Codice Penale art. 113 - Cooperazione nel delitto colposo.

Pierluigi Di Stefano

Cooperazione nel delitto colposo.

[I]. Nel delitto colposo [43], quando l'evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso [114].

[II]. La pena è aumentata [64] per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni stabilite nell'articolo 111 e nei numeri 3 e 4 dell'articolo 112.

Inquadramento

L'art. 113 prevede l'ipotesi di partecipazione di più persone nel delitto colposo definendola “cooperazione”: se l'evento è stato cagionato dalle azioni combinate di più persone, ciascuna di queste soggiace alla pena stabilita per il delitto stesso. È poi previsto, al secondo comma, l'aggravamento di pena nei casi di cui all'art. 111 nonchè di quelli di cui ai numeri 3 e 4 dell'art. 112.

L'art. 114, inoltre, prevede testualmente che le attenuanti da esso disciplinate riguardino sia le ipotesi dell'art. 110 che dell'art. 113. 

Una prima peculiarità rispetto al concorso “doloso” dell'art. 110 è che si fa riferimento ai soli “delitti”, quindi è testualmente esclusa l'applicabilità della disciplina della disposizione in esame alle contravvenzioni colpose.

La norma è riferita ad attività dei vari soggetti in un qualche modo collegate (tale è il significato testuale di “cooperazione”) e non richiede che ciascuna, singolarmente, sia astrattamente in grado di realizzare di per sé sola il reato. È, quindi, escluso che la norma faccia riferimento anche al fenomeno di un evento cagionato da più condotte colpose tra loro autonome.

Il primo caso è quello di colui che guida in eccesso di velocità per espressa sollecitazione della persona cui si accompagna, investendo e uccidendo un pedone per tale condotta di guida. Il secondo caso è quello in cui due autovetture, sopraggiungendo autonomamente in eccesso di velocità, si scontrano proprio per essere state impedite le necessarie manovre di emergenza dalle condotte di entrambi, restando coinvolto ed ucciso un passante.

In ambedue i casi le condotte dei due soggetti hanno causalità rispetto all'evento ma nella prima ipotesi vi è stata un'azione comune con “cooperazione”, nell'altro caso i due soggetti si trovavano ad operare nello stesso contesto, violando ciascuno le regole di prudenza ma senza collegamento con l'azione dell'altro. Quindi, in tale secondo caso, pur se l'evento è unico, è frutto di autonome condotte.

La figura è alquanto controversa in dottrina, dubitandosi addirittura che possa parlarsi di una situazione assimilabile al concorso e non rilevandosi una utilità specifica della disposizione: vi è, difatti, una tesi secondo cui l'art. 113 interviene in un caso nel quale la responsabilità dei cooperanti può già essere affermata secondo i principi generali e la sua funzione è solo quella di modulare il trattamento penale con la previsione di aggravanti ed attenuanti specifiche.

La giurisprudenza, invece, ha fatto notare come si tratti di una disposizione con una funzione estensiva dell'ordinamento chiaramente parallela a quella dell'art. 110.

La funzione è quella di rendere punibili condotte che non realizzino l'intera condotta tipica o, rispetto al tipo di condotta che può produrre il determinato evento, abbiano caratteristiche di atipicità. Insomma, anche in questo caso, come nel concorso ex art. 110, si tratta di una disposizione che rende punibili condotte che, pur se percepite sostanzialmente come di responsabilità per la realizzazione dell'evento, senza tale norma non sarebbero punibili perché carenti di tipicità (“per assumere concludente significato hanno bisogno di coniugarsi con altre condotte”).

Il concorso colposo (“cooperazione”), quindi, si realizza sul piano della condotta e della consapevole partecipazione ad un'azione comune e non sul piano della volontà dell'evento (Cass. S.U., n. 5/2011: “ si verifica quando più persone pongono in essere una data autonoma condotta nella reciproca consapevolezza di contribuire all'azione od omissione altrui che sfocia nella produzione dell'evento non voluto”; Cass. fer., n. 41158/2015: “ … sufficiente la … consapevolezza del coinvolgimento di altri soggetti in una determinata attività …”).

