionale del predetto divieto sancito dall'art. 69 quarto comma, c.p. rispetto alla attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c.p. ritenuta espressamente applicabile anche ai reati plurioffensivi che aggrediscono il patrimonio.

Sui rapporti fra l'art. 62 n. 4 c.p. e l'art. 62-bis c.p., si rinvia al commento dell'art. 62-bis c.p. § 7 lett. b).

Casistica

In applicazione dei principi generali illustrati nel precedente paragrafo, la giurisprudenza ha altresì escluso l'applicabilità dell'attenuante:

- in una fattispecie in cui l'imputato si era impadronito di una borsa contenente un cellulare e le chiavi di casa, giacché i beni sottratti, complessivamente valutati, dovevano considerarsi di valore economico non irrilevante, anche tenuto conto degli ulteriori danni subìti dalla persona offesa in conseguenza del furto delle chiavi della propria abitazione (Cass. V, n. 24003/2014);

- in relazione al furto di una cinepresa compiuto da un agente di polizia all'interno del proprio Commissariato, derivando da esso grave pregiudizio al rapporto fiduciario di servizio (Cass. IV, n. 8530/2015);

- in relazione alla ricettazione della targa di un veicolo, in ragione delle spese sostenute dalla persona offesa per ottenere il rilascio di una nuova targa, di nuova documentazione e di un nuovo tagliando assicurativo (Cass. II, n. 3576/2013);

- in relazione ad una truffa commessa in danno di Poste Italiane S.p.A. attraverso l'utilizzo abusivo dei cartellini di ingresso e la conseguente alterazione dei dati sulle presenze in ufficio, attesa la grave lesione del rapporto fiduciario determinata dalla condotta delittuosa (Cass. VI, n. 30177/2013);

- in riferimento al delitto di estorsione, in quanto non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, atteso che il delitto ha natura di reato plurioffensivo perché lede non solo il patrimonio ma anche la libertà e l'integrità fisica e morale aggredite per la realizzazione del profitto (Cass. II, n. 45985/2013; Cass. II, n. 12456/2008);

- in riferimento al delitto di rapina che si sia concretato anche nella sottrazione di una serie di documenti personali di particolare importanza, in quanto, trattandosi di un reato plurioffensivo che lede non solo il patrimonio ma anche la libertà e l'integrità fisica e morale della vittima, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia (Cass. II, n. 19308/2010; Cass. II, n. 41578/2006).

- in tema di atti diretti a procurare illegalmente l'ingresso di stranieri extracomunitari nel territorio dello Stato o di altro Stato della Unione europea e, in generale, in tema di favoreggiamento della immigrazione clandestina, in considerazione della natura, della entità e della importanza della messa in pericolo degli interessi tutelati dalla norma incriminatrice, la modestia del compenso corrisposto, o promesso, dallo straniero favorito al soggetto attivo del reato, per remunerare la condotta delittuosa, non comporta il riconoscimento della attenuante comune del danno patrimoniale di speciale tenuità: Cass. I, n. 9636/2017.

- in riferimento ai reati (ad es. furto – appropriazione indebita - ricettazione – rapina ecc..) aventi ad oggetto tessera bancomat e documenti di identità (Cass. IV, n. 16218/2019; Cass. IV, n. 37795/2021), moduli in bianco di carte di identità (Cass. II, n. 14895/2019), carte di credito (Cass. II, 21790/2021) assegni in bianco (Cass. II, 24075/2015), patente di guida (Cass. II, n. 39825/2009; Cass. V, n. 7738/2015) la giurisprudenza più recente ritiene la non configurabilità dell'attenuante in quanto il valore da considerare per la valutazione del danno non è quello della carta o dei moduli, ma quello, non determinabile, derivante dalla loro potenziale utilizzabilità (contra: Cass. V, n. 25870/2006, secondo la quale nel caso di furto di tessera bancomat, l'attenuante è applicabile atteso che la carta plastificata, se il ladro non ne conosce il codice e non può usarla, non ha alcun valore in sé e la sua sottrazione cagiona l'unico danno consistente nelle spese per il duplicato: al che si può ribattere che, notoriamente, bancomat e carte di credito, sono utilizzabili in quanto possono essere clonate); peraltro, Cass. V, n. 33093/2005 ha ritenuto sussistente l'attenuante nell'ipotesi di furto di una carta telefonica Sim in quanto il titolare della carta rubata conserva il numero di telefono che gli era stato attribuito, sicché non si determinano danni ulteriori rispetto a quelli modesti di carattere patrimoniale.

Accertamento del danno

In analogia con l’aggravante ex art. 61, n. 7, vi è diffuso accordo in dottrina in merito all’adozione di un criterio misto oggettivo-soggettivo di accertamento, sulla scorta del quale la speciale tenuità del danno deve essere valutata in via prioritaria in relazione al valore intrinseco della cosa, mentre il riferimento alle condizioni economiche del soggetto passivo costituisce un criterio puramente sussidiario, utilizzabile solo nel caso in cui il valore della cosa in sé non sia esso stesso sufficientemente indicativo della speciale tenuità o meno ovvero il danno sia di entità tale da rendere dubbia la sua oggettiva rilevanza. Pertanto, una volta accertato che il danno non è di valore tenue, ogni ulteriore indagine si rende superflua; il parametro sussidiario, invece, è in grado di esercitare un’influenza negativa, nel senso che, pur essendo il danno di speciale tenuità oggettiva perché obiettivamente modesto, esso può aver provocato un pregiudizio notevole all’offeso, attese le condizioni economiche particolarmente disagiate del medesimo (Romano, Commentario, 675; Fiandaca-Musco, PG, 461; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 565).

Secondo la giurisprudenza, il danno di speciale tenuità presuppone non solo che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante, ma è, inoltre, necessario considerare, oltre al valore in sé della cosa sottratta, anche il valore complessivo del pregiudizio arrecato con l'azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della "res". Alla stregua di tale principio, la giurisprudenza più recente ed in via di consolidamento, ritiene, pertanto, che non rileva la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato (Cass. IV, n. 6635/2017; Cass. II, n. 5049/2021; Cass. V, n. 344/2022; Cass. IV, n. 33553/2022).

Va, però, segnalato che:

- una parte della giurisprudenza – in adesione alla dottrina citata - sostiene che «quando il valore della cosa, oggetto della condotta delittuosa, non sia esso stesso sufficientemente indicativo della speciale tenuità (o no) del danno patrimoniale cagionato alla persona offesa dal reato, è corretto prendere in esame la situazione economica di tale persona»: Cass. II, n. 19246/2022; Cass. II, n. 2993/2016; Cass. II, n. 29475/2008; Cass. II, n. 2001/1992;

- in relazione al parallelo problema che si pone per la configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61 n 7 c. p. (cfr commento sub art 61paragrafo “Segue. Criteri di valutazione della rilevante entità del danno”), la giurisprudenza è, invece, consolidata nel ritenere che, nel valutare l'applicabilità della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, può farsi riferimento alle condizioni economico-finanziarie della persona offesa solo qualora il danno sofferto, pur non essendo di entità oggettiva notevole, può essere qualificato tale in relazione alle particolari condizioni della vittima.

L'accertamento deve essere compiuto al momento della consumazione del reato, cosicché l'entità del danno deve essere commisurata al valore commerciale della cosa al momento del fatto e non al suo prezzo di acquisto (Cass. V, n. 33470/2008; Cass. V, n. 10361/1999), senza che rilevi né il maggior danno che possa eventualmente verificarsi o si verifichi in conseguenza di eventi successivi (Cass. V, n. 6770/2006; Cass. II, n. 4287/2003) né il valore potenziale derivante dalla eventuale possibile utilizzazione degli oggetti rubati (Cass. V, n. 48779/2004, in un caso di furto di timbri appartenenti ad un ufficio comunale, la Corte ha ritenuto irrilevante la considerazione che tali oggetti potessero essere utilizzati per commettere altri e più gravi reati contro la fede pubblica; Cass. IV, n. 20303/2004). In particolare, nel delitto di usura il danno da valutare è quello corrispondente al pregiudizio economico in concreto subito dalla parte offesa con il pagamento o la promessa di pagamento di interessi usurari, restando del tutto irrilevanti gli eventuali inadempimenti successivi della vittima dell'usura, quali la sospensione del pagamento delle rate stabilite per la restituzione del capitale (Cass. II, n. 4287/2003).

Peraltro, nel reato di furto la durata del danno assume rilevanza solo come elemento complementare — e non alternativo — di quello del valore della cosa sottratta, sicché, se la cosa è di grande valore in sé, a nulla rileva che sia stata sottratta soltanto per brevi momenti, poiché il danno è obiettivamente grave per il solo fatto dello spossessamento, sia pure limitato nel tempo; al contrario, nel caso di recupero in brevissimo tempo di una somma sottratta di non grossa entità, il danno di speciale tenuità può ravvisarsi, nella indifferenza del valore della cosa sottratta, in ragione del minimo pregiudizio che la breve sottrazione ha causato

(Cass. II, n. 3167/2014; Cass. IV, n. 4240/1989);   contra : Cass. V, n. 13817/2017; Cass. V, n. 19728/2019, secondo le quali: «i i fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno di particolare tenuità nel reato di furto, l'entità del pregiudizio deve essere commisurata al valore della cosa al momento della consumazione del reato, essendo irrilevanti le vicende successive alla integrazione di detta attenuante».

La valutazione della speciale tenuità, nel caso di reato continuato, va effettuata non in relazione all'importo complessivo delle somme contestate, ma con riguardo al danno patrimoniale cagionato per ogni singolo fatto-reato (Cass. S.U. n. 3286/2008; Cass. II, n. 9351/2018;Cass. VI, n. 14040/2015).

Segue. La speciale tenuità del lucro

In relazione ai delitti determinati da motivi di lucro (categoria astrattamente comprensiva di qualsiasi delitto), la norma richiede, in funzione limitativa, che la speciale tenuità si riferisca sia al vantaggio patrimoniale che l'agente ha conseguito o che si riprometteva di conseguire con il delitto, sia all'evento dannoso o pericoloso.

