Codice Penale art. 99 - Recidiva (1) (2).Recidiva (1) (2). [I]. Chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro [12, 106], può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo. [II]. La pena può essere aumentata fino alla metà: 1) se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole [101]; 2) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente; 3) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l'esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all'esecuzione della pena [151 5, 172 7, 173 1, 176 2, 179 2]. [III]. Qualora concorrano più circostanze fra quelle indicate al secondo comma, l'aumento di pena è della metà [151 5, 172 7, 173 1, 176 2, 179 2]. [IV]. Se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l'aumento della pena, nel caso di cui al primo comma, è della metà e, nei casi previsti dal secondo comma, è di due terzi [151 5, 162-bis 3, 172 7, 173 1, 176 2, 179 2]. [V]. Se si tratta di uno dei delitti indicati all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, l'aumento della pena per la recidiva è obbligatorio e, nei casi indicati al secondo comma, non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto (3). [VI]. In nessun caso l'aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo. (1) Articolo da ultimo così sostituito dall'art. 4 l. 5 dicembre 2005, n. 251. Il testo dell'articolo, come precedentemente sostituito dall'art. 9 d.l. 11 aprile 1974, n. 99, conv., con modif., nella l. 7 giugno 1974, n. 220, era il seguente: «[I] Chi, dopo essere stato condannato per un reato, ne commette un altro, può essere sottoposto a un aumento fino ad un sesto della pena da infliggere per il nuovo reato. [II] La pena può essere aumentata fino ad un terzo: 1) se il nuovo reato è della stessa indole; 2) se il nuovo reato è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente; 3) se il nuovo reato è stato commesso durante o dopo l'esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all'esecuzione della pena. [III] Qualora concorrano più circostanze fra quelle indicate nei numeri precedenti, l'aumento di pena può essere fino alla metà. [IV] Se il recidivo commette un altro reato, l'aumento della pena, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, può essere fino alla metà e, nei casi preveduti dai numeri 1 e 2 del primo capoverso, può essere fino a due terzi; nel caso preveduto dal numero 3 dello stesso capoverso può essere da un terzo ai due terzi. [IV] In nessun caso l'aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo reato». (2) In tema di contrabbando v. art. 296 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43; in tema di reati attribuiti alla competenza del giudice di pace v. art. 52 3 d.lg. 28 agosto 2000, n. 274; in tema di sanzioni applicabili agli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato v. art. 20 d.lg. 8 giugno 2001, n. 231. (3)La Corte cost., con sentenza 23 luglio 2015 n. 185, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma, limitatamente alle parole «è obbligatorio e». InquadramentoLa recidiva (dal verbo latino “recìdere” che significa cadere di nuovo, ossia ricadere) è uno degli istituti più tormentati dell'intero diritto penale. L'attuale normativa è il frutto di interventi che si sono stratificati nel tempo (d.l. n. 99/1974 conv. in l. 220/1974; l. n. 251/2005) e sui quali ha inciso profondamente la Corte Costituzionale: per un aggiornato excursus storico e dogmatico sull'istituto: Bartoli 2014; Manzini, Trattato, II, 742; Brunelli; per la disamina delle questioni di costituzionalità che derivano dall'istituto: Bartoli, 2012. Sotto il profilo definitorio, per «il vigente diritto, la recidiva è lo stato individuale determinato da una pluralità di reati successivi, commessi da una stessa persona, tutti irrevocabilmente giudicati (siasi o non scontata la pena), tranne l'ultimo» (Manzini, Trattato, II, 744). Una volta commesso il reato, si acquisisce lo status di recidivo per sempre, qualunque sia il tempo intercorso fra l’uno e l’altro reato (cd. principio di perpetuità del nesso di recidiva): Manzini, Trattato, II, 752. Al fine, però, di evitare fraintendimenti è opportuna la seguente precisazione. Il principio della perpetuità della recidiva va coordinato con altre due fondamentali regole e cioè: a) il principio della contestazione (infra § 7.1.); b) il principio della facoltatività (infra § 5.). Il che comporta che la recidiva, benchè sussistente, esplica i suoi effetti di aggravante se e solo se venga contestata dal P.m. ed il giudice ritenga di applicarla. Quindi, anche se non è corretto parlare di “status” derivante dalla recidiva (S.U. n. 35738/2010), il principio della perpetuità resta fermo salvo che intervenga una sentenza di riabilitazione (si rinvia, sul punto, al commento dell’art. 178 cod. pen. § 2.2.) che, però, non incide sulla sospensione condizionale della pena (art. 164, comma 1 c.p.). Ampiamente discusso, sia in dottrina che in giurisprudenza è il fondamento dell'istituto. In dottrina sono state prospettate tre tesi: a) quella retributiva, secondo la quale il legislatore ha inteso sanzionare più severamente chi, già condannato, compie un ulteriore reato avendo mostrato, indifferenza alla precedente condanna (Latagliata, 223; Mazza, 68; Pittaro, 359); b) quella specialpreventiva, per la quale «la ricaduta nel reato dimostra una volontà persistente nel delinquere e, però, una maggiore capacità criminale. Il recidivo può essere punito di più perché palesa una notevole inclinazione nel delitto: perché il suo comportamento autorizza il timore di ulteriori reati nell'avvenire» (Antolisei, PG 1975, 539; Fiandaca-Musco, PG, 469; Mantovani, PG 1979, 593); c) quella c.d. mista, o bidimensionale (che costituisce una variante della seconda tesi), secondo la quale l'aumento di pena si giustifica perché il nuovo delitto denota «sia una maggiore colpevolezza (il soggetto deve cioè apparire particolarmente riprovevole per essersi dimostrato insensibile all'ammonimento derivante dalla precedente condanna) sia un'accentuata capacità a delinquere» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 574; Romano-Grasso, Commentario, 94). In giurisprudenza, è accolta la tesi “social preventiva” o mista: ex plurimis, Corte cost. n. 106/2014, secondo la quale la recidiva «riflette i due aspetti della colpevolezza e della pericolosità»; Corte cost. n. 105/2014, Corte cost. n. 251/2012, Corte cost. n. 183/2011, Corte cost. n. 90/2008, Corte cost. n. 257/2008; Cass. S.U., n. 35738/2010; Cass. S.U., n. 20798/2011 secondo la quale la recidiva «esplica un'efficacia extraedittale, atteso che è idonea a condurre la sanzione finale oltre i tetti di pena fissati dalla comminatoria edittale, e, al contempo, assolve alla funzione di commisurazione della pena, fungendo da strumento di adeguamento della sanzione al fatto, considerato sia nella sua obiettiva espressione che nella relazione qualificata con il suo autore». Una volta commesso il reato, qualunque sia il tempo trascorso fra il primo ed il secondo reato (cd. principio della perpetuità del nesso di recidiva) (Manzini, 2, 752) la recidiva può essere contestata e ritenuta fatti salvi quegli istituiti dalla cui applicazione consegue la non applicabilità della recidiva (v. infra). Natura giuridicaSi discute, in dottrina e giurisprudenza, su quale sia la natura giuridica della recidiva ed esattamente se abbia o meno natura di circostanza. In dottrina due sono le tesi che sono state prospettate. Una prima teoria, anche dopo la riforma del 1974 — che rese facoltativa la recidiva — nega la natura di circostanza del reato con la seguente motivazione: «All'argomento base, per cui è sempre apparso concettualmente arduo considerare circostanza del fatto criminoso una condizione personale del soggetto derivante dall'esistenza di una precedente condanna per un fatto diverso, si aggiunge ora quello dell'ampia facoltatività della recidiva e del suo consistere in un concreto status soggettivo, attinente alla capacità a delinquere. Né del resto, si comprende come la recidiva possa essere una circostanza e con le circostanze concorrere se queste rientrano tra gli elementi che il giudice deve valutare per stabilire se vi è la stessa recidiva» (Mantovani, PG 1979, 598; Fiandaca-Musco, PG, 473; Malinverni, 72). Altra teoria, nettamente maggioritaria, sulla base dell'univoco disposto dell'art. 70 comma 1 n. 2 e comma 2, ritiene, invece, che la recidiva sia una circostanza del reato, rientrante fra quelle inerenti la persona del colpevole: «Alla luce della complessiva disciplina apprestata dal legislatore, è contra legem la tesi dottrinale, priva di echi in giurisprudenza, che nega alla recidiva la natura di circostanza aggravante in senso tecnico. Questa tesi non può plausibilmente fondarsi né sull'asserita incompatibilità fra status soggettivi e circostanze del reato, posto che l'art. 70 annovera tra le circostanze del reato le circostanze inerenti alla persona del colpevole, né può fondarsi sul rilievo che la legge affida alla discrezionalità del giudice l'accertamento della recidiva, dal momento che sono presenti nell'ordinamento altre circostanze a struttura discrezionale, come, ad es., le attenuanti generiche e l'attenuante del contributo di minima importanza nel concorso di persone nel reato» (così, Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 576; negli stessi termini, Romano-Grasso, Commentario, 95; Manzini, Trattato, II, 747; Pittaro, 365; Serianni, 370). In giurisprudenza, è, invece, incontroversa la tesi della natura circostanziale della recidiva ex art. 70 c.p.: ex plurimis, Cass. S.U., n. 20798/2011; Cass. S.U., n. 35738/2010; Cass. III, n. 19170/2015; Corte cost. n. 249/2010; Corte cost. n. 91/2008. La recidiva - in quanto rientrante fra le circostanze che, ex art. 70, comma 2 attengono alla “persona del colpevole” - non si comunica ai concorrenti ex art. 118: Cass. I, n. 5639/2006; Cass. VI, n. 853/1993. Le Sezioni Unite (Cass. S.U., 20798/2011), poi - risolvendo un contrasto giurisprudenziale che si era formato all'interno delle sezioni semplici - hanno stabilito, accogliendo la tesi maggioritaria ( ex plurimis Cass. V, n. 35852/2010; Cass. II, n. 33871/2010) che la recidiva è una circostanza aggravante ad effetto speciale rilevando che «in base all'art. 64 possono definirsi circostanze comuni quelle che comportano una variazione edittale non superiore a un terzo della pena che il giudice avrebbe irrogato per il reato commesso in assenza dell'aggravante (o dell'attenuante). L'art. 63, comma 3, comprende nella categoria delle circostanze ad effetto speciale le ipotesi in cui sia stabilito un aumento (o una diminuzione) di pena, frazionario o autonomo, superiore ad un terzo. Sotto