La differenza rispetto al citato concorso di cause colpose indipendenti consiste nella necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti della convergenza dei rispettivi contributi.

Che la legge intenda introdurre una chiara differenza di trattamento rispetto alle condotte colpose autonome risulta proprio dalla previsione di specifiche circostanze che aggravano la pena per il soggetto che abbia assunto un ruolo preponderante e la riducono per chi abbia apportato un contributo di minima importanza. Soprattutto tale ultimo caso riguarda casi di condotte che, di norma, non sono da sole sufficienti a fondare la responsabilità colpevole (Cass. IV, n. 33450/2011).

L'effetto estensivo dell'art. 113 si manifesta, anche nel caso di concorso in reato colposo proprio: in tale modo, difatti, è stato affermato che vi è responsabilità di chi abbia partecipato all'illecito del soggetto qualificato (Cass. III, n. 9097/1993).

Elemento psicologico

Secondo la giurisprudenza, per la situazione di cooperazione nel reato colposo, ciascun soggetto responsabile deve essere consapevole della comune azione, da intendere, però, nel senso di comune attività (la parte deve sapere che altri svolgono una determinata attività) e non di consapevolezza della natura di reato colposo dell'altrui condotta (Cass. n. 25846/2019). Senza la reciproca consapevolezza, invece, non è configurabile la cooperazione, non potendosi affatto parlare di un'azione comune (Cass. IV, n. 48318/2009). Che tale consapevolezza non debba investire l'evento è, del resto, condizione fondamentale per mantenersi nell'ambito del delitto colposo (Cass. n. 45069/2004).

Evidentemente ogni singola condotta deve potere essere qualificata come colposa: la questione è risultata ben evidente nel caso in cui il superamento delle emissioni elettromagnetiche era conseguenza della presenza di più emittenti: si è ritenuto necessaria la colpa di ciascun gestore per potere valorizzare la somma delle emissioni quali integranti la violazione (Cass. III, n. 15707/2009)

Querela

La disciplina della querela opera diversamente nella ipotesi di cui all'art. 113 rispetto a quella di condotte colpose autonome che hanno causato l'evento, nel senso che solo nel primo caso trova applicazione la regola di estensione degli effetti della querela (Cass. IV, 3584/2010).

Concorso colposo in delitto doloso - concorso doloso in delitto colposo

All'art. 113 si fa riferimento anche per affermare la configurabilità del concorso colposo in delitto doloso; è una figura controversa che, in realtà, trova giustificazione nel complesso delle disposizioni del concorso di persone.

La giurisprudenza recente ritiene che il concorso colposo possa configurarsi sia nel caso in cui la condotta colposa concorra con quella dolosa alla causazione dell'evento quale “causa indipendente”, sia in quello della cooperazione colposa (Cass. IV, n. 22042/2015).

Una delle obiezioni mosse a tale ipotesi era che l'art. 42, comma 2 (necessità del dolo e punibilità a titolo colposo solo in caso di espressa previsione di legge) sarebbe ostativo a sanzionare la stessa condotta dolosa anche a titolo di colpa laddove il reato “principale” sia doloso richiedendo sempre una specifica previsione di legge che, appunto, per tale caso manca (Cass. IV, 9542/1996). A tale obiezione si è risposto che l'art. 42 opera in riferimento ai singoli reati della parte speciale del codice ma non incide sull'ambito di applicabilità degli artt. 110 e 113 che hanno proprio una funzione estensiva (In tale senso Cass. IV, n. 39680/2002 che ha affermato la responsabilità colposa di un soggetto per aver contribuito a cagionare l'incendio appiccato dolosamente da persona rimasta ignota).

