Codice Penale art. 76 - Pene concorrenti considerate come pena unica ovvero come pene distinte.Pene concorrenti considerate come pena unica ovvero come pene distinte. [I]. Salvo che la legge stabilisca altrimenti, le pene della stessa specie concorrenti a norma dell'articolo 73 si considerano come pena unica per ogni effetto giuridico. [II]. Le pene di specie diversa concorrenti a norma degli articoli 74 e 75 si considerano egualmente, per ogni effetto giuridico, come pena unica della specie più grave. Nondimeno si considerano come pene distinte, agli effetti della loro esecuzione, dell'applicazione delle misure di sicurezza [199-240] e in ogni altro caso stabilito dalla legge. [III]. Se una pena pecuniaria concorre con un'altra pena di specie diversa, le pene si considerano distinte per qualsiasi effetto giuridico. InquadramentoL'art. 76 in commento, nello stabilire quali siano le conseguenze dell'applicazione delle regole sul concorso delle pene la cui normativa si è esaminata agli artt. 73, 74, 75, prevede tre regole, due esplicite ed una implicita: Prima regola: le pene detentive della stessa specie (comma 1) o anche di specie diversa (secondo comma), «si considerano come pena unica». Seconda regola: la pena pecuniaria, anche se concorrente con quella detentiva, rimane sempre distinta da questa “per qualsiasi effetto giuridico” (comma 3). Terza regola: le pene di genere diverso (detentive; pecuniarie; ergastolo) sono sottratte alla disciplina della norma in commento, sicché, ove concorrano, vanno sempre considerate in modo autonomo. Questa regola si desuma, implicitamente e a contrario dalla circostanza che l'articolo in esame disciplina espressamente solo ed esclusivamente il concorso fra pene della stessa specie (anche se fra di loro eterogenee) e non anche il concorso fra pene di genere diverso (Manzini, Trattato, II, 657). Tanto precisato in via generale, l'attenzione deve soffermarsi sui primi due commi dell'art. in commento, al fine di meglio chiarire il principio della pena unica. Il principio della pena unicaNel comma 1, si rinvengono le seguenti tre disposizioni. a) la regola generale: le pene detentive della stessa specie «si considerano come pena unica». Si tratta di una norma che, per alcuni aspetti, produce un notevole effetto deteriore per il condannato: ad es. «ad una reclusione di anni dieci consegue obbligatoriamente la libertà vigilata (per non meno di tre anni: art. 230 comma 1) che non conseguirebbe invece a due reclusioni distinte di cinque anni ciascuna» (Romano, Commentario, 741). La suddetta regola è stata, però, ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte Cost.che, con la sentenza n. 386/1989, ha chiarito che «il principio della “pena unica”, così come risultante in sede di esecuzione ex art. 76, primo comma, codice penale, sulla base del cumulo delle pene, inflitte con una o più sentenze di condanna, non ha di per se nulla d'irrazionale o di discriminatorio. Tanto più che é ivi espressamente fatta salva “ogni diversa disposizione di legge”. Ciò comporta che, semmai, eventuali violazioni del principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione), o di quello concernente la funzione risocializzante della pena (art. 27, secondo comma, della Costituzione), vanno riferite caso per caso, per ogni singola situazione applicativa, all'eventuale omissione di particolari disposizioni che, in coerenza al sistema, avrebbero potuto evitarle». b) L'effetto della suddetta regola che viene espresso attraverso il rinvio generico, appunto, “ad ogni effetto giuridico”. Va osservato che il principio dell'unità del rapporto esecutivo, che mira ad evitare al condannato un possibile pregiudizio derivante dalla distinta esecuzione delle sanzioni penali irrogate per una pluralità di reati, è riferibile alle pene comminate per reati commessi prima dell'inizio della detenzione; di conseguenza, si deve procedere ad ulteriore