Codice Penale art. 63 - Applicazione degli aumenti o delle diminuzioni di pena.Applicazione degli aumenti o delle diminuzioni di pena. [I]. Quando la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro limiti determinati [18 coord.], l'aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di essa, che il giudice applicherebbe al colpevole [132 1], qualora non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire. [II]. Se concorrono più circostanze aggravanti [66, 68, 69], ovvero più circostanze attenuanti [67, 68, 69], l'aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall'aumento o dalla diminuzione precedente. [III]. Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l'aumento o la diminuzione [66 n. 3, 67 2] per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta. Sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo [4, 278 c.p.p.] (1). [IV]. Se concorrono più circostanze aggravanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla [64]. [V]. Se concorrono più circostanze attenuanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena meno grave stabilita per le predette circostanze; ma il giudice può diminuirla [65]. (1) Comma così sostituito dall'art. 5 l. 31 luglio 1984, n. 400, con applicazione ai reati commessi successivamente all'entrata in vigore di detta legge (29 novembre 1984), in forza di quanto disposto dall'art. 12 di essa. Per i reati commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge, resta fermo il testo originario che recitava: « Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa o ne determina la misura in modo indipendente dalla pena ordinaria del reato, l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze non si opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta». InquadramentoL'art. 63 c.p. è il primo dei sette articoli (artt. 63-69 c.p.) con i quali il legislatore ha dettato le regole che si devono seguire per la determinazione della pena nell'ipotesi di reato circostanziato. La norma in commento è costituita da cinque commi: i primi due commi disciplinano il meccanismo della determinazione della pena ove siano configurabili circostanze comuni; il terzo, quarto e quinto comma, stabiliscono, invece, le regole per la determinazione della pena nell'ipotesi in cui siano ritenute sussistenti le circostanze ad effetto speciale. Il denominatore comune di tutte le suddette regole è costituito dal fatto che la norma prende in esame e disciplina le sole circostanze omogenee e cioè solo quelle attenuanti o quelle aggravanti. Le circostanze comuniIl primo ed il secondo comma regolamentano l'ipotesi in cui al reato accedano una o più circostanze comuni — aggravanti o attenuanti — e stabiliscono le modalità con le quali la pena dev'essere calcolata. Sono definite circostanze comuni quelle che si applicano indifferentemente a tutti i reati (salvo che siano con essi strutturalmente incompatibili): artt. 61, 62, 62 bis, 112, 114. La prima regola che il primo comma stabilisce per la determinazione della pena è la seguente: l'aumento o la diminuzione si opera sulla quantità della pena che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire. Questa regola significa che il giudice deve applicare la circostanza (attenuante o aggravante) non sulla pena prevista in astratto dal reato (cd. pena edittale), ma su quella che egli, in concreto, ritiene di irrogare. La seconda regola è disciplinata dal secondo comma e prevede che, nel caso in cui siano ritenute sussistenti più circostanze omogenee (attenuanti o aggravanti) «l'aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall'aumento o dalla diminuzione precedente». Dal combinato disposto delle due suddette regole, si desume, quindi, che il procedimento che il giudice deve seguire per la determinazione della pena, nel caso in cui siano ritenute sussistenti una o più circostanze, è di natura bifasica. Innanzitutto, come operazione preliminare, deve determinare la pena che, in concreto, ritiene debba essere irrogata all'imputato (c.d. pena base). Una volta effettuata tale prima operazione: a) se al reato accede una sola circostanza, la pena va aumentata o diminuita fino ad un terzo (cfr., commento sub art. 64): es. pena base per il reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) = anni uno ed euro 200 di multa (pena in concreto) + mesi due ed euro 10 di multa ex art. 61 n. 11 (aumento fino ad un terzo della pena base) = anni uno, mesi due di reclusione ed euro 210 di multa; b) se al reato accedono più circostanze, l'aumento o la diminuzione della pena dev'essere effettuato sulla quantità di essa risultante dall'aumento o dalla diminuzione precedente: es. pena base per appropriazione indebita (art. 646) = anni uno ed euro 200 di multa (pena in concreto) + mesi due ed euro 10 di multa ex art. 61 n. 11 c.p. (aumento fino ad un terzo della pena base) = anni uno, mesi due di reclusione ed euro 210 di multa + mesi uno ed euro 10 ex art. 61 n. 7 = anni uno, mesi tre di reclusione ed euro 220 pena finale. Se concorrono più circostanze, l'aggravamento o la diminuzione della pena va effettuato aggravando o diminuendo la pena calcolando, per prima, la circostanza che si ritiene, nel caso concreto, aggravi o diminuisca la pena in misura maggiore; quindi, si applicheranno le ulteriori circostanze in aumento o in diminuzione, a