quest'ultimo profilo, quindi, avuto riguardo alle modalità di previsione legislativa, appare condivisibile l'orientamento maggioritario espresso da questa Corte che qualifica le ipotesi di recidiva disciplinate dall'art. 99, commi 2, 3, 4 e 5 come circostanze ad effetto speciale, avuto riguardo al criterio edittale». La Cassazione, Cass S.U. n. 3585/2021, ha ribadito che la recidiva è una circostanza aggravante ad effetto speciale. Infatti, dando risposta al quesito «se il riferimento alle aggravanti ad effetto speciale, contenuto nell'art. 649-bis c.p. ai fini della procedibilità d'ufficio per taluni reati contro il patrimonio, vada inteso come riguardante anche la recidiva qualificata di cui all'art. 99 c.p., commi 2, 3 e 4», hanno affermato il seguente principio di diritto: «il riferimento alle aggravanti ad effetto speciale contenuto nell'art. 649-bis c.p., ai fini della procedibilità d'ufficio, per i delitti menzionati nello stesso articolo, comprende anche la recidiva qualificata - aggravata, pluriaggravata e reiterata - di cui all'art. 99 c.p., commi 2, 3 e 4». Pertanto, in considerazione degli aumenti di pena previsti, possono essere considerate aggravanti ad effetto speciale solo la recidiva monoaggravata (comma secondo: aumento fino alla metà), pluriaggravata (comma terzo: aumento della metà) e reiterata (comma quarto: aumento della metà o di due terzi). Va, invece, considerata una aggravante comune, la recidiva semplice (comma primo) in quanto l'aumento non può superare il terzo. I presuppostiDue sono i presupposti per l'applicabilità della recidiva: a) condanna per un delitto non colposo (quindi, doloso o preterintenzionale: ROMANO-GRASSO, Commentario, 94): la norma di carattere generale, è derogata, peraltro, da alcune leggi speciali (cfr. infra); b) nuova condanna per un delitto non colposo. Condanna per un delitto doloso. Per condanna, deve intendersi: a) una sentenza di condanna passata in giudicato prima della commissione del nuovo delitto: «in tanto può ritenersi configurabile la recidiva, in quanto il nuovo reato sia stato commesso dopo che la precedente o le precedenti condanne siano diventate irrevocabili. E ciò, al di là del dato normativo testuale (l'art. 99, comma 2, n. 2, fa riferimento alla «condanna precedente» e non alla data di commissione del reato, così come la qualità di recidivo semplice ex art. 99, comma 1, è connessa alla necessaria qualità di condannato« del soggetto cui tale qualità è riferita), per il semplice motivo che solo il definitivo accertamento di una pregressa responsabilità penale può legittimare il giudizio di maggiore pericolosità sociale del soggetto insito nella recidiva e della sua eventuale incidenza nella definizione del trattamento sanzionatorio profilo cui si coniuga [...] l'ineludibile esigenza che l'autore del »nuovo« reato sia posto in grado di conoscere tutte le conseguenze penali derivanti da precedenti giudicati (commissione di altri reati »precedenti" per anteriore passaggio in giudicato delle relative condanne) e, quindi, anche il proprio status di recidivo reiterato»: Cass. VI, n. 16149/2014; Cass. II, n. 41806/2013; Cass. III, n. 57983/2018; Cass. II, n. 994/2022; in dottrina Romano-Grasso, Commentario, 100; b) non è necessario che la pena, relativa alla suddetta sentenza di condanna, sia stata effettivamente scontata perché «a ritenere altrimenti si determinerebbe, tra l'altro, una inammissibile situazione di favore per chi volontariamente si sottrae all'esecuzione della condanna» (in dottrina Fiandaca-Musco, PG, 470; Marinucci-Dolcini, Commentario, 574); Vanno ritenute “condanna” e, quindi, esplicano effetto ai fini della recidiva: 1) il decreto penale di condanna: Cass. IV, n. 40302/2006, la condanna riportata a seguito di procedimento per decreto rileva ai fini della recidiva atteso che gli effetti preclusivi del decreto penale di condanna riguardano solo il pagamento delle spese del procedimento e l'applicazione di pene accessorie, nonché l'efficacia della pronunzia nei soli giudizi civile o amministrativo; 2) il reato, dichiarato estinto per sospensione condizionale della pena (Cass. III, n. 5412/2020; Cass. III, n. 28746/2015; Cass. IV, n. 45351/2010); 3) il reato la cui pena sia stata dichiarata estinta per amnistia impropria (Cass. II, n. 4830/1974: Cass. I, n. 2794/1992) o per indulto (Cass. II, n. 34147/2015: Cass. I, n. 18124/2010) o per prescrizione (Mantovani, 1979, 593) 4) la condanna riportata all'estero, se riconosciuta in Italia ex art. 12 comma 1 n. 1: Cass. II, n. 3715/1984; Cass. III, n. 44476/2010; 5) «L' esito positivo della detenzione domiciliare non esclude la rilevanza della relativa condanna ai fini dell'applicazione della recidiva in quanto gli artt. 47-ter e 47-quinquies l. 26 luglio 1975, n. 354 non prevedono che ad esso consegua l'estinzione della pena e degli effetti penali, né sono suscettibili di essere interpretati in tal senso»: Cass. VI, n. 7508/2013; 6) ai fini del riconoscimento della recidiva è irrilevante che il reato pregiudicante sia stato oggetto di abolitio criminis: Cass. V, n. 35260/2013. Non sono considerate “condanne” e, quindi, non esplicano alcun effetto sulla recidiva i seguenti provvedimenti: a) le sentenze di perdono giudiziale: Cass. VI, n. 41231/2012 « Il perdono giudiziale, pur comportando un accertamento di responsabilità dell' imputato, non può valere come sentenza di condanna agli effetti della recidiva»; Cass. n. 2655/2016; b) le condanne per le quali sia intervenuta una causa di estinzione del reato e dei suoi effetti penali, ex art. 106 comma 2 c.p. come la sentenza di patteggiamento ex art. 445 comma 2 c.p.p.: Cass. II, n. 994/2022; Cass. III, n. 19954/2017 (che ha precisato che «L'estinzione del reato oggetto di una sentenza di patteggiamento, in conseguenza del verificarsi delle condizioni previste dall'art. 445, comma 2, c.p.p., opera "ipso iure" e non richiede una formale pronuncia da parte del giudice dell'esecuzione; con la conseguenza che, ai fini della contestazione della recidiva, non può tenersi conto di tale reato»); Cass. I, n. 40029/2013; Cass. S.U., n. 5859/2011); c) l'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale comporta che delle relative condanne non possa tenersi conto agli effetti della recidiva: Cass. S.U., n. 5859/2011;Cass. I, n. 26849/2014; Cass. III, n. 41697/2018; Cass. II, n. 41974/2021, nel ribadire il suddetto principio, ha precisato che l’estinzione dell’effetto penale della recidiva può essere rilevata nel giudizio di legittimità, qualora sia stata documentata dal ricorrente e riguardi un punto, oggetto di ricorso per cassazione, devoluto ai giudici di merito; d) la condanna per una contravvenzione exart. 99 letto a contrario ; la condanna per un delitto colposo exart. 99 letto a contrario; e) la condanna per la quale sia intervenuta riabilitazione , e salvo che non sia stata revocata (Cass. V, n. 25266/2022; Cass. I, n. 55359/2016; Cass. II, n. 27169/2010). Nuova condanna Quanto al secondo requisito (nuova condanna), è sufficiente rilevare che anche la nuova condanna, così come la precedente, deve avere ad oggetto un delitto (quindi né una contravvenzione né un delitto colposo) di natura dolosa. Le forme della recidivaL'art. 99 prevede le seguenti forme di recidiva. Recidiva semplice L'art. 99, comma 1 prevede «chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto a un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo»: la sottoposizione «all'aumento della pena» è — come può desumersi dalla lettera della norma — facoltativa (“può”), mentre la misura dell'aumento è fissa («di un terzo»). Quindi, tale fattispecie si verifica quando chi è già stato condannato per un delitto non colposo ne commette un altro. In altre termini, la recidiva semplice si applica all'imputato che viene condannato per un secondo delitto. La recidiva semplice stante l’aumento di pena prevista, va ritenuta un’aggravante comune. Recidiva monoaggravata È quella prevista dall'art. 99 comma 2 a norma del quale «la pena può essere aumentata fino alla metà: 1) se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole (per la nozione di “reato della stessa indole” si rinvia al commento dell'art. 101): c.d. recidiva specifica; 2) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente: cd. recidiva infraquinquennale. ai fini del riconoscimento della recidiva aggravata infraquinquennale, il calcolo dei cinque anni va effettuato avendo riguardo, quanto al dies a quo, non già alla data di commissione dell'ultimo delitto (cioè il quarto delitto ad es. commesso nel 1993) antecedente a quello espressivo della recidiva, bensì a quella relativa al passaggio in giudicato della sentenza avente ad oggetto il medesimo reato presupposto (ad es. 2008): di conseguenza, la recidiva infraquinquennale può essere contestata solo se il nuovo delitto venga commesso entro il 2013 (cioè entro i cinque anni a decorrrere dal 2008): (ex plurimis cfr. Cass. VI, n. 15441/2016 ; Cass. II, n. 32785/2021; 3) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l'esecuzione della pena (cd. recidiva vera), ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all'esecuzione della pena (cd. recidiva finta)»: non vi è alcun riferimento espresso alla facoltatività o alla obbligatorietà della sottoposizione; l'aumento però non è “fisso” (se non — come si legge nel terzo comma — nel caso in cui concorrano più circostanze fra quelle sopra indicate, cosiddetta recidiva pluriaggravata) ma variabile («fino alla metà»). « Per la applicazione della recidiva di cui all'art. 99, comma 2, n. 3, c.p. è necessario che la pena precedente risulti, anche solo parzialmente, eseguita, ed a dimostrarlo non è sufficiente la iscrizione della condanna nel certificato del casellario giacché, anche nel caso di condanna divenuta irrevocabile, l'esecuzione può essere mancata per le cause più varie »: Cass. III, n. 7971/1972; Cass. VI, n. 4546/2018. In dottrina, si è rilevato che la norma non si riferisce più alla sola pena detentiva, essendo « presenti nell'ordinamento pene limitative della libertà personale (come la permanenza domiciliare, il lavoro di pubblica utilità, la libertà controllata e la semidetenzione) la cui esecuzione si protrae nel tempo; la stessa esecuzione della pena pecuniaria può essere rateizzata a norma dell'art. 133 ter c.p. Ne segue che anche con riferimento a questa tipologia di pene il giudice potrebbe ravvisare l'aggravante del reato “commesso durante... l'esecuzione della pena » (Marinucci — Dolcini, 2015, 578; Mazza, 99). Quindi, la recidiva di cui all'art. 99, comma 2 c.p. si verifica quando chi è già stato condannato per un delitto non colposo ne commette un altro. Pertanto, la recidiva aggravata si applica all'imputato