In dottrina, si è rilevato che la lettera della legge, laddove fa riferimento all'«aver comunque conseguito un lucro di speciale tenuità», «autorizza l'applicazione dell'attenuante anche a chi abbia commesso un delitto per conseguire un lucro rilevante, ma in concreto ne abbia ottenuto soltanto uno di speciale tenuità» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 566).

Sul punto, va rilevato che la giurisprudenza si è consolidata nell’applicare il seguente principio di diritto: «La circostanza attenuante del danno economico di speciale tenuità è applicabile ad ogni tipo di delitto, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, purché il fatto risulti commesso per motivi di lucro - e cioè per acquisire, mediante l'azione delittuosa, un vantaggio patrimoniale - e purché la speciale tenuità riguardi sia il lucro (prefigurato o conseguito) sia l'evento dannoso o pericoloso.» (Cass. V, n. 27874/2016), «dovendosi tale ultima espressione riferire a qualsiasi offesa penalmente rilevante che, tanto in astratto, con riferimento alla natura del bene giuridico tutelato, quanto in concreto, sia di tale modestia da risultare proporzionata alla tenuità del vantaggio che il reo si proponeva di conseguire o ha conseguito»: Cass. VI, n. 8295/2019 (in motivazione); Cass. Fer., n. 34651/2016; Cass. V, n. 26807/2013Cass.n. 24490/2020.

Segue. Compatibilità con altre fattispecie

Contravvenzioni: l'attenuante in esame, risulta testualmente inapplicabile alle contravvenzioni (Cass. III, n. 3199/2015, in tema di inquinamento idrico; Cass. III, n. 14290/2002, in materia di reati ambientali aventi natura contravvenzionale; Cass. III, n. 3010/1998Cass. III, n. 3859/1997; Cass. III, n. 23872/2009 e Cass. III, n. 6187/1994, in tema di contravvenzioni edilizie). La lettera della legge, infatti, ne circoscrive l'ambito applicativo ai delitti contro il patrimonio, ai delitti che comunque offendono il patrimonio e ai delitti determinati da motivi di lucro, così creando una corrispondenza quasi speculare rispetto all'aggravante prevista dall'art. 61, n. 7 c.p. (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 565; Fiandaca-Musco, PG, 461; Romano, Commentario, 675; Pagliaro, 313. Per le relative nozioni si  rinvia al commento sub art. 61).

Tentativo: la compatibilità dell'attenuante comune del danno di speciale tenuità con il delitto tentato, è stata ritenuta dalle Sezioni Unite, quando sia possibile desumere con certezza, dalle modalità del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato riportato al compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima:Cass. S.U.n. 28243/2013; Cass. II, n. 22130/2014;

Ricettazione: in ordine ai rapporti tra la circostanza attenuante comune di cui all'art. 62, n. 4 e quella speciale della particolare tenuità del fatto di cui all'art. 648/2 cod. pen. è stato affermato che la prima può essere riconosciuta nella sola ipotesi in cui l'attenuante di cui all'art. 648, comma 2, sia stata esclusa sotto il profilo della componente soggettiva del fatto (Cass. II, n. 2890/2020; Cass. II, n. 50066/2013; Cass. II, n. 49071/2012). L'attenuante ex art. 62 n. 4, dunque, può coesistere ed è compatibile con l'ipotesi attenuata di ricettazione solo se la valutazione del danno patrimoniale sia rimasta estranea al giudizio sulla particolare tenuità del fatto che caratterizza l'ipotesi attenuata di ricettazione, perché ove il danno patrimoniale sia stato tenuto presente in tale giudizio l'attenuante comune è assorbita nell'ipotesi attenuata di cui all'art. 648, comma 2, (Cass. S.U., n. 35535/2007 ha escluso la ricorrenza dell'attenuante nella ricettazione di un blocchetto di assegni di conto corrente bancario, successivamente riempiti per un ammontare complessivo di circa quattro milioni di lire; Cass. IV, n. 46031/2003), non potendo il medesimo elemento essere tenuto due volte in favorevole considerazione (Cass. II, n. 5895/2003). Ciò, sul presupposto che la circostanza della particolare tenuità del fatto nel delitto di ricettazione si distingue da quella della speciale tenuità del danno di cui all'art. 62, n. 4, perché in quest'ultima ha rilievo il valore della cosa ricettata, oltre al danno arrecato alla parte, mentre nella ricettazione attenuata, pur non escludendosi gli aspetti economici e patrimoniali, si deve avere riguardo a tutti gli altri possibili elementi del fatto (Cass. II, n. 7818/1992; Cass. I, n. 10562/1990);

Beni di interesse archeologico: La circostanza in esame può essere applicata anche con riferimento ai reati aventi ad oggetto beni di interesse archeologico sottratti al patrimonio indisponibile dello Stato, sia perché non esistono preclusioni alla configurabilità di tale circostanza in relazione ai reati commessi in pregiudizio dello Stato, sia perché ai fini della sua applicabilità si deve tener conto del valore attribuibile alla res oggetto del danno nelle normali contrattazioni commerciali in un determinato momento storico, senza che possano rilevare altri elementi, di natura oggettiva o soggettiva, che possano influenzare la valutazione della cosa medesima: Cass. II, n. 4468/1997;

Reati contro la fede pubblica: La circostanza in esame è applicabile purché il fatto sia commesso per un motivo di lucro e la speciale tenuità riguardi sia l'entità del lucro, conseguendo o conseguito, sia l'evento dannoso o pericoloso, dovendosi riferire tale ultima espressione a qualsiasi offesa penalmente rilevante che, tanto in astratto, con riferimento alla natura del bene giuridico tutelato, quanto in concreto, sia di tale modestia da risultare proporzionata alla tenuità del vantaggio che il reo si proponeva di conseguire o ha conseguito: Cass. fer., n. 34651/2016; Cass. V. n. 27874/2016; Cass. V, n. 9248/2015; Cass. V, n. 36790/2015, in relazione alla fattispecie di spendita di una banconota del valore di 50 euro; Cass. V, n. 44829/2014; Cass. V, n. 26807/2013, Cass. II, n. 47846/2019, in relazione al delitto di cui all'art. 474; Cass. V, n. 43342/2005, in relazione al delitto di falso nummario;

Reati contro la pubblica amministrazione: la circostanza attenuante in esame, è applicabile in base al summenzionato principio di diritto (Cass. V, n. 27874/2016 cit.). Quanto ai rapporti fra l'art. 62 n. 4 e la circostanza speciale di cui all'art. 323-bis cod. pen., è stato ritenuto che «l'attenuante speciale prevista dall'art. 323-bis cod. pen. per i fatti di particolare tenuità, diversamente da quella comune di cui all'art. 62, comma primo, n. 4 ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato»: Cass. VI, n. 8295/2019, in tema di corruzione e accesso abusivo a un sistema informatico, ha ritenuto esente da censure la decisione con cui era stata negata tale attenuante per l'oggettiva gravità del danno recato all'immagine della pubblica amministrazione e alla segretezza delle indagini della polizia giudiziaria; Cass. VI, n. 30178/2019; è stato ritenuto legittimo il diniego dell'attenuante previsto dall'art. 323-bis anche nel caso in cui sia stata riconosciuta quella di cui all'art. 62, n. 4 (Cass. VI, n. 7919/2012), mentre, qualora l'attenuante speciale di cui all'art. 323-bis venga riconosciuta esclusivamente in considerazione della ritenuta esiguità del danno economico cagionato dal reato, in essa rimane assorbita quella di cui all'art. 62, comma 1, n. 4 (Cass. VI, n. 34248/2011);

Reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti: laCass. S.U., n. 24990/2020, risolvendo un annoso contrasto, hanno affermato che «la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità, prevista dall'art. 62, comma 1, n. 4, c.p., è applicabile al reato di cessione di sostanze stupefacenti ed è compatibile con l'autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dall'art. 73, comma 5, d. P.R. n. 309 del 1990»;

Cass. III, n. 34663/2021 , ha precisato che, però, « l'applicazione dell'art. 73 comma 5 d.P.R. 309/1990 non implica automaticamente la sussistenza della suindicata circostanza attenuante.Come affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza Dabo, mentre la valutazione della lieve entità del fatto ai sensi dell'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 dei 1990 è relativa alla condotta - avuto riguardo ai mezzi, alla modalità e alle circostanze dell'azione - e all'oggetto materiale del reato - in relazione alla qualità e quantità delle sostanze - la verifica della speciale tenuità rilevante per il riconoscimento dell'attenuante di cui alla seconda parte dell'art. 62, n. 4 cod. pen. attiene ai motivi a delinquere (lucro perseguito), al profitto (lucro conseguito) e all'evento (dannoso o pericoloso) del reato. Per la sussistenza della circostanza attenuante, nelle ipotesi ex art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, occorra la prova dell'elemento specializzante costituito dall'avere l'agente agito per conseguire o l'avere conseguito un lucro di speciale tenuità e che l'evento, dannoso o pericoloso, sia anch'esso di speciale tenuità».