scalare. Le circostanze specialiIl terzo, quarto e quinto comma regolamentano l'ipotesi in cui al reato accedano una o più circostanze speciali, aggravanti o attenuanti, e stabiliscono le modalità con le quali la pena dev'essere calcolata. Circostanze speciali sono, innanzitutto, quelle che, proprio perché sono speciali, si applicano solo a determinati reati per i quali sono espressamente previste: ad es. artt. 625, 626 prevedono una serie di aggravanti speciali per il solo delitto di furto; l'art. 628, comma 3, prevede una serie di aggravanti speciali che si applicano solo alla rapina e all'estorsione (in virtù del rinvio ad esse effettuato dall'art. 629, comma 2); l'art. 311 prevede la circostanza attenuante della lieve entità che si applica ai soli reati disciplinati nel titolo I del libro secondo (delitti contro la personalità dello Stato: artt. 241 ss. c.p.; va peraltro rilevato che la Corte cost., con sentenza 19 marzo 2012, n. 68, ha esteso la suddetta attenuante anche al delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, ex art. 630 c.p.) Il comma 3 della norma in commento, prevede due tipi di circostanze speciali: a) quelle per le quali «la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato»; b) quelle «ad effetto speciale», delle quali è data, nell'ultima parte del comma, la seguente definizione «sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo». Nella prima tipologia di circostanze speciali, definite dalla dottrina circostanze ad efficacia speciale (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 543), rientrano quelle, per effetto delle quali, la legge stabilisce una pena di specie diversa prevista per il reato base: ad es. l'omicidio, per il quale l'art. 575 stabilisce la pena della reclusione (art. 23), se è aggravato ex artt. 576-577, è punito con la diversa pena dell'ergastolo (art. 22): questa tipologia di circostanze è denominata dalla dottrina (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 543) come circostanze autonome. Nella seconda tipologia di circostanze — quelle definite dalla stessa norma in commento «ad effetto speciale» — rientrano, invece, quelle circostanze che, applicate al reato base, fanno aumentare o diminuire la pena base in misura superiore ad un terzo (differentemente, quindi, dalle circostanze comuni che determinano un aumento o diminuzione entro il limite di un terzo della pena base): ad es. art. 353, comma 3, (circostanza attenuante ad effetto speciale); art. 99, comma 4 (circostanza aggravante ad effetto speciale). È stato opportunamente osservato che si devono ricondurre al terzo comma «i casi in cui le circostanze importino una variazione frazionaria, cioè un aumento o una diminuzione (del massimo della pena se circostanza aggravante, del minimo se attenuante) superiore ad un terzo (qualunque sia l'aumento della pena edittale minima o la diminuzione di quella massima); non pare che possa rilevare come effetto speciale un aumento superiore ad un terzo del solo minimo edittale, o una diminuzione del solo massimo» (Romano, Commentario, 690). La parte speciale del c.p., prevede, però, numerose ipotesi in cui, per effetto di aggravanti specificamente previste (quindi aggravanti speciali), la pena base è determinata in modo autonomo e differente rispetto a quella prevista per il reato base: ad es. l'art. 625 stabilisce, in caso di furto aggravato da una delle circostanze aggravanti ivi previste, la pena della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 103 ad euro 1.032, e, in caso di due o più circostanze aggravanti, la pena da tre a dieci anni e della multa da euro 206 ad euro 1.549; art. 353 comma 2 ; art. 628 comma 3; art. 648 comma 2 che prevede una circostanza attenuante ad efficacia speciale: questa tipologia di circostanze è denominata dalla dottrina (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 543) come circostanze indipendenti ed era prevista espressamente dall'art. 63, comma 2, nella formulazione che aveva prima che fosse sostituito dall'art. 5 l. n. 400/1984. Infatti, il previgente art. 63 comma 3 così disponeva: «quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa, o ne determina la misura in modo indipendente dalla pena ordinaria del reato, l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze non si opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta»: si noti che la norma non fissava un limite (come l'attuale 63 comma 3 ) al di sotto o al di sopra del quale l'aumento o la diminuzione della pena doveva essere ritenuta circostanza indipendente. Quindi, rientravano nella suddetta disciplina anche le circostanze che comportavano una variazione frazionaria della pena inferiore ad un terzo (ad es. art. 648 comma 2). A seguito della riforma del 1984, si è verificata, pertanto, la seguente situazione: è rimasta inalterata la disciplina delle circostanze autonome; le circostanze ad effetto speciale sono state limitate a quelle che fanno aumentare o diminuire la pena base in misura superiore ad un terzo; sono rimaste fuori dalla previsione normativa le circostanze indipendenti. Si è posto, quindi, il problema di stabilire se alle circostanze indipendenti continui o meno ad essere applicabile la normativa delle circostanze speciali di cui all'art. 63, anche perché l'art. 69 comma 4 ultima parte, fa ancora riferimento alle circostanze per le quali la legge «determini la misura in modo indipendente dalla pena ordinaria del reato». La soluzione alla quale è pervenuta la dottrina maggioritaria è quella secondo la quale «le circostanze indipendenti continuano a essere ricomprese in quelle ad effetto speciale, a condizione che anch'esse determinino, in base ad un ideale calcolo frazionario, un aumento o una diminuzione superiore ad un terzo» (Fiandaca-Musco, PG, 444, sebbene in termini dubitativi; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 543), a fronte di altra tesi dottrinaria secondo la quale, invece, l'art. 63 comma 3 va letto come se il legislatore avesse precisato che sono circostanze ad effetto speciale, oltre a tutte quella indipendenti (determinino o meno un aumento di pena superiore ad un terzo), anche quelle frazionarie che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo (Romano, 643). La giurisprudenza ha accolto la prima delle tesi esposte: Cass. S.U., n. 28953/2017 hanno, infatti, affermato che, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, le circostanze c.d. indipendenti (nella specie, quella di cui all’art. 609-ter, comma 1), che comportano un aumento di pena non superiore ad un terzo, non rientrano nella categoria delle circostanze ad effetto speciale (quindi, a contrario, vanno ritenute circostanze speciali anche quelle indipendenti a condizione che aggravino la pena base in misura superiore al terzo); Cass. VI, n 52011/2019 (con nota di Felicioni), , ha espressamente affermato « il principio secondo cui le circostanze indipendenti possono essere assimilate a quelle ad effetto speciale solo allorché comportino, nel caso delle aggravanti, un aumento superiore ad un terzo, da computarsi attraverso la trasformazione in valori frazionari dell’aumento di pena espresso in valori numerici rispetto alla pena del reato non aggravato; di talché, nel caso dell’associazione armata ex art. 74 commi 2 e 4, d.P.R. 309/1990, detta aggravante non può essere qualificata come aggravante ad effetto speciale, perché determina un aumento aritmetico di un quinto rispetto alla pena prevista per l’ipotesi di cui al comma 2 dello stesso articolo »; Cass. IV, n. 32868/2020; Cass. II, n. 22066/2021; Cass.V, n. 26428/2022. Contra: Cass. III, n. 31293/2019 (con nota Pedullà) secondo la quale, invece, il criterio di calcolo di cui all'art. 63, comma quarto, cod. pen. (cumulo giuridico) opera anche in caso di concorso tra circostanze aggravanti indipendenti (anche laddove la pena non superi il terzo come nell’ipotesi di cui all’art. 609-ter cod. pen.) e circostanze ad effetto speciale, diversamente determinandosi un trattamento sanzionatorio non conforme al principio di legalità ed irragionevolmente più grave di quello previsto per il concorso tra circostanze ad effetto speciale. Secondo la suddetta sentenza, «Tale interpretazione è l'unica praticabile perché, diversamente ragionando, le c.d. indipendenti rimarrebbero, di fatto, prive di qualsiasi regolamentazione "legale" nel caso di concorso con circostanze ad effetto speciale, con conseguente strappo - non riconducibile - del principio di legalità»; Cass II 6558/2021; per una condivisibile ed ampia critica alla suddetta sentenza, Cass. VI, n. 52011/2019, cit, in motivazione. Stessa regola (quindi, applicabilità dell’art. 63, comma 4, cod. pen.), si applica nel caso di concorso fra aggravanti speciali ed aggravanti speciali privilegiate per tali dovendosi intendere quelle aggravanti che sono sottratte al giudizio di bilanciamento con altre circostanze (ad es. artt. 628, comma, 3 n. 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater; 416-bis.1; 186, comma 2-sexies Codice della strada; 604-ter cod. pen.; 624-bis cod. pen.): in terminis, Cass. V, n. 15690/2020; Cass. VI, n. 52011/2019; Cass. V, n. 47519/2018. Contra: Cass. II, n. 28276/2016 (ribadita da Cass. II, n. 9526/2022) , secondo la quale (in una fattispecie di estorsione aggravata sia dal comma 2, dell’art. 629 che dall’art. 416-bis.1) , poiché l'aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. «è esclusa dal giudizio di bilanciamento, ai fini del calcolo degli aumenti di pena irrogabili, non si applica la regola generale prevista dall'art. 63, comma 4, bensì l'autonoma disciplina derogatoria di cui al citato art. 7 (ora 416-bis.1), che prevede l'inasprimento della sanzione da un terzo alla metà», con la conseguenza che la pena va determinata applicando un doppio aumento secondo il principio del cumulo materiale e non di quello giuridico (aumento facoltativo fino ad un terzo), ossia: l’aumento derivante dall’aggravante più grave (nella specie quello di cui all’art. 629, comma 2) su cui va effettuato un ulteriore aumento derivante dall’applicazione dell’art. 416-bis.1, comma primo, cod. pen., ossia da un terzo alla metà: per una critica a tale sentenza, da ultimo Cass. V, n. 15690/2020 cit. È molto importante distinguere le circostanze ad effetto speciale da quelle comuni, perché, a livello normativo, a seconda che una circostanza sia qualificata in un modo o in un altro, la determinazione della pena (edittale) varia notevolmente con rilevanti conseguenze pratiche in ordine: al tempo necessario per la prescrizione ex art. 157, comma 2: Cass. II, n. 33871/2010; Cass. IV, n. 27748/2007; ai fini della determinazione