che viene condannato per un secondo delitto che, però, presenta una delle peculiarità previste nei singoli nn. 1, 2, 3 (reato della stessa indole; reato commesso nei cinque anni dalla precedente condanna; reato commesso durante l'esecuzione della pena): proprio per tale caratteristica (ricorrenza di una sola delle circostanze indicate nei nn. 1, 2, 3), è denominata monoaggravata. La pena (per il secondo delitto) è aumentata fino alla metà : il che consente di qualificare la recidiva in questione come un'aggravante ad effetto speciale. Sul punto è stato precisato che l'aumento di pena “sino alla metà” da applicarsi per la recidiva aggravata non può essere determinato in misura inferiore ad un terzo della pena da irrogare per la recidiva semplice, in quanto l'applicazione per la recidiva aggravata di un aumento di pena inferiore a quello previsto per l'ipotesi meno grave, da un lato, renderebbe irrazionale la disposizione di cui all'art. 99, comma secondo, cod. pen. rispetto a quanto stabilito nel primo comma e, dall'altro, contrasterebbe con la “ratio” della legge 5 dicembre 2005 n. 251 che, in quasi tutti i casi, ha sottratto al giudice ogni discrezionalità nella determinazione dell'aumento di pena: Cass. II, n. 22066/2021; Cass. III, n. 1861/2011. Recidiva pluriaggravata La recidiva pluriaggravata, prevista all'art. 99 comma 3, si verifica quando chi è già stato condannato per un delitto non colposo ne commette un altro. Quindi, si applica all'imputato che viene condannato per un secondo delitto che, ha però, delle peculiarità in quanto rientra in due o più delle ipotesi di cui al secondo comma. L'aumento di pena (per il secondo delitto) è della metà: il che consente di qualificare la recidiva in questione come un’aggravante ad effetto speciale Recidiva reiterata La recidiva reiterata è prevista nell'art. 99 comma 4, a norma del quale «se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l'aumento della pena, nel caso di cui al primo comma, è della metà e, nei casi previsti dal secondo comma, è di due terzi»: anche in tal caso il legislatore omette qualsiasi esplicito riferimento alla facoltatività od obbligatorietà della sottoposizione, limitandosi a delineare l'entità degli aumenti. Tale recidiva si applica a chi, essendo già stato condannato per due o più volte per un delitto non colposo, ne commette un altro. Quindi, la norma prende in considerazione l'ipotesi del soggetto che viene condannato per un terzo o quarto (ecc.) delitto non colposo. In tale ipotesi se il nuovo reato non rientra in alcuna delle previsioni di cui al secondo comma (quindi non è della stessa indole dei precedenti reati per il quale l'imputato ha già riportato condanna; è stato commesso dopo cinque anni dall'ultimo; non è stato commesso durante o dopo l'esecuzione della pena), l'aumento della pena è della metà metà (cd. recidiva reiterata semplice). Se, invece, il nuovo reato rientra in una delle previsioni di cui al secondo comma (reato della stessa indole; reato commesso nei cinque anni dalla precedente condanna; reato commesso durante l'esecuzione della pena), allora l'aumento della pena è di due terzi terzi (cd. recidiva reiterata aggravata): in entrambi i casi, la recidiva va considerata un’aggravante ad effetto speciale. In relazione alla recidiva reiterata si è posta la seguente questione: se l’imputato possa essere dichiarato recidivo reiterato nonostante non sia stato dichiarato recidivo in una precedente sentenza di condanna. Secondo la giurisprudenza, «la recidiva reiterata può essere riconosciuta in sede di cognizione anche quando in precedenza non sia stata dichiarata giudizialmente la recidiva semplice. Infatti, dalla lettura della norma emerge evidente che il termine «recidivo» è stato usato dal legislatore per comodità di esposizione, per non ripetere la definizione contenuta nel primo comma dello stesso articolo e non già per indicare una qualità del soggetto giudizialmente affermata. Occorre in realtà distinguere se gli effetti ulteriori della recidiva semplice vanno riconosciuti nel giudizio di cognizione ovvero in fase esecutiva. Nel primo caso sembra ragionevole ritenere che il giudice della cognizione possa accertare i presupposti anche di una recidiva che non sia stata già dichiarata; nel secondo caso è da escludere che una recidiva non dichiarata in sede di cognizione possa essere ritenuta dal giudice dell'esecuzione»: Cass. V, n. 41288/2008; Cass. II, n. 18701/2010; Cass. V, n. 47072/2014; Cass. II, n. 21451/2019; Cass. II, n. 15591/2021. La giurisprudenza, però, ha precisato che «È preclusa l'applicazione della circostanza aggravante della recidiva reiterata (art. 99, comma 4, c.p.) nel caso in cui in un precedente processo non sia mai stata applicata la recidiva (semplice, aggravata o pluriaggravata) in quanto mancava il presupposto formale costituito dall'anteriorità della data di irrevocabilità della precedente sentenza rispetto a quella di commissione del nuovo fatto»: Cass. II, n. 37063/2020; Cass. III, n. 2519/2022 (la quale giunge alla suddetta conclusione, dopo avere espressamente premesso di aderire alla giurisprudenza innanzi citata) In senso contrario, si è espressa la dottrina secondo la quale, invece, è necessario che, presupposto formale per l'applicazione della recidiva reiterata e che l'imputato sia stato dichiarato, in precedenza, già recidivo, ovvero che il giudice abbia ritenuto presente la recidiva stessa (Romano-Grasso, Commentario, 101; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 578). A tale tesi ha aderito, sia pure con affermazioni prive di alcuna rilevanza nel caso concreto, anche Cass. II, n. 37063/2020 (in motivazione § 6 ss.), cit. secondo la quale «l'applicazione della circostanza aggravante della recidiva reiterata presuppone che in (almeno) un precedente processo, definitosi con sentenza divenuta irrevocabile prima della commissione del nuovo reato, sia stata contestata ed applicata la circostanza aggravante della recidiva [….] ritenere recidivo un soggetto che nessun giudice ha ritenuto di qualificare tale oltre ad apparire arbitrario (in difetto di elementi valutativi idonei a sostituire la valutazione effettuata dal primo giudice causa cognita), appare una violazione contra reum del giudicato formatosi sul punto». Cass. V, con ordinanza n. 36738/2022, persistendo il suddetto contrasto, ha rimesso alle S.U. il seguente quesito: «Se, ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata, sia necessaria una precedente dichiarazione di recidiva semplice contenuta in una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero sia sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l'imputato risulti gravato da più condanne definitive per reati che manifestino una sua maggiore pericolosità sociale». Le S.U. n. 32318/2023 hanno dato risposta al suddetto quesito enunciando il seguente principio di diritto: «Ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l'imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice». La facoltatività della recidivaTutte le forme di recidiva supra esaminate, sono facoltative, comprese, quindi, sia quella reiterata che pluriaggravata: Cass. S.U. , n. 35738/2010; Cass. III, n. 19170/2015; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 578; Fiandaca-Musco, PG, 472. L'unica forma di recidiva obbligatoria (detta anche recidiva qualificata) era quella prevista nel quinto comma dell'art. 99 che, nell'ipotesi in cui l'imputato avesse commesso «uno dei delitti indicati all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale» prescriveva l'aumento della pena obbligatorio: l'obbligatorietà, in altri termini, scatta per tutte le forme di recidiva (semplice, mono o pluriaggravata, reiterata), una volta che l'imputato sia ritenuto responsabile di uno dei delitti contemplati nel catalogo di cui all'art. 407 comma 2 lett. a) c.p.p. La suddetta norma, però, è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte cost. n. 185/2015 in quanto «il rigido automatismo sanzionatorio cui dà luogo la norma censurata — collegando l'automatico e obbligatorio aumento di pena esclusivamente al dato formale del titolo di reato commesso — è del tutto privo di ragionevolezza, perché inadeguato a neutralizzare gli elementi eventualmente desumibili dalla natura e dal tempo di commissione dei precedenti reati e dagli altri parametri che dovrebbero formare oggetto della valutazione del giudice, prima di riconoscere che i precedenti penali sono indicativi di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo [...] la presunzione (assoluta), relativa alla colpevolezza e alla pericolosità del reo, sarebbe giustificata unicamente dall'appartenenza del nuovo episodio delittuoso al catalogo dei reati indicati dall'art. 407, comma 2, lettera a), c.p.p., ma non potrebbe trovare fondamento in un dato di esperienza generalizzato. Un dato del genere infatti non esiste, posto che per le ragioni indicate ben possono ipotizzarsi accadimenti reali contrari alla generalizzazione presunta [...]. La preclusione dell'accertamento della sussistenza nel caso concreto delle condizioni che dovrebbero legittimare l'applicazione della recidiva può rendere la pena palesemente sproporzionata, e dunque avvertita come ingiusta dal condannato, vanificandone la finalità rieducativa prevista appunto dall'art. 27, terzo comma, Cost.». A seguito, della dichiarazione di incostituzionalità, il comma 5, va, quindi, così letto: «Se si tratta di uno dei delitti indicati all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, l'aumento della pena per la recidiva [è obbligatorio e] nei casi indicati al secondo comma, non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto». Per effetto della dichiarazione di incostituzionalità, la giurisprudenza ha, quindi, ritenuto che: - «in relazione alla commissione dei reati di cui all'art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p. alla luce della sentenza Corte cost. n. 185/2015, l'aumento di pena apportato per la recidiva, non può essere legato esclusivamente al dato formale del titolo di reato, ma presuppone un accertamento della concreta significatività del nuovo episodio in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, avuto altresì riguardo ai parametri di cui all'art. 133, sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo»: Cass. VI, n. 34670/2016; - «è rilevabile d'ufficio, anche in caso di ricorso inammissibile, l'illegittimità sopravvenuta della sanzione che ha applicato la recidiva obbligatoria di cui all'art. 99, comma 5, in epoca antecedente alla sentenza Corte cost. n. 185/2015 - che ha dichiarato l'incostituzionalità del carattere obbligatorio di tale aggravante - qualora dalla motivazione non emerga alcuna valutazione in