Codice Penale art. 62 bis - Circostanze attenuanti generiche 1 .Circostanze attenuanti generiche1. [I]. Il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell'articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell'applicazione di questo capo, come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62. [II]. Ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto dei criteri di cui all'articolo 133, primo comma, numero 3), e secondo comma, nei casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, in relazione ai delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, nel caso in cui siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni 2. [III]. In ogni caso, l'assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma 3.
[1] Articolo da ultimo così sostituito dall'art. 1 , comma 1, l. 5 dicembre 2005, n. 251. Il testo dell'articolo, come inserito, senza rubrica, dall'art. 2 d.lg.lt. 14 settembre 1944, n. 288, era il seguente: «Il giudice, indipendentemente dalle circostanze prevedute nell'art. 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell'applicazione di questo capo, come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62». [2] La Corte costituzionale, con sentenza 10 giugno 2011, n. 183, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma, come sostituito dall'art. 1, comma 1, della legge 5 dicembre 2005, n. 251, «nella parte in cui stabilisce che, ai fini dell'applicazione del primo comma dello stesso articolo, non si possa tenere conto della condotta del reo susseguente al reato». [3] Comma inserito dall'art. 1 del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv., con modif., dalla legge 24 luglio 2008, n. 125. InquadramentoLe circostanze attenuanti generiche, previste già dall'art. 59 del codice Zanardelli, ma assenti nel testo originario del codice Rocco in linea con lo spirito autoritario e rigorista ispiratore della codificazione del 1930, sono state successivamente reintrodotte nell'ordinamento giuridico dall'art. 2 d.lgs.lt. n. 288/1944, al fine di consentire un migliore adeguamento della pena al caso concreto, in una logica di temperamento dell'asprezza del dosaggio sanzionatorio del nuovo codice (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 569; Romano, Commentario, 680; Cass. V, n. 1863/1999; Cass. II, n. 2769/2009; Cass. III, n. 19639/2012; Fiandaca-Musco, PG, 465, ritengono, invece, che la norma in commento abbia «una funzione autonoma, consistente nel permettere al giudice di cogliere un valore positivo del fatto, nuovo o diverso rispetto ai valori espressamente presi in considerazione dall'art. 62»,). L'art. 62-bis, nella sua iniziale formulazione, era composto da un solo comma, sostanzialmente coincidente con il primo comma attualmente in vigore (l'unica divergenza è rappresentata dalla sostituzione, ad opera dell'art. 1, comma 1, l. n. 251/2005, dell'originaria locuzione «preveduta» con quella attuale «prevista»). Negli ultimi anni, la norma de qua è stata interessata da un duplice intervento legislativo. La citata l. n. 251/2005 (altrimenti nota come “ex Cirielli”), da un lato, ha introdotto la rubrica dell'articolo in commento, recependo la nozione di “circostanze attenuanti generiche” invalsa in dottrina e in giurisprudenza; dall'altro, ha aggiunto il comma 2 dell'art. 62-bis, prevedendo che, ai fini dell'applicazione delle attenuanti generiche, il giudice non può tener conto dei criteri di cui all'art. 133, comma 1, n. 3, (intensità del dolo e grado della colpa) e di cui all'art. 133, comma 2, (capacità a delinquere) nei casi previsti dall'art. 99, comma 4 (recidiva reiterata) in relazione ai delitti previsti dall'art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p. (delitti di particolare gravità), nel caso in cui siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni (Mantovani, PG, 430). Il comma 2, tuttavia, è stato dichiarato parzialmente illegittimo dalla Corte Costituzionale, nella parte in cui stabilisce che ai fini dell'applicazione del primo comma non si possa tenere conto della condotta del reo susseguente al reato (Corte cost., n. 183/2011). In seguito, l'art. 1, comma 1, lett. f-bis), d.l. n. 92/2008, conv., con modif., in l. n. 125/2008, ha aggiunto, in sede di conversione, all'art. 62-bis il comma 3, stabilendo che la condizione di incensuratezza del condannato non può, di per sé sola, fondare la decisione di concessione delle attenuanti generiche. Il carattere indefinito delle attenuanti generiche ha indotto la dottrina ad interrogarsi in merito alla loro compatibilità con l'art. 25, comma 2, Cost, e, in particolare, con i principi di riserva di legge e di determinatezza. A tal proposito, si è osservato che entrambi i principi costituzionali sono pienamente rispettati dalla norma in esame: da un lato, perché la circostanza è comunque prevista ad opera della legge, cosicché «il giudice non crea la norma, ma scopre (“trova”, non “inventa”) la nota di valore che identifica nel caso di specie il dato circostanziale da sussumere nella disposizione di legge» (Romano, Commentario, 639 e 681); dall'altro, perché «il giudice si limita ad esplicitarne il contenuto normativo nel singolo caso con criteri offertigli dall'ordinamento» (Romano, Commentario, 639; Mantovani, 404; Padovani 1988, 200). Natura giuridica e conseguenze applicativeÈ pacifico che le “generiche” rappresentino circostanze in senso tecnico (Romano, 680, il quale argomenta dall'univoca espressione legislativa “sono considerate in ogni caso... come una sola circostanza”; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 571; Fiandaca-Musco, PG, 465). Da tale qualificazione deriva, sul piano applicativo, che esse seguono, sotto ogni aspetto, il regime giuridico dettato in genere dalla legge per le circostanze del reato. In particolare, dunque, le attenuanti generiche: i) determinano una diminuzione fino a un terzo della pena/base (art. 65 c.p.); ii) hanno efficacia extra-edittale, nel senso che consentono di fissare la pena al di sotto del minimo edittale; iii) concorrono con le attenuanti comuni o speciali secondo le regole del concorso omogeneo di circostanze, ai sensi degli artt. 63 e 67; iv) devono essere applicate secondo il c.d. giudizio bifasico, sulla scorta del quale il giudice determina, dapprima, la pena-base alla luce dei criteri di cui all'art. 133 e, in un secondo momento, procede alla riduzione della pena così determinata nella misura sopra indicata; v) in caso di concorso con circostanze aggravanti, entrano nel giudizio di bilanciamento delle circostanze eterogenee ex art. 69 (Cass. III, n. 2613/1983; in dottrina, Stile); vi) sono, a seconda dei casi, oggettive o soggettive, in base all'art. 70 e per gli effetti di cui all'art. 118 in tema di estensibilità ai concorrenti nel reato; vii) nel vigore della disciplina precedente la l. n. 251/2005, incidevano sul computo del tempo necessario per le prescrizione del reato (in dottrina Cordero), mentre oggi, dopo la riforma dell'art. 157, comma 2, le stesse risultano a tal fine irrilevanti; viii) svolgendo una funzione analoga a quella svolta dalle altre circostanze previste dall'art. 62, non sono incompatibili con la determinazione della pena oltre il minimo edittale, in quanto il beneficio dell'art. 62-bis c.p. ha una sua ragione autonoma, ravvisabile in situazioni atipiche o nelle stesse molteplici circostanze previste dall'art. 133 c.p. che meritino, nel caso concreto, una particolare considerazione per la specialità della vicenda, o della personalità o del vissuto dell'imputato o altro (Cass. I, n. 4508/1988; Cass. VI, n. 1816/1985). Inoltre, qualora siano presenti più situazioni, ognuna delle quali potrebbe essere valutata come un'attenuante generica, per espressa previsione normativa si considerano sempre come una sola circostanza. Dal punto di vista dogmatico, le attenuanti generiche rientrano tra le: a) circostanze indefinite (o atipiche o innominate), poiché la legge rinuncia totalmente