Codice Penale art. 128 - Termine per la richiesta di procedimento.

Pierluigi Di Stefano

Termine per la richiesta di procedimento.

[I]. Quando la punibilità di un reato dipende dalla richiesta dell'Autorità [8-11, 127, 313 4], la richiesta [342 c.p.p.] non può essere più proposta, decorsi tre mesi dal giorno in cui l'Autorità ha avuto notizia del fatto che costituisce il reato (1).

[II]. Quando la punibilità di un reato commesso all'estero dipende dalla presenza del colpevole nel territorio dello Stato [4 2, 9, 10], la richiesta non può essere più proposta, decorsi tre anni dal giorno in cui il colpevole si trova nel territorio dello Stato.

(1) V. art. 3 n. 4 l. 10 maggio 1976, n. 342; art. 2 l. 25 marzo 1985, n. 107; artt. 4 1-2 e 81 l. 28 dicembre 1989, n. 422.

Inquadramento

L'art. 128 disciplina la richiesta di procedimento da parte della Autorità. La disposizione va ricollegata all'art. 342 c.p.p. che prevede che l'Autorità competente presenti la richiesta al pubblico ministero con atto sottoscritto.

La norma, in particolare, indica il termine per la richiesta, nulla dicendo sul contenuto dell'atto che, invero, evidentemente consiste in una semplice manifestazione formale di volontà dell'amministrazione competente, non rilevando dal punto di vista penalistico le ragioni della scelta; perciò non si richiede alcuna motivazione. Ciò è conforme, del resto, alla natura di condizione di procedibilità di tale atto (Mantovani), alla pari della querela. Non si è, difatti, in presenza di un elemento facente parte della struttura del fatto-reato o alla sua punibilità, bensì di un elemento che condiziona la procedibilità dell'azione penale e l'intervento del giudice.

Anche la presenza del colpevole nel territorio dello Stato, richiesta dall'art. 10 c.p. per la «punibilità» di taluni reati commessi all'estero dallo straniero, è strutturata come condizione di procedibilità, soggetta quindi alle regole proprie di queste, e l'inizio di tale presenza costituisce, quindi, il dies a quo di decorrenza del termine (non soggetto a sospensioni o ad interruzioni) per la richiesta (Cass. I, n. 4144/1992).

Il termine previsto dal primo comma è corrispondente a quello fissato per la querela, ovvero tre mesi dal giorno della conoscenza del reato da parte della Autorità.

Il secondo comma, con riferimento alle ipotesi in cui la richiesta riguardi la procedibilità dei reati commessi all'estero, fissa il termine di tre anni dal giorno della presenza del colpevole in Italia laddove la punibilità dipenda da tale presenza.

Tra le poche decisioni note, la giurisprudenza, in casi di competenza del Ministro della giustizia, ha chiarito che, per la ipotesi del primo comma, il momento di decorrenza del termine va riportato a quello in cui il Ministro stesso ha avuto conoscenza precisa, certa e diretta del fatto, ovvero il momento in cui ha avuto gli elementi di valutazione necessari ad effettuare la scelta; si tratta, quindi, delle medesime regole della querela, al cui commento si rinvia per la più ampia giurisprudenza; in definitiva, il termine per la richiesta non decorre se la notitia criminis non abbia un contenuto concreto ed idoneo a porre la competente autorità a conoscenza degli elementi essenziali del fatto (Cass. I, n. 2521/1972). Quando si tratti di un delitto “politico”, la relativa qualifica spetta all'A.G. per cui il termine per la formulazione della richiesta di procedimento decorre dal momento nel quale il P.M. comunichi l'intenzione di procedere per il reato così qualificato (Cass. I, n. 24795/2018).

L'onere della prova della eventuale intempestività, laddove non risulti dagli atti, grava sul soggetto che la invoca; quindi non può essere fondata su una situazione di incertezza, essendo escluse presunzioni o deduzioni logiche ed applicandosi un principio di favore per il richiedente; anche in questo caso vi è sostanziale corrispondenza alle regole in tema di querela (Cass. II, n. 47918/2011).

Il secondo termine, quello di tre anni dalla presenza in Italia del reo, è del tutto diverso dalla ipotesi del primo comma ed in questo caso rileva il solo dato oggettivo della presenza in Italia (Cass. I, n. 3375/2002) senza alcun rilievo della conoscenza effettiva o meno da parte dell'Autorità. È ovviamente una scelta legislativa non sindacabile che peraltro, per la ampiezza del termine, rispetta i criteri di ragionevolezza (Cass. I, n. 3624/1995).

Quanto ai rapporti tra le due ipotesi, il termine di tre mesi dalla notizia del fatto, previsto dal primo comma, non è applicabile ai reati per la cui punibilità è necessaria la presenza del colpevole nel territorio dello Stato rispetto ai quali vale esclusivamente il distinto ed autonomo termine di tre anni a decorrere dall' inizio della presenza in Italia (Cass. I, n. 3375/2002).

In una particolare situazione si è però affermato che il termine non possa decorrere in automatismo: in una ipotesi di istanza di punizione ex art. 130 (per la quale si applicano le regole della richiesta), che spettava alla persona offesa proporre, a fronte di una fittizia apparenza di cittadinanza italiana creata dall'imputato straniero, il termine è stato fatto decorrere da quando la persona offesa è venuta a conoscenza della diversa nazionalità (Cass. I, n. 3624/1995).

In quanto atto sostanzialmente corrispondente alla querela, anche sotto il profilo della disciplina, può farsi riferimento al commento a tale ultima figura, in particolare per quanto riguarda la applicazione del termine del primo comma in caso di reato permanente, continuato. etc. Per il secondo comma non rilevano le stesse disposizioni essendo il termine collegato a un dato non riferibile al reato in sé.

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