cumulo, non più sottoposto alle limitazioni previste dall'art. 78 c.p., comprendente, oltre alla pena inflitta per il nuovo reato, la parte risultante dal cumulo precedente, non ancora espiata alla data del nuovo reato solo qualora durante l'espiazione di una determinata pena o dopo che l'esecuzione di quest'ultima sia stata interrotta, il condannato commetta un nuovo reato: Cass. I, n. 13985/2020; Cass. I, n. 22216/2022; Cass. I, n. 32896/2014. Si è in proposito precisato che «in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti che comprenda esclusivamente condanne per reati ostativi alla concessione dei benefici penitenziari, non opera la possibilità di scioglimento del cumulo, non ricorrendo i presupposti per derogare alla regola di cui all'art. 76 cod. pen. dell'unitarietà delle pene cumulate e del conseguente rapporto esecutivo»: Cass. I, n. 12554/2020, che, in motivazione, ha aggiunto che lo scioglimento del cumulo è possibile solo allorquando riguardi reati ostativi e non ostativi, in quanto, in assenza di detta condizione, tale operazione sarebbe priva di una base logica e giuridica, non essendo possibile individuare alcun criterio obiettivo e ragionevole di imputazione all'uno o all'altro titolo della pena già espiata. Tenendo fermo il suddetto principio, la giurisprudenza ha applicato la regola della pena unica ai seguenti casi: — alla sospensione condizionale: il limite di pena, fissato in due anni di pena detentiva, rilevante per la concedibilità del beneficio è determinato, in caso di condanna per un concorso di reati, avendo riguardo alla pena complessiva e non a quella irrogata per ciascun reato: Cass. II, n. 34177/2009; — all'indulto: nel caso di esecuzione di pene concorrenti (alle quali tutte sia applicabile l'indulto, altrimenti occorre procedere alla scissione del cumulo: Cass. I, n. 12709/2008), si applica una sola volta, dopo cumulate le pene, sicché non è possibile la sua reiterata e distinta applicazione alle singole condanne ricompresa nel provvedimento di unificazione di pene concorrenti: Cass. I, n. 4647/1991; Cass. I, n. 8115/2010. — all'affidamento in prova: nel caso di espiazione, senza soluzione di continuità, di pene concorrenti inflitte con una pluralità di sentenze di condanna, deve tenersi conto, ai fini dell'accertamento del limite di pena previsto per l'affidamento in prova al servizio sociale, dell'intera pena cumulabile, ancorché non sia stato emesso un formale provvedimento di cumulo, con la sola esclusione delle pene condonate o comunque estinte, ma senza distinzione tra parte di pena scontata e parte residua ancora da scontare: Cass. I, n. 328/1981; Cass. I, n. 4560/2008; — al regime detentivo speciale di cui all'art. 41-bis ord. penit.: la circostanza che il condannato, detenuto in virtù di un provvedimento di cumulo comprensivo di pene per reati legittimanti il trattamento differenziato e per altri reati, abbia ottenuto la «sospensione» della parte di pena relativa ai primi reati, in ragione della pendenza di un giudizio di revisione, non impone la sospensione del trattamento differenziato, tenuto conto sia delle finalità di ordine e sicurezza che ispirano detto regime, sia del principio di unicità della pena di cui all'art. 76, comma 1, c.p.: Cass. I, n. 25832/2015; Sempre in tema di cumulo, costituisce principio generale quello secondo il quale il cumulo, costituisce un vantaggio per il condannato poiché mira ad evitare al condannato un possibile pregiudizio derivante dalla distinta esecuzione delle sanzioni penali irrogate per una pluralità di reati, (Cass. I, n. 32896/2014): di conseguenza, si è ritenuto che, nel caso in cui il cumulo costituisca un pregiudizio nel senso che ostacola l'applicazione di benefici che spetterebbero al condannato per il singolo reato, ove non fosse stato effettuato il cumulo, il medesimo dev'essere sciolto (Cass. S.U., n. 14/1999 secondo la quale «nel corso