a descrivere le situazioni idonee a determinare la diminuzione di pena, limitandosi a richiedere che si tratti di “altre circostanze diverse” da quelle di cui all'art. 62, ragion per cui la loro individuazione viene rimessa alla discrezionalità del giudice (in dottrina, Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 569; Romano, Commentario, 680 e 639); b) circostanze ad efficacia comune, in quanto implicano una diminuzione fino a un terzo della pena che dovrebbe essere inflitta per il reato semplice; c) circostanze comuni, giacché potenzialmente possono essere applicate a tutti i reati. Sul punto, la giurisprudenza ha affermato che l'attenuante prevista dall'art. 62-bis, pur avendo natura facoltativa e pur dovendosi basare su elementi diversi da quelli che consentono la concessione di altre attenuanti, rientra tra le circostanze attenuanti comuni e ne segue, sotto ogni aspetto, il regime giuridico, onde non può a priori escludersi che nel discrezionale giudizio comparativo effettuato obbligatoriamente dal giudice la medesima sia ritenuta subvalente rispetto all'aggravante e, quindi, non spieghi alcuna efficacia sulla pena irrogata in concreto, se non nel limitato ambito della quantificazione della pena-base e dell'aumento operato dall'aggravante (Cass. III, n. 2613/1983). Il carattere discrezionale o facoltativo dell'applicazione delle attenuanti genericheÈ discusso se il verbo «può» indichi l'attribuzione al giudice di un potere discrezionale o facoltativo nell'applicazione delle attenuanti generiche. Secondo una prima lettura, si tratterebbe di circostanze facoltative, in quanto la loro concessione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice sulla base degli elementi indicati nell'art. 133 e di eventuali altri elementi non previsti dal legislatore, ai fini della più adeguata commisurazione della pena all'entità del fatto ed alla concreta responsabilità dell'imputato (Cass. V, n. 4916/1985; Cass. III, n. 2613/1983); ne consegue che, ancorché ricorrano in concreto i presupposti della loro integrazione, spetta al giudice la decisione se tenerne o meno conto al fine di commisurare la pena in senso favorevole al reo (Antolisei, PG, 467). Su altro fronte si colloca, invece, la dottrina maggioritaria, la quale, negando che l'art. 62-bis attribuisca al magistrato «un indefinito potere di indulgenza» quale «espressione di un'amorfa benignitas o di equità soggettiva» (Romano, Commentario, 684), qualifica le circostanze in parola come discrezionali e non facoltative. In quest'ottica, il verbo «può» andrebbe inteso come attributivo, al giudice, del solo potere di verificare la sussistenza in concreto dei presupposti applicativi delle attenuanti generiche; ma, una volta che abbia riscontrato la presenza di valori positivi, non tipizzabili in astratto, che ne legittimano l'applicazione, il giudice sarebbe tenuto a concederle (Mantovani, PG, 409; Bricola, 144; Massa, 42). E in questo senso si schiera, altresì, quella parte di giurisprudenza, secondo cui le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale «concessione» del giudice ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese tra le circostanze da valutare ai sensi dell'art. 133 c.p. e che presentano connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare considerazione ai fini della quantificazione della pena (Cass. III, n. 19638/2022; Cass. II, n. 30228/2014). Segue. L'obbligo di motivazione da parte del giudiceMuovendo dal carattere discrezionale delle attenuanti generiche, la prevalente dottrina osserva che «proprio perché non si tratta di una scelta liberamente affidata al magistrato, questi deve spiegare in modo adeguato ed esauriente l'iter logico della sua valutazione», pena la censura in sede di legittimità; in particolare, il giudice tenuto a motivare in caso sia di concessione, anche d'ufficio, che di diniego delle generiche (Romano, Commentario, 685, il quale evidenzia che l'obbligo di motivazione della mancata concessione anche quando l'imputato non l'abbia richiesta si argomenta «dalla sicura concedibilità delle attenuanti anche d'ufficio e dall'inammissibilità di un onere della domanda a carico dell'imputato nel nostro sistema penale»; Bricola, 150; Cordero, 830; in senso contrario, Antolisei, PG, 467, secondo cui l'obbligo sussiste solo quando, a fronte della richiesta dell'imputato, il giudice non le abbia concesse) La giurisprudenza, sull'obbligo di motivazione ha fissato i seguenti principi: a) Il potere di concedere o negare le circostanze in commento, pur essendo ampiamente discrezionale, rientra nell'ambito di un giudizio di fatto che non è sottratto al controllo di legittimità, dovendo il giudice medesimo dare conto delle precise ragioni e dei criteri utilizzati per la concessione o il rifiuto di concessione, con l'indicazione degli elementi reputati decisivi nella scelta compiuta, senza che sia, peraltro, necessario valutare analiticamente tutte le circostanze rilevanti, in positivo o in negativo (Cass. I, n. 30904/2022; Cass. III, n. 29968/2019; Cass. III, n. 6877/2017); l'esercizio di tale potere deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Cass. VI, n. 41365/2010; Cass. I, n. 46954/2004; Cass. VI, n. 36382/2003). b) In tema di circostanze attenuanti generiche, sussiste la presunzione di non meritevolezza: di conseguenza, mentre il giudice deve spiegare le ragioni che giustificano la decisione di mitigare il trattamento sanzionatorio indicando, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (Cass. II, n. 26865/2022; Cass. I, n. 46568/2017), al contrario, in caso di mancato riconoscimento, tale l'obbligo di motivazione non sussiste, in assenza di richiesta da parte dell'interessato o nell'ipotesi di richiesta generica: Cass. III, n. 25618/2022; Cass. III, n. 35570/2017; c) la mancata concessione delle generiche – ove siano state espressamente richieste in modo specifico dall'imputato - può essere legittimamente giustificata con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'art. 62-bis, disposta con il d.l. n. 92/2008, conv, con modif., in l. n. 125/2008 per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato (Cass. III, n. 9836/2016; Cass. III, n. 44071/2014) . E’ stato ritenuto che «La richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi disattesa con motivazione implicita allorché sia adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di attenuazione del trattamento sanzionatorio, fondata su analogo ordine di motivi»: Cass. I, n. 12624/2019. d) quanto al contenuto dell'obbligo di motivazione, la concessione delle attenuanti generiche può essere motivata implicitamente o con formule sintetiche, quale «si ritiene congrua» (Cass. IV, n. 23679/2013), del tipo «al fine di meglio adeguare la pena al fatto», tali da dare dimostrazione di avere valutato la gravità del fatto (Cass. III, n. 11963/2010), così come il riferimento alla «estrema adeguatezza» della pena (fondata sulla valutazione della personalità e degli specifici precedenti) è sufficiente a motivarne il diniego (Cass. II, n. 3896/2016; Cass. V, n. 1863/1999). e) ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall'art. 133 , che ritiene prevalente, decisivo o comunque rilevante ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio, sicché anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime (Cass. II, n. 3609/2011; Cass. II, n. 4790/1996): si è, peraltro, precisato che la valutazione della suddetta rilevanza deve tener obbligatoriamente conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall'interessato; di talché, la motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (Cass. III, n. 28535/2014; Cass. I, n. 33506/2010, in una fattispecie in cui la mancata concessione delle attenuanti generiche era stata motivata con riferimento alla gravità del fatto e alla personalità dell'imputato come desumibile dalle condanne riportate; Cass. III, n. 23055/2013; Cass. VI, n. 42688/2008; Cass. VI, n. 