Diritto d'autore sulle opere dell'ingegno: «la circostanza in esame è configurabile anche con riferimento al delitto di cui all'art. 171-ter l. n. 633/1941 qualora ricorrano simultaneamente la condizione del perseguimento (o del conseguimento), da parte dell'autore del reato, di un lucro di speciale tenuità e quella della produzione, a detrimento della persona offesa, di un evento dannoso o di una situazione di pericolo di speciale tenuità»: Cass. III, n. 2685/2012; Cass. III, n. 12664/2006. Si è, però, specificato che «la circostanza attenuante del danno patrimoniale o del lucro di speciale tenuità è incompatibile con la fattispecie di reato prevista dall'art. 171 ter, comma secondo, lett. a), l. n. 633 del 1941, ivi contemplandosi infatti una pena più grave quando il numero dei supporti abusivamente detenuti per il commercio è superiore alle cinquanta unità»: Cass. III, n. 9688/2011; Cass. III, n. 13819/2008;

Reati di contrabbando: si è esclusa l'applicabilità dell'attenuante in commento in quanto, nei suddetti reati l'interesse protetto non è il patrimonio dello Stato ma il suo diritto sovrano alla imposizione e riscossione dei tributi: Cass. III, n. 34912/2004;

Reato di frode nell'esercizio del commercio: si è esclusa l'applicabilità dell'attenuante in esame in quanto il reato di cui all'art. 515 è un reato plurioffensivo che tutela, in primo luogo, il leale esercizio dell'attività commerciale e la condotta tipica consiste nella consegna di una cosa diversa per origine, provenienza, qualità o quantità rispetto a quella offerta in vendita, sicché non può neppure prospettarsi un danno di speciale tenuità per quel che attiene al principale bene giuridico tutelato: Cass. III, n. 37602/2009;

Reati tributari: si è esclusa l'applicabilità dell'attenuante in esame in quanto i suddetti reati non sono annoverabili tra gli illeciti che offendono il patrimonio, atteso che la tutela penale ha come oggetto non il patrimonio dello Stato, ma l'interesse pubblico, di rango costituzionale, all'osservanza dell'obbligo dei cittadini di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva: Cass. III, n. 9098/1993;

Utilizzazione illecita di carte di credito o di pagamento (art. 493-ter): «Il reato di indebito utilizzo di carte di credito è incompatibile con l'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, in quanto inteso a salvaguardare, oltre che la fede pubblica, l'interesse pubblico fondamentale a che il sistema elettronico di pagamento sia sempre utilizzato in modo corretto, sicché l'evento dannoso o pericoloso non può dirsi connotato da ridotto grado di offensività e disvalore sociale»: Cass. II, n. 34466/2019; Cass. IV, n. 2319/2019; Cass. II, n. 40876/2017; Cass. II, n. 45902/2012;

Favoreggiamento dell'immigrazione clandestina: «non è configurabile l'attenuante comune del danno patrimoniale di speciale tenuità in ragione del modesto importo del compenso corrisposto, o promesso, dallo straniero favorito»: Cass. I, n. 9636/2017.

Concorso del fatto doloso della persona offesa (art. 62, n. 5)

L'art. 62, n. 5 prevede una ipotesi di concorso di cause nella produzione dell'evento, cioè quella in cui quest'ultimo sia stato determinato dal concorso dell'azione del soggetto attivo con il fatto doloso della persona offesa, intenzionalmente diretto a cagionare l'evento; la circostanza in questione attiene direttamente al nesso di causalità tra condotta ed evento del reato, nel senso che il fatto doloso del soggetto passivo deve risultare concausa efficiente dell'evento del reato secondo il dettato di cui all'art. 41 c.p. (Cass. I, n. 15990/2006).

Per integrare la circostanza attenuante prevista dall'art. 62, n. 5, è necessaria la presenza di due elementi: l'uno materiale, rappresentato dall'inserimento dell'azione dell'offeso nella serie delle cause determinanti dell'evento ai sensi dell'art. 41, l'altro psichico, consistente nella volontà dell'offeso di concorrere nella produzione dell'evento medesimo (Cass. II, n. 25915/2018Cass. I, n. 13764/2008; Cass. V, n. 7570/1999; Cass. I, n. 9352/1994; Cass. I, n. 6535/1979). Di conseguenza, non è configurabile né in quei casi nei quali il comportamento della parte offesa è contrassegnato dalla colpa, secondo i criteri di qualificazione enunciati dall'art. 43, né quando, nell'ambito del processo di causazione dell'evento, essa assume il ruolo di una semplice occasione (Cass. I, n. 5378/1990) o movente (Cass. II, n. 6910/1973), ovvero quando il comportamento doloso costituisce elemento costitutivo del reato (Cass. IV, n. 9128/2018, in relazione al delitto di cui all'art. 9-ter, comma 2, cod. strada).

Dal punto di vista oggettivo, occorre che la condotta della persona offesa si inserisca nella serie causale determinativa dell'evento e che permanga il nesso di causalità fra la condotta dell'agente e l'evento, sicché il fatto doloso della vittima non deve atteggiarsi a causa sopravvenuta sufficiente da sola a produrre l'evento, ai sensi dell'art. 41, u.c. (Fiandaca-Musco, PG, 462; Romano, Commentario, 676; Pagliaro, 313; Antolisei, PG, 365).

È altresì necessario, dal punto di vista soggettivo, che la condotta della persona offesa sia collegata con la condotta del colpevole anche sul piano della causalità psicologica, oltre che su quello della causalità materiale, nel senso che l'offeso deve avere voluto lo stesso evento avuto di mira dal soggetto attivo del reato: il fatto doloso della persona offesa deve consistere, quindi, in un comportamento cosciente e volontario, diretto alla verificazione dell'evento o all'aggravamento delle sue conseguenze (Cass. I, n. 4913/1973). In senso difforme, però, altra parte della giurisprudenza ha affermato che l'attenuante in questione trova applicazione ogni qualvolta il fatto doloso dell'offeso è tale che, se non vi fosse stato, non si sarebbe verificato l'evento nella sua forma e gravità, indipendentemente dall'indirizzo della volontà della persona offesa e, quindi, dall'evento (risultato) avuto di mira dal dolo dello stesso (Cass. IV, n. 3741/1989).

È controverso, inoltre, se l'elemento subiettivo richiesto dalla norma sia lo stesso previsto dall'art. 43 c.p. La giurisprudenza ritiene che l''art. 62 n. 5 c.p. rinvii, per la nozione del dolo, al precedente art. 43 e presuppone che la persona offesa preveda e voglia l'evento dannoso come conseguenza della propria cooperazione attiva o passiva al fatto delittuoso dell'agente (Cass. I, n. 29938/2010).

In dottrina, invece, la formula “doloso” è interpretata in modo non letterale, in questo caso come riferimento al solo carattere volontario della condotta della vittima (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 566; Romano, 676).

Segue. Ratio e natura giuridica

Mentre la dottrina prevalente ritiene che si tratti di una circostanza oggettiva (Romano, Commentario, 676; Fiandaca-Musco, PG, 462; Antolisei, PG, 365), alcuni Autori, invece, le riconoscono natura soggettiva (Pagliaro, 311).

La ratio viene rinvenuta nella minore gravità del reato quando alla sua realizzazione abbia contribuito volontariamente con una propria condotta la vittima del reato stesso (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 566).

Segue. Compatibilità con altre fattispecie

L'attenuante non è compatibile con quelle figure di reato che abbiano, quale elemento costitutivo del fatto, una condotta volontaria della vittima (ad es., l'omicidio del consenziente, gli atti sessuali con minorenne, l'usura, la cessione di sostanze stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione), ovvero che sia posti a protezione di beni collettivi, poiché in tal caso difetta la stessa persona offesa dal reato che possa contribuire con la propria condotta volontaria a cagionare l'evento (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 566). In terminis, Cass. IV, n. 9128/2018, cit.

Una parte della dottrina, interpretando in maniera estensiva il termine “evento” come sinonimo di “fatto di reato”, giunge ad applicare l'attenuante anche ai reati di mera condotta (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 566); a detta impostazione, tuttavia, si contrappone chi, nel sottolineare la necessità che il fatto doloso della persona offesa non integri una causa interruttiva del nesso eziologico tra condotta dell'agente ed evento ex art. 41, u.c., non può che richiedere necessariamente la sussistenza di un evento in senso naturalistico Fiandaca-Musco, PG, 462; Romano, Commentario, 676; Pagliaro, 313; Antolisei, PG, 365).

Sul postulato secondo cui il concetto di dolo a cui fa riferimento l’art. 62 n. 5 è analogo a quello del disposto generale dell’art. 43, si è affermato che quando la persona offesa è, per ragione d’età (minore di quattordici anni) o per condizione psichica, incapace d’intendere e di volere, cioè di esprimere liberamente un atto di volizione cosciente, si deve necessariamente escludere che la sua cooperazione alla produzione dell’evento sia dolosa e, quindi, che possa ricorrere l’attenuante de qua: Cass. III, n. 347/2009, in materia di delitto d’atti sessuali con minorenne.

 

In dottrina non mancano, però, voci contrarie, ad avviso delle quali il fatto doloso rilevante ai fini dell’art. 61 n. 5 può essere realizzato non necessariamente da un soggetto imputabile (Romano, Commentario, 676).

La partecipazione alla rissa va riguardata come mera occasione e non come concausa del delitto di omicidio o di lesione (Cass. V, n. 300/1985); pertanto, l'attenuante non può applicarsi a favore dei corissanti nel caso in cui uno dei partecipanti alla zuffa abbia contribuito a provocare la rissa (Cass. II, n. 290/1957), né la semplice partecipazione ad una rissa può integrare, rispetto al reato di omicidio preterintenzionale, la circostanza attenuante del concorso doloso dell'offeso, atteso che tale circostanza presuppone oltre all'inserimento dell'azione della persona offesa nella serie delle cause dell'evento lesivo subito, anche la volontà di concorrere alla produzione di questo (Cass. V, n. 5538/1992; Cass. II, n. 290/1967).

In relazione al delitto di spaccio di sostanze stupefacenti, non è configurabile l'attenuante in esame, in quanto la parte offesa del predetto reato non è l'acquirente delle sostanze, ma la collettività sociale (Cass. VI, n. 12576/1990; Cass. I, n. 868/1982), e perché la configurabilità della stessa presuppone una coscienza e volontarietà di contribuire al verificarsi dell'evento con un fatto o un atto proprio (Cass. VI, n. 12482/1988).

In caso di violenza sessuale presunta, di cui all'art. 609 bis, comma 2, nella quale la persona offesa consente all'atto sessuale ma il suo consenso è viziato dall'inganno o dall'abuso che il soggetto agente compie giovandosi dello stato di inferiorità fisica o psichica della stessa persona offesa, il consenso si configura quale elemento strutturale della fattispecie criminosa e non può essere conseguentemente valutato quale circostanza attenuante ai sensi dell'art. 62 n. 5 (Cass. III, n. 13710/2005). Cass. III, n. 347/2009, ha escluso la configurabilità dell’attenuante in esame, con il delitto d'atti sessuali con minorenne, in quanto l'eventuale consenso della vittima non costituisce causa o concausa dell'evento.

La circostanza attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa non è applicabile ai delitti di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, sia perché il concorso della volontà della prostituta già costituisce elemento necessario per la realizzazione delle due fattispecie, sia perché alla prostituta non può essere riconosciuta la qualità di persona offesa, ma soltanto di parte eventualmente danneggiata e di soggetto passivo, sia infine perché il fatto della prostituta costituisce soltanto occasione, prossima o remota, del delitto e non vera e propria causa o concausa dell'evento come prescrive l'art. 62 n. 5 c.p (Cass. III, n. 44915/2014; Cass. III, n. 285/2000).

Segue. Casistica

La ricorrenza dell'attenuante è stata esclusa:

- in riferimento alla reazione a una rapina a mano armata da parte di un gioielliere che, al termine della colluttazione, finì ucciso dai rapinatori (Cass. I, n. 29938/2010, la quale ha argomentato sul rilievo che le confliggenti condotte della vittima e degli aggressori non costituivano elementi della medesima serie causale di produzione dell'evento, ma si ponevano in rapporto di mera occasionalità, nel senso che la reazione della persona offesa rappresentava l'antecedente);

- in riferimento all'attraversamento della sede viaria da parte di un pedone, rispetto al reato conseguente l'investimento del pedone medesimo (Cass. IV, n. 6326/1989, che argomenta sulla base del carattere colposo del comportamento della persona offesa);

- in riferimento al tentativo di furto commesso dalla vittima di un omicidio preterintenzionale, la quale, con il suo comportamento, aveva determinato la violenta reazione del derubato (Cass. V, n. 7570/1999).

- in una fattispecie in cui la persona offesa, recatasi presso l’imputato per acquistare merce di provenienza illecita, rimase vittima di una rapina da parte di costui, ritenne non configurabile la suddetta attenuante, non avendo la condotta della vittima ad alcun nesso di causalità con la rapina, trattandosi di due condotte del tutto autonome l’una dall’altra: Cass. II, n. 25915/2018.

Riparazione del danno e ravvedimento attivo (art. 62, n. 6)

L’art. 62, n. 6 c.p. prevede due distinte circostanze attenuanti: la prima consiste nell’integrale riparazione patrimoniale del danno mediante risarcimento ed eventualmente, ove possibile, mediante le restituzioni; la seconda consiste nell’essersi spontaneamente ed efficacemente adoperato per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.

Con l’art. 1, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 150/2022, con decorrenza dal 30/12/2022 ex art. 6 del d.l. n. 162/2022, conv., in l. n. 199/2022, è stata introdotta una terza circostanza attenuante che si applica all’imputato che abbia «partecipato a un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato concluso con un esito riparativo. Qualora l'esito riparativo comporti l'assunzione da parte dell'imputato di impegni comportamentali, la circostanza è valutata solo quando gli impegni sono stati rispettati». La suddetta circostanza si aggiunge, quindi, alle altre due, e può essere fatta valere in via alternativa (e non cumulativa) secondo il meccanismo e le regole infra illustrate che devono ritenersi valevoli, mutatis mutandis, anche per questa ulteriore attenuante. Va, peraltro, segnalato che, a questa terza attenuante, non pare sia applicabile il principio secondo il quale la condotta riparatoria dev’essere realizzata prima del giudizio come espressamente previsto dall’incipit della norma. Infatti, la nuova attenuante trae origine da una normativa speciale (le disposizioni concernenti la giustizia riparativa) che all’art. 44, comma 2 dispone che ai programmi di giustizia riparativa «si può accedere in ogni stato e grado del procedimento penale» il cui esito è trasmesso (art. 57) e valutato (art. 58) dall’autorità giudiziaria procedente. Il combinato disposto delle suddette norme di carattere speciale fa, quindi, ritenere che l’attenuante in commento può essere fatta valere anche nel giudizio di appello per la prima volta. Ovviamente, non può essere fatta valere per la prima volta nel giudizio di cassazione perché la valutazione comporta un giudizio di merito estraneo al giudizio di legittimità (per un primo commento: Iannuzziello).

L’art. 92, comma 2-bis, d.lgs. n. 150 del 2022, introdotto, in sede di conversione del d.l. n. 166 del 2022, dalla legge n. 199 del 2022, prevede che la disposizione, come tutte le disposizioni in materia di giustizia riparativa, si applichi, nei procedimenti penali e nella fase dell’esecuzione della pena, decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore del D. Lgs. n. 150 del 2022, ovvero a partire dal 30 giugno 2023. Trattandosi di previsione di favore, perché introduce una nuova circostanza attenuante, essa – ricorrendone le condizioni – potrà retroagire, ovvero essere applicata anche in riferimento ai reati commessi prima del 30/12/2022, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, che la ha introdotta nell’ordinamento.

La norma prevede due circostanze distinte e alternative tra loro (Mantovani, PG, 426; Antolisei, PG, 366; Pagliaro, 314; Romano, Commentario, 677), che non possono essere cumulate per una duplice riduzione di pena. Le due attenuanti contenute nell'art. 62, n. 6, c.p. hanno sfere di applicazione generalmente autonome: l'una è, infatti, correlata al danno inteso in senso civilistico, e cioè alla lesione patrimoniale o anche non patrimoniale, ma economicamente risarcibile; l'altra si collega, invece, al danno cosiddetto criminale, cioè alle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente risarcibile, che intimamente ineriscono alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata.

Ne consegue che le due fattispecie, pur potendo essere congiuntamente applicate, con un unico effetto riduttivo, nei reati diversi da quelli contro il patrimonio, nei quali la condotta del colpevole, successiva alla emissione del reato, abbia distintamente realizzato le autonome previsioni normative, non sono tra loro fungibili né possiedono reciproca capacità integratrice, con la conseguenza che il parziale risarcimento del danno, che non attenui il reato secondo la prima previsione, non può essere valutato nemmeno con riferimento alla seconda ipotesi (Cass. III, n. 31841/2014; Cass. I, n. 27542/2010).

Secondo la dottrina, trovano entrambe il proprio fondamento in un favor reparandi (Romano, Commentario, 676) ovvero nel favorevole apprezzamento del ravvedimento del colpevole successivamente alla commissione del reato (Fiandaca-Musco, PG, 440; Antolisei, PG, 366; Mantovani, PG, 426).

Ambedue le attenuanti presuppongono che le rispettive condotte riparatorie siano realizzate «prima del giudizio», cioè in una fase antecedente alle formalità di apertura del dibattimento di primo grado (Cass. III, n. 18937/2016; Cass. IV, n. 1528/2009; Cass. VI, n. 897/1993, la quale ha chiarito che la ragione di tale limite temporale va individuata nella possibilità di verifica, da parte del giudice, del sincero ravvedimento, al contrario preclusa una volta che, iniziato il giudizio di primo grado, l'imputato potrebbe determinarsi a riparare il danno seguendo un calcolo di opportunità dettato dall'andamento del dibattimento); anche nel giudizio direttissimo è necessario che il risarcimento intervenga prima delle formalità di apertura del dibattimento (Cass. V, n. 41765/2009), mentre nel giudizio abbreviato il limite temporale entro cui deve essere effettuato il risarcimento del danno è rappresentato dall'ordinanza di ammissione al rito ex art 438, comma 4, c.p.p.  (Cass. II, n. 12465/2022; Cass. III, n. 2213/2020; Cass.VI, n. 20836/2018; Cass. IV, n. 39512/2014; Cass. II, n. 45629/2012; contra: Cass. III, n. 10490/2015) e — sempre nell'ambito di tale rito alternativo — è ammessa la possibilità di un'offerta risarcitoria banco iudicis in vista dell'applicazione della circostanza attenuante de qua (Cass. II, n. 25950/2011).

A tal proposito, la giurisprudenza ritiene tempestivo, ai fini della concessione dell'attenuante del risarcimento del danno, l'intervento riparatorio effettuato prima della reiterazione delle formalità di apertura del dibattimento, una volta regredito il processo a causa del mutamento del giudice (Cass. IV, n. 17579/2010; Cass. VI, n. 33022/2006).

È stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 62 n. 6 c.p., nella parte in cui l'efficacia del risarcimento del danno viene subordinata all'osservanza di un limite temporale, non dando luogo siffatta previsione ed alcuna irragionevole compressione del diritto di difesa, ma ponendosi essa, al contrario, in sintonia con la «ratio» dell'attenuante in questione, che è quella di dare rilevanza a comportamenti i quali, precedendo gli sviluppi del giudizio e i condizionamenti derivanti dalle connesse, contingenti esigenze difensive, possano considerarsi sintomatici di ravvedimento (Cass. I, n. 3340/1995).

Peraltro, va posta una particolare attenzione ai rapporti fra l'attenuante in commento e la causa di estinzione del reato prevista dall'art. 641, comma 2 c.p. a norma del quale «l'adempimento dell'obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato». In proposito, correttamente, la giurisprudenza ritiene che «l'integrale adempimento dell'obbligazione che estingue il reato, previsto dall'art. 641, comma 2, deve avvenire "prima della condanna" e può, pertanto, attuarsi anche dopo la sentenza di primo o secondo grado e fino a che non sia stato deciso il ricorso per cassazione, a differenza del risarcimento del danno idoneo ad integrare la circostanza attenuante di cui all'art.62, comma 6 che deve avvenire "prima del giudizio"»: Cass. II, n. 23017/2016. E' evidente, quindi, che la causa di estinzione del reato (in quanto presuppone l'integrale adempimento dell'obbligazione) costituisce un maius rispetto alla semplice circostanza attenuante (risarcimento del danno) che presuppone, pur sempre, la sussistenza del reato e cioè il mancato integrale adempimento dell'obbligazione.   

Segue. Il risarcimento del danno o le restituzioni

Affinché sia configurabile la prima attenuante, è necessario che il soggetto ripari integralmente il danno, mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni.

Il danno risarcibile è inteso in senso civilistico e comprende, oltre al pregiudizio patrimoniale, anche il danno di natura psichica o morale, ben potendo anche quest'ultimo essere suscettibile di quantificazione e di riparazione (Cass. III, n. 28753/2013, in tema di reati sessuali).

La giurisprudenza di legittimità ha precisato che, qualora il rimedio alla lesione patrimoniale si presenti congiuntamente come restituzione e risarcimento, essa è configurabile soltanto quando gli effetti ripristinatori e risarcitori, oltre che effettivi ed integrali, siano entrambi riconducibili alla volontà del colpevole,  (anche se non è necessario che sia spontanea: Cass. V n. 57573/2017), la quale deve essere diretta al conseguimento degli indicati effetti, in quanto l'attenuante in esame, avendo natura soggettiva, trova la sua giustificazione preminente nell'avvenuto ravvedimento del reo. La stessa, pertanto, non può ricorrere:

— in caso di abbandono o restituzione (Cass. V., n. 44562/2015) della refurtiva o di recupero da parte del derubato o di terzi o della polizia, pur quando l'imputato offra di riparare i danni — materiali o morali — residui, poiché gli effetti restitutori si sono già verificati indipendentemente dalla volontà del reo (Cass. II, n. 46588/2011; Cass. II, n. 3998/2010);

— nel reato di bancarotta patrimoniale qualora la restituzione di beni oggetto della condotta distrattiva sia avvenuto a seguito dell'esercizio dell'azione revocatoria da parte del curatore fallimentare e non per iniziativa dell'imputato (Cass. V, n. 28896/2012), o quando si sia limitato a restituire le somme indebitamente percepite a titolo di emolumenti non dovuti (Cass. V, n. 46866/2005; Cass. V, n. 8445/2020); Cass. V, n. 7999/2021, ha ritenuto che la circostanza attenuante della speciale tenuità del danno di cui all'art. 219, comma terzo, legge fall., va valutata all'atto della dichiarazione di fallimento, che rappresenta il momento consumativo del reato, costituendo il recupero del bene a seguito del prospettato esercizio dell'azione revocatoria un mero "post factum", irrilevante anche ai fini della configurabilità dell'attenuante comune della riparazione del danno di cui all'art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen.

— nel reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali (art. 2, d.l., n. 463/1983, conv. in l., n. 638/1983), il semplice tardivo versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali non rende configurabile l'attenuante del risarcimento del danno, non soltanto perché non dimostra la spontaneità del versamento, ben potendo lo stesso essere effettuato a seguito di messa in mora del debitore da parte dell'istituto, ma anche perché non è necessariamente comprensivo degli interessi maturati e delle spese eventualmente sostenute dall'istituto per il recupero del credito (Cass. III, n. 26710/2015; Cass. III, n. 16483/2010).

L'integralità del risarcimento

Il risarcimento del danno si considera integrale quando è comprensivo oltre del danno cagionato contro il patrimonio dall'azione diretta all'impossessamento della cosa, anche di quello fisico o morale . Pertanto, in caso di reati plurioffensivi (ad es. rapina) il requisito dell'integralità va verificato in funzione del duplice oggetto della condotta dell'agente in relazione all'interesse leso e cioè quello patrimoniale e quello prodotto all'incolumità personale e alla libertà individuale (ex plurimis Cass. II, n. 6479/2011), non solo della persona offesa dal reato ma anche di tutte le persone danneggiate (ex plurimis, Cass. II, n. 10355/1975; Cass. II, n. 11488/2017).

Un risarcimento dei danni non integrale, seppur non consenta il riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, può essere valutato dal giudice in funzione della concessione delle attenuanti generiche (Cass. VI, n. 34522/2013).

In caso di riparazione parziale o inadeguata, non possono giovare all'imputato la dichiarazione liberatoria della persona offesa o la considerazione degli sforzi economici affrontati per effettuarla (Cass. V, n. 13282/2013).

 L'integralità del risarcimento non è esclusa dall'esistenza di un accordo transattivo (Cass. I, n. 5767/2010), ma la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (Cass. II, n. 51192/2019; Cass. I, n. 11207/1994), ossia motivando specificamente sulle ragioni per cui ritenga la transazione stessa inadeguata e il risarcimento operato dall'imputato comunque insufficiente (Cass. V, n. 44100/2019; Cass. III, n. 17827/2019; Cass. V, n. 26388/2013). In coerenza al principio della valutazione della transazione da parte del giudice, Cass. VI, n. 13411/2019, ha ritenuto che «L'attenuante del risarcimento del danno, di cui all'art.62, n.6,, non è integrata per effetto della transazione stipulata tra il pubblico dipendente colpevole del reato di concussione e l'ente di appartenenza, con la quale questi si impegni a svolgere prestazioni lavorative non retribuite fuori dell'orario di servizio, in quanto tale accordo presuppone la rinuncia a diritti indisponibili dei lavoratori (inerenti alla retribuzione ed alla durata della prestazione) e comporta un impegno futuro ed incerto, nella misura in cui presuppone la prosecuzione del rapporto di lavoro nonostante la commissione del reato».

Il giudice di merito può tenere conto anche dei danni provocati a persone offese non costituite in giudizio o non identificate, atteso che la materiale difficoltà di rintracciare tali persone non esonera l'agente dall'obbligo di risarcimento (Cass. II, n. 702/2000).

Ai fini del riconoscimento dell'effetto attenuante al risarcimento del danno, è necessario che il danneggiato sia stato completamente integrato nella posizione qua ante, non essendo sufficiente, a tal fine, una qualsivoglia chiusura del rapporto risarcitorio conseguente al reato (Cass. V, n. 733/2000, la quale ha escluso che il concordato fallimentare costituisca risarcimento integrale del danno);

Nel caso in cui danneggiato dal reato sia un ente pubblico, non può essere riconosciuta l'attenuante della riparazione del danno ove manchi adeguata dimostrazione dell'esatta entità e congruità della somma versata, non essendo sufficiente, a tal fine, la mera attestazione di pagamento di somme dovute in favore dell'ente danneggiato (Cass. V, n. 30123/2011).

Nell'ipotesi di emissione di assegni bancari senza copertura, non è sufficiente il solo pagamento dell'importo dell'assegno, essendo necessario che sia risarcito l'intero pregiudizio economico, rappresentato anche dalle spese, dagli interessi, dal lucro cessante (Cass. II, n. 27191/2010; Cass. V, ord. n. 1532/1999).

Ai fini della concessione dell'attenuante della riparazione del danno in caso di omicidio, occorre che il risarcimento sia integrale anche soggettivamente, diretto cioè nei confronti di ciascuno dei congiunti della vittima, in quanto il diritto alla riparazione per la morte di una persona è acquisito iure proprio, sicché a ciascuno deve essere liquidato il pregiudizio individualmente subito (Cass. I, n. 21349/2007; Cass. IV, n. 9582/1991).

In tema di atti sessuali con minorenne, la valutazione della congruità dell'offerta risarcitoria ai fini del riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 non può essere condotta sulla scorta di un semplice «criterio equitativo» ma deve tener conto della dimensione concreta degli effetti del reato, da determinarsi anche con l'ausilio di perizie mediche o psicologiche. (Cass. III, n. 45179/2013, in una fattispecie in cui la Corte ha censurato la motivazione della sentenza di merito che aveva considerato incongrua l'offerta risarcitoria sul presupposto, non documentato, della compromissione del regolare sviluppo psico-fisico della minore).

In tema di continuazione, la circostanza attenuante dell'integrale riparazione del danno va valutata e applicata in relazione a ogni singolo reato unificato nel medesimo disegno criminoso, che sotto questo profilo recupera la propria autonomia materiale, coerentemente con i limiti dell'unità giuridica del reato continuato (Cass. S.U., n. 3286/2009). Ne deriva la valorizzazione della condotta riparatoria in riferimento anche soltanto a taluno dei singoli fatti di reato unificati per continuazione, con effetti sulla pena base quando il risarcimento riguardi il reato più grave e sugli aumenti di pena quando riguardi i reati satelliti (Cass. IV n. 4616/2018; Cass. II, n. 39166/2011).

In caso di concorso di persone nel reato, le Sezioni Unite hanno chiarito che, ove un solo concorrente abbia provveduto all'integrale risarcimento del danno, la relativa circostanza attenuante non si estende ai compartecipi, a meno che essi non manifestino una concreta e tempestiva volontà di riparazione del danno. Nel dettaglio, l'attenuante non si applica al concorrente nel reato doloso per il solo fatto che l'obbligazione risarcitoria è stata soddisfatta da altro concorrente, coobbligato in solido, poiché vanno preservate la natura volontaristica della condotta indicata dalla norma e, con essa, il quid di merito della riparazione. Quest'ultimo elemento, nei reati colposi, può consistere anche nell'aver stipulato un'assicurazione a copertura del danno cagionato, mentre, nei reati dolosi, postula una concreta, tempestiva volontà di riparazione del danno, in modo che, se uno dei correi ha già provveduto in via integrale, l'altro, per esempio, dovrà nei tempi utili rimborsare il complice più diligente o, comunque, dimostrare di aver avanzato una seria e concreta offerta di integrale risarcimento (Cass. S.U., n. 5941/2009). Non è necessario che la somma corrisposta a titolo di risarcimento sia stata ripartita in parti eguali tra tutti i concorrenti che invocano l'applicazione dell'attenuante, ma è sufficiente che ciascuno di essi vi abbia comunque contribuito, purché tale contributo non sia stato puramente simbolico e l'esborso abbia comportato per ciascun compartecipe, secondo le circostanze concrete, un apprezzabile sacrificio economico (Cass. I, n. 2658/1997).

L'effettività del risarcimento

Secondo la giurisprudenza più recente, nel caso in cui la persona offesa del reato rifiuti il risarcimento, è necessario che il colpevole faccia offerta reale nei modi stabiliti dagli art. 1209 e ss. c.c., e cioè che questa sia stata seguita dal relativo deposito (ex art. 76 disp. att. c.c.) o atto equipollente, sicché la somma sia a completa disposizione della persona offesa e successivamente il giudice possa valutare adeguatezza e tempestività dell'offerta, al fine di accertare l'effettiva resipiscenza del reo (Cass. IV, n. 40546/2021Cass. III, n. 11573/2018; Cass. II, n. 56380/2017;Cass. II, n. 36037/2011; Cass. I, n. 18440/2006; Cass. I, n. 3232/1994).

Facendo applicazione di tali principi, in giurisprudenza si è escluso che l'avvenuta riparazione del danno possa essere ravvisata:

— nel deposito all'udienza di un assegno o di un libretto di deposito, anche se posti a disposizione della parte lesa (Cass. V, n. 1743/1988);

— nell'offerta di un assegno bancario che, in quanto datio pro solvendo, manca del carattere della effettività ed è equiparabile piuttosto ad una mera promessa di ristoro (Cass. III, n. 17864/2014; Cass. III, n. 6155/1994);

— nel rilascio vaglia cambiari (ex multis, Cass. III, n. 967/1987; Cass. V, n. 6302/1985);

— nell'ipotesi in cui l'imputato abbia soltanto prodotto il proprio mero impegno per un successivo versamento di una somma custodita in deposito presso il difensore, il quale l'avrebbe consegnata alla minore offesa a seguito di autorizzazione del giudice tutelare (Cass. IV, n. 16883/2004);

— nella la messa a disposizione delle persone offese da parte dell'imputato di alcuni immobili, il cui controvalore, unilateralmente stimato dallo stesso offerente, in caso di vendita, sarebbe loro attribuito, in quanto tale offerta, essendo sottoposta a condizione, non presenta i requisiti di cui agli artt. 1208 e 1209 c.c.: Cass. I, n. 20187/2018

- nel risarcimento rateale, essendo il risarcimento futuro ed incerto: Cass. II, n. 9877/2021;

Si segnala, tuttavia, che, secondo un più risalente indirizzo giurisprudenziale, qualora la persona offesa non abbia accettato l'offerta, ai fini del riconoscimento dell'attenuante è sufficiente un'offerta di risarcimento, anche se in modo irrituale, purché abbia i requisiti della congruità e della serietà (Cass. V, n. 84/1997; Cass. I, n. 1723/1996, la quale, mentre ha ritenuto congrua una proposta ferma ricevuta da un notaio o una procura irrevocabile a vendere, ha negato sia sufficiente l'invito alla persona offesa a presentarsi da un notaio per la stipula di un atto di cessione di alcuni beni immobili da individuare nel patrimonio dell'imputato; Cass. I, n. 5182/1987, la quale ha ritenuto sufficiente che l'imputato, prima dell'apertura del dibattimento, consegni all'avente diritto un assegno circolare, la cui somma sia pari a quella liquidata, a titolo risarcitorio, dal giudice). Qualora non venga accettata la somma offerta dall'imputato, è onere di costui indicare gli elementi da cui possa emergere la congruità della detta somma a coprire integralmente l'ammontare del danno causato dal reato (Cass. I, n. 9352/1994).

È stato, poi, ritenuto che, ai fini del diniego dell'attenuante della riparazione del danno, in presenza di una dichiarazione liberatoria della persona offesa, il giudice è tenuto a motivare specificamente sulle ragioni per cui ritenga tale dichiarazione inadeguata e il risarcimento, operato dall'imputato, comunque insufficiente: Cass. VI, n. 25264/2015; Cass. III, n. 18483/2017

Infatti, si è precisato che, poiché l'attenuante ha natura soggettiva «trovando la sua causa giustificatrice non tanto nel soddisfacimento degli interessi economici della persona offesa, quanto nel rilievo che il risarcimento del danno prima del giudizio rappresenta una prova tangibile dell'avvenuto ravvedimento del reo e, quindi, della sua minore pericolosità sociale, deve essere totale ed effettivo, non potendo ad esso supplire un ristoro soltanto parziale (Cass. II, n. 51192/2019). Ne discende che anche la quietanza integralmente liberatoria non è ex se vincolante, essendo rimesso al sindacato giudiziale l'apprezzamento della neutralizzazione della pericolosità sociale che un totale ristoro può implicare. Ed è a tale potere discrezionale che si correla il simmetrico obbligo di motivazione, che può essere assolto anche senza che sia necessario procedere alla specifica quantificazione del danno astrattamente risarcibile mediante l'esame delle singole voci che lo compongono allorché l'accordo transattivo, a sua volta, non le contempli in modo analitico, ma si limiti ad indicare la somma complessivamente corrisposta a titolo di risarcimento»: Cass. V, n. 116/2022.

Natura giuridica e ratio

La dottrina dominante la considera una circostanza soggettiva (Mantovani, PG 426; Antolisei, PG, 366; contra, Pagliaro, 314; Romano, Commentario, 678, secondo il quale è da preferire l'accentuazione della componente oggettiva).

Anche in giurisprudenza è ricorrente l'affermazione secondo cui l'attenuante in questione è di natura squisitamente soggettiva, poiché trova la sua causa giustificatrice non tanto nel soddisfacimento degli interessi economici della persona offesa, quanto nella necessità di una prova tangibile dell'avvenuto ravvedimento del reo e quindi della sua minore pericolosità sociale (Cass. V, n. 44562/2015; Cass. IV, n. 34380/2011; Cass. I, n. 17637/2005; Cass. II, n. 1096/1993; Cass. II, n. 2282/1994; Cass. I, n. 3284/1982).

Con sentenza interpretativa di rigetto, la Corte Costituzionale ha ricostruito la circostanza in chiave essenzialmente oggettiva, cioè come espressione dell'esigenza di incentivare la reintegrazione del patrimonio del danneggiato dal reato (Corte Cost., n. 138/1998: cfr. infra). Sul punto, la giurisprudenza di legittimità, si è consolidata nel ritenere che l'attenuante del risarcimento del danno è soggettiva quanto agli effetti, ai sensi dell'art. 70 c.p., ma non anche ai fini del suo contenuto, per il quale deve qualificarsi come oggettiva, giacché, ai fini della sua configurabilità, è necessario che il pregiudizio patrimoniale subito dalla persona offesa sia pienamente riequilibrato, non essendo sufficiente il solo ravvedimento del reo. Si è, infatti, si è precisato che il presupposto del conseguimento dell'attenuante è l'oggettiva esaustività della riparazione e non, invece, una soggettiva intenzione di risarcire che non abbia potuto riflettersi, per difficoltà economiche, in un risarcimento reale e integrale (Cass. III, n. 31250/2017), in quanto l'art. 62, primo comma, n. 6 c.p. non offre alcun supporto alla tesi contraria che penalizzerebbe senza sua colpa la persona offesa da un reato commesso da un soggetto non in grado di risarcirle integralmente il danno e che, ciononostante, si vedrebbe riconosciuto un più favorevole trattamento sanzionatorio (Cass. II, n. 23316/2022; Cass. I, n. 5394/2021; Cass. II, n. 205/2020). Pertanto, in tale ottica, si è ribadito che risulta irrilevante, ai fini della concessione dell’attenuante in commento, anche il fatto che il risarcimento offerto dall’imputato sia il frutto di uno sforzo notevole da questi fatto, in considerazione delle sue potenzialità economiche, in quanto nel conflitto di interessi tra reo e vittima del reato la prevalenza dell'interesse di quest'ultima all'integralità della riparazione non lascia alcuno spazio a pur eloquenti manifestazioni di ravvedimento del reo (Cass. II, n. 19130/2023; Cass. V, n. 13282/2013; Cass. II, n. 21014/2010).

Risarcimento proveniente da un terzo

Il tema della natura giuridica dell'attenuante in parola si intreccia strettamente con la dibattuta questione circa la possibilità che il risarcimento sia effettuato da una persona diversa dall'autore del reato.

La dottrina è divisa tra chi ritiene che l'iniziativa risarcitoria debba provenire dallo stesso soggetto colpevole (Fiandaca-Musco, PG, 463) ed esclude che il danno sia riparabile da un terzo estraneo, «a meno che costui non agisca per conto del primo e con il concorso della sua volontà» (Romano, Commentario, 677), e chi, al contrario, ammette che la riparazione del danno possa essere effettuata «anche da un soggetto diverso dal reo e all'insaputa di questo» (Pagliaro, 314).  La giurisprudenza , ritiene configurabile o meno l'attenuante in commento a seconda che l'imputato abbia conoscenza del risarcimento effettuato dal terzo e mostri la volontà di farlo proprio.

In tal senso, è stata ritenuta sussistente:

a) nel risarcimento effettuato da una società di assicurazione, deve ritenersi eseguito personalmente dall'imputato medesimo se questi ne abbia conoscenza, mostri la volontà di farlo proprio e sia integrale nei confronti di tutte le persone offese: Cass. IV, n. 22022/2018; Cass. S.U., n. 5941/2009; Corte cost. n. 138/1998 ; contra: Cass. VI, n. 46329/2005; Cass. IV, n. 39065/2004;

—  nel risarcimento, ancorché eseguito dal comune datore di lavoro dell'imputato e della persona offesa,  ove l'imputato ne abbia conoscenza e mostri la volontà di farlo proprio (Cass. IV, n. 14523/2011).

—  nel risarcimento, ancorché effettuato dalla società o dall'ente nell'ambito del quale opera l'imputato, deve ritenersi effettuato personalmente dall'imputato medesimo tutte le volte in cui questi ne abbia conoscenza e mostri la volontà di farlo proprio (Cass. IV, n. 23663/2013).

— nel risarcimento effettuato dal fideiussore il quale, prima del giudizio, sia rimborsato dall'autore del reato: Cass. VI, n. 39433/2017.

L'attenuante, è stata, invece, ritenuta insussistente:

— nel caso in cui il risarcimento venga effettuato dal coniuge nell'interesse, e non in nome, dell'imputato, senza che quest'ultimo abbia richiesto al coniuge un intervento per la riparazione (Cass. I, n. 42265/2010; Cass. VI, n. 12621/2010);

—  nel caso in cui il risarcimento del danno sia l'effetto, in tutto o in parte, non già della libera determinazione degli imputati, bensì dell'opera di terzi (Cass. V, n. 14461/2011, con riguardo al risarcimento da parte del Ministero della Difesa, sebbene abbia con l'imputato, ovvero con i suoi coobbligati solidali, rapporti contrattuali o personali che ne giustifichino l'intervento: Cass. IV, n. 6144/2018 (in una fattispecie in cui, pur essendo intervenuto l'integrale risarcimento del danno ad opera della compagnia assicuratrice del veicolo alla cui guida si era posto l'imputato, ritenne che le sollecitazioni operate dal suo difensore non fossero sufficienti a dimostrare che l'imputato avesse avuto conoscenza dell'intervento dell'assicuratore e manifestato la volontà di farlo proprio); Cass. III, n. 25326/2019 («In tema di omicidio colposo, il risarcimento del danno, cagionato a terzi dalla circolazione stradale di veicolo, intervenuto per effetto di contratto assicurativo concluso dal soggetto titolare della automobile diverso dal conducente, non integra la circostanza attenuante di cui all'art. 62, n.6, prima parte, giacché l'intervento risarcitorio non è ricollegabile all'operato dell'imputato»); Cass. IV, n. 27006/2015 («In tema di violazioni antinfortunistiche, la circostanza attenuante di cui all'art. 62, comma primo, n. 6, non può essere riconosciuta in favore del responsabile in materia di sicurezza e prevenzione allorquando il risarcimento del danno sia stato effettuato dalla compagnia assicuratrice del datore di lavoro in virtù di contratto stipulato da quest'ultimo»).

Compatibilità con altre fattispecie

L'attenuante prevista dall'art. 62 n. 6, 1 parte, va intesa in funzione dell'art. 185, con la conseguenza che essa è stata ritenuta applicabile:

 al delitto di concussione ogni qualvolta ne sia derivato un danno patrimoniale o non patrimoniale suscettibile di riparazione: Cass. S.U. , n. 1048/1992 ;

al reato di violenza sessuale (Cass. III, n. 16146/2008, la quale però ha affermato l'insufficienza di una qualsivoglia forma di accordo in via transattiva, dovendo il risarcimento essere integrale; Cass. III, n. 28753/2013contra: Cass. III, n. 14959/2015, ha ritenuto non concedibile l'attenuante ove il danno risarcibile sia di natura psichica o morale.

Di contro, la circostanza attenuante della riparazione del danno è stata ritenuta inapplicabile:

al tentativo di furto, presupponendo essa la consumazione del reato e l'esistenza di un danno conseguente alla sottrazione della cosa (Cass. IV, n. 47500/2011; Cass. V, n. 5/1993; Cass. II, n. 14312/1988).

ai reati tributari, trattandosi di reati che non incidono, se non indirettamente, sul patrimonio dello Stato, ma ledono il suo diritto costituzionalmente sancito alla imposizione dei tributi, alla loro riscossione e alla loro successiva distribuzione per le esigenze della collettività (Cass. IV, n. 13843/2002; Cass. III, n. 3513/1994);

ai reati edilizi quando l'abbattimento volontario dell'opera abusiva sia avvenuto in epoca posteriore all'emanazione dell'ordinanza sindacale che impone la demolizione delle opere, la cui inottemperanza avrebbe determinato l'acquisizione del sito al patrimonio comunale (Cass. III, n. 29991/2011; Cass. III, n. 41518/2010; Cass. III, n. 40439/2006). Se, invece, l'abbattimento avviene in epoca anteriore al giudizio ed in assenza dell'ordinanza sindacale di demolizione, l'attenuante è concedibile : Cass. III, n. 15731/2016.  

Ai reati di fuga e di omissione di soccorso stradale di cui all'art. 189, commi 6 e 7, del d.Igs. 30 aprile 1992, n. 285. Sul punto, Cass. IV, n,. 5050/2019, dopo avere richiamato il princiio di diritto secondo il quale le condotte riparatorie appaiono oggettivamente incompatibili con i reati di pericolo, in quanto non costituiscono un actus contrarius rispetto alla condotta incriminata, né sono in grado di realizzare qualche forma di compensazione nei confronti della persona offesa (Cass. IV, n. 10486/2009), ha ritenuto di dare continuità alla interpretazione secondo cui gli illeciti di omissione di soccorso, sia codicistico che speciale, sono reati istantanei di pericolo e che il bene tutelato, in sostanza, è la solidarietà sociale: di conseguenza, ha escluso che l'attenuante in commento (essendo tutta incentrata sul danno) possa essere compatibile con il suddetto reato; Cass. IV, n. 27206/2019;

— al reato di guida in stato di ebbrezza in caso di avvenuto risarcimento delle lesioni che ne sono conseguite, in quanto la causazione di lesioni a terzi, pur essendo una possibile conseguenza della condotta di guida in stato di alterazione, non costituisce effetto normale di tale reato secondo il criterio della c.d. regolarità causale: Cass. IV, n. 31634/2018; Cass. IV, n. 7211/2024contra: Cass. IV, n. 9323/2014 ( giacché non è necessario prendere in esame l'oggettività giuridica del reato, essendo compito del giudice accertare esclusivamente se l'imputato — prima del giudizio — abbia integralmente riparato il danno mediante l'adempimento delle obbligazioni risarcitorie e/o restitutorie);

—   con le attenuanti della collaborazione di cui agli articoli 73, comma 7 e 74, comma 7 d.P.R. n. 309 del 1990 avendo queste natura speciale rispetto a quella comune in esame, e, quindi, dovendosi applicare l'art. 68: Cass. I, n. 32150/2013.

Segue. Elisione e attenuazione delle conseguenze del reato

L’attenuante dell’attivo ravvedimento di cui alla seconda ipotesi dell’art. 62, n. 6, consiste nell’essersi prima del giudizio, e al di fuori del caso preveduto dall’ultimo capoverso dell’art. 56, adoperato spontaneamente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.

Le conseguenze del reato:

La dottrina è divisa in ordine alla interpretazione dell'espressione “conseguenze del reato”. Secondo alcuni, indicano «tutto ciò che di dannoso o pericoloso deriva dall'illecito, escluso il danno (patrimoniale e/o non patrimoniale)» (Romano, Commentario, 678), con la conseguenza che, non essendo la seconda parte della norma riferibile al danno risarcibile da reato, nessun rilievo attenuante può a tal fine assumere un risarcimento parziale (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 568); secondo altri, invece, per “conseguenze del reato” «non si deve intendere l'evento del reato, bensì ogni tipo di danno che possa derivare dall'illecito», ivi incluso anche il danno patrimoniale o non patrimoniale, sicché un parziale risarcimento di tali danni, purché effettuato spontaneamente dallo stesso reo, può integrare gli estremi di questa circostanza (Pagliaro, 315).

Come già anticipato, in contrapposizione alla nozione civilistica riguardante la prima ipotesi attenuante, la giurisprudenza considera il danno — unitamente al pericolo di danno — nel suo significato penalistico, ossia quale lesione del bene giuridico specificamente tutelato dalla norma incriminatrice (Cass. I, n. 17637/2005); in altri termini, le conseguenze dannose e pericolose del reato sono solo quelle strettamente inerenti alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico specificamente tutelato dalla norma violata (Cass. III, n. 19986/2009, che ha escluso che la spontanea sottoposizione dell'agente, imputato del reato di violenza sessuale, ad accertamenti medici finalizzati ad escludere malattie sessualmente trasmissibili, potesse integrare l'attenuante).

La clausola di riserva:

il ravvedimento deve essere compiuto non soltanto “prima del giudizio”, ma altresì “fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’art. 56”. Si è posto, pertanto, il problema dei rapporti tra la circostanza de qua e il tentativo.

Stante la suddetta clausola di riserva, la dottrina ritiene che l’attenuante in commento non possa cumularsi con quella del recesso attivo prevista dall’art. 56, comma 4, mentre resterebbe applicabile, oltre alle ipotesi di reato consumato, anche « quando non sia applicabile l’art. 56, comma 4 (perché è ormai esclusa la possibilità della consumazione) » (Romano, Commentario, 679; Mantovani, PG, 428) ovvero « ai casi in cui il delitto tentato abbia prodotto conseguenze dannose o pericolose diverse dall’evento che il soggetto ha volontariamente impedito » (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 558).

Dal canto suo, la giurisprudenza ha escluso l’applicabilità dell’attenuante alla fattispecie del delitto tentato (Cass. I, n. 15745/2014). Il discrimine tra la diminuente del cosiddetto recesso attivo nel delitto tentato e la circostanza attenuante del ravvedimento attivo è ravvisabile pertanto nella avvenuta oppure no verificazione dell’evento normativo: la prima postula che l’agente si riattivi, interrompendo il processo di causazione dell’evento, così da impedirne il verificarsi, mentre la seconda presuppone che l’evento si sia già realizzato e che l’agente si adoperi spontaneamente ed efficacemente per attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato (Cass. I, n. 40936/2009).

I presupposti applicativi: 

Diversamente dalla prima ipotesi, la norma richiede che l'attività di eliminazione o di attenuazione delle conseguenze del reato sia spontanea ed efficace.

a) La spontaneità , pur non presupponendo un autentico ravvedimento morale (Fiandaca-Musco, 441) indica «la necessità di un impulso morale interiore non determinato da ragioni esterne di opportunità o da pressioni altrui» (Romano, Commentario, 678) e si distingue, quindi, dal comportamento volontario che può essere anche quello influenzato da fattori esterni di pressione (come, ad esempio, la riparazione del danno attuata sotto la spinta di proteste o diffide del danneggiato, o di minaccia di denunzia o di querela), o l'imminenza evidente della perquisizione personale (Cass. V, n. 2292/1979) o l'arresto e lo stato di detenzione (Cass. I, n. 28554/2004, in relazione ad una fattispecie in cui l'imputato aveva confessato ed indicato il luogo in cui aveva occultato il cadavere a seguito dell'arresto avvenuto per altro reato), o la restituzione della refurtiva per evitare di essere scoperto) (Cass. II, n. 1775/1972; Cass. II, n. 193/1967).

Sul punto si registra la seguente casistica.

La spontanea «ritrattazione» della denuncia, che integra un «post factum» irrilevante rispetto all'avvenuto perfezionamento del reato, non esclude la punibilità del delitto di calunnia, ma può essere eventualmente valutabile quale circostanza attenuante ai sensi dell'art. 62, n. 6, (Cass. VI, n. 29536/2013). Parimenti, il presupposto della spontaneità non è escluso qualora l'indagato abbia reso confessione in presenza di prove evidenti della sua responsabilità (Cass. VI, n. 5786/2000).

Ricorre l'attenuante del ravvedimento operoso nell'ipotesi in cui l'imputato consegni, senza pressione o costrizione, la sostanza stupefacente, illecitamente detenuta, agli ufficiali di polizia giudiziaria prima che questi inizino la perquisizione presso la sua abitazione, in quanto tale consegna elide le conseguenze del reato, consentendo il recupero della sostanza vietata ed evitando una sua possibile diffusione (Cass. VI, n. 33422/2004); altre pronunce hanno invece negato la ricorrenza dell'attenuante nell'ipotesi in cui l'imputato consegni la sostanza stupefacente, illecitamente detenuta, nel corso della perquisizione effettuata dalla polizia giudiziaria, perché manca il carattere della spontaneità della consegna e perché questa fa cessare l'attività criminosa e quindi non incide sulle conseguenze del reato, che sono un posterius del medesimo (Cass. VI, n. 26160/2009).

In tema di concorso di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, la collaborazione prestata dall'imputato con le chiamate in correità rese in occasione della confessione non può dare luogo all'applicazione dell'attenuante del ravvedimento attivo. Tale comportamento, infatti, se contribuisce, facendo identificare gli spacciatori, a prevenire ulteriori diffusioni della droga, non elide o riduce il danno sociale derivato dalla perpetrazione, già esaurita, dei reati di detenzione e spaccio di droga, dovendosi intendere per conseguenze dannose o pericolose del reato quelle concernenti il danno penale, strettamente inerente alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico tutelato dalla norma, il quale va ravvisato nella salute umana e in un sano sviluppo psicofisico dell'individuo (Cass. IV, n. 10634/1993; Cass. VI, n. 11767/1990).

In tema di violazioni antinfortunistiche, la circostanza attenuante non può essere riconosciuta al datore di lavoro che abbia adempiuto alla normativa antinfortunistica non spontaneamente ma solo a seguito delle  prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza ex art. 20 d.lgs. n. 758/1994 (Cass. VII, n. 10083/2017; Cass. III, n. 37166/2014) L’attenuante in esame, non può essere concessa per il fatto che l'autore del reato abbia intrapreso un percorso terapeutico volto alla comprensione del disvalore del reato commesso, e, quindi, in relazione a semplici stati psicologici interiori dell'imputato, essendo, invece, necessaria l'elisione delle conseguenze dannose della condotta: Cass. III, n. 38635/2017 (in una fattispecie di realizzazione di materiale pedopornografico);.

b) L'efficacia presuppone «la necessità dell'ottenimento di un concreto risultato utile nella direzione di sgravio delle conseguenze», in vista quantomeno di una loro parziale attenuazione; l'utilizzo della locuzione “essersi adoperato”, poi, pone l'accento sull'esigenza che la ricerca del risultato utile sia condotta con serietà (in dottrina, Romano, Commentario, 678); è necessario, cioè, che il ravvedimento operoso abbia in concreto prodotto l'effetto dell'elisione o, quantomeno, dell'attenuazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato (Cass. VI, n. 4506/1990; Cass. I, n. 2365/1985; Cass. I, n. 8014/1981).

L'attenuante in parola non riguarda né l'attività dell'imputato rivolta alla cessazione della permanenza del reato né un comportamento confessorio o di semplice collaborazione con gli organi inquirenti (Cass. VI, n. 8336/1990). Ed infatti, la confessione utile ai fini dell'accertamento del reato ma priva di incidenza in ordine alla elisione o attenuazione delle sue conseguenze dannose e, quindi, dei suoi effetti non spiega rilevanza ai fini dell'applicabilità della circostanza di cui all'art. 62, n. 6, (Cass. V, n. 3404/2005), ma, rivelandosi utile solo ai fini dell'accertamento del crimine o della scoperta dei correi, può spiegare rilevanza ai sensi dell'art. 133(Cass. VI, n. 14412/1990); né, d'altra parte, la circostanza può essere riconosciuta in relazione ad un comportamento processuale di semplice collaborazione con gli inquirenti, trattandosi di comportamento intrinsecamente ispirato a calcoli utilitaristici (riduzione di pena) e non collegabile ad una minore capacità a delinquere o a sincero ravvedimento (Cass. I, n. 8305/1983); Cass. IV, n. 32221/2018 (in tema di ritrattazione nel delitto di simulazione di reato).

Natura giuridica e ratio

La circostanza attenuante del ravvedimento operoso prevista dalla seconda parte dell'art. 62 n. 6 ha pacificamente natura soggettiva ed è ravvisabile solo se l'azione è determinata da motivi interni e non influenzata da fattori quali l'arresto e lo stato di detenzione (Cass. I, n. 28554/2004, relativamente ad una fattispecie in cui l'imputato aveva confessato ed indicato il luogo in cui aveva occultato il cadavere a seguito dell'arresto avvenuto per altro reato).

Anche in dottrina, vi è consenso pressoché unanime in merito alla natura soggettiva (Fiandaca-Musco, PG, 464; Romano, Commentario, 579; Antolisei, PG, 367; Pagliaro, 314).

Compatibilità con altre fattispecie

— ove il danno abbia natura psichica o morale, in quanto le conseguenze di tale danno non sono suscettibili di spontanea ed efficace elisione od attenuazione (Cass. III, n. 14959/2015; contra: Cass. III, n. 28753/2013).

— ai reati contro il patrimonio, in quanto l'attenuante si riferisce esclusivamente all'elisione o all'attenuazione di quelle conseguenze che non consistono in un danno patrimoniale o non patrimoniale economicamente risarcibile (Cass. II, n, 49348/2016; Cass. V, n. 45646/2010; Cass. II, n. 2970/2010). Quindi, l'attenuante in esame è stata ritenuta inapplicabile:  ai reati di bancarotta per distrazione (Cass. V, n. 36595/2009; Cass. V, n. 33188/2019), di truffa (Cass. II, n. 49348/2019);

— ai reati di danno, come l'omicidio, il cui evento consista nella distruzione del bene giuridico protetto, perché l'evento medesimo non è più suscettibile di quella eliminazione o attenuazione da parte del colpevole, che sono caratteristiche dell'attenuante in parola (ex multis, Cass. I, 45542/2015; Cass. I, n. 46232/2008; Cass. I, n. 34342/2005; Cass. I, n. 28272/2004);

— al reato permanente se l'azione riparatrice intervenga mentre la permanenza non è ancora cessata, in quanto la circostanza può essere applicata quando l'azione riparatrice venga esercitata successivamente alla consumazione ed all'esaurimento del reato al fine di eliderne o attenuarne le conseguenze dannose: Cass. VI, n. 7617/1988; Cass. I, n. 4523/1998 (con riferimento al reato di detenzione illegale di arma da sparo) Cass. IV, n. 13028/1999 (con riferimento al reato di detenzione di stupefacenti);

—alla fattispecie aggravata di cui all'art. 495, comma secondo, n. 2, nell'ipotesi in cui le mendaci dichiarazioni circa la propria identità personale siano state trasfuse in una sentenza di condanna pronunziata nei confronti del soggetto del quale siano state declinate falsamente le generalità in quanto le condotte riparatorie, eventualmente poste in essere dall'autore del reato, non sarebbero idonee concretamente ad elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato: Cass. V, n. 5723/2020;

—al reato edilizio quando la demolizione del manufatto abusivo sia posta in essere a seguito dell'accertamento della violazione ed a notevole distanza di tempo dalla realizzazione dell'illecito, sia perché manca il necessario requisito soggettivo della spontaneità del ravvedimento, sia perché nel periodo di mantenimento ed utilizzazione dell'opera, e prima dell'elisione od attenuazione delle conseguenze del reato, la condotta illecita posta in essere dal reo ha realizzato appieno la propria offensività: Cass. III, n. 41518/2010;

— nei reati sessuali, la circostanza attenuante in commento, postulando una reversibilità degli effetti delittuosi non è applicabile a reati di natura istantanea, come quelli indicati, nei quali la realizzazione del fatto tipico integra ed esaurisce l'offesa; l'attenuante è invece sempre configurabile con riferimento all'ipotesi di risarcimento del danno di cui alla prima parte della disposizione citata, sempre che il reo provveda alla integrale riparazione di ogni conseguenza pregiudizievole, anche di natura non patrimoniale, derivata dal reato: Cass. III, n. 18483/2017;

— con la circostanza attenuante speciale di cui all'art. 385, comma 4 (Cass. VII, ord. n. 44281/2011);  con quella della cosiddetta «dissociazione attuosa», di cui all'art. 416-bis.1, poiché, benché entrambe facciano riferimento ad un comportamento dell'imputato idoneo ad evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, la seconda presenta elementi di specialità ravvisabili nel contesto criminale di riferimento, nelle modalità concrete attraverso le quali l'imputato perviene all'interruzione degli effetti dannosi del reato e negli effetti dispiegati sul trattamento sanzionatorio (Cass. II, n. 2833/2013); con le attenuanti della collaborazione di cui agli articoli 73, comma 7, e 74, comma 7, d.P.R. n. 309/1990 avendo queste natura speciale e configurazione più ampia rispetto a quella comune di cui all'art. 62, n. 6, (Cass. IV, n. 12323/1999; Cass. I, n. 32150/2013). 

Bibliografia

Iannuzziello: La disciplina organica della giustizia riparativa e l’esito riparativo come circostanza attenuante comune, in Leg. Pen,. 22 novembre 2022; Lombardi,Omicidio pietatis causa ed attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale, in GiurisprudenzaPenaleWeb, 2019, 1; Padovani, Circostanze del reato, in Dig. d.pen., II, Torino, 1988, 187; Pagliaro, Il reato, in Trattato diritto penale, diretto da Grosso-Padovani-Pagliaro, Milano, 2007; Vallini, Circostanze del reato, in Dig. d.pen., Aggiornamento, Torino, 2000, 44; Veneziani, Motivi e colpevolezza, Torino, 2000.

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