dell'esecuzione il cumulo giuridico delle pene irrogate per il reato continuato è scindibile, ai fini della fruizione dei benefici penitenziari, in ordine ai reati che di questi non impediscono la concessione e sempre che il condannato abbia espiato la pena relativa ai delitti ostativi»; Cass. I, n. 14563/2006). In applicazione di tale ultimo principio, si è quindi ritenuto che: — nel caso di cumulo di pene riguardanti delitti unificati per la continuazione, tra i quali sia compreso un reato ostativo all'applicazione di una misura alternativa alla detenzione (nella specie semilibertà), la sua scissione, funzionale alla possibilità di fruizione del beneficio, non è di competenza del giudice dell'esecuzione, ma della magistratura di sorveglianza: Cass. I, n. 41340/2009; — il cumulo di pene disposto per l'esecuzione deve essere scisso, al fine di verificare se debba operare il divieto di seconda concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale, nel caso in cui, in relazione ad una delle condanne a cui si riferisce il cumulo, sia stata applicata la recidiva reiterata, poiché occorre stabilire se la pena per il reato aggravato dalla recidiva sia ancora da espiare: Cass. I, n. 42462/2009; — la scissione del cumulo di pene inflitte per reati uniti dal vincolo della continuazione, alcuni dei quali ostativi all'espulsione prevista dall'art. 16, comma 5, d.lg. 25 luglio 1998 n. 286 (t.u. immigrazione), è consentita in sede esecutiva, in modo da imputare la parte di pena espiata al reato ostativo e dare così luogo all'espulsione, solo se richiesta dal condannato: Cass. I, n. 42173/2009; — per stabilire se ricorrono le condizioni soggettive ostative all'applicazione dell'amnistia, di cui all'art. 4 d.P.R. n. 413/1978, occorre aver riguardo a ciascun reato per il quale vi è stata condanna ed alla relativa pena, e non già a quella cumulata perché l'istituto del cumulo delle pene, di cui agli artt. 73-78 c.p., provvedendo esclusivamente a razionalizzare il sistema delle pene evitando ogni possibile eccesso conseguente alla somma aritmetica delle stesse, non sopprime l'autonomia di ciascun reato e gli effetti derivanti dalle correlative condanne: Cass. V, n. 10491/1981; c) L'eccezione che si trova proprio nell'incipit dell'articolo e che è espressa con la classica locuzione “salvo che la legge stabilisca diversamente”, va intesa come un rinvio alla disposizione del seguente art. 77 c. p. (Romano, Commentario, 742). Il concorso della pena pecuniaria con la pena detentivaNel comma 2, si rinvengono le seguenti due disposizioni. a) La regola generale: se le pene sono di diversa specie detentiva (reclusione e arresto) o di diversa specie pecuniaria (multa e ammenda), «si considerano egualmente, per ogni effetto giuridico, come pena unica della specie più grave» (comma 2, prima parte): il che significa che, come pena unica (frutto della sommatoria della reclusione o dell'arresto; o della multa e dell'ammenda), si considera la reclusione o la multa. b) L'eccezione: nella seconda parte del secondo comma, si ristabilisce il principio dell'autonomia delle pene «agli effetti della loro esecuzione, dell'applicazione delle misure di sicurezza e in ogni altro caso stabilito dalla legge» per tale dovendosi intendere il rinvio alla normativa di cui agli artt. 141 ss. (esecuzione della pena) e 199 ss. (misure di sicurezza), nonché, per quanto riguarda la locuzione “in ogni altro caso stabilito dalla legge”, a tutte le «ipotesi in cui determinati effetti penali siano collegati alle singole pene, e non siano altrimenti determinabili se non in rapporto ad una loro autonoma e distinta valutazione, che richiede, in pratica, lo scioglimento del cumulo» (Cass. III, n. 436/1974), come ad es. nelle ipotesi di amnistia; indulto applicabile solo ad alcune pene del cumulo; costituzione mediante pagamento di pena convertita; decorrenza del termine di prescrizione ex art. 172 comma 6. |