7707/2003); f) la motivazione cumulativa di diniego delle attenuanti generiche a più coimputati consociati non difetta di genericità ove riferita alla gravità del fatto e della pericolosità dei soggetti, desunta, quest'ultima, dalla gravità del reato e dal quadro di ambiente (Cass. V, n. 26428/2022; Cass. II, n. 23431/2022; Cass. III, n. 21690/2013). g) quanto al giudizio di appello, è stato chiarito che il giudice di appello può legittimamente riconoscere le attenuanti generiche anche ex officio, ma il mancato esercizio di tale potere, eccezionalmente riconosciuto dall'art. 597, comma 5, c.p.p., non è censurabile in cassazione, né è configurabile in proposito un obbligo di motivazione, in assenza di specifica richiesta nei motivi di appello, o nel corso del giudizio di (Cass. III, n. 5116/2017; Cass. V, n. 37569/2015); pertanto, è illegittima la motivazione della sentenza d'appello che, nel confermare il giudizio di insussistenza delle circostanze attenuanti generiche, si limiti a condividere il presupposto dell'adeguatezza della pena in concreto inflitta, omettendo ogni apprezzamento sulla sussistenza e rilevanza dei fattori attenuanti specificatamente indicati nei motivi di impugnazione (Cass. VI, n. 20223/2014; Cass. VI, n. 46514/2009). Per converso, il giudice d'appello non è tenuto a motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche sia quando nei motivi di impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi già sottoposti alla attenzione del giudice di primo grado e da quest'ultimo disattesi, sia quando si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione (Cass. IV, n. 27595/2022; Cass. IV, n. 5875/2015). Quanto al divieto di reformatio in pejus, sono stati affermati i seguenti principi: a) «Nel giudizio di appello, la riqualificazione del fatto accompagnata dall'applicazione delle circostanze attenuanti generiche in misura inferiore a quanto statuito in primo grado non integra una violazione del divieto di "reformatio in peius", atteso che il giudice di secondo grado è tenuto esclusivamente ad irrogare in concreto una sanzione finale non superiore a quella in precedenza inflitta»: Cass. V, n. 15130/2020; b) «Non incorre nel divieto di "reformatio in peius" il giudice di appello che lasci inalterata la pena irrogata in primo grado, pur avendo riconosciuto la sussistenza delle attenuanti generiche giudicate equivalenti all'aggravante del numero dei concorrenti, prevista dall'art.74, comma 3, d.P.R. n. 309 del 1990, ove quest'ultima aggravante, riconosciuta dal giudice di primo grado, non aveva dato luogo al corrispondente aumento di pena»: Cass. V, n. 18055/2018. La Corte EDU, sez. I, con sentenza n. 44221 del 6 febbraio 2020, n. 44221/14 ha accolto il ricorso per violazione dell’art. 6 della Convenzione, in quanto la Corte di cassazione non aveva motivato sul motivo di ricorso con il quale era stato dedotto il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti.
L'accertamento delle attenuanti generiche: i rapporti tra art. 62- bis e art. 133 c.p.La dottrina si è divisa in merito alla questione se i parametri contenuti nell'art. 133 in tema di commisurazione della pena siano, o meno, sufficienti ai fini della valutazione delle circostanze attenuanti generiche. Secondo un primo indirizzo esegetico, i criteri di massima, di cui deve tener conto il giudice nell'applicazione dell'art. 62-bis, sono desumibili dall'art. 133, poiché tale norma «esprime il punto di vista dell'ordinamento su ciò che può giustificare una diminuzione di pena» (Pagliaro, 316; Mantovani, PG, 423). D'altronde, proprio l'estrema latitudine delle situazioni ivi contemplate esclude che l'art. 133 costituisca un limite all'attività giudiziale di determinare la sanzione nel singolo caso concreto, giacché il carattere onnicomprensivo di tale non rende neppure immaginabili criteri diversi, che non siano già in esso riconducibili (Massa, 71, il quale rileva che da tale caratteristica discende l'obbligo per il giudice di «prendere in considerazione tutto»). Altra parte della dottrina, di contro, attribuendo all'art. 62-bis una funzione autonoma, tale da non ridurre la norma ad «inutile doppione degli indici di commisurazione della pena», identifica le situazioni alla base della concessione o del diniego delle attenuanti generiche in ogni ulteriore valore rispetto a quelli di cui all'art. 62 c.p., «non tipizzabile a priori in linea generale ed astratta, ma desumibile soltanto dai casi concreti considerati nelle loro infinite sfumature»(Fiandaca-Musco, PG, 465); e ciò, perché «in conformità alla ratio ispiratrice dell'art. 62-bis nessun dato può dirsi pre-giudizialmente escluso in via astratta da un significato di attenuazione del disvalore dell'illecito che le particolarità del concreto episodio possono fargli assumere» (Romano, 682). Sul punto, la giurisprudenza, che sovente richiama i criteri di determinazione della pena di cui all'art. 133 c.p. (tra le tante, Cass. V, n. 39473/2013; Cass. III, n. 2378/1966), ha chiarito che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (Cass. VII, n. 30971/2022; Cass. II, n. 23903/2020; Cass. II, n. 3609/2011). Secondo una parte della giurisprudenza, è necessario che il giudice, qualora riconosca le attenuanti generiche in relazione ad uno dei parametri indicati nell’art. 133, quale ad esempio la mancanza di precedenti penali, effettui una valutazione comparativa con gli altri parametri e indichi le ragioni che ne riconoscano il valore preminente (Cass. VI, n. 9681/2003). Sul versante opposto, si è sostenuto che, in caso di diniego, la motivazione può implicitamente ricavarsi anche mediante il raffronto con le considerazioni poste a fondamento del loro avvenuto riconoscimento, riguardo ad altre posizioni esaminate nella stessa sentenza, quando gli elementi oggetto di apprezzamento siano gli stessi la cui mancanza ha assunto efficacia determinante nell’ambito di una valutazione generalmente negativa (Cass. VI, n. 14556/2011).
Segue. La questione della c.d. doppia valutazioneAncora con riguardo al rapporto intercorrente tra gli artt. 62-bis e 133, particolarmente controverso è il problema della c.d. doppia valutazione; si discute, in altri termini, circa la possibilità che il giudice valuti due volte uno stesso elemento, prima ai fini della determinazione della pena/base e poi ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche (ma, invero, la tematica concerne più in generale tutte le circostanze). Un primo filone interpretativo opina nel senso che, qualora una certa situazione si presti ad essere presa in considerazione ai sensi tanto dell'art. 133 c.p. quanto dell'art. 62-bis c.p., essa dovrà essere valutata una sola volta in ossequio al principio del ne bis in idem sostanziale (Fiandaca-Musco, PG, 465; Mantovani, PG, 429; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 570, i quali argomentano sulla scorta del rapporto di specialità tra circostanza e corrispondente criterio di commisurazione della pena); altra dottrina, invece, sull'assunto che le due norme concernono momenti distinti di valutazione del reato, ammettono che, nell'accordare le attenuanti generiche, il giudice possa identificare il dato circostanziale rilevante in fattori rilevanti anche la determinazione della pena/base (Romano, Commentario, 683). Sull'argomento, neppure in giurisprudenza vi è unanimità di vedute. Secondo l'orientamento maggioritario, ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto di uno stesso elemento che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del ne bis in idem (Cass. VII, n. 21385/2022; Cass. I, n. 18893/2022; Cass. III, n. 10084/2020; Cass. II, n. 24995/2015; Cass. III, n. 17054/2019 e Cass. VI, n. 45623/2013, in riferimento ad una fattispecie in cui i precedenti penali erano stati considerati sia per negare il riconoscimento delle attenuanti generiche sia per applicare la recidiva; Cass. I, n. 9950/1994; Cass. V, n. 39/1986, in una fattispecie in cui la latitanza è stata ritenuta legittimamente valutata sia agli effetti dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 6 c.p. che ai fini del diniego delle attenuanti generiche); in modo non difforme, si è quindi stabilito che il giudice può valutare la gravità del fatto e la personalità dell'imputato, già prese in considerazione ai fini della valutazione sulla configurabilità o meno delle circostanze attenuanti generiche, in quanto legittimamente lo stesso elemento può essere rivalutato in vista di una diversa finalità (Cass. II, n. 933/2014; Cass. II, n. 45206/2007; Cass. IV, n. 35930/2002). Peraltro, si è precisato che «l a motivazione sul diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, nel caso in cui la pena base venga determinata secondo il minimo edittale in ragione della ritenuta non gravità dei fatti, non può risolversi in un mero richiamo alle funzioni di prevenzione criminale della sanzione, ma deve dar conto specificamente dei motivi che portano ad utilizzare uno stesso elemento (la gravità della condotta) sia in chiave positiva, ai fini della determinazione della pena nel minimo, che negativa, per il riconoscimento delle attenuanti generiche»: Cass. V, n. 4788/2015. Non mancano, però, pronunce di segno opposto, secondo le quali tra gli elementi di valutazione che il giudice può utilizzare ai fini dell'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis si pongono anche quelli relativi alla gravità del reato e alla capacità a delinquere del reo indicati dall'art. 133, con il solo limite che una stessa circostanza specifica non può essere valutata due volte. Ne consegue che legittimamente il giudice può determinare la pena, tenendo distinta la valutazione della gravità del reato, eseguita considerando l'aspetto oggettivo della condotta criminosa, da quella concernente il riconoscimento delle attenuanti generiche, concesse in base all'assenza di precedenti giudiziari, ancorché questi ultimi siano considerati dall'art. 133 comma 2 n. 2 (Cass. VI, n. 20818/2002 ; Cass. III, 40765/2015 ha stabilito che « Nella determinazione del trattamento sanzionatorio, il giudice di merito non può valutare un fatto integrante una specifica circostanza attenuante o aggravante sia ai fini della quantificazione della pena base che ai fini della sua successiva attenuazione o aggravamento, atteso che, ai sensi dell'art. 63, comma 1, l'aumento o la diminuzione della pena previsti da circostanze tipizzate presuppongono una base di calcolo che esclude dai suoi elementi di valutazione lo stesso fatto integrante la circostanza. Pertanto, è stato escluso che l'ingente quantitativo di stupefacente detenuto e i precedenti penali specifici potessero essere addebitati all'imputato sia ai fini della quantificazione della pena base che del suo aggravamento, ai sensi degli artt. 80, d.P.R. n. 309/1990 (T.U. Stup.) e 99 c.p.); in terminis, Cass. V, n. 11554/2022 (in motivazione). Segue. Le «altre circostanze diverse» che il giudice può prendere in considerazioneCon la locuzione "altre circostanze diverse”, la norma in commento allude a tutte le più svariate situazioni, di natura oggettiva o soggettiva, che assumono in concreto uno spiccato significato attenuante ed ulteriori rispetto a quelle che già integrino una o più circostanze tipiche o nominate. Come messo in luce dalla dottrina, la formulazione aperta e generica dell'art. 62-bis c.p. ne rende quindi «incompleta e riduttiva» qualsiasi classificazione (Romano, Commentario, 681): poiché, infatti, le circostanze attenuanti generiche sono state concepite proprio in funzione di un migliore adeguamento della sanzione al specificità del fatto storico, i valori idonei a giustificare una mitigazione del trattamento sanzionatorio possono essere colti solo nel singolo caso concreto e nelle sue particolarità. Pur essendo ovviamente i valori attenuanti «insuscettivi di esaustiva elencazione» (Fiandaca-Musco, PG, 465), taluni Autori (Mantovani, PG, 430; Romano, Commentario, 682; Pagliaro, 316) hanno comunque tentato di indicare, a titolo esemplificativo e non tassativo, i più frequenti fattori circostanziali che potranno essere apprezzati dal giudice: si pensi alle situazioni riguardanti la gravità oggettiva del reato (es. risarcimento parziale del danno) o in senso lato il fatto di reato (es. concorso colposo dell'offeso), la colpevolezza (es. necessità economiche, stato di stanchezza e, talvolta, gli stati emotivi o passionali), la capacità a delinquere (es. laboriosità, buona condotta, confessione, costituzione spontanea), le situazioni c.d. quasi-scriminanti (es. consenso invalido) ed, infine, le circostanze putative. Nella prassi, i fattori più frequentemente valutati dal giudice ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche sono i seguenti. a) La gravità concreta del fatto considerato nelle specifiche circostanze storiche può fondare la decisione di diniego delle attenuanti generiche (Cass. III, n. 1913/2018; Cass. III, n. 11963/2011), come nel caso di reati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, anche se dichiarati prescritti, in quanto, con l'estinzione del reato, viene meno il rapporto penale, ma non il fatto storico che lo costituisce (Cass. V, n. 1099 7 /2020) , o di reati reiterati in modo sistematico (Cass. III, n. 26906/2004, in relazione ad abusi sessuali). Al riguardo, però, la giurisprudenza ha precisato che la concessione delle attenuanti generiche non implica necessariamente un giudizio di non gravità del fatto reato e, quindi, la determinazione della pena base in misura prossima al minimo edittale; la concessione di tale attenuante è, infatti, la risultante del riconoscimento di elementi circostanziali — nell'ambito della previsione dell'art. 133 — che, anche in relazione a fatti reato di elevata gravità, possono giustificare una ulteriore riduzione della pena rispetto alla misura che si dovrebbe infliggere alla stregua degli ordinari canoni di valutazione della fattispecie (Cass. VI, n. 2388/1992). b) Un risarcimento dei danni non integrale seppure non consente il riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, può essere valutato dal giudice in funzione della concessione delle attenuanti generiche (Cass. VI, n. 34522/2013). Cass. V, n. 11554/2022, ha chiarito che: « mentre la speciale tenuità del danno implica una valutazione globale delle ripercussioni che l'atto lesivo ha avuto nella sfera soggettiva della persona offesa, la esiguità del valore economico della res si riferisce esclusivamente al valore in sé del bene rubato, con la conseguenza che non è configurabile alcuna lesione del principio del "ne bis in idem" ove si valutino entrambi tali elementi». c) La capacità a delinquere (Cass. VI, n. 20818/2002) e la personalità dell'imputato (Cass. V, n. 1863/1998). d) I precedenti penali dell'imputato, anche non definitivi, possono di per sé soli motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, qualora tali precedenti siano stati considerati dai giudici di merito come indici della capacità a delinquere e, quindi, della pericolosità sociale del condannato (Cass. V, n. 43952/2017; Cass. V, n. 39437/2013; Cass. V, n. 1863/1998; Cass. I,n. 12787/1995); essi possono rilevare ai fini della mancata concessione anche quando il giudice, sulla base di una valutazione complessiva del fatto oggetto del giudizio e della personalità dell'imputato, esclude che la reiterazione delle condotte denoti la presenza di uno spessore criminologico tale da giustificare l'applicazione della recidiva (Cass. VI, n. 38780/2014). Nel giudizio di diniego delle attenuanti generiche sono valutabili dal giudice anche i reati estinti (Cass. V, n. 39473/2013) e la sentenza di patteggiamento, la quale è equiparata a sentenza di condanna, specie ove si consideri che l'art. 133 c.p. richiama, oltre che i precedenti penali, anche quello giudiziari (Cass. IV, n. 11225/1999). e) È legittimo il diniego delle attenuanti generiche fondato sui c.d. precedenti