ordine all'effettiva incidenza della recidiva sul disvalore del fatto, che porti a ritenere comunque legittimo l'aumento di pena disposto»: Cass. II, n. 37385/2016; Cass. II, n. 27366/2016; Cass. II, n. 20205/2016; Cass. V. n. 3799/2018, ha precisato che «Non è illegale l'aumento di pena ex art. 99, comma 5 - disposto in data anteriore alla sentenza della Corte cost. n. 185/2015, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del carattere obbligatorio di tale ipotesi di recidiva - qualora il giudice, anche con motivazione implicita, abbia dato atto in sentenza delle ragioni di detto aumento, riferito alla gravità della condotta nonché alla personalità e alla particolare pericolosità dell'imputato». Gli effetti di diritto sostanzialeUna volta che la recidiva sia stata ritenuta dal giudice, produce, in capo al condannato, una serie di effetti sfavorevoli che, sinteticamente, possono essere raggruppati, in tre categorie: a) effetti sulla pena; b) effetti sulla punibilità; c) effetti in sede di esecuzione. Prima di esaminare quali siano, in concreto, i suddetti effetti, va, però, posta l'attenzione su una questione che ha risvolti pratici molto importati. La questione può essere posta nei seguenti termini: se la recidiva debba o meno ritenersi applicata quando sia stata riconosciuta equivalente o subvalente con altre attenuanti: è ovvio che, se si ritiene non applicata, gli effetti della recidiva non si produrranno; alla soluzione opposta, si dovrà pervenire se ritiene che la recidiva, proprio perché riconosciuta, esplica comunque i suoi effetti. Utili indicazioni, per la soluzione del suddetto problema, possono essere trovate nelle motivazioni due sentenze pronunciate a Sezioni Unite. Cass. S.U ., n. 17/1991 , hanno statuito che «una circostanza aggravante deve essere ritenuta, oltre che riconosciuta, anche come applicata, non solo allorquando nella realtà giuridica di un processo viene attivato il suo effetto tipico di aggravamento della pena, ma anche quando se ne tragga, ai sensi dell'art. 69, un altro degli effetti che le sono propri e cioè quello di paralizzare un'attenuante, impedendo a questa di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della pena irroganda per il reato. Invece non è da ritenere applicata l'aggravante solo allorquando, ancorché riconosciuta la ricorrenza dei suoi estremi di fatto e di diritto, essa non manifesti concretamente alcuno degli effetti che le sono propri a cagione della prevalenza attribuita all'attenuante la quale non si limita a paralizzarla, ma la sopraffà, in modo che sul piano dell'afflittività sanzionatoria l'aggravante risulta tamquam non esset». Sulla stessa linea si è posta Cass. S.U., n. 35738/2010 che ha ribadito il principio di diritto suesposto statuendo che «qualora la verifica effettuata dal giudice si concluda nel senso del concreto rilievo della ricaduta sotto il profilo sintomatico di una «più accentuata colpevolezza e maggiore pericolosità del reo», la circostanza aggravante opera necessariamente e determina tutte le conseguenze di legge sul trattamento sanzionatorio e sugli ulteriori effetti commisurativi [...] In tale ipotesi la recidiva deve intendersi, oltre che «accertata» nei suoi presupposti (sulla base dell'esame del certificato del casellario), «ritenuta» dal giudice ed «applicata», determinando essa l'effetto tipico di aggravamento della pena: e ciò anche quando semplicemente svolga la funzione di paralizzare, con il giudizio di equivalenza, l'effetto alleviatore di una circostanza attenuante (Cass. S.U., 18 giugno 1991, Grassi)». Infine, le Cass. S.U. n. 20809/2019 , in merito ai suddetti effetti ( artt. 81, comma 4 – 151, comma 5 – 172, comma 7 – 174, comma 3 – 179, comma 2;30-ter – 47 – 58-quarter, comma 7 ord. pen.) hanno ritenuto che «quando il giudice di merito valuta la recidiva subvalente rispetto alle concorrenti attenuanti, egli esprime una valutazione di disfunzionalità della recidiva rispetto al programma di trattamento che comincia a delinearsi con la fissazione della pena da infliggere […..]», con la conseguenza che, «ove il giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69 c.p., si concluda con una valutazione di subvalenza della recidiva, di questa non può tenersi conto ad alcuno effetto, salvo che nelle ipotesi in cui sia espressamente previsto che deve tenersi conto della recidiva senza avere riguardo al giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.» e cioè nel solo caso della prescrizione (v. infra). ; il principio di diritto è stato, quindi, il seguente: «In tema di recidiva, la valorizzazione da parte del giudice dei precedenti penali dell'imputato ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche non implica il riconoscimento della recidiva contestata in assenza di aumento della pena a tale titolo o di confluenza della stessa nel giudizio di comparazione tra le circostanze concorrenti eterogenee, attesa la diversità dei giudizi riguardanti i due istituti, sicché di essa non può tenersi conto ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato». Alla stregua delle suddette sentenze, si può, quindi, affermare che l'aggravante della recidiva: a) si considera “applicata” quando, nel giudizio di bilanciamento ex art. 69 è ritenuta prevalente (perché in tal caso esplica tutti i suoi effetti sopraffacendo l'attenuante in concorso) o anche equivalente (perché, in tal caso, paralizza l'attenuante con la quale concorre, esplicando, quindi, comunque un effetto “negativo” sulla determinazione della pena); b) non si considera “applicata”, invece, quando, nel giudizio di bilanciamento ex art. 69 è ritenuta subvalente perché, in tal caso, è essa sopraffatta dalla concorrente attenuante che, quindi, esplica tutti i suoi effetti positivi sulla pena: Cass. VI, n. 27784/2017; Cass. IV, n. 8079/2017). Sul punto, cfr anche infra. Effetti sulla pena La recidiva, una volta contestata e ritenuta dal giudice, produce i seguenti importanti effetti sulla pena: a) aumento della pena: sul punto va osservato che la misura dell'aumento è fissa per tutte le forme di recidiva ad eccezione di quella monoaggravata per la quale l'art. 99 comma 2 prevede un aumento “fino alla metà”. Tale disciplina è stata ritenuta legittima dalla stessa Corte cost. n. 91/2008. In ordine all'aumento della pena, va rammentato che il comma sesto dell'articolo in commento dispone un limite quantitativo all'aumento della pena derivante dalla ritenuta recidiva in quanto «in nessun caso l'aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo»: «Così, ad es., se Tizio ha riportato una prima condanna a sei mesi di reclusione, in occasione di una seconda condanna, per un delitto per il quale il giudice infliggerebbe la pena di tre anni di reclusione, l'aumento massimo di pena sarà pari a sei mesi, e non potrà essere di un anno, secondo la regola generale stabilita per la recidiva semplice dall'art. 99, comma 1: la pena inflitta con la seconda condanna sarà dunque pari a tre anni e sei mesi di reclusione» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 581). In giurisprudenza, si è precisato che «, lo sbarramento quantitativo previsto dall'art. 99, ultimo comma - per cui "l'aumento della pena non può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo" - si riferisce esclusivamente alle pregresse condanne per delitti dolosi e non anche a quelle per reati contravvenzionali»: Cass. II, n. 30437/2016. Secondo la costante giurisprudenza, ove la condanna precedente sia a pena solo pecuniaria o congiunta con quella detentiva, la pena pecuniaria dev'essere ragguagliata, ex art. 135 a quella detentiva contribuendo, quindi, a formare il limite quantitativo che non può essere superato: Cass. I, n. 1767/2014; Cass. II, n. 8492/1985. Vanno, infine, rammentati, i seguenti ulteriori principi di diritto: - per valutare la maggiore o minore gravità della recidiva rispetto ad una concorrente circostanza aggravante, occorre procedere ad una verifica in concreto, che consideri anche gli effetti dello sbarramento di cui all'art. 99 comma 6: Cass. II, n. 9365/2015 in una fattispecie in cui, pur a fronte di una recidiva reiterata exart. 99 comma 4, è stata considerata più grave l'aggravante di cui all'art. 416-bis, comma 4, in quanto l'aumento per la recidiva, in astratto pari alla metà della pena base prevista per il reato di associazione di tipo mafioso, non poteva superare la misura di un anno e mesi quattro di reclusione, pari al cumulo delle precedenti condanne; - ove la recidiva concorra con altra aggravante speciale e rispetto a questa sia ritenuta meno grave, si applica integralmente la disciplina di cui all'art. 63, comma 4, con la conseguenza che il giudice, quand'anche la recidiva comporti un aumento predeterminato della pena, può procedere all'ulteriore aumento di pena e, ove ritenga di apportarlo, è vincolato al limite di cui al combinato disposto degli artt. 63, comma 4, e 64, comma 1 («fino ad un terzo della pena prevista per il reato commesso» e, quindi, da un minimo di un giorno ad un massimo del terzo della pena base)»: Cass. II, 9365/2015 b) attenuanti generiche (art. 62-biscomma 2): la norma, introdotta con la riforma del 2005, prevede che «ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto dei criteri di cui all'articolo 133, primo comma, numero 3), e secondo comma, nei casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, in relazione ai delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, nel caso in cui siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni». La suddetta norma, peraltro, è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte cost. n. 183/2011 «nella parte in cui stabilisce che, ai fini dell'applicazione del primo comma del presente articolo, non si possa tenere conto della condotta del reo susseguente al reato»; c) concorso di circostanze aggravanti e attenuanti (art. 69 comma 4): la norma, introdotta con la riforma del 2005, stabilisce che il meccanismo del bilanciamento, relativo alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, non si applica ai «casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, [...] per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato»: La suddetta norma, peraltro, stata dichiarata incostituzionale con plurime sentenze della Corte cost.