della competenza (art. 4 c.p.p.); agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari (art. 278 c.p.p.); agli effetti dell'arresto in flagranza (art. 379 c.p.p.); agli effetti della durata della custodia cautelare. Il criterio distintivo fra circostanza ed elemento costitutivo del reatoControversi, sono i criteri per stabilire quando si è in presenza di un titolo autonomo di reato ovvero di un reato circostanziato: ad oggi tende «a prevalere un criterio discretivo che fa leva sull'esistenza di un rapporto di specialità tra l'ipotesi circostanziata e l'ipotesi semplice di reato: nel senso, precisamente, che la prima deve porsi in relazione di “specie” a “genere” rispetto alla seconda, in quanto deve includerne tutti gli elementi con l'aggiunta di uno o più requisiti specializzanti» (Fiandaca-Musco, PG, 438, i quali, però, concludono prendendo atto che criteri discretivi sicuri non ne esistono sicché la soluzione va ricercata caso per caso). A tale ultimo criterio, si è ispirata anche la giurisprudenza delle Sezioni Unite le quali, con la sentenza n. 26351/2002, hanno ritenuto che la truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche prevista dall'art. 640-bis costituisce una circostanza aggravante del delitto di truffa di cui all'art. 640 e non figura autonoma di reato, in quanto tra reato-base e reato circostanziato intercorre quindi un rapporto di specialità unilaterale, per specificazione o per aggiunta, nel senso che il secondo include tutti gli elementi essenziali del primo con la specificazione o l'aggiunta di elementi circostanziali: ai §§ 7 ss. della suddetta sentenza si legge una completa ed esaustiva rassegna di tutti i criteri elaborati dalla dottrina sul tema in esame e le ragioni per le quali le Sezioni unite hanno ritenuto preferibile la suddetta tesi. Concorso omogeneo fra circostanze comuni e specialiIl comma 3 dell'art. 63 disciplina le modalità con le quali si deve determinare la pena nel caso in cui al reato per cui si procede accedano circostanze omogenee (quindi o tutte attenuanti o tutte aggravanti) sia comuni sia speciali. La regola è la seguente: il giudice deve, prima determinare la pena che, in concreto, ritiene di irrogare per il reato cui accede la circostanza speciale e, quindi, sulla suddetta pena, applicare l'aumento o la diminuzione spettante per la circostanza comune. Ad es. rapina aggravata sia perché commessa con armi (art. 628 comma 3 n. 1) sia per avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 61 n. 7 ). In tal caso, la pena sarà determinata nel seguente modo: ad es. pena base ex art. 628 comma 3 n. 1 = anni cinque ed euro 1.032 di multa + anni uno ed euro 100 di multa ex art. 61 n. 7 = anni sei, euro 1.132 di multa. Si è, peraltro, precisato che, quando il cumulo delle pene derivanti da plurime circostanze comuni comporta un aumento di pena superiore a quello derivante dalla ricorrenza di più circostanze aggravanti ad effetto speciale (e cioè una pena superiore al terzo della pena fissata per il reato base), si applica, anche per le circostanze comuni, il criterio moderatore di cui al comma quarto (e cioè la pena non può essere superiore ad un terzo della pena base), onde evitare che le circostanze aggravanti ad effetto comune comportino un aumento di pena maggiore di quello derivante dalla ricorrenza di una pluralità di circostanze aggravanti ad effetto speciale: Cass. II, n. 21089/2023; Cass. V, n. 7574/2019. Concorso omogeneo fra circostanze specialiI commi 4 e 5 dell'art. 63 disciplinano le modalità con le quali si deve determinare la pena nel caso in cui al reato per cui si procede accedano più circostanze omogenee (quindi o tutte attenuanti o tutte aggravanti) ad effetto speciale. La regola è la seguente: si applica solo la pena stabilita per la circostanza più grave (quarto comma: per tale deve intendersi quella fra le circostanze aggravanti che determina la pena edittale più grave nel massimo) o meno grave (quinto comma: per tale deve intendersi quella fra le circostanze attenuanti che determina il minimo più basso), ma il giudice può aumentarla (quarto comma: fino ad un terzo) o diminuirla (quinto comma: massimo di un terzo): si tratta di un evidente caso in cui il legislatore ha scelto la tecnica del cumulo giuridico (un solo aumento o una sola diminuzione indipendentemente dal numero delle circostanze speciali) piuttosto che di quello materiale di cui ai commi precedenti. Come si è in precedenza illustrato (§ 3) la stessa regola – secondo la condivisibile giurisprudenza maggioritaria – si applica anche alle circostanze indipendenti e a quelle privilegiate, sempre che, siano, a loro volta, anche speciali (e cioè che prevedano un aumento di pena superiore al terzo della pena base). La Cass. S.U., n. 20798/2011, hanno chiarito che, in caso di concorso omogeneo di circostanze aggravanti ad effetto speciale «è circostanza più grave quella connotata dalla pena più alta nel massimo edittale e, a parità di massimo, quella con la pena più elevata nel minimo edittale, con l'ulteriore specificazione che l'aumento da irrogare in concreto non può in ogni caso essere inferiore alla previsione del più alto minimo edittale per il caso in cui concorrano circostanze, delle quali l'una determini una pena più severa nel massimo e l'altra più severa nel minimo». Si osservi