dattiloscopici dell'imputato, in quanto l'avere in passato fornito diverse generalità rappresenta una condotta sintomatica della volontà di sottrarsi agli accertamenti di polizia e giudiziari e suscettibile, quindi, di valutazione ai sensi dell'art. 133, comma 2 (Cass. VI, n. 22274/2012). f) Prima dell'introduzione del terzo comma dell'art 62-bis c.p., l'incensuratezza dell'imputato era spesso posta alla base della concessione delle attenuanti generiche (Cass. III, n. 19966/2008); ciò nondimeno, alcune pronunce, in relazione al testo vigente prima delle modifiche apportate dalla l. n. 125 del 2008, avevano già sostenuto che nell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche il giudice non può tenere conto unicamente dell'incensuratezza dell'imputato, ma deve considerare anche gli altri indici desumibili dall'art. 133 (Cass. V, n. 4033/2013; Cass. IV, n. 31440/2008). g) La recidiva, in quanto indice di un'effettiva capacità a delinquere e di vera pericolosità sociale, può costituire motivo per negare le attenuanti generiche (Cass. VI, n. 47537/2013; Cass. II, n. 12394/2000). h) Lo stato di latitanza dell'imputato, quando si risolve in un negativo comportamento processuale, può essere considerato dal giudice ai fini dell'applicazione ovvero della misura dell'incidenza delle circostanze attenuanti generiche (Cass. IV, n. 33283/2002; Cass. I, n. 12098/1989) e può costituire ragione anche esclusiva di diniego delle stessa, in quanto esso denota un comportamento tale da consentire un giudizio sulla capacità a delinquere del colpevole (Cass. V, n. 39/1987; Cass. V, n. 2120/1985; Cass. II, n. 1100/1970). i) La particolare intensità del dolo può giustificare il diniego delle attenuanti generiche (Cass. V, n. 19639/2011 e Cass. III, n. 19248/2005, le quali hanno ritenuto la diminuente del vizio parziale di mente compatibile con una maggiore intensità del dolo, escludendo le attenuanti generiche in considerazione delle gravi modalità della condotta criminosa). j) La diminuente del vizio parziale di mente può coesistere con quella delle attenuanti generiche (Cass. V, n. 7350/1992). Non esiste, infatti un principio generale di incompatibilità della stessa con il complesso delle circostanze indicate genericamente dall'art. 62 bis, ma è da escludere che la seminfermità mentale possa essere allo stesso tempo presa in considerazione sia ai fini dell'applicazione della diminuente prevista dall'art. 89 che come fondamento per la concessione delle attenuanti generiche, valutata cioè a favore dell'imputato due volte e in due diverse direzioni (Cass. I, n. 1056/1971; Cass. II, n. 1722/1967). k) Ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, possono assumere rilievo anche le disagiate condizioni di vita in cui versa l'imputato (Cass. VI, n. 22212/2010). l) Gli stati emotivi o passionali, pur non escludendo né diminuendo l'imputabilità, possono essere considerati dal giudice ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto essi influiscono sulla misura della responsabilità penale (Cass. I, n. 7272/2014). Cass. I, n. 2962/2020 (con nota di Dova, in una fattispecie di omicidio per gelosia, ha annullato con rinvio la sentenza della Corte territoriale che aveva concesso le attenuanti generiche sulla base di “una tempesta emotiva” cui era andato soggetto l'imputato) ha affermato che il giudice «ai sensi dell'art. 62-bis, deve fornire una razionale giustificazione della scelta compiuta evidenziando senza incorrere in manifesti vizi logici ed evidenti incongruenze: - o la incidenza, necessariamente significativa, dell'accertato stato passionale nella consumazione della fattispecie delittuosa, se il beneficio è concesso per l'apprezzamento della minore gravità del reato secondo i parametri generali fissati dall'art. 133, comma 1, specialmente quelli attinenti al profilo dell'elemento soggettivo e del determinismo psichico dell'evento lesivo; - o il grado di influenza, anche esso significativo, che la gelosia abbia esercitato nel processo motivazionale, condizionando la capacità dell'imputato di reagire e di controllare i freni inibitori, se il beneficio viene, invece, concesso per adeguare la sanzione alla complessiva personalità del reo come delineata dall'art. 133, comma 2. In questa seconda eventualità, peraltro, non può essere ignorata l'eventuale compresenza, insieme con la gelosia, di altri motivi a delinquere, alterazioni caratteriali o di altre circostanze, come lo stato di ubriachezza, comunque incidenti sulla consumazione del reato ma, in ipotesi, non meritevoli di analoga considerazione favorevole». m) Lo stato di tossicodipendenza dell'imputato, ancorché dimostrato o altrimenti risultante dagli atti, non comporta l'automatica concessione delle circostanze attenuanti generiche, specialmente se ricorrono anche specifici fattori negativi, ma può concorrere a determinare quel complesso di elementi (oggettivi e soggettivi) non tipicamente previsti dalla legge che il giudice prende in considerazione per adeguare maggiormente la sanzione al caso concreto (Cass. II, n. 44878/2011). n) la giovane età: secondo la giurisprudenza, la giovane età, può essere un fattore attenuativo solo allorquando svolga un'effettiva incidenza ed abbia uno specifico rilievo nella condotta criminosa: di conseguenza, il giudice, può concedere le attenuanti generiche non sul semplice e formale rilievo della giovane età, quasi che a questa debbano necessariamente conseguire dette attenuanti, ma solo a condizione che accerti che la condizione giovanile abbia influito sulla personalità del soggetto, determinandone una non completa maturità e capacità di valutare il proprio comportamento secondo le norme del buon vivere civile: Cass. II, n. 11985/2020. o) Fortemente dibattuta è la rilevanza, nell'applicazione dell'art. 62-bis, del negativo comportamento processuale dell'imputato. In linea con quanto sostenuto da una parte della dottrina (Romano, 682), in alcune pronunce si è affermato che il diniego delle circostanze attenuanti generiche non può fondarsi esclusivamente sul comportamento processuale dell'imputato rimasto contumace, giacché la mancata presentazione in giudizio corrisponde all'esercizio di una sua legittima facoltà riconosciuta dall'ordinamento processuale vigente (Cass. III, n. 32811/2011; Cass. VI, n. 9117/1998), sulla valutazione negativa della mancanza di collaborazione da parte dell'imputato, che costituisce espressione di scelte difensive non valutabili, in quanto riconducibili all'esercizio del diritto di difesa (Cass. VI, n. 44630/2013), sull'esercizio di facoltà processuali dell'imputato, quali quella di non consentire all'esame o quella di non rilasciare dichiarazioni contro se stesso (Cass. III, n. 3654/1996), né, infine sulla mancata confessione dell'imputato, poiché questi, come ha diritto di non rispondere, ha pure diritto di mentire nel processo, senza che da ciò possano derivargli conseguenze negative (Cass. I, n. 7105/1987). In tale ottica, si è anche ritenuto che « la protesta d'innocenza, pur di fronte all'evidenza delle prove di colpevolezza, non può essere assunta, da sola, come elemento decisivo sfavorevole alla concessione stessa, non esistendo nel vigente ordinamento un principio giuridico per cui le attenuanti generiche debbano essere negate all'imputato che non confessi di aver commesso il fatto, quale che sia l'efficacia delle prove di reità»: Cass. III, n. 50565/2015. È consistente, tuttavia, l'orientamento giurisprudenziale opposto, il quale attribuisce un rilevo ostativo all'atteggiamento non collaborativo dell'imputato, in quanto, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice del merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati nell'art. 133, che ritiene prevalente ed atto a consigliare o meno la concessione del beneficio, di conseguenza, anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all'entità del reato o alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti stesse. Anche il silenzio dell'imputato può dunque essere valutato — sul piano del comportamento processuale — ai fini del riconoscimento delle attenuanti di cui all'art. 62 bis : ed infatti l'ordinamento penale, nel garantire all'imputato il diritto al silenzio ed alla menzogna che non sconfini nella calunnia, nonché alla reticenza sul proprio operato, attribuisce al giudice la facoltà di valutare il comportamento da questi tenuto durante lo svolgimento del processo, sicché è legittimo il diniego delle attenuanti predette ovvero della declaratoria di prevalenza delle medesime motivato sulla negativa personalità dell'imputato stesso o sulla capacità a delinquere desunta dal descritto comportamento processuale (ex multis, Cass. II, n. 28388/2017; Cass. III, n. 28535/2014; Cass. VI, n. 34364/2010). Analogamente, si è ritenuto che se, da una parte, l'imputato non ha il dovere di rispondere alle domande e di ammettere fatti rivelatori della sua responsabilità, dall'altra il giudice può trarre, dai suoi diversi possibili atteggiamenti di fronte alle contestazioni, le proprie conclusioni su queste, come su tutte le altre manifestazioni della di lui personalità, successive alla consumazione del reato. Ne consegue che, se la confessione dell'imputato che riveli un' autentica resipiscenza, ovvero ogni altra situazione di manifesto ravvedimento (quando non sia configurabile l'attenuante del ravvedimento operoso, stante il divieto del ne bis in idem sostanziale: Cass. VI, n. 6934/1991), può giustificare la concessione delle attenuanti generiche, (Cass. V, n. 32427/2020), al contrario, giustifica il diniego delle attenuanti, e la sua ostinazione nel negare l'evidenza (Cass. IV, n. 20115/2018), ovvero quando la confessione – essendo stata la responsabilità già acquisita aliunde – risulti dettata non da effettiva resipiscenza, ma da intento utilitaristico (ex plurimis Cass. I, n. 35703/2017; Cass. II, n. 25547/2019), frutto di calcolo defensionale (Cass. I, n. 11382/1987) o non abbia neppure agevolato il giudizio di responsabilità di coimputati, per essere questi già confessi o per altro plausibile motivo (Cass. VI, n. 6934/1991). Tale opzione interpretativa è stata confermata dalle Sezioni Unite, ad avviso delle quali il pieno esercizio del diritto di difesa, se faculta l'imputato al silenzio e persino alla menzogna, non lo autorizza, per ciò solo, a tenere comportamenti processualmente obliqui e fuorvianti, in violazione del fondamentale principio di lealtà processuale che deve comunque improntare la condotta di tutti i soggetti del procedimento, e la cui violazione è indubbiamente valutabile da parte del giudice di merito ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Cass. S.U., n. 36258/2012, relativamente ad una fattispecie nella quale il diniego delle predette circostanze attenuanti era stato motivato evidenziando il censurabile comportamento processuale dell'imputato, improntato a reticenza ed ambiguità). In tema, la giurisprudenza ha chiarito, inoltre, che l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non può fondarsi sulla scelta da parte dell'imputato del rito abbreviato, che implica ex lege l'applicazione di una predeterminata riduzione della pena, poiché in caso contrario, atteso che la valutazione premiale di tale scelta è già posta a fondamento del riconoscimento della diminuzione di pena prevista per il rito alternativo, la stessa circostanza comporterebbe due distinte determinazioni favorevoli all'imputato (Cass. IV, n. 17537/2008; Cass. IV, n. 6220/2009). In continuità con tale orientamento, Cass. II, n. 35534/2021, ha ritenuto che «la rinunzia ai motivi di appello è un istituto processuale che non può essere preso in considerazione ex se per riconoscere le attenuanti generiche, anche alla luce della recente reintroduzione del cd. patteggiamento in appello ex art. 599 bis cod. proc.pen. , e potrebbe, al più, essere valutata nell'ambito della condotta successiva al reato di cui all'art. 133 secondo comma n. 3 cod.pen., come espressione di una ridotta capacità a delinquere, semprechè non emergano elementi che militano in senso contrario». Cass. II, n. 22/2022 , ha statuito l'irrilevanza - ai fini della concessione delle attenuanti generiche - delconsenso prestato all'acquisizione di atti formatisi fuori dal contraddittorio delle parti, in quanto «costituisce mera espressione di una strategia difensiva alla quale non è possibile attribuire connotazioni di meritevolezza o di disvalore». p) la condotta successiva al reato: a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 182/2011, rientra tra gli elementi di cui il giudice deve tener conto, secondo i criteri dell'art. 133 c.p., anche la condotta positiva del condannato successiva al reato, potendo esserne escluso il rilievo con motivazione fondata su altre, preponderanti, ragioni della decisione, non sindacabile in sede di legittimità se non contraddittoria: Cass. III, n. 1913/2019. La riforma dell'art. 62- bis c.p.Come sopra anticipato, il legislatore è intervenuto a più riprese sul testo dell'art. 62-bis, aggiungendovi, dapprima, il comma secondo e, successivamente, il comma terzo. Entrambi gli interventi normativi sono stati dettati dall'intento di limitare il potere discrezionale del giudice, che si riteneva fosse esercitato troppo spesso in maniera indulgenziale e con eccessi di clemenza. Segue. L'aggiunta del comma 2Un primo vincolo alla discrezionalità giudiziale è stato posto dall'art. 1 della l. n. 251/2005 (c.d. “ex Cirielli”), la quale ha introdotto il comma 2 dell'art. 62-bis allo scopo di ridurre i margini valutativi del giudice in alcune specifiche ipotesi di recidiva reiterata: nei casi in cui il soggetto recidivo reiterato abbia commesso uno dei gravi delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett.a) c.p.p., e a condizione che la legge preveda la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni, al giudice è precluso tener conto sia dell'intensità del dolo (art. 133, comma 1, n. 2; come rilevano Fiandaca-Musco, PG, 466, e Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 571, il grado della colpa non potrebbe comunque assumere rilievo, in quanto la recidiva è ora circoscritta ai soli reati dolosi) sia di tutti i criteri concernenti la capacità a delinquere del reo (art. 133, comma 2) ai fini della concessione delle attenuanti generiche. Di conseguenza, in queste fattispecie la valutazione giudiziale dovrà incentrarsi soltanto sugli altri parametri indicati dall'art. 133 c.p., ossia su quelli a carattere oggettivo relativi alla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, nonché alla natura, alla specie, ai mezzi all'oggetto, al tempo, al luogo e a ogni altra modalità dell'azione (Fiandaca-Musco, PG, 466). La nuova disciplina, che si presenta dunque come più restrittiva, è stata oggetto di dure critiche in dottrina. Tra i profili che hanno suscitato maggiore perplessità vi è la previsione di una presunzione assoluta di elevata intensità del dolo e di elevata capacità a delinquere dei recidivi reiterati responsabili dei delitti ex art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p. (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 572). Le critiche, in particolare, si sono appuntate sulla scelta di comprimere gli spazi di discrezionalità giudiziale accordando preferenza ai parametri oggettivi contenuti nell'art. 133 c.p.; tale decisione, infatti, è «inficiata da manifesta irragionevolezza alla stregua dei principi generali della responsabilità penale», in quanto «una volta che il legislatore in linea generale fa dipendere la valutazione giudiziale della gravità del reato dall'utilizzo di criteri a carattere sia oggettivo che soggettivo, non si comprende quale sia la logica che consente di derogare ad alcuni di questi criteri con riferimento ad alcuni tipi di autore e ad alcune tipologie di delitti» (Fiandaca-Musco, PG, 467; Padovani 2006, 32). Il comma 2 dell'art. 62-bis