( per le quali si rinvia al commento dell'art. 69 c.p.) d) concorso formale e reato continuato (art. 81 comma 4 ): la norma, introdotta con la riforma del 2005, stabilisce che, nella fase di cognizione, «fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, l'aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave»; la stessa disposizione si applica, in fase di esecuzione ex art. 671 comma 2-bis c.p.p. Va osservato che l'art. 81/4 cod. pen. stabilisce, nell'incipit, “fermi restando i limiti indicati al terzo comma”, il quale, a sua volta, stabilisce che la pena per la continuazione non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile sul concorso materiale: sul punto, quanto alle modalità di determinazione della pena, si rinvia al commento dell'art. 81 § 1. I rapporti fra la recidiva ed il reato continuato o formale sono alquanto controversi e possono essere riassunti nei termini di seguito indicati: d1) Compatibilità: la giurisprudenza si è attestata nel ritenere che «non esiste incompatibilità tra gli istituti della recidiva e della continuazione, potendo quest'ultima essere riconosciuta anche tra un reato già oggetto di condanna irrevocabile ed un altro commesso successivamente alla formazione di detto giudicato». Si è, infatti, osservato che «recidiva e continuazione rappresentano istituti autonomi, con struttura e finalità diverse, ma nient'affatto inconciliabili tra loro. La prima tende a punire in maniera più incisiva chi, avendo già violato la legge, persiste nel suo atteggiamento criminoso, commettendo un nuovo reato e dimostrando, in tal guisa, un rafforzamento della deliberazione criminosa e una maggiore pericolosità sociale e costituisce, perciò, una circostanza aggravante di carattere soggettivo in quanto inerisce esclusivamente alla persona del colpevole. Il secondo, invece, attiene al trattamento sanzionatorio unitario, cui va sottoposto il reo per vari illeciti compresi, sin dal primo momento e nei loro elementi essenziali, nell'originario disegno criminoso, in ossequio al principio del favor rei che deroga a quello del cumulo materiale delle pene» con la conseguenza che «sussistendone le condizioni, vanno applicati entrambi, praticando sul reato base, se del caso, l'aumento di pena per la recidiva e, quindi, quello per la continuazione, che può essere riconosciuta anche fra un reato già oggetto di condanna irrevocabile ed un altro commesso successivamente alla formazione di detto giudicato»: Cass. III, n. 54182/2018; Cass. II, n. 282/2022; Cass. IV, n. 49658/2014; Cass. II, n. 18317/2016; Cass. S.U., n. 9148/1996; Cass. II, n. 35730/2020ha precisato e ribadito che in ipotesi di contestazione suppletiva legittimamente operata, la recidiva reiterata infraquinquennale già contestata si estende e deve ritenersi contestata anche in relazione all'ulteriore reato oggetto della contestazione suppletiva stessa in conseguenza della ritenuta sussistenza del vincolo della continuazione unico ed identico risultando giudizio in ordine alla esplicitata maggiore pericolosità dell'agente; contra: Cass. V, n. 5761/2010. d2) Limite minimo per l'aumento : la seconda questione, in ordine ai rapporti fra reato continuato e recidiva, può essere sintetizzata nei seguenti termini: se, il limite minimo per l'aumento (non inferiore a un terzo per la pena stabilita per il reato più grave), previsto, ex art. 81 comma 4 per la recidiva reiterata — ove questa sia stata ritenuta dal giudice — si applichi o meno nel caso in cui il giudice abbia ritenuto la suddetta recidiva equivalente alla circostanza attenuante in concorso. La questione è stata risolta positivamente da Cass. S.U. n. 31669/2016 alla stregua del seguente principio di diritto: «Il limite di aumento di pena non inferiore a un terzo della pena stabilita per il reato più grave, di cui all'art. 81, comma 4, nei confronti dei soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'art. 99, comma 4, opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti». La recidiva, invece, non si applica quando è ritenuta subvalente (retro). d3) Determinazione in concreto della pena: in ordine alle modalità con le quali l'aumento va effettuato, si è ritenuto che: - il limite minimo di aumento della pena — non inferiore ad un terzo della pena stabilita per la violazione più grave – si applica nei soli casi in cui l'imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una sentenza definitiva emessa precedentemente al momento della commissione dei reati per i quali si procede e non anche quando egli sia ritenuto recidivo reiterato in relazione agli stessi reati uniti dal vincolo della continuazione del cui trattamento sanzionatorio si discute: Cass. II, n. 37126/2020; Cass. III, n. 57983/2018; Cass. I, n. 18773/2013;Cass. I, n. 31735/2010. I n altri termini, l'aumento non opera in riguardo alle condanne per reati commessi anteriormente alla data dell'entrata in vigore della l. n. 251/2005 che ha aggiunto il quinto comma dell'art. 81: Cass. I, n. 13788/2008 ; Cass. I, n. 44670/2009. - il limite minimo di aumento della pena — non inferiore ad un terzo della pena stabilita per la violazione più grave — che dev'essere applicato per reati commessi in concorso formale o in continuazione da soggetti cui sia stata applicata la recidiva di cui all'art. 99, comma 4, va riferito all'aumento complessivo della pena già aumentata sia per effetto della recidiva stessa che per la continuazione e non alla misura di ciascun aumento successivo al primo (Cass. sez. fer. n. 37482/2008; Cass. I, 5478/2010; Cass. II, n. 18092/2016). In altri termini, poiché non esiste incompatibilità fra gli istituti della recidiva e quello della continuazione, sussistendone le condizioni, vanno applicati entrambi gli aumenti previsti dall'art. 99 , comma 4 (due terzi) e dall'art. 81 comma 4 (un terzo). Ad es. nel caso in cui la recidiva ex art. 99 comma 4 sia stata contesta e ritenuta nei confronti di un imputato per i reati A-B commessi in continuazione, la pena dev'essere calcolata secondo le seguenti modalità: Pena base: reato sub A = anni due di reclusione + due terzi (aumento ex art. 99/4) = anni tre e mesi quattro di reclusione + aumento di anni uno, mesi due e giorni venti di reclusione per il reato B, pari ad un terzo (ex art. 81, comma 4) = anni 4, mesi 6 e giorni 20 di reclusione. - in giurisprudenza si è posto il problema dei rapporti fra l'art. 81, comma 4 e 99, comma 6nel senso che ci si è chiesto se l'aumento di cui all'art. 81, comma 4 (cumulato con quello di cui all'art. 99/4) possa o meno superare il limite di cui all'art. 99/6: nel caso di specie, il primo aumento ex art. 99/4 rispettava il limite del cumulo delle pene risultanti dalle precedenti condanne (pari ad anni tre), ma, a seguito dell'ulteriore aumento ex art. 81/4 (inflitto, sempre per la recidiva, ma per i reati commessi in continuazione), la pena complessiva superava di venti giorni il cumulo delle condanne precedenti. Cass. II, n. 29326/2019 (§ 7.1. della motivazione), ha dato risposta affermativa al suddetto quesito avendo statuito che l'aumento di pena previsto dall'art. 81 c. 4 c.p. è indipendente dall'aumento previsto dall'art. 99 c.p. e, quindi, anche dal limite stabilito nel comma sesto dell'art. 99 c.p. Infatti, si è osservato che non vi è alcun collegamento di natura logica o giuridica fra la disposizione di cui all'art. 99/6 e quella di cui all'art. 81/4 c.p. in quanto sono norme che, sebbene abbiano come fulcro la recidiva, rispondono a criteri diversi. L'art. 99, comma 6 c.p. stabilisce un limite all'aumento della recidiva, aumento previsto dalla legge per il solo fatto che l'imputato sia recidivo: l'aumento di pena è, quindi, collegato allo status di recidiva dell'imputato. L'art. 81/4 c.p. stabilisce, invece, un aumento minimo che si riferisce alla pena per i delitti commessi in continuazione dal recidivo, e, quindi, la pena, che non può essere inferiore ad un terzo, è la pena che si deve applicare per i reati commessi dal recidivo in continuazione con quello più grave e che, pertanto, resta sganciata dal limite di cui all'art. 99, comma 6 c.p. In questa ipotesi, infatti, l'aumento minimo di pena, pur avendo come presupposto giuridico lo status di recidiva dell'imputato, è relativo alla commissione dei reati satelliti, quindi, alla commissione di una serie di reati in continuazione, per i quali il legislatore, ha ritenuto - sicuramente in senso penalizzante per l'imputato recidivo ex art. 99, comma 44 - che l'aumento della pena non possa essere inferiore al terzo della pena base per il reato più grave. Si tratta, quindi, di un aumento di pena la cui ratio non ha nulla a che vedere con quella di cui all'art. 99, comma 6. Effetti sulla punibilità Vi sono, poi, una serie di norme che — lato sensu — agiscono sul versante della punibilità rendendo più difficile, all'imputato recidivo, accedere ad una serie di benefici previsti per gli imputati non recidivi, nei seguenti casi: a) prescrizione del reato: le norme che occorre tener presente sono due: l'art. 157 comma 2 che allunga i termini di prescrizione per i reati cui accedano aggravanti “ad effetto speciale” e, quindi, anche la recidiva (v. supra); l'art. 161/2 a norma del quale, l'interruzione del corso della prescrizione, comporta l'aumento «della metà nei casi di cui all'articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all'articolo 99, quarto comma»: il che significa che la recidiva si calcola due volte: una prima volta, ex art. 157, ai fini della determinazione del tempo necessario alla prescrizione del reato, una seconda volta, ai fini dell'interruzione della prescrizione ex art. 161: (Cass. II, n. 49246/2009; Cass. II, n. 13463/2016 ; Cass. II, n. 57755/2018). Rinviando, per maggiori approfondimenti, al commento dei suddetti articoli, in questa sede, è sufficiente rammentare che: - il tempo necessario a prescrivere va determinato con riferimento alla pena massima edittale stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato su cui va operato l'aumento massimo di pena previsto per le circostanze aggravanti ad effetto speciale: Cass. III, n. 3391/2014; - la recidiva reiterata, essendo una circostanza aggravante ad effetto speciale, rileva ai fini della determinazione del termine di prescrizione, anche qualora nel giudizio di comparazione con le circostanze attenuanti sia stata considerata equivalente (o, a fortiori, prevalente) (Cass. VI, n. 39849/2015) o sub valente. Infatti, in ordine a quest'ultimo punto, la giurisprudenza è salda nel ritenere che, ai fini del computo del termine di prescrizione, deve ritenersi "applicata" la recidiva anche se considerata subvalente nel giudizio di bilanciamento con le attenuanti concorrenti. Tale affermazione trae argomento dal novellato art 157 a norma del quale non si applicano le disposizioni dell'art. 69: di conseguenza, il giudizio di comparazione è, a tali fini, irrilevante. Il nuovo testo dell'art. 157 consente, quindi, di ritenere superata – relativamente alla prescrizione (ma non per l'aumento ex art. 81: v. supra) - quella giurisprudenza secondo la quale, in caso di sub valenza, non si può tener conto della recidiva (Cass. S.U., n. 17/1991; Cass. S.U., 35738/2010: v. supra). Pertanto, l'unico modo per neutralizzare gli effetti della recidiva sulla prescrizione è che il giudice la escluda esplicitamente: Cass. VI, n. 50995/2019; Cass. II, n. 4178/2019; Cass. II, n. 21704/2019; Cass. n. 15681/2017; Cass. n. 8079/2017; Cass. n. 17263/2008; - con ordinanza del 14/12/2021, è stata rimessa alle S.U. la seguente questione: «se il limite previsto dall'art. 99 comma 6 cod. pen (a) incide sulla qualificazione della recidiva prevista dai commi 2 e 4 dell'art. 99 cod. pen. come circostanza ad effetto speciale, (b) influisce sulla determinazione del termine di prescrizione». Le S.U. con sentenza n. 30046/2022 hanno dato risposta ai suddetti quesiti enunciando il seguente principio di diritto: «Il limite all'aumento di pena di cui alla previsione dell'art. 99, comma sesto, cod. pen.: -non rileva in ordine alla qualificazione della recidiva, come prevista dai commi secondo e quarto del predetto articolo, quale circostanza ad effetto speciale; -non influisce sui termini di prescrizione determinati ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen., come modificati dalla legge n. 251 del 2005». - Va segnalato un contrasto giurisprudenziale, in ordine alla possibilità di contestare un'aggravante (e, quindi, anche la recidiva) quando il reato sia già prescritto con l'effetto, quindi, di prolungare il termine della prescrizione. La tesi affermativa, sostiene che, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l'aumento di pena per la circostanza aggravante è valutabile anche se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato non aggravato, purché la contestazione abbia preceduto la pronuncia della sentenza: Cass. V, n. 3712/2020; Cass. V, n. 19374/2021; Cass. V, n. 47241/2019; Cass. V, n. 26822/2016; Cass. II, n. 33871/2010. La tesi negativa, afferma, invece, che «è illegittima la contestazione della recidiva ove effettuata in presenza di presupposti per l'immediata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, in quanto la contestazione della recidiva, con il conseguente prolungamento dei termini prescrizionali, non può determinare la reviviscenza di un reato ormai estinto, trattandosi di una contestazione di natura costitutiva. Di conseguenza, l'aumento di pena per una circostanza aggravante non può essere valutato qualora essa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione computato con riferimento all'originaria imputazione:Cass. II, n. 37884/2020;Cass. V, n. 48205/2019; Cass. VI, n. 55748/2017; Cass. V, n. 47499/2015. - è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della disciplina dell'interruzione della prescrizione prevista dall' art. 161, comma secondo, nella parte in cui ricollega, alla condizione di recidivo o di delinquente abituale o professionale, diversi e più lunghi tempi di estinzione del reato, non essendovi contrasto con i principi di ragionevolezza e parità di trattamento di cui all' art. 3 Cost. , in considerazione del maggior allarme sociale provocato dal comportamento di chi, rendendosi autore di reiterate condotte criminose, mette maggiormente a rischio la sicurezza pubblica: Cass. II, n. 31891/2015 . b) prescrizione della pena ex art. 172 comma 7 a norma del quale «L'estinzione delle pene non ha luogo, se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell'articolo 99»; c) l'amnistia ex art. 151 comma 5 a norma del quale non si applica ai recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell'art. 99, salvo che il decreto disponga diversamente; d) l'oblazione ex art. 162 bis comma 3 c.p. «non è ammessa quando ricorrono i casi previsti dal terzo capoverso dell'articolo 99»; e) la sospensione condizionale della pena che, ex art. 164, non può essere concessa «a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione»; f) l'indulto che, ex art. 174 comma 3, in virtù del rinvio all'art. 151 comma 5, non si applica ai recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell'art. 99, salvo che il decreto disponga diversamente; g) la riabilitazione ex art. 179 comma 2 per ottenere la quale, nei casi preveduti dai capoversi dell'art. 99, devono decorrere almeno otto anni «dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o siasi in altro modo estinta». Effetti sull'esecuzione della pena Infine, la recidiva ha effetti molto rilevanti anche nella fase dell'esecuzione della pena, sotto i seguenti profili: a) liberazione condizionale ex art. 176 comma 2 a norma del quale «Se si tratta di recidivo, nei casi preveduti dai capoversi dell'articolo 99, il condannato, per essere ammesso alla liberazione condizionale, deve avere scontato almeno quattro anni di pena e non meno di tre quarti della pena inflittagli»; b) permessi premio ex art. 30-quater l. n. 354/1975 (Ordinamento Penitenziario), possono essere concessi ai detenuti, ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, solo ove abbia espiato una pena superiore ai condannati nono recidivi; c) detenzione domiciliare ex art. 47 ter comma 1 l. n. 354/1975 esclusa per chi sia stato condannato «con l'aggravante di cui all'articolo 99 del codice penale»; d) affidamento in prova al servizio sociale, nei casi previsti dall'art. 47 l. n. 354/1975, la detenzione domiciliare e la semilibertà, ex art 58-quater comma 7-bis l. n. 354/1975, cit., «non possono essere concessi più di una volta al condannato al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, del codice penale». Profili processualiLa recidiva ha effetti molto importati anche a livello processuale. Innanzitutto, in via preliminare, va rammentato che la recidiva è menzionata espressamente nell'art. 4 c.p.p. a norma del quale, per la determinazione della competenza (per materia) «non si tiene conto della recidiva»: l'esclusione della recidiva dal novero delle aggravanti da computare agli effetti della determinazione della competenza è stato tradizionalmente spiegata con le caratteristiche peculiari dell'istituto, che in sé non incide ontologicamente sulla quantitas delicti (Macchia, 29). La contestazione La recidiva, affinché possa avere ingresso nel processo e possa, quindi, essere valutata dal giudice della cognizione (al quale solo compete la valutazione e l'eventuale dichiarazione: Cass. VI, n. 3021/1990; Cass. I, n. 45768/2008), come tutte le aggravanti, dev'essere obbligatoriamente contestata dal P.M. all'imputato, a nulla rilevando che non risulti dal certificato penale (Cass. I, n. 16001/2009; Cass. VI, n. 5075/2014) e, essendo una circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole, ove contestata in calce a più imputazioni, deve intendersi riferita a ciascuna di esse salvo che si tratti di reati di diversa indole ovvero commessi in date diverse»: Cass. II, n. 3662/2016 ; Cass. II, n. 56688/2017; contra: Cass. III, n. 5170/2017, secondo la quale, invece, «La recidiva è una circostanza aggravante e, come tale, per essere ritenuta in sentenza deve aver formato oggetto di precisa contestazione con puntuale riferimento al singolo reato cui viene riferita dal giudice». Di conseguenza, potendo derivare da essa uno svantaggio giuridicamente apprezzabile all'imputato, è necessario che la contestazione sia specifica, sicché, in caso contrario, ove cioè risulti contestata, sic et simpliciter, la recidiva ex art. 99, senza alcuna altra specificazione, il giudice può ritenere solo la recidiva semplice: Cass. II, n. 5663/2012; Cass. V, n. 1703/2013, la quale, però, ha precisato, quanto alla recidiva qualificata di cui all'art. 99 comma 5, che, poiché la medesima non costituisce una forma autonoma di recidiva, ma solo una particolare manifestazione delle fattispecie di cui ai commi precedenti, non è necessaria, perché tale previsione esplichi effetto, la sua specifica contestazione. «la modifica dell'imputazione mediante la contestazione della recidiva (nella specie, reiterata), non accompagnata dalla notifica dell'estratto del verbale dibattimentale all'imputato contumace o assente, determina una nullità non assoluta ma relativa, poiché la modifica non investe il nucleo sostanziale dell'addebito, non recando pregiudizio al diritto dell'imputato di individuare con esattezza il fatto contestatogli, essendo i precedenti penali allo stesso noti»: Cass. II, n. 35821/2019 In linea con il suddetto orientamento, la giurisprudenza ritiene che «la sentenza di condanna pronunziata riconoscendo una circostanza aggravante mai contestata, neppure in fatto, costituendo violazione di disposizioni concernenti l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale, è, nella parte relativa a tale statuizione, affetta da nullità assoluta, come tale insanabile e rilevabile dal giudice in ogni stato e grado del procedimento»: Cass. V, n. 11412/2021; Cass. V, n. 32682/2018 Non può rimediarsi attraverso la procedura di correzione di errori materiali alla mancata contestazione nel decreto di fissazione dell'udienza e nella successiva sentenza di applicazione della pena, della recidiva precedentemente indicata nell'avviso di conclusione delle indagini, trattandosi di una modifica sostanziale del contenuto della sentenza: Cass. I, n. 26807/2008. Cass. II, n. 358730/2020 ha ritenuto che in ipotesi di contestazione suppletiva legittimamente effettuata, la recidiva reiterata infraquinquennale - già contestata in relazione ai reati precedentemente contestati - si estende e deve ritenersi contestata anche in relazione all'ulteriore reato oggetto della contestazione suppletiva, in quanto il vincolo della continuazione determina la sussistenza di un unico disegno criminoso e quindi un unico ed identico giudizio in ordine alla maggiore pericolosità dell'agente La motivazione Come si è detto (supra), ormai, a seguito della della Corte cost. n. 185/2015, il giudice, per tutte le forme di recidiva, è investito di una doppia discrezionalità: a) stabilire se ritenere o meno la recidiva contestata; b) stabilire, in caso di esito positivo del suddetto giudizio, la misura della pena da aumentare (per la sola ipotesi della recidiva monoaggravata: supra. Sul punto Cass. S.U., n. 35738/2010, hanno chiarito che è compito del giudice «quello di verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità, tenendo conto della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell'eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali. All'esito di tale verifica al giudice è consentito negare la rilevanza aggravatrice della recidiva ed escludere la circostanza, non irrogando il relativo aumento della sanzione». In dottrina, negli stessi termini, Bartoli, 2014, 895. Quindi, il giudice di merito, proprio perché è investito di un potere discrezionale, ha l'obbligo di fornire adeguata motivazione in ordine ai due profili evidenziati. Sul punto, la giurisprudenza ha