che, indipendentemente dal numero di circostanze speciali, la pena, dovendosi applicare la regola del cumulo giuridico, non può essere aumentata più di un terzo: tale regola deriva dagli artt. 64-65 c.p. a norma dei quali quando la legge non determina l'aumento o la diminuzione della pena (come nel caso di cui all'art. 63 commi 4-5) l'aumento o la diminuzione dev'essere effettuato una sola volta ed essere contenuto entro il terzo della pena irrogata (Cass. II, n. 41004/2011). Cass. II, n. 9365/2015 , ha ritenuto che, in tema di concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale, alla recidiva che concorre con altra aggravante speciale e rispetto a questa ritenuta meno grave si applica integralmente la disciplina di cui all'art. 63, comma 4 con la conseguenza che il giudice, quand'anche la recidiva comporti un aumento predeterminato della pena, può procedere all'ulteriore aumento di pena e, ove ritenga di apportarlo, è vincolato al limite di cui al combinato disposto degli artt. 63, comma 4, e 64, comma 1. ("fino ad un terzo della pena prevista per il reato commesso"). Infine, nell'ipotesi di concorso tra più circostanze aggravanti ad effetto speciale previste nell'ambito di una stessa norma (ad es. art. 628, comma 3 cod. pen.; art 416 bis, commi 4-6 cod. pen.; art. 583 cod. pen. ), occorre distinguere due distinte fattispecie. Prima ipotesi: nell'ambito di una stessa norma sono previste più aggravanti speciali (ad es. art 583 cod. pen.: sulla configurabilità di più aggravanti anche se previste nell'ambito topografico di uno stesso numero, come ad es. art. 628/3 n. 1 cod. pen., si rinvia al commento dell'art. 68 § 4). Se risultano contestate e ritenute più aggravanti speciali, si applica il disposto dell'art. 63 c.p., comma 4: si applica cioè la pena stabilita per la circostanza più grave ma il giudice può aumentarla fino ad un terzo per l'altra o le altre circostanze. Quindi, nell'esempio ipotizzato delle lesioni ex art 583 cod. pen., la pena base (da tre a sette anni) potrà essere aumentata fino ad un terzo: in terminis, Cass. V, n. 5988/2023 che ha ribadito che «se la lesione ha cagionato una malattia guarita oltre i quaranta giorni e, al tempo stesso, l'indebolimento permanente dell'organo della deambulazione, si applica la regola di cui all'art. 63, comma 4, cod. pen., valida anche per le ipotesi (come quella dell'art. 583, comma 1, cod. pen.), in cui la norma incriminatrice non prevede pene diverse ma una unica pena per ciascuna delle tre circostanze, tra loro equiparate ai fini della gravità, in forza della quale il giudice, non potendo applicare la pena stabilita per la circostanza più grave, fissata la pena base (entro lo spazio edittale posto dall'art. 583, comma 1, cit.), ha facoltà di aumentarla fino ad un terzo». Stessa situazione si verificava, quanto alle aggravanti previste per la rapina all'art. 628/3 cod. pen., prima che fosse introdotto, con la legge n. 103/2017, il comma quarto. Infatti, la giurisprudenza era consolidata nel ritenere che, in caso di rapina pluriaggravata ai sensi del comma terzo, si applicava il disposto dell'art. 63/4 cod. pen. Quindi, il giudice, nell'ambito della sua discrezionalità, avrebbe potuto aumentare la pena base (da anni quattro e sei mesi a venti anni e della multa da 1.032 euro a 3.098 euro) fino ad un terzo: in terminis: Cass. IV, n. 27748/2007; Cass. II, n. 14762/2017; Cass. V, n. 135/2000; Cass. II, n. 7801/2021. Seconda ipotesi: nel caso in cui la norma preveda un'autonoma pena per la sussistenza di più circostanze speciali (ad es. art. 628/4 cod. pen.; art. 416 bis/4-6 cod. pen.; art. 625/2 cod. pen.), la regola dell'art. 63, comma 4 c.p. non si applica, in quanto, in base al generale principio di specialità prevale l'autonoma disciplina derogatoria (ad es. nel caso di rapina pluriaggravata per due o più delle ipotesi di cui all'art. 628, comma 3 c.p., la pena che si applica è quella prevista dall'art. 628, comma 4 c.p.; stessa cosa dicasi per l'ipotesi di cui all'art. 416 bis, commi 4-6 c.p.). Si è, infatti, osservato che: «le regole dettate in via generale dall'art. 63 c.p., comma 4, non hanno ragione di essere evocate in tutti i casi in cui la questione circa l'entità della pena applicabile, derivante dal concorso di più circostanze aggravanti è diversamente risolta dal legislatore nell'ambito della singola fattispecie criminosa, così come avviene nell'art. 416 bis c.p. Detta norma racchiude in sè e autonomamente disciplina difatti ogni profilo attinente al trattamento sanzionatorio nelle varie forme circostanziate contemplate, ed espressamente prevede, in particolare, che per effetto del comma 6 la pena stabilita nel quarto comma è aumentata da un terzo alla metà, così derogando alla norma generale»: in terminis Cass. I, n. 29770/2009; Cass. VI, n. 41233/2007; Cass. VI, n. 7916/2012. La giurisprudenza ha, però, precisato che la regola dell'art. 63, comma 4, torna, però, ad applicarsi nuovamente nel caso in cui con quelle particolari aggravanti ad effetto speciale (nell'esempio: art. 628, comma 4 – 416, commi 3 e 4) concorra una (o più) circostanza ad effetto speciale (ad es. art. 99, commi 2-3-4). In tale ipotesi, il giudice dovrà seguire il seguente procedimento: dovrà, per prima, stabilire quale delle due aggravanti sia più grave e, poi, sulla pena inflitta, applicherà (facoltativamente) un aumento fino ad un terzo. Ad es.: ove, in una rapina pluriaggravata, sia contestata anche la recidiva di cui all'art. 99, comma 4 che comporta un aumento di due terzi della pena si avrà la seguente situazione: la recidiva comporta un aumento della pena base della rapina (art. 628, comma 1: reclusione da cinque a dieci anni e della multa da € 927 ad € 2.500,00) da un minimo di anni 8 e mesi quattro ed € 1.545,00 ad un massimo di anni sedici e mesi otto di reclusione ed € 4.167,00. Ora – nell'esempio ipotizzato - l'aggravante più grave va considerata quella di cui all'art. 628, comma 4, perché prevede una pena più alta nel massimo (anni venti ed € 4.000,00 di multa a fronte di anni sedici e mesi otto di reclusione ed € 4.167,00 della recidiva); tuttavia, la pena minima più grave è quella prevista dalla recidiva (anni 8 e mesi quattro di reclusione ed € 1.545 di multa, a fronte della pena di anni sette di reclusione ed € 2.500,00 di multa prevista dall'art. 628, comma 4 che rimane pur sempre inferiore anche se si effettuata il ragguaglio ex art. 135 della pena pecuniaria): di conseguenza, il giudice, nell'applicare l'aggravante non potrà infliggere una pena inferiore ad anni 8, mesi quattro di reclusione ed € 1.545,00 di multa (ex plurimis: Cass. II, n. 22066/2021) che potrà, poi, facoltativamente, ulteriormente aumentare fino ad un terzo: in terminis, Cass. II, n. 6574/2022; Cass. V, n. 26428/2022; Cass. II, n. 7155/2021; Se, invece, il reato è aggravato oltre che da plurime circostanze speciali anche da circostanze comuni «sulla pena ottenuta in base ai commi 4 e 5 si effettuerà la variazione relativa a quest'ultima» (Romano, 692). Negli stessi termini, Cass. V, n. 1928/2018 secondo la quale ove più circostanze ad effetto speciale concorrano con più circostanze aggravanti comuni, si applica un doppio aumento di pena sulla pena relativa alla circostanza ad effetto speciale più grave: la prima derivante dall'aumento dell'ulteriore aggravante ad effetto speciale ex art. 63, comma 4 c.p. e la seconda derivante dagli ulteriori aumenti derivanti dalle aggravanti comuni con l'unico limite costituito criterio moderatore dettato dall'art. 66 n. 1, 2, 3. Si applica, in altri termini, la stessa regola illustrata supra al § 5. Si noti che, nel calcolo della pena, ovviamente, giocano ed hanno un effetto rilevante, anche le eventuali attenuanti che il giudice ritenga di concedere, sempre che, ovviamente, siano bilanciabili con le aggravanti. Un esempio chiarirà quanto appena detto. Si ipotizzi una rapina aggravata dal n. 3 bis, nonché dall'art. 61 n. 7 e n. 4, relativamente alla quale il giudice ritenga di dover concedere all'imputato delle attenuanti (ad es. 62-bis – 62 n. 6). In tale ipotesi il procedimento che il giudice deve seguire per determinare la pena è il seguente: la pena base, innanzitutto, dev'essere quella di cui all'art. 628/3 perché l'aggravante di cui al n. 3 bis non è bilanciabile ex art. 628/5. Una volta stabilita la pena base, poi, deve procedere al bilanciamento fra le attenuanti (artt. 62 bis e 62 n. 6) con le aggravanti (61 nn. 7 – 4) e, quindi: a) procedere ad un ulteriore aumento se ritiene le aggravanti prevalenti; b) procedere ad una diminuzione della pena se ritiene le attenuanti prevalenti; c) non operare alcun aumento o diminuzione ove ritenga la equivalenza fra attenuanti ed aggravanti. Sulla problematica della modalità di calcolo della pena nel caso di concorso fra aggravanti speciali bilanciabili e aggravanti speciali non bilanciabili, si rinvia al commento dell'art. 69 § 5.1. La modalità di calcolo della pena, nel caso concorrano più circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o circostanze ad effetto speciale, diventa però problematica quando occorre calcolare la pena a fini diversi dalla mera irrogazione della medesima. In particolare, è problematica quando si deve calcolare la pena ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare, previsti dall'art. 303 c.p.p., nella parte in cui esso fa riferimento al livello di pena detentiva stabilita per il delitto per il quale si procede, che è diverso in relazione alla pena edittale massima prevista per ogni delitto, tenuto conto del disposto di cui all'art. 278 c.p.p., che detta i criteri per la determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure, e che, quanto alle circostanze, stabilisce che di esse non si tiene conto, fatta eccezione per quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. Per comprendere meglio la questione è opportuno riportare il caso che determinò la rimessione della questione alle Sezioni Unite. Nella fattispecie i ricorrenti erano indagati per il reato di rapina aggravata (art. 628, comma 2) con l'ulteriore aggravante di cui all'art. 7 d.l. n. 152/1991, conv. in l. n. 203/1991 (v. ora art. 416-bis.1) (per connessione ad attività mafiose): entrambe le circostanze aggravanti sono ad effetto speciale. La prima, che è la più grave, prevede la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni: di conseguenza, ove si tenesse conto solo della suddetta aggravante il termine di durata massima della custodia cautelare, sarebbe di un anno, ai sensi dell'art. 303, comma 1, lett. b) n. 2, c.p.p.; al contrario, ove si tenesse conto anche della seconda aggravante, la pena della reclusione sarebbe superiore nel massimo a venti anni e, quindi, il termine di durata massima della custodia cautelare sarebbe di un anno e 6 mesi ai sensi dell'art. 303, comma 1, lett. b) n. 3, c.p.p.. La Cass. S.U., n. 16/1998, dopo avere riportato i tre orientamenti che si erano formati sulla suddetta questione, accolse la tesi secondo cui deve tenersi conto di tutte le circostanze ad effetto speciale contestate, sicché la pena dev'essere determinata secondo la regola posta dall'art. 63 comma 4, e cioè nel massimo stabilito per la più grave delle aggravanti con l'ulteriore aumento di un terzo per tutte le successive aggravanti complessivamente considerate. Infatti, la natura della circostanza, quale comune o ad effetto speciale, non può derivare dal meccanismo relativo all'aumento della pena previsto dall'art. 63 citato per le circostanze ulteriori rispetto a quella più grave, perché esso è ispirato al criterio del cumulo giuridico, tant'è che se così non fosse la medesima circostanza muterebbe natura, da circostanza ad effetto speciale a circostanza comune, a seconda che fosse contestata da sola ovvero dalla posizione assunta nell'ordine di gravità delle circostanze concorrenti. La questione, fu quindi, risolta alla stregua del seguente principio di diritto: «ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare, nel caso concorrano più circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o circostanze ad effetto speciale, si deve tener conto, ai sensi dell'art. 63 comma 4 c.p.p., della pena stabilita per la circostanza più grave, aumentata di un terzo, e tale aumento costituisce cumulo giuridico delle ulteriori pene e limite legale dei relativi aumenti per le circostanze meno gravi del tipo già detto che mantengono la loro natura», ribadito anche da ultimo da Cass. S.U., n. 38518/2015 alle quali la medesima questione era stata nuovamente rimessa. E', peraltro, opportuno precisare che, anche ai fini cautelari, nel caso in cui la norma preveda un'autonoma pena per la sussistenza di più circostanze speciali, la regola dell'art. 63, comma 4 non si applica, in quanto, in base al generale principio di specialità prevale l'autonoma disciplina derogatoria: in terminis Cass V, n. 52094/2014 secondo la quale «anche in sede cautelare, nell'ipotesi di concorso tra le circostanze aggravanti ad effetto speciale previste per il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso dall'art. 416 bis commi 4 e 6, i fini del calcolo degli aumenti di pena irrogabili, non si applica la regola generale prevista dall'art. 63, comma 4, bensì l'autonoma disciplina derogatoria di cui all'art. 416 bis, comma 6, che prevede l'aumento da un terzo alla metà della pena già aggravata»; Cass. S.U., n. 38518/2015 hanno ribadito che il criterio di calcolo di cui all'art. 63, comma 4, non opera nella diversa ipotesi di concorso di più aggravanti ad effetto speciale per le quali l'incremento sanzionatorio è autonomamente indicato ex lege, trovando in tal caso applicazione il criterio cumulativo di calcolo a fini cautelari, previsto dall'art. 278, comma 1, c.p.p. Infine, si è osservato che «non viola il divieto di reformatio in pejus il giudice d'appello che, accogliendo il gravame dell'imputato limitatamente al riconoscimento di una circostanza ad effetto speciale, applichi - senza peraltro irrogare una pena complessiva maggiore di quella stabilita in prime cure - un aumento per la recidiva reiterata nella misura "piena" di cui all'art. 99, comma 4, superiore a quella fissata in primo grado in base al meccanismo di contenimento previsto dall'art. 63, comma 4, non essendo tale meccanismo più applicabile dopo l'esclusione dell'aggravante ad effetto speciale»: Cass. II, n. 18089/2016. La discrezionalità del giudice: problemi applicativiTutto il complesso meccanismo descritto nei paragrafi precedenti è rimesso alla discrezionalità del giudice il quale è tenuto solo ad attenersi alle regole illustrate per la determinazione della pena: il giudice, invece, è libero di determinare la pena, ovviamente rimanendo nei limiti di quella legale e cioè non irrogando una pena né inferiore né superiore a quella prevista dalla legge. Va, tuttavia osservato che discrezionalità non significa arbitrarietà perché la decisione del giudice — quindi, anche quella relativa alla concreta irrogazione della pena — è pur sempre soggetta al controllo derivante dall'obbligo di motivazione. Ci si deve, pertanto, chiedere in cosa consista l'obbligo di motivazione del giudice nel momento in cui irroga la pena dopo avere seguito le regole illustrate nei paragrafi precedenti. Il giudice, per arrivare ad irrogare la pena definitiva, deve seguire il seguente iter logico-giuridico: a) la determinazione della pena base; b) la determinazione della variazione della medesima, in aumento o in diminuzione a seconda che al reato accedano aggravanti o attenuanti; c) la determinazione della pena finale. Il primo quesito, nel quale il giudice s'imbatte nell'effettuare la suddetta operazione, può essere formulato nei seguenti termini: può uno stesso elemento di valutazione (ad es. aver agito per motivi abietti e futili ex art. 61 n. 1) essere preso in considerazione prima ai fini della determinazione della pena base (e, quindi, valorizzarlo ai sensi dell'art. 133) e, poi, per stabilire la variazione della pena in aumento (secondo l'esempio ipotizzato)? La dottrina è divisa. Una parte di essa esclude la doppia valutazione del medesimo elemento di giudizio in quanto sostiene che, se così si operasse, si incorrerebbe nel divieto del ne bis in idem sostanziale (desumibile dall'art. 15: Cass. VI, n. 45623/2013, in motivazione) in base al quale, appunto, uno stesso elemento non può essere oggetto di una duplice valutazione stante il principio di consunzione. Infatti, fra l'art. 133 e le singole circostanze sussisterebbe un rapporto di specialità (di genus a species) nel senso che queste non sarebbero altro che una specificazione di quello che l'art. 133 stabilisce in via generale: il che comporterebbe, appunto, una duplicazione del medesimo fattore. Di conseguenza, secondo la suddetta opinione, nella fase della determinazione della pena base, non si può far ricorso ai criteri di cui all'art. 133 (Padovani, 207 ss.; Mantovani, PG 1979, 367; Fiandaca-Musco, PG, 449; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 541, precisa: «la circostanza aggravante o attenuante, in ragione del rapporto di specialità che intercorre con il corrispondente criterio di commisurazione della pena ex art. 133, mette “fuori gioco” tale criterio: nel senso che quel criterio potrà essere applicato solo per aspetti diversi da quelli isolati dal legislatore e assunti ad oggetto della circostanza. Ad es. tra le “modalità dell'azione” nella bigamia, il giudice potrà tener conto ex art. 133 solo di modalità diverse dall'induzione in errore; tra le “condotte susseguenti” al furto, potrà tener conto solo di condotte diverse da quella descritte nell'art. 625-bis»). Altra parte della dottrina, ha, però, obiettato che «non dicendosi da parte della legge alcunché di specifico, parrebbe di dover ricorrere al criterio consueto (e integrale) dell'art. 133, valido, come risulta dall'art. 132, per la commisurazione discrezionale della pena in generale» (Romano, 693). La giurisprudenza di legittimità più recente ha sostenuto che «il principio del cosiddetto ne bis in idem, sostanziale, valido nell'ambito di operatività dell'art. 15, non possa essere invece invocato per negare che il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale in punto di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e determinazione della sanzione ex art. 133, possa utilizzare più volte lo stesso fattore per giustificare le scelte operate in ordine agli elementi la cui determinazione e affidata al suo prudente apprezzamento, purché il fattore stesso presenti un significato polivalente. Opera pertanto legittimamente il giudice che, attraverso il riferimento alla gravità del fatto, tramite il riferimento ai precedenti penali, neghi le predette attenuanti ed eserciti al tempo stesso in senso sfavorevole la facoltà di ritenere o meno la recidiva, applicando l'aumento di pena corrispondente»: Cass. VI, n. 45623/2013; Cass. II, n. 933/2013; Cass. II, n. 45206/2007; Cass. III, n. 1182/2007 «La graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133»; Cass. I, n. 1376/1997. Il secondo quesito che si pone al giudice, consiste nello stabilire quali siano i criteri sulla base dei quali la pena base (determinata secondo i criteri appena indicati) debba variare (in aumento o in diminuzione) per effetto dell'applicazione della circostanza. Ad avviso di una parte della dottrina (Padovani, 207 ss.) si dovrebbe escludere il ricorso ai criteri di cui all'art. 133, dovendosi tener conto delle sole modalità con le quali la circostanza si è concretamente manifestata. Ad opposta conclusione perviene altra parte della dottrina secondo la quale «gli artt. 132-133 sono criteri validi per la commisurazione discrezionale di pena in generale e che l'art. 63 non stabilisce nei casi di specie alcunché di diverso» (Romano, 694; Pagliaro, 321). La giurisprudenza ha accolto quest'ultima tesi (Cass. II, n. 5622/2022; Cass. II, n. 36104/2017; Cass. V, n. 5582/2014), ritenendo, in particolare, che, vi sia un obbligo di motivazione specifico: a) sia quando il giudice, dopo aver quantificato la pena relativa alla circostanza più grave, ritenga di procedere ad un ulteriore aumento dovendo esplicitare (tanto più ove l'aumento sia nel massimo) i criteri in forza dei quali egli è pervenuto alla suddetta conclusione e gli elementi, di natura fattuale o criminologica da lui a tal fine valorizzati, non essendo sufficiente a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 le espressioni del tipo: «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere: Cass. III, n. 40765/2015; Cass. VI, n. 18748/2014; Cass. IV n. 27959/2013. b) sia quando giudice escluda la rilevanza della circostanza concorrente meno grave: Cass. II, n. 5911/2013. BibliografiaFelicioni: Concorso tra circostanze indipendenti e a effetto speciale: dopo le Sezioni Unite del 2017, la Cassazione esclude l'operatività del cumulo giuridico, in Sistema pen, 20/05/2020; Padovani, voce Circostanze del reato, in Dig. d. pen., II, Torino, 1988; Pagliaro, Il reato, in Trattato di diritto penale, diretto da Grosso-Padovani-Pagliaro, Milano, 2007; Pedulla’, Applicabilità del criterio di calcolo di cui all'art. 63, co. 4, c.p. nel caso di concorso tra circostanze aggravanti indipendenti e circostanze ad effetto speciale, in Cass. pen. 2020, II, 600; |