c.p., sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui stabilisce che, ai fini dell'applicazione del primo comma dello stesso articolo, non si possa tenere conto della condotta del reo susseguente al reato (Corte cost. n. 183/2011): la norma è stata censurata per violazione sia del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) sia del principio della finalità rieducativa della pena (art. 27, comma 3, Cost.). Segue. L'aggiunta del comma 3L'art. 1, lett. f-bis) d.l. n. 92/2008, conv., con modif., in l. n. 125/2008, ha apportato, in sede di conversione, all'art. 62-bis un'ulteriore significativa modifica, introducendo un comma 3, per effetto del quale la concessione delle attenuanti generiche non potrà più essere motivata soltanto con l'assenza di precedenti condanne, dovendo la motivazione «fare riferimento anche ad altri elementi che, agli occhi del giudice, meritino una attenuazione di pena» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 572). La riforma mirava a sollecitare i giudici ad un maggior impegno nel motivare le ragioni che giustificano la concessione delle attenuanti generiche; la nuova disciplina, pertanto, «si traduce in una sorta regola di giudizio» volta, anche in questo caso, a «limitare la discrezionalità giudiziale in chiave anticlemenzialistica» (Fiandaca-Musco, PG, 467). D'ora innanzi, poiché le attenuanti generiche non potranno essere riconosciute sul solo fatto che l'imputato non abbia in precedenza riportato condanne penali, il giudice potrà valutare lo stato di incensuratezza come fattore di attenuazione della pena soltanto inserendo tale situazione in un più ampio quadro circostanziale, sulla scorta del quale specificamente motivare, senza automatismi, la meritevolezza del ridotto trattamento sanzionatorio. Peraltro, le previsioni introdotte dalla novella erano state già enunciate da alcune sentenze che, pronunciatesi in relazione al testo dell'art. 62-bis c.p. vigente prima delle modifiche in questione, avevano affermato che nell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche il giudice non può tenere conto unicamente dell'incensuratezza dell'imputato, ma deve considerare anche gli altri indici desumibili dall'art. 133 (Cass. V, n. 4033/2014;Cass. IV, n. 31440/2008). La giurisprudenza ha avuto occasione di chiarire che tale disposizione normativa, che fa divieto di concessione delle circostanze attenuanti generiche sul solo presupposto dello stato di incensuratezza, ha natura sostanziale e, pertanto, trova applicazione solo per i fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore (Cass. I, n. 23014/2009); la previsione in esame, quindi, non è applicabile ai reati commessi in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, trattandosi di disposizione aggravatrice del trattamento sanzionatorio (Cass. V, n. 13072/2014; Cass. VI, n. 10646/2009). Qualora, nel vigore della nuova disciplina, il riconoscimento di tali circostanze venga motivato con lo stato di incensuratezza dell'imputato, la relativa disposizione di sentenza è annullata senza rinvio dalla Corte di cassazione, che ridetermina la pena, escludendo la diminuzione cui abbia dato luogo la concessione di quelle attenuanti (Cass. I, n. 8635/2009). Rapporti con la determinazione della pena-baseÈ insegnamento consolidato in giurisprudenza quello secondo cui la concessione delle attenuanti generiche non implica necessariamente un giudizio di non gravità del fatto reato e, quindi, la determinazione della pena base in misura prossima al minimo edittale, in quanto la concessione di tali attenuanti è la risultante del riconoscimento di elementi circostanziali che, anche in relazione a fatti-reato di rilevante gravità, possono giustificare un'ulteriore riduzione della pena rispetto alla misura che si dovrebbe infliggere alla stregua degli ordinari canoni di valutazione della fattispecie (Cass. III, n. 2268/2017; Cass. V, n. 9472/1998; Cass. VI, n. 2388/1992); pertanto, non esiste alcuna contraddittorietà logico-giuridica tra la concessione delle attenuanti generiche, ancorché giudicate prevalenti sulle aggravanti, e la determinazione della pena in misura superiore al minimo edittale (Cass. VI, n. 1694/1998) o nel massimo edittale (Cass. V, n. 19049/2009), in quanto non sussiste un rapporto di necessaria interdipendenza tra le due statuizioni, le quali — pur richiamandosi entrambe astrattamente ai criteri fissati dall'art. 133 — si fondano su presupposti diversi e su valutazioni indipendenti da parte del giudice di merito. In continuità con la suddetta giurisprudenza, Cass. IV, n. 36532/2021, ha ritenuto che « È legittima la decisione che determini la pena base nel minimo edittale e contestualmente applichi nella misura minima la diminuzione per le riconosciute circostanze attenuanti generiche». Non vi è contraddittorietà fra il riconoscimento delle attenuanti generiche e la scelta, nel caso di reato punito con pena alternativa, dell'irrogazione di quella detentiva anziché di quella pecuniaria, sempre che il giudice fornisca adeguata motivazione in ordine alle ragioni di siffatta scelta (Cass. II, n. 8634/2006). Nel caso di reato punito con pena detentiva congiunta a pena pecuniaria, la riduzione derivante dalla presenza di circostanze attenuanti deve essere operata su entrambe, ma il giudice non è obbligato a seguire il medesimo criterio nella determinazione della sanzione detentiva e di quella pecuniaria, sicchè la determinazione nel minimo della pena detentiva non comporta che anche la pena pecuniaria debba essere determinata nel minimo (Cass. III, n. 37849/2015; Cass. IV, n. 20228/2012). Rapporti con altre circostanzeIn tema di reati di criminalità organizzata, il riconoscimento della circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all'art. 8 d.l. n. 152/1991 (v. ora 416-bis.1, cosiddetta attenuante della «dissociazione attuosa», non implica necessariamente, data la diversità dei relativi presupposti, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, le quali si fondano su una globale valutazione della gravità del fatto e della capacità a delinquere del colpevole (Cass. V, n. 1703/2014; Cass. VI, n. 20145/2010; Cass. I, n. 14527/2006). Sull'argomento, si è anche statuito che non è consentito utilizzare gli elementi posti a fondamento della concessione della cosiddetta attenuante della «dissociazione attuosa» una seconda volta per giustificare anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, perché ciò condurrebbe a un'inammissibile ripetuta valorizzazione dei medesimi elementi (Cass. VI. n. 49820/2013; Cass. V, n. 34574/2010). Contra, Cass. VI, n. 43890/2017 ha stabilito che: «Gli elementi posti a fondamento della concessione della circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all'art.8, d.l. 13 maggio 1991, n.152, convertito dalla l. 12 luglio 1991, n.203 (cosiddetta attenuante della "dissociazione attuosa"), non possono essere utilizzati per giustificare anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche». Il giudice può legittimamente negare le circostanze attenuanti generiche all'imputato al quale abbia invece riconosciuto l'attenuante del contributo di minima importanza al reato commesso in concorso (art. 114), atteso che le due circostanze hanno presupposti applicativi del tutto differenti (Cass. VI, n. 46301/2013). In tema di reati sessuali, all'applicazione della circostanza attenuante speciale prevista dall'art. 609-bis , comma 3 (casi di minore gravità) non consegue automaticamente l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto mentre per la concedibilità di queste ultime rilevano tutti i parametri indicati nell'art. 133, per la concedibilità dell'attenuante speciale rilevano solo gli elementi indicati nel comma primo e non quelli indicati nel comma secondo del predetto articolo (Cass. III, n. 1192/2008; Cass. III, n. 14560/2018); d'altro canto, vi è compatibilità logica tra la concessione delle circostanze attenuanti generiche per l'incensuratezza del reo