ritenuto che: l'esclusione della recidiva, può essere motivata anche implicitamente ove in sentenza sia evidenziata la negativa personalità dell'imputato evincibile dalla sua pericolosità sociale (Cass. II, n. 39743/2015; Cass. V, n. 3799/2018; Cass. V, n. 24582/2022; Cass. IV, n. 8460/2022); non vi è interdipendenza fra concessione delle circostanze generiche e recidiva perché hanno un fondamento che trae origine da due ben distinte valutazioni non necessariamente collegate ad identici presupposti (ex plurimis Cass. S.U. n. 20808/2019; Cass. II, n. 106/2009; Cass. I, n. 11004/1977; Cass. II, n. 9205/1988;Cass. VI, n. 45623/2013; Cass. VI, n. 38780/2014. Le misure cautelari Per espressa previsione codicistica, agli effetti delle misure cautelari (art. 278 c.p.p.) e dell'arresto in flagranza e del fermo (art. 379 c.p.p.) «non si tiene conto della recidiva»: l'art. 278 comma 1 c.p.p. specifica, peraltro, che alla suddetta regola si fa eccezione per le circostanze ad effetto speciale. Era sorta, quindi, controversia sulla seguente questione: se, nel computo della pena edittale, ai fini della verifica della facoltatività dell'arresto in flagranza, e più in generale per la determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari, dovesse tenersi conto o meno della recidiva reiterata contestata che, in quanto circostanza ad effetto speciale, avrebbe potuto essere ricompresa fra le eccezioni alla regola. Sul punto, Cass. S.U., n. 17386/2011, ha statuito che ai fini della verifica dei limiti edittali stabiliti per l'arresto in flagranza, e, più in generale, della determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari, non si deve tener conto della recidiva reiterata. La procedibilità È discusso se la recidiva, ove contestata e ritenuta, abbia l'effetto di incidere sulla procedibilità di quei reati che, ove siano aggravati, diventano procedibili d'ufficio (es. art. 640 comma 3 c.p.). Tesi negativa: secondo una prima opinione, che s'ispira a Cass. S.U. , n. 3152/1987, la ratio del particolare regime di procedibilità prescelto dal legislatore per il delitto di truffa «dev'essere ricercato nella rilevanza degli aspetti civilistici sottesi a tale reato, i quali, però, in presenza di circostanze aggravanti, non possono prevalere sugli interessi pubblicistici. In altre parole, la truffa non è considerata una vicenda eversiva dell'ordine economico, ma piuttosto un fenomeno di valore meramente intersoggettivo, lesivo di un interesse prevalentemente privato. Da qui, anche, la logica della avulsione di una aggravante sui generis, come la recidiva, dal novero di quelle per le quali si giustificherebbe il regime di procedibilità ex officio [...] D'altra parte, il carattere ordinariamente «facoltativo» che continua a contraddistingue la recidiva (salvo le ipotesi eccezionalmente obbligatorie enunciate nell'art. 99 c.p., penultimo comma) e che impone al giudice di verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, escludendo l'aumento di pena, con adeguata motivazione sul punto, ove non ritenga che dal nuovo delitto possa desumersi una maggiore capacità delinquenziale (Cass. fer., n. 35526/2013), induce a concludere nel senso che una siffatta «circostanza» mal si presti a «giustificare» (sul piano non soltanto logico ma anche sistematico) la trasformazione della procedibilità in quella officiosa»: Cass. II, n. 26029/2014; Cass. II, n. 1876/1999; Cass. II, n. 10565/1988. Tesi affermativa : la tesi innanzi illustrata, però, è stata espressamente confutata da Cass. S.U., n. 20798/2011sul diverso presupposto secondo il quale «il giudizio sulla recidiva non riguarda l'astratta pericolosità del soggetto o un suo status personale svincolato dal fatto reato. Il riconoscimento e l'applicazione della recidiva quale circostanza aggravante postulano, piuttosto, la valutazione della gravità dell'illecito commisurata alla maggiore attitudine a delinquere manifestata dal soggetto agente, idonea ad incidere sulla risposta punitiva — sia in termini retributivi che in termini di prevenzione speciale — quale aspetto della colpevolezza e della capacità di realizzazione di nuovi reati, soltanto nell'ambito di una relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso, che deve essere concretamente significativo — in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, e avuto riguardo ai parametri indicati dall'art. 133 c.p. — sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo». Alla stregua di tale considerazione, le Sezioni Unite hanno, quindi, concluso che «può, quindi, dirsi definitivamente superato l'orientamento interpretativo espresso da una precedente decisione di queste Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 3152/1987, Paolini) che, pronunziandosi in tema di procedibilità d'ufficio del delitto di truffa, aveva qualificato la recidiva come circostanza aggravante sui generis, osservando che la stessa qualifica il soggetto [...] e «non produce alcun effetto sulla quantità del fatto-reato», assumendo rilevanza solo «quando sia presa in considerazione la misura della pena». Essa, infatti, dilatando il richiamo alla personalità dell'agente oltre i limiti di immediata e diretta rilevanza per la valutazione dello specifico episodio, mal si concilia con un diritto penale del fatto, rispettoso del principio di colpevolezza fondato sulla valutazione della condotta posta in essere dal soggetto nella sua correlazione con l'autore di essa»: negli stessi termini, Cass. VI, n. 16703/1989; Cass. II, n. 7391/1986; Cass. II, n. 10571/1985; Cass. VI, n. 3028/1983; Con ordinanza del 14 gennaio 2020 è stata rimessa alle S.U. il seguente quesito «se il riferimento alle aggravanti ad effetto speciale, contenuto nell'art. 649-bis c.p. ai fini della procedibilità d'ufficio per taluni reati contro il patrimonio, vada inteso come riguardante anche la recidiva qualificata di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell'art. 99 dello stesso codice». Le S.U. con sentenza n. 3585/2021 – oltre che ribadire che la recidiva è un'aggravante ad effetto speciale (vedi retro §2) -nel confermare la tesi affermativa delle S.U. n. 20798/2011, hanno affermato il seguente principio di diritto: «Il riferimento alle aggravanti ad effetto speciale contenuto nell'art. 649- bis , c.p., ai fini della procedibilità d'ufficio, per i delitti menzionati nello stesso articolo, comprende anche la recidiva qualificata - aggravata, pluriaggravata e reiterata - di cui all'art. 99, secondo, terzo e quarto comma c.p.» in dottrina: Romano- Grasso, 99, secondo il quale «analoga soluzione, per analoghe ragioni, è da accogliere a proposito [...] della determinazione delle ipotesi aggravate ai fini dell'esclusione dalla depenalizzazione alla stregua dell'art. 32, comma 2 l. n. 689/1981», così come ritenuto anche da Cass. VI, n. 4781/1993. L'impugnazione Interesse ad impugnare: sull'interesse dell'imputato ad impugnare la sentenza che abbia riconosciuto l'esistenza della recidiva, anche nel caso in cui non ne sia conseguito alcun aumento di pena in ragione del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, si registra un contrasto di opinioni, che origina, a ben vedere dalla questione illustrata supra). Secondo una prima tesi, l'imputato ha interesse ad impugnare perché «il riconoscimento della recidiva (comunque applicata ancorché in termini di sub-valenza rispetto alle attenuanti generiche) è destinato a produrre effetti nel futuro, ad esempio nell'applicazione delle norme dell'ordinamento penitenziario nel momento in cui si darà esecuzione alla pena inflitta e che pertanto, pur in presenza del favorevole bilanciamento, sussisteva e sussiste un interesse difensivo a vedersi eliminato il riconoscimento dell'aggravante»: Cass. V, n. 24622/2022; Cass. V, 6521/2019; Cass. I, n. 35429/2014;Cass. I, n. 27826/2013; Cass. VI, n. 3174/2012. Secondo, invece, altra tesi, è inammissibile, per carenza di interesse, l'impugnazione dell'imputato volta esclusivamente ad ottenere l'esclusione di una circostanza aggravante, quando la stessa sia già stata ritenuta subvalente rispetto alle circostanze attenuanti concorrenti, e ciò perché «contrariamente rispetto a quanto affermato dal primo orientamento, il trattamento sanzionatorio per l'ipotesi delittuosa-base va necessariamente determinato, ex art. 133, senza aver riguardo alla eventuale sussistenza di una circostanza aggravante, che potrà legittimare (in caso di concorso con circostanze attenuanti, soltanto in caso di prevalenza delle aggravanti) unicamente l'aumento di pena previsto dagli artt. 63 ss. A ritenere il contrario, si ammetterebbe, inammissibilmente, che la configurabilità di una circostanza aggravante possa incidere due volte, non una soltanto (come previsto dalla legge), sulla quantificazione della pena; ciò appare ancor più evidente ove si tratti di circostanze ad effetto od efficacia speciale»: Cass. II, n. 38697/2015; Cass. III, n. 3214/2015; Cass. IV, n. 27101/2016;Cass. III, n. 16717/2011;Cass. IV, n. 20328/2017; Cass. I, n. 43269/2019; Cass. IV, n. 19901/2019. Rilevabilità d'ufficio: sul punto, in coerenza con il disposto dell'art. 597 c.p.p. si è ritenuto: - «l'esclusione della recidiva sulla base di condanne a pene estinte ad ogni effetto penale deve formare oggetto di espressa deduzione nell'atto di impugnazione, non potendo essere rilevata di ufficio dal giudice di appello ex art. 597, comma 5, c.p.p. che consente di effettuare, quando occorre, il giudizio di comparizione tra circostanze, ma non di procedere ad un diverso giudizio di bilanciamento»: Cass. V, n. 7309/2015; Cass. II, n. 43288/2015 (in motivazione); di conseguenza e, a fortiori, la giurisprudenza ritiene che non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di cassazione, l'erronea applicazione della recidiva, ostandovi lo sbarramento posto dall'art. 606 c.p.p., comma 3, ultimo periodo, a tenore del quale il ricorso è inammissibile se è proposto "per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello: Cass. III, n. 27256/2020; Cass. II, n. 13826/2017; Alle stesse conclusioni la giurisprudenza è pervenuta in ordine alla carenza di motivazione sulla ritenuta sussistenza, da parte del giudice di primo grado, dei requisiti della recidiva. Cass. V, n. 22105/2022, ha infatti, stabilito che, in assenza di uno specifico motivo di impugnazione, il giudice dell’impugnazione non può rilevare ex officio il presunto vizio motivazionale. -«viola il divieto di "reformatio in peius" di cui all'art. 597, comma 4, c.p.p, il giudice di appello che, su gravame del solo imputato, nel rideterminare la pena a titolo di continuazione, pur diminuendola complessivamente, operi un diverso computo tenendo conto della contestata recidiva, nonostante la stessa fosse stata esclusa dal giudice di primo grado»: Cass. II, n. 42403/2016; - «non viola il divieto di "reformatio in pejus" il giudice d'appello che, accogliendo il gravame limitatamente al riconoscimento di una circostanza ad effetto speciale, applichi - senza peraltro irrogare una pena complessiva maggiore di quella stabilita in prime cure - un aumento per la recidiva reiterata nella misura "piena" di cui all'art. 99, comma 4. c.p. superiore a quella fissata in primo grado in base al meccanismo di contenimento previsto dall'art. 63, comma 4, c.p., non essendo tale meccanismo più applicabile dopo l'esclusione dell'aggravante ad effetto speciale»: Cass. II, n. 18089/2016; «Il giudice di appello, dopo aver riqualificato la recidiva ed operato un suo ridimensionamento (per esempio, escludendo la recidiva specifica, ovvero quella infraquinquennale ovvero quella reiterata ovvero ancora tutte le recidive qualificate precedentemente ritenute) in accoglimento dei motivi proposti dall'imputato, può, senza incorrere nel divieto di "reformatio in peius", confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purchè questo sia accompagnato da adeguata motivazione»: Cass. II, n. 28532/2021. Il patteggiamento allargatoL'art. 444 comma 1-bis c.p.p. stabilisce che sono esclusi dall'applicazione della pena su richiesta, fra gli altri, i «recidivi ai sensi dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale, qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria». La suddetta norma ha sempre superato il vaglio di costituzionalità, in quanto la Corte cost. ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione sollevata — per contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost. nella parte in cui esclude l'applicabilità del patteggiamento “allargato” ai recidivi reiterati — rilevando che la suddetta esclusione risulta coerente con le finalità perseguite in via generale dall'ordinamento penale, ben potendo il legislatore — nell'estendere la sfera applicativa del rito alternativo — prevedere specifiche «esclusioni soggettive nei confronti di coloro che, da un lato, hanno dimostrato un rilevante grado di capacità a delinquere e, dall'altro, sono imputati di reati che, ove si tenga conto della determinazione della pena in concreto e della speciale diminuente di un terzo per effetto del patteggiamento, rivestono non trascurabile gravità, tanto da comportare l'applicazione di una pena detentiva superiore a due e sino a cinque anni»: Corte cost. n. 421/2004 e Corte cost. n. 455/2006. In giurisprudenza, si è posto il quesito se possa accedere al patteggiamento allargato l'imputato al quale sia contestata, per la prima volta, nel suddetto procedimento, la recidiva reiterata e se, a tal fine, sia sufficiente la sola contestazione, ovvero, perché sia operativa la preclusione, sia necessario che la recidiva sia stata accertata in un precedente giudizio. Sul punto sono intervenute le Cass. S.U., n. 35738/2010, che hanno statuito che: - la recidiva reiterata determinante l'effetto preclusivo del patteggiamento allargato è quella che si riferisce al reato oggetto di contestazione e della richiesta di patteggiamento: «la formula lessicale contenuta nella disposizione in esame («coloro che siano stati dichiarati recidivi ai sensi dell'art. 99, quarto comma, del codice penale») non può essere interpretata nel senso che indichi la necessità di una pregressa «dichiarazione» giudiziale della recidiva; la circostanza aggravante, invero, può solo essere «ritenuta» ed «applicata» per i reati in relazione ai reati è contestata, ed in questo modo deve essere intesa detta espressione la quale, imprecisa sotto il profilo tecnico, è stata evidentemente utilizzata dal legislatore per ragioni di semplificazione semantica essendo essa riferita anche ad altre situazioni soggettive che, attributive di uno specifico status (delinquente abituale, professionale e per tendenza), abbisognano di un'apposita dichiarazione che la legge espressamente prevede e disciplina agli artt. 102, 105, 108, 109 c.p.»; - la recidiva reiterata, per produrre l'effetto preclusivo di cui all'art. 444, comma 1-bis, c.p.p. deve essere riconosciuta dal giudice, che la ritiene in concreto espressione di maggior colpevolezza o pericolosità del reo, cioè non la esclude («la recidiva reiterata di cui all'art. 99, comma 4, opera quale circostanza aggravante facoltativa, nel senso che è consentito al giudice escluderla ove non la ritenga in concreto espressione di maggior colpevolezza o pericolosità sociale del reo; e che, dall'esclusione deriva la sua ininfluenza non solo sulla determinazione della pena ma anche sugli ulteriori effetti commisurativi della sanzione costituiti dal divieto del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti di cui all'art. 69, comma 4, dal limite minimo di aumento della pena per il cumulo formale di cui all'art. 81, quarto comma, c.p., dall'inibizione all'accesso al «patteggiamento allargato» ed alla relativa riduzione premiale di cui all'art. 444, comma 1-bis, c.p.p.»). La giurisprudenza ritiene che, ai fini della preclusione al patteggiamento a pena detentiva superiore a due anni (cosiddetto “patteggiamento allargato”), è sufficiente che la recidiva, contestata ai sensi dell'art. 99, comma 4, c.p., sia stata riconosciuta dal giudice, anche se in concreto non applicata per effetto del giudizio di equivalenza con circostanze attenuanti, non essendo, quindi, sufficiente che « dal certificato penale dell'imputato emerga una situazione di recidiva qualificata, ma occorre che la stessa sia stata espressamente riconosciuta e dichiarata dal giudice:; Cass. II, n. 23548/2019; Cass. IV, n. 30060/2022; Cass. VI, n. 23052/2017; Cass. I, n. 23643/2014. Ipotesi speciali di recidivaNello stesso codice penale e nella legislazione speciale, sono previste una serie di ipotesi di recidive speciali che, qui di seguito, ci si limita ad indicare rinviando, per il commento, alla letteratura specialistica (quanto alle leggi speciali) e ai singoli articoli del codice del codice. In proposito è opportuno chiarire che alcune recidive hanno natura generale nell'ambito in cui sono previste, altre riguardano singoli delitti dolosi, altre delitti colposi, altre ancora reati contravvenzionali. Recidive generali a) Reati militari: la recidiva è prevista all'art. 57 c.p.mil.p.; b) Reati di competenza del Giudice di Pace: la recidiva è prevista all'art. 52 commi 3-4 d.lgs. n. 274/2000. c) Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica: la recidiva è prevista all'art. 20 d.lgs. n. 231/2001 Recidive per delitti dolosi a) Codice penale: artt. 639, 517-bis comma 2, 544-sexies; b) d.P.R. n. 43/1973 (contrabbando doganale) art. 296; c) l. 17 luglio 1942, n. 907 (Legge sul monopolio dei sali e dei tabacchi): art. 82 (recidiva nel contrabbando). Recidive per reati contravvenzionali a) Codice della Strada d.lgs n. 285/1992 (art. 186, comma 2, lett c); art. 187 comma 1) La c.d. "recidiva nel biennio" di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c) (ai fini della revoca della patente di guida), costituisce una disciplina non sovrapponibile alla recidiva regolata dall'art. 99 c.p. Infatti, questa – essendo suscettibile di incidere negativamente sul trattamento sanzionatorio penale dell'imputato – dev’essere preventivamente contestata. Al contrario, la "recidiva nel biennio" deriva dal semplice rilievo storico della ripetizione, entro un arco di tempo predeterminato, di un illecito penale riconducibile alla fattispecie della "guida in stato di ebbrezza" previsto dall'art. 186 C.d.S., , comma 2, sicchè, una volta accertata, da essa consegue, un mero effetto legale rilevante solo sul piano amministrativo (revoca patente di guida). La recidiva di cui al C.d.S. si riferisce, quindi, semplicemente alla situazione di chi, già condannato per la commissione di una condotta illecita, penalmente rilevante, sussumibile nella generale figura criminosa del reato di guida in stato di ebbrezza di cui all'art. 186 C.d.S., , comma 2, venga nuovamente condannato (nel biennio) per lo stesso reato, ma nella sua forma più grave (quella della lett. c). Ciò che comporta, rispetto al "non recidivo", un trattamento più severo esclusivamente sul piano amministrativo, derivandone (non la sospensione ma) la revoca della patente del soggetto condannato. Infatti, le due ipotesi di cui alle lett. b) c) hanno struttura e finalità identiche, differenziandosi fra loro solo per la differente graduazione dei valori-soglia del tasso alcolemico accertato. Di conseguenza, è stato affermato il principio secondo il quale, in tema di guida in stato di ebbrezza, l'estinzione del reato a seguito del positivo espletamento del lavoro di pubblica utilità, presupponendo l'avvenuto accertamento del fatto, non impedisce al giudice di valutarlo in un successivo processo quale precedente specifico ai fini del giudizio circa la "recidiva nel biennio", prevista dall'art. 186 C.d.S., , comma 2, lett. c): Cass. IV, n. 11719/2019; Cass. IV, n. 28293/2020. Cass. IV, n. 27398/2018 ha chiarito che «In tema di guida senza patente, per l'integrazione della recidiva nel biennio idonea, ai sensi dell'art. 5 d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, ad escludere il reato dall'area della depenalizzazione, non è sufficiente che sia intervenuta la mera contestazione dell'illecito depenalizzato ma è necessario che questo sia stato definitivamente accertato; Cass. IV. n. 21294/2022. b) artt. 1, comma 2 e 2, comma 2 l. 7 febbraio 1992, n. 150 (Disciplina dei reati relativi all'applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla l . 19 dicembre 1975, n. 874, e del Regolamento (Cee) n. 3626/1982, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica); c) art. 32 l. 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio). Recidive per delitti colposi Art. 224-bis Codice della Strada. BibliografiaBartoli, Recidiva, in Enc. dir., Annali, VII, Milano, 2014, 886 ss.; Bartoli, La recidiva davanti allo specchio dello Costituzione, in Dir. pen. e proc., Gli speciali, 2012; Brunelli, Frammenti storici e attuali della recidiva, La recidiva tra prassi e Costituzione, in Dir. pen. e proc., Gli speciali, 2012; Latagliata, Contributo allo studio della recidiva, Napoli, 1958, 223; Macchia, art. 4, in Commentario Amodio-Dominioni, I, Milano, 1989, 29; Mazza, Recidiva, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 68; Pittaro, Recidiva, in Dig. d. pen., XI, Torino, 1996, 359; Malinverni, Circostanze del reato, in Enc. dir., Milano, 1960, 72; Piffer, I nuovi vincoli alla discrezionalità giudiziale: la disciplina della recidiva, in penalecontemporaneo.it, 30 dicembre 2010; Serianni, Recidiva, in Nss. d. I., Appendice, VI, Torino, 1986, 370. |