Per l'applicazione concreta di tale forma di concorso, le condizioni sono: ovviamente che il reato in questione possa essere punito anche nella forma colposa; poi che vi sia una colpa riferibile alla violazione di una regola cautelare fissata per prevenire il rischio del prevedibile atto doloso del terzo. L'affermazione è stata fatta in riferimento al medico che aveva attestato, contrariamente al vero, che l'imputato non era affetto da turbe psicofisiche, così da consentirgli di ottenere il porto d'armi; si è quindi ritenuto il concorso colposo nell' omicidio volontario commesso dal paziente (Cass. IV, n. 22042/2015). La stessa affermazione di responsabilità è stata fatta per il medico psichiatra che aveva imprudentemente sospeso il trattamento farmacologico del paziente ricoverato in comunità, conseguendone uno scompenso psichico, causa di una crisi in ragione della quale il paziente, poi ritenuto non imputabile, aveva aggredito ed ucciso uno degli operatori che lo accudivano (Cass. IV, n. 10795/2008).

Va però considerato una decisione più recente (Cass. IV, n. 7032/2019) che ha rivisto tale indirizzo in un caso (anche stavolta) di errore del medico nel certificare le condizioni di salute ai fini del rilascio del porto d'armi di soggetto che, per le proprie turbe psicofisiche, commetteva un omicidio con arma. Si riprende la interpretazione dell'art. 42, comma 2, di cui alla citata sentenza Cass. IV, 9542/1996 e si chiarisce che la situazione in questione trova la sua soluzione nell'ambito del “concorso di cause indipendenti, difettando in essi il legame psichico dei coagenti che costituisce, invece, il requisito soggettivo necessario per l'esistenza della fattispecie concorsuale. Ne deriva, conseguentemente, la configurazione, ove ne ricorrano i presupposti, di due fattispecie monosoggettive, l'una colposa e l'altra dolosa,”La configurabilità della opposta ipotesi del  concorso doloso nel reato colposo va ammessa facendosi riferimento, però, non all'art. 113 ma all'art. 110 che, anche laddove la condotta dolosa non integri di per sé sola reato, rende rilevante la condotta di partecipazione atipica nel delitto colposo commesso da un'altra persona (Cass. IV, n. 7032/2019).

Cooperazione della contravvenzione colposa

Il dato testuale dell'art. 113 che fa riferimento ai soli delitti colposi appare escludere l'applicabilità della disposizione alle contravvenzioni colpose. Non è, però, una lettura condivisa.

In una decisione (Cass. I, n. 138/1995, alla cui motivazione ha fatto rinvio adesivo la più recente Cass. III, n. 48016/2014) si è sostenuto che la cooperazione nel reato colposo, pur se indiscutibilmente l'art. 113 fa riferimento ai soli delitti colposi, è comunque riferibile anche alle contravvenzioni colpose, come si desume dall'art. 43, ultimo comma “ per il quale la distinzione tra reato doloso e colposo, stabilita dalla legge per i delitti, si applica anche alle contravvenzioni ogni qualvolta da tale distinzione discendono effetti giuridici”. Una particolare applicazione è stata fatta anche da Cass. III, 1068/1991) in tema di responsabilità del consulente fiscale per l’omessa dichiarazione di dati fiscalmente rilevanti da parte del contribuente.

Varia dottrina (Fiandaca Musco, PG; Caraccioli, Manuale) è contro tale interpretazione valorizzando il dato testuale dell'art. 113. In altri casi (Canestrari-Cornacchia-De Simone, Manuale) si privilegia la lettura testuale senza analogie in malam partem pur lasciandosi aperto il problema proprio sul piano testuale: si propone una lettura nel senso della necessità dell'art. 113 al solo fine di estendere la punibilità ex art. 110 ai delitti per i quali è necessaria una tipizzazione normativa della punibilità a titolo di colpa; l'art. 113, secondo tale lettura, non disciplina le contravvenzioni perché per queste sarebbe sufficiente la disposizione generale dell'art. 110. Vi è, però, un significativo dato contrario:  se così fosse, per le contravvenzioni colpose, disciplinate dall'art. 110, sarebbero applicabili le aggravanti dei numeri 1 e 2 dell'art. 112, testualmente non applicabili invece, ex art. 113, ai delitti colposi.