e il contestuale diniego dell'attenuante speciale de qua, in quanto mentre l'incensuratezza attiene alla mancanza di precedenti penali, diversamente la gravità del fatto attiene alla condotta concretamente posta in essere e prescinde dalla circostanza di essere o meno il reo immune da precedenti penali (Cass. III, n. 19966/2008). È compatibile la concessione delle attenuanti generiche con l'attenuante di pena di cui all'art. 648 cpv. che tende ad adeguare la pena al fatto di particolare tenuità, attesa la differenza delle caratteristiche strutturali e teleologiche dei due istituti (Cass. II, n. 18892/2004). In tema di detenzione e spaccio di stupefacenti, il diniego delle attenuanti generiche non è in contrasto con il riconoscimento dell'attenuante del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, dal momento che non sussiste antinomia tra circostanze tipizzate e circostanze non tipizzate, aventi queste ultime carattere residuale atteso che con l'art. 62-bis si è introdotta nel sistema penale la possibilità di valutare, ai fini della graduazione della pena, elementi e circostanze non espressamente previsti e tipizzati che solo per questa via trovano accesso nel sistema (Cass. VI, n. 8995/2010; Cass. IV, n. 18377/2006). « In tema di evasione, gli elementi posti a fondamento della concessione della circostanza attenuante della costituzione in carcere, o della spontanea presentazione alla polizia giudiziaria, non possono essere utilizzati una seconda volta per giustificare anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, poiché ciò condurrebbe a un'inammissibile ripetuta valorizzazione del medesimo elemento di giudizio»: Cass. VI, n. 7514/2016. Non esiste contraddizione tra il diniego della circostanza attenuante comune di cui all'art. 62-bis c.p. e la concessione della circostanza attenuante speciale prevista dall'art. 5 l. n. 895/1967 in quanto, pur essendo entrambe circostanze attenuanti facoltative, tuttavia sono autonome e si basano su differenti elementi caratterizzanti (Cass. I, n. 1661/2003). In materia di reati militari, sono configurabili le circostanze attenuanti generiche anche quando non sussistono le condizioni per la concessione dell'attenuante della condotta militare dell'ottimo valore, prevista dall'art. 48 c.p.mil.p. (Cass. I, n. 45865/2014). Rapporti con altre fattispecieIl riconoscimento della sussistenza di circostanze attenuanti generiche non è incompatibile con la formulazione di un giudizio di equivalenza anziché di prevalenza delle attenuanti generiche con le aggravanti, trattandosi di valutazione di natura completamente diversa (Cass. V, n. 35828/2010; Cass. I, n. 11704/1986; Cass. II, n. 9247/1983); cosicché, non è ravvisabile il vizio di contraddittorietà della motivazione nel caso in cui il giudice, pur ritenendo le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti in sede di giudizio di bilanciamento, non operi la riduzione di pena nella massima misura possibile in ragione della sussistenza delle aggravanti che continuano a costituire elementi di qualificazione della gravità della condotta (Cass. III, n. 13210/2010). Non è ravvisabile il vizio di contraddittorietà di motivazione nel caso di diniego delle circostanze attenuanti generiche per i precedenti penali dell'imputato e di contemporaneo giudizio di equivalenza tra una circostanza attenuante e la recidiva, trattandosi di due ben distinte valutazioni non necessariamente collegate ad identici presupposti (Cass. II, n. 106/2009; Cass. I, n. 11004/1977). In caso di reato continuato, il giudizio circa la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche va operato avendo riferimento ai singoli episodi criminosi e non globalmente, in quanto dev'essere effettuato considerando le caratteristiche di ciascun episodio (Cass. III, n. 1810/2011); pertanto, il giudice può riconoscere le attenuanti generiche solo per alcuni di essi, con la conseguenza che le attenuanti generiche riconosciute solo per il reato più grave non si estendono a quelli satellite (Cass. III, ord. n. 34782/2011; Cass. IV, n. 39986/2021). Sul punto, la giurisprudenza ha precisato:
La necessità di scindere il reato continuato ai fini dell'individuazione dei reati prescritti a seguito della concessione di attenuanti generiche impone al giudice di merito l'obbligo di indicare in modo espresso le imputazioni in relazione alle quali tali attenuanti sono state riconosciute (nella specie con giudizio di prevalenza sulle circostanze aggravanti). Qualora tale obbligo non venga assolto, la concessione deve intendersi riferita a tutti i reati contestati, sia per la mancanza di un'indicazione specifica in senso contrario, sia per la natura di tali circostanze, basate su considerazioni attinenti alla personalità dell'imputato e quindi riferibili a tutti i fatti addebitatigli, sia, comunque, per il principio del «favor rei», da ritenersi applicabile non solo nel giudizio di responsabilità, ma in ogni valutazione riguardante l'imputato stesso (Cass. I, n. 37108/2002). In materia di reato continuato, al fine di stabilire la pena base, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche alla più grave delle violazioni deve essere effettuata senza che si possa tenere conto delle circostanze inerenti alle violazioni meno gravi, rilevando queste ulteriori attenuanti e aggravanti soltanto per determinare la misura dell'aumento da apportare alla pena base (Cass. I, n. 49344/2013). Non sussiste incompatibilità tra il diniego della sospensione condizionale della pena e la concessione delle attenuanti generiche, avendo i due istituti diversi presupposti e finalità, in quanto queste ultime rispondono alla logica di un'adeguata commisurazione della pena, mentre la prima si fonda su un giudizio prognostico strutturalmente diverso da quello posto a fondamento delle attenuanti generiche (Cass. I, n. 6603/2008; Cass. II, n. 27313/2003). Non esiste incompatibilità tra il diniego delle attenuanti generiche e l'applicazione, ex art. 53 l. n. 689/1981, di una sanzione sostitutiva della pena detentiva data la diversità di funzione dei due istituti: le attenuanti generiche attengono alla determinazione della pena al fine di un più congruo adeguamento della stessa al caso concreto, mentre le misure sostitutive tendono invece al reinserimento sociale del condannato (Cass. V, n. 3643/1999;Cass. IV, n. 3882/1990). Nel giudizio di rinvio conseguente ad annullamento parziale della sentenza per mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è impedita la declaratoria della prescrizione per effetto dell'applicazione delle circostanze medesime, essendosi ormai formato il giudicato sulla affermazione di responsabilità (Cass. III, n. 19690/2013). «Il diniego delle circostanze attenuanti generiche fondato sulla sola presenza di precedenti penali non giustifica ex se la mancata applicazione della causa di esclusione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, dovendo la relativa motivazione tener conto dei parametri normativi di cui all'art. 131-bis, inerenti alla gravità del fatto ed al grado di colpevolezza ed assumendo i precedenti valenza ostativa solo ove l'imputato risulti essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, oppure abbia commesso più reati della stessa indole»: Cass. VI, n. 605/2020. BibliografiaBricola, La discrezionalità nel diritto penale, Milano, 1965; Cordero, Circostanze «generiche» e termine di prescrizione, in Riv. it. dir. pen., 1958, 824; Dova: La tempesta emotiva ed il giudice cartesiano, in Sistema pen., 27 maggio 2020; Massa, Le attenuanti generiche, Napoli, 1959; Padovani, Circostanze del reato, in Dig. pen., II, Torino, 1988; Padovani, Una novella piena di contraddizioni che introduce disparità inaccettabili, in Guida dir., 2006, dossier 1, 32; Pagliaro, Il reato, in Trattato di diritto penale, diretto da Grosso-Padovani-Pagliaro, Milano, 2007; Stile, Il giudizio di prevalenza o di equivalenza tra le circostanze, Napoli, 1971. |