Codice Penale art. 151 - Amnistia.Amnistia. [I]. L'amnistia estingue il reato, e, se vi è stata condanna [442 2, 448 1, 460, 533, 605 1, 648, 650 c.p.p.], fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie [19, 184; 672 c.p.p.] (1). [II]. Nel concorso di più reati, l'amnistia si applica ai singoli reati per i quali è conceduta. [III]. La estinzione del reato per effetto dell'amnistia è limitata ai reati commessi a tutto il giorno precedente la data del decreto (2), salvo che questo stabilisca una data diversa [79 2 Cost.]. [IV]. L'amnistia può essere sottoposta a condizioni o ad obblighi [672 5 c.p.p.]. [V]. L'amnistia non si applica ai recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell'articolo 99, né ai delinquenti abituali [102, 103], o professionali [105] o per tendenza [108], salvo che il decreto (2) disponga diversamente. (1) La Corte cost., con sentenza 14 luglio 1971, n. 175, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma «nella parte in cui esclude la rinunzia, con le conseguenze indicate in motivazione, all'applicazione dell'amnistia». (2) A seguito della modifica dell'art. 79 2 Cost. ad opera della l. cost. 6 marzo 1992, n. 1 deve ora intendersi «legge». InquadramentoNel Titolo VI del Libro Primo del Codice è contenuta la regolamentazione legislativa delle cause di estinzione del reato. Tra le cause estintive del reato figura dunque l'amnistia, la quale costituisce — unitamente all'indulto — espressione del potere di clemenza riconosciuto allo Stato; tale potere si estrinseca qui attraverso un provvedimento di carattere generale ed astratto che rampolla storicamente da quella che era definita appunto clemenza sovrana, “denominazione risalente a quando il monarca assoluto, amministrando giustizia, si compiaceva in determinate occasioni, per ragioni per lo più politiche ma alle quali poteva ovviamente non essere in concreto estraneo un autentico spirito di indulgenza, di non dar corso al perseguimento e alla punizione di alcuni reati già commessi, o di soprassedere all’esecuzione o alla prosecuzione di pene già inflitte, oppure ancora di condonare una parte della pena o di commutare la pena stessa in altra meno grave” (Romano, Grasso, Padovani, 22). Sotto il profilo squisitamente dogmatico, parte della dottrina ha giustamente precisato che il reato è anzitutto un fatto storico, che ha una sua specifica manifestazione fenomenica e che, in quanto tale, non è naturalisticamente soggetto ad una vera e propria estinzione; correlata alla manifestazione oggettiva del reato — dunque all'agire del soggetto — vi è poi una efficacia giuridica del fatto, in quanto dato concreto-produttivo di conseguenze giuridiche. L'amnistia sarebbe dunque più propriamente da definire quale causa di estinzione dell'efficacia penalistica del fatto. Ciò che si estingue è la conseguenza in campo penalistico; sopravvivono ovviamente il fatto storicamente verificatosi, nonché le eventuali ulteriori conseguenze prodottesi, ad esempio in campo civilistico o amministrativo (Camerini, 8). L'amnistia è un istituto dettato per il campo penalistico, ma che ha un rilievo costituzionale. È infatti collocata nell'art. 75 Cost. la norma che esclude le leggi di amnistia dalla possibile sottoposizione a referendum; nel successivo art. 79 Cost., si trova la regolamentazione del potere parlamentare di concessione del provvedimento di clemenza. Profili generaliLa struttura e la funzione dell'istituto. Trattasi di un istituto che interviene dopo il fatto, accordando agli autori dello stesso una impunità retroattiva; si riferisce quindi ad accadimenti che, sotto il profilo fenomenico, risultano già interamente concretizzatisi. Esso si indirizza inoltre verso un numero di destinatari che — sebbene nella pratica possa essere anche potenzialmente considerevole — non è però passibile di ulteriore allargamento. Altra caratteristica del provvedimento di clemenza in esame risiede nel fatto che esso promana da un organo diverso, rispetto a quello deputato all'applicazione della sanzione. Si è poi giustamente osservato come non si verifichi qui un fenomeno di sospensione della valenza della legge penale; ciò che viene derogato o sospeso è infatti solo il profilo sanzionatorio della norma primaria, che resta invece intatta nella sua essenza (Maiello, 390). La struttura retroattiva, oltre che collettiva ma non genuinamente normativa (sarebbe a dire, non applicabile ad una moltitudine indistinta e indeterminabile di soggetti) dell'amnistia, rende tale schema un tipico esempio di atto normativo che presenta una marcata connotazione provvedimentale. Attraverso tale strumento, infatti, il legislatore non procede alla modifica o alla creazione di modelli tipici; non incide sul contenuto precettivo delle norme penali; al contrario, interviene sull'applicabilità stessa della norma penale, rispetto a fattispecie di reato ben determinate ed anche rispetto a decisioni giudiziarie già assunte. Non vi è allora chi non rilevi come l'adozione di tale modello legale comporti — in maniera quasi necessitata — delle preoccupanti ricadute ideologiche, in termini proprio di rapporto fra poteri dello Stato; l'amnistia rappresenta infatti uno strumento “obiettivamente contrastante con la logica del modello orizzontale di separazione dei poteri, in quanto produce una invasione nella sfera di competenza che definisce la riserva di giurisdizione” (Maiello, 392). È evidentemente questa la ratio dell'inserimento di tale schema nel dettato costituzionale: si è inteso regolamentare in maniera rigorosa e stringente le modalità di adozione dello strumento in commento; in tal modo, il legislatore ha ritenuto di poter conciliare adeguatamente l'utilizzo dello stesso, con i principi generali e irrinunciabili della separazione dei poteri e della riserva di giurisdizione. Nello spirito della Costituzione, del resto, l'amnistia risponde proprio all'esigenza — ricorrente in contesti e momenti straordinari della vita del Paese — di consentire interventi legislativi di clemenza, che siano avvertiti come necessari per ragioni di giustizia o di pacificazione sociale. Si pensi ad esempio alla concessione di amnistia e indulto per reati comuni, militari ed annonari, data con r.d. n. 96/1944; oppure alla concessione di amnistia e indulto per i reati riguardo ai quali vi è stata sospensione del procedimento o della esecuzione per causa di guerra, di cui al d.C.P.S. n. 460/1947. Nelle varie fasi storiche, i provvedimenti di clemenza si sono però poi succeduti con aberrante frequenza; sono inoltre apparsi spesso sorretti da finalità tra loro oltremodo eterogenee. Si è quindi fatto ricorso alla clemenza generale, ad esempio per offrire una risposta alla drammatica situazione creatasi in ragione del sovraffollamento delle carceri, ovvero anche in relazione a fattispecie di reato non percepite nel loro effettivo disvalore penale. E in tal modo l'amnistia “si rivela sia come surroga di mancata riforma, necessaria alla giustizia per adempiere alla sua funzione, sia come forma di decriminalizzazione surrettizia nel senso che equivale a riconoscere la sostanziale inoffensività di quei reati che vengono appunto periodicamente amnistiati” (Fiandaca e Musco, 463). Nel condurre poi una accurata analisi dello scottante tema, si è definito il provvedimento di clemenza, oltre che l'extrema ratio, “imposta dall'esigenza di evitare la catena di censure a livello giudiziale e il collasso del sistema penitenziario”, anche come uno strumento non in grado di incidere in maniera significativa — dunque con effetti benefici di lungo periodo — sul problema del sovraffollamento (Fiorentin, 21). Assumendo infatti quale campione significativo i dati ricavabili dall'indulto del 2006, è stato stimato in circa ventiquattromila il numero dei detenuti che tornerebbero immediatamente in libertà, allo stato attuale, laddove si adottasse un provvedimento di amnistia. Ma considerando il tasso di incremento della popolazione carceraria, che è pari a circa quattromila detenuti ogni anno, si verrebbe a riprodurre nuovamente — in assenza di riforme strutturali e di una soluzione seria del problema dell'edilizia carceraria — la medesima, drammatica situazione entro massimo cinque o sei anni (l'interessante analisi è del succitato Fiorentin, ibidem, 21; l'Autore sottolinea anche — del tutto condivisibilmente — come la diminuzione del numero dei detenuti non implichi necessariamente l'effetto benefico della riconquista delle giuste condizioni di dignità in ambiente carcerario, allorquando permangano intatte le tragiche carenze logistiche ed economiche). L' iter di formazione. A norma dell'art. 79 Cost., come sostituito dalla l. Cost. 6 marzo 1992, n. 1, l'amnistia è approvata mediante legge deliberata con la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera; tale maggioranza deve formarsi in relazione a ciascun articolo, nonché nella votazione finale. Prima dell'intervento di tale legge di revisione costituzionale, l'amnistia veniva concessa dal Presidente della Repubblica a seguito di legge-delega approvata dalle Camere. La novella ha dunque inteso rendere più complesso il procedimento formativo della volontà parlamentare, così scongiurando il ricorso troppo insistito agli atti di clemenza. Come sopra già chiarito, infatti, l'adozione troppo frequente dei provvedimenti di clemenza generale produce inevitabilmente effetti in qualche modo criminogeni, creando una sorta di affidamento in ordine al periodico riproporsi di tale tipologia di intervento statale; oltre naturalmente a rendere per molti imputati non più appetibile il ricorso ai riti alternativi, così vanificando la valenza deflattiva che a tali meccanismi processuali è sottesa. Questioni di rilievo costituzionaleLa possibilità di rinunciare alla clemenza. La Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione normativa in esame, per contrasto con l'art. 3 Cost., nella parte in cui esclude la possibilità di rinuncia all'amnistia, da parte del soggetto interessato (Corte cost. n. 175/1971). Trattasi però di un principio — quello della rinunciabilità della causa estintiva in commento — che è stato in seguito ripetutamente reinterpretato. Si è anzitutto ritenuto che — conformemente allo spirito informatore del codice vigente, che è improntato al progressivo abbandono della sacralità delle forme — la rinuncia all'amnistia non postuli formalità particolari. Si richiede quindi solo una manifestazione di volontà che appaia esplicita ed inequivoca, nonché proveniente da soggetto legittimato e, infine, rivolta all'organo competente alla ricezione (Maiello, 400). Precisiamo altresì che la rinuncia all'amnistia non rientra fra le facoltà esercitabili dal difensore. Sempre in ossequio alla struttura ed alla sistematica del modello processualpenalistico attualmente vigente, si ritiene poi che la rinuncia possa essere espressa esclusivamente da un soggetto che sia già imputato e non semplicemente indagato. Quindi, tale rinuncia può essere manifestata soltanto all'interno di un processo e non di un mero procedimento. Sotto il profilo tecnico-dogmatico, alcuni interpreