Codice Penale art. 87 - Stato preordinato d'incapacità d'intendere o di volere.

Geppino Rago

Stato preordinato d'incapacità d'intendere o di volere.

[I]. La disposizione della prima parte dell'articolo 85 non si applica a chi si è messo in stato d'incapacità d'intendere o di volere al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa [92 2].

Inquadramento

La suddetta norma prevede e disciplina l'ipotesi della cd. actio libera in causa: «il soggetto è punito per un fatto (actio) commesso in stato di incapacità d'intendere o di volere quando in precedenza si sia liberamente posto in tale stato (dove il porsi è appunto la causa dell'actio e questa è libera perché libera è la sua causa) allo scopo di commettere il reato o di potere in seguito addurre una scusa per averlo commesso. Es. A beve una gran quantità di cognac per avere il coraggio di compiere una rapina» (Romano-Grasso, 25).

La norma va, quindi, così letta: «chi si è messo in stato d'incapacità d'intendere o di volere al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, risponde del suddetto reato».

Così letto, l'art. 87 «si limita soltanto ad affermare l'esistenza dell'imputabilità del soggetto in presenza di una incapacità preordinata, ma non dice affatto che il soggetto sia, per ciò solo, sempre responsabile del fatto commesso. Ciò che occorre per aversi responsabilità e il titolo di essa vanno, perciò, desunti dalle regole sulla colpevolezza e, comunque, nel rispetto del principio sopraordinato della responsabilità personale» (Mantovani, PG, 1979, 581).

La norma è espressione di un principio generale di cui costituiscono applicazione specifica gli artt. 92 comma 2 e 93 ma, a sua volta, costituisce un'eccezione al principio di cui all'art. 85 secondo il quale si può essere puniti solo se, al momento della commissione del fatto, ci si trova in uno stato di capacità d'intendere e volere (Romano-Grasso, 30; contra, Antolisei, PG, 1975, 500, secondo il quale «non è vero che nelle actiones liberae in causa si punisca una condotta precedente all'esecuzione del reato [....] l'esecuzione del reato, invero, non è costituita soltanto dall'attività che concreta immediatamente il fatto previsto nella norma incriminatrice, ma da qualsiasi atto esterno che sia diretto allo scopo di realizzarlo [...] il significato della norma del nostro codice è semplicemente l'equiparazione dello stato d'incapacità, procurato al fine di commettere un reato, allo stato di capacità»).

Controversa è la ratio: l'opinione più recente sostiene che l'agente è punito perché gli è «mosso un rimprovero per essersi liberamente posto in quella condizione d'incapacità che gli ha reso possibile o più agevole la realizzazione del reato programmato»: in altri termini, anche l'art. 87 rientra nell'ampio concetto di colpevolezza che si è illustrato nell'art. 85 a cui commento si rinvia (Fiandaca-Musco, PG, 363; Romano-Grasso, 31; Mantovani, PG, 1979, 579).

I requisiti

I requisiti, per la configurabilità della norma in commento, sono i seguenti:

a) lo stato d'incapacità dev'essere determinato dal solo agente che abbia intenzione di commettere il reato (nel caso un terzo abbia concorso nel porre l'agente in stato d'incapacità, risponderà del reato secondo le regole generali del concorso: Marini, § 27);

b) lo stato d'incapacità dev'essere totale: «se l'incapacità è parziale, l'agente risponde del reato doloso se, al momento della commissione del fatto, questo fu da lui previsto e voluto ugualmente» (Mantovani, PG, 1979, 582);

c) lo stato d'incapacità dev'essere preordinato alla scopo di commettere un determinato reato: restano, quindi, fuori, dall'ambito applicativo della norma in commento:

c1) i casi di cd. forza maggiore procurata e cioè quei casi in cui l'agente si ponga in stato di totale incoscienza o assoluta impossibilità di agire (ad es. il casellante che, volendo provocare un disastro ferroviario, si fa legare ad un albero per non essere in grado di azionare gli scambi o di abbassare la sbarre al momento del passaggio del treno): in tal caso, l'agente risponderà del reato secondo le regole ordinarie del reato doloso in quanto «ha già predisposto tutto prima, cosicché quando si verifica l'evento non è questione di imputabilità, poiché in quel momento manca, più ancora, la coscienza e volontà dell'azione od omissione»: (Romano-Grasso, 26; Mantovani, PG, 1979, 582, nt. 13);

c2) i casi in cui l'agente si ponga colposamente in stato d'incapacità senza né rappresentazione né accettazione del rischio: in tal caso (ad es. “la madre, la quale, sapendo di avere un sonno agitato, si pone a fornire accanto al suo bambino e lo soffoca nel dimenarsi”) risponderà del reato colposo (sotto il profilo della colpa cosciente) sempre che ne sussistano i consueti presupposti (Antolisei, PG, 1975, 502; Mantovani, PG, 1979, 582; Romano-Grasso, 27);

c3) i casi in cui l'agente si ponga in stato d'incapacità senza dolo di preordinazione di un determinato reato (ad es. omicidio) ma prevedendo (quindi con dolo eventuale) che avrebbe potuto commetterlo: in tal caso, l'agente risponderà secondo le regole generali della responsabilità del reato doloso (sotto il profilo del dolo eventuale) (Antolisei, PG, 1975, 502 ss, che richiama, in proposito, la circostanza che questa ipotesi, inizialmente prevista, fu poi abbandonata nel Progetto definitivo al Codice; Mantovani, PG, 1979, 582; contra: Romano-Grasso, 28 ss. che, invece, riconduce la predetta ipotesi all'art. 87);

c4) i casi in cui l'agente si ponga in stato d'incapacità al fine di commettere un determinato reato ma, poi, ne commetta un altro: «del reato commesso il soggetto potrà rispondere a titolo di dolo eventuale, se ne ha accettato il rischio, o di colpa, se il fatto era conseguenza prevedibile della procurata incapacità, sempre che sia preveduto dalla legge come reato colposo. Così chi preordina lo stato d'incapacità per commettere un furto, ma una volta resosi incapace, commette una lesione personale»; ma se, ad es., l'agente, si mette in stato d'incapacità per commettere un omicidio ma poi commette una rapina, dovrà essere prosciolto da questo reato non prevedendo la legge una rapina colposa: (Mantovani, PG, 1979, 582; Fiandaca-Musco, PG, 363; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 392);

d) il momento dell'accertamento del dolo: secondo una parte della dottrina bisogna avere riguardo al momento in cui viene determinato lo stato d'incapacità, perché, al momento in cui viene compiuto il fatto criminoso, non sussiste più alcuna imputabilità (Venditti); secondo altra parte della dottrina «occorre che permanga una continuità psicologica fra la deliberazione e la causazione» sicché l'incapacità non dev'essere piena perché, in caso contrario, «la verificazione dell'illecito costituirebbe una mera eventualità». E così nel caso in cui Tizio, postosi in stato d'incapacità per uccidere Caio, lo carica in auto per portarlo sul luogo dell'esecuzione ma Caio, muore a seguito di un incidente causato dallo stato di incapacità, l'agente risponderà di omicidio colposo salvo il dolo eventuale dell'avere previsto ed accettato che potesse morire a seguito di un incidente (Mantovani, PG, 1979, 581); secondo, infine, un'altra opinione hanno ragione entrambe le suddette tesi: la prima quando sostiene che il dolo deve sussistere al momento della procurata incapacità «con la conseguenza che non varrà ad escludere il dolo un errore che al momento del fatto sia dovuto allo stato di incapacità in cui il soggetto si è deliberatamente posto»; la seconda tesi, d'altra parte, va tenuta in considerazione nell'ipotesi in cui, nella fase dell'esecuzione si verifichino cause di giustificazione che potrebbero pur sempre essere invocate dall'agente (Romano-Grasso, 29);

e) il tentativo va rapportato al momento consumativo vero e proprio e non al momento in cui l'agente si pone in stato d'incapacità: in altri termini, l'agente non può essere punito a titolo di tentativo del reato progettato, ove, pur mettendosi in stato d'incapacità, non faccia seguire alcun atto idoneo in modo non equivoco a commettere il reato programmato. A tale conclusione, la dottrina giunge sia considerando «la diversità e la distanza concettuale e sociale» tra la fase della messa in stato d'incapacità e la successiva fase dell'esecuzione (Romano-Grasso, 31) sia applicando, in via analogica, perché in bonam partem, del solo primo comma dell'art. 115 e non anche di quello del secondo comma perché si tratterebbe di applicazione in malam partem (Venditti, 565, il quale giunge alla suddetta conclusione sul presupposto che «l'actio libera in causa realizza, nel quadro di una figura monosoggettiva, una fattispecie analoga a quella che, in caso di concorso di persone, si realizza sul piano plurisoggettivo»).

Le cause di giustificazione

In dottrina si è posto il problema se l'actio libera sia compatibile con le cause di giustificazione.

Partendo dal presupposto che l'actio libera in causa costituisce un'autonoma fattispecie criminosa, si è concluso che non risultano ostacoli all'applicabilità delle cause di giustificazione in materia di actiones liberae in causa sia ove la causa di giustificazione intervenga nel corso dell'esecuzione di un reato (Tizio si ubriaca al fine di uccidere Caio; poi, in stato di ubriachezza viene aggredito da Caio e, reagendo per legittima difesa, lo uccide), sia ove sia coeva all'attività con la quale il soggetto si pone in stato d'incapacità (Tizio, in procinto di commettere un reato in stato di necessità, non sentendosi di ledere il diritto altrui, si ubriaca al fine di commettere quel reato “necessitato”).

Si è, infatti, osservato che poiché il reato programmato e l'art. 87 concorrono a configurare un'unica ed autonoma figura criminosa, è sufficiente che «intervenga una causa di giustificazione perché l'intera fattispecie venga ad essere penalmente neutralizzata e vengano ad essere coperti dalla scriminante anche i frammenti di fattispecie realizzatisi anteriormente ad essa», ossia la fase in cui il soggetto agente si è volontariamente messo in stato d'incapacità (Venditti, 538).

L'errore

Molto più complessa è la problematica dei rapporti fra l'errore e l'actio libera.

L'autore (Venditti, 539 ss.) che ha più approfondito la questione, ha proposto la seguente soluzione.

1) Errore che investe il processo di formazione della volontà e cade o su elementi di fatto (es. Tizio spara credendo di colpire un bersaglio e invece colpisce Caio) o su elementi normativi (Tizio sottrae a Caio una cosa mobile perché, interpretando erroneamente la legge civile, ritiene che sia sua anziché di Caio).

a) errore su elementi di fatto.

a1) l'errore si verifica nel momento in cui il soggetto si pone in stato di incapacità: es. Tizio si convince erroneamente che Caio, gravemente ammalato, chieda di essere ucciso. Tizio, non avendo il coraggio di ucciderlo in stato di lucidità, si pone in stato d'incapacità al fine di commettere il reato di cui all'art. 579 (omicidio del consenziente). In tale ipotesi Tizio risponderà del reato di cui agli artt. 87, 579 e non del reato di cui agli artt. 87, 575: «la divergenza tra rappresentazione e realtà, esistente nel momento in cui è sorto il dolo e si è iniziata la realizzazione del comportamento di cui all'art. 87, investe in radice l'actio libera in causa e ne condiziona in modo decisivo la fisionomia, secondo le regole dettate dall'art. 47»;

a2) l'errore si verifica nel momento in cui il soggetto realizza il reato preordinato: es. Tizio, postosi in stato di incapacità preordinata al fine di uccidere Caio, spara su Caio credendolo un bersaglio: in tal caso l'agente risponderà del delitto di omicidio ex art. 87, 575 — anche se l'agente credeva di colpire un bersaglio — perché con quell'azione «realizza tutti gli elementi di fatto che egli si è rappresentati in precedenza, quando ha iniziato la realizzazione della fattispecie tipica risultante dal combinato disposto degli artt. 87 e 575»

b) Errore investe gli elementi normativi della fattispecie: in tale ipotesi, deve applicarsi la stessa soluzione illustrata sub a) e b).

2) Errore che cade nella fase di esecuzione, dando luogo ad ipotesi di aberratio ictus o aberratio delicti.

In entrambe le suddette ipotesi, si è ritenuto che l'agente risponda secondo le regole degli artt. 82, 83 perché di queste norme sussistono tutti gli estremi.

Se, invece, l'agente, durante lo stato di incapacità commette un reato diverso da quello preordinato, non per errore nei mezzi di esecuzione, ma perché, nella sua psiche sconvolta, egli cambia realmente intenzione e vuol commettere un altro reato, si è sostenuto l'applicabilità dell'art. 83 «il quale, nella sua lata dizione, disciplina non solo l'aberratio delicti dovuta ad errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, ma anche l'aberratio delicti dovuta ad “altra causa”» come appunto, quella prospettata in cui l'agente, erroneamente, ha fatto «affidamento sulla propria capacità di mantenere fermo ed intatto, pur nello stato di non imputabilità, il disegno criminoso originariamente preordinato».

Bibliografia

Marini, Imputabilità, in Dig. d. pen., VI, Torino, 1992; Ranieri, Manuale di diritto penale, I, Padova, 1952; Venditti, Actio libera in causa, in Enc. dir. I, Milano, 1958.

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