Casistica

La casistica è particolarmente rilevante anche per ricostruire i principi:

Cass. IV, n. 16978/2013 individua una ipotesi in cui solo la sinergia aveva prodotto l'evento nel caso in cui gli imputati, benché avvertiti della pericolosità del loro comportamento e ben rappresentandosi che i pallini da caccia avrebbero potuto attingere le persone presenti nelle vicinanze, avevano continuato ad esplodere insieme alcuni colpi di fucile, causando lesioni ad una persona presente. Cass. IV, n. 36280/2012 afferma, per ritenere la responsabilità per omicidio colposo, che “qualora i compartecipi agiscano simultaneamente secondo uno specifico e convergente modulo organizzativo connesso alla gestione del rischio, ciascuno di essi deve intervenire non solo individualmente in modo appropriato, ma deve anche adoperarsi efficacemente per regolare e moderare la condotta altrui, ponendo così in essere un'azione di reciproca vigilanza”. Di un controllo reciproco, quale regola di gestione del rischio, si parla anche in tema di disastro aviatorio colposo in cui si è ritenuta la responsabilità del secondo pilota che non si era prudentemente attivato, una volta constatato l'atteggiamento colpevolmente omissivo da parte del superiore gerarchico, nel seguire le fasi del rifornimento di carburante, nell'operare una diminuzione di quota, nel posizionare correttamente le eliche durante l'ammaraggio e nell'avvertire per tempo i passeggeri (Cass. IV, n. 26239/2013). Cass. IV, 1428/2012 ha ritenuto responsabile di incendio colposo a titolo di cooperazione il conducente di un trattore il quale, dopo che il proprietario di un fondo aveva appiccato il fuoco alla sterpaglia, ebbe a praticare dei solchi nel terreno con un trattore senza tener conto del forte vento e così contribuendo alla propagazione delle fiamme (Cass. IV, n. 1428/2012). È stata ritenuta responsabile di omicidio colposo a titolo di cooperazione la madre della vittima, la quale era salita a bordo dell'autovettura guidata dal coniuge, ubriaco, senza preoccuparsi di collocare nel seggiolino di sicurezza il figlio, che rimaneva ucciso nell'incidente stradale (Cass. IV, n. 49735/2014). Il direttore di uno studio medico che consente che un soggetto non abilitato commetta il reato di cui all’art. 348, oltre ad essere responsabile in concorso di tale ultimo reato, risponde delle eventuali lesioni colpose causate da tale soggetto se derivanti dalla sua mancanza di professionalità e prevedibili (Cass. VI, n. 21220/2013).

La Cass. IV, n. 7346/2015  ha, peraltro, chiarito che non è certo sufficiente fare parte del gruppo dei soggetti che devono “gestire il rischio” senza valutare, in relazione al ruolo concreto di ciascuno, la causalità con l'evento, come si è affermato in materia di componente di una vasta equipe chirurgica. Per le stesse ragioni, ritenuta la necessaria colpa del singolo cooperante, e quindi l' insufficienza del mero dato della possibile valenza causale, si è affermato che non possa ritenere responsabile il medico che si era occupato della fase preparatoria e successiva di un intervento chirurgico senza considerare se avesse potuto conoscere e valutare l'attività svolta da altro collega, di controllarne la correttezza e di agire ponendo rimedio agli errori emendabili da lui commessi (Cass. IV, n. 43988/2013).

Si vedano anche Cass. IV, n. 6499/2018 che esclude la responsabilità del progettista dei primi lavori per il crollo cagionato dalla somma dei successivi interventi edilizi.  Cass. IV, n. 24165/2013  che ritiene responsabile dell'annegamento di un minore nella piscina l'educatrice la quale si era allontanata pur a fronte dell'obbligo di costante vigilanza e il sorvegliante che non si era posto in grado di controllare l'area.

Cass. n. 46408/2021 che ha ritenuto responsabile il soggetto che, senza abilitazione, manovrava un autocompattatore che i responsabili dell’azienda lasciavano circolare in area con circolazione pedonale, entrambe le azioni comportando la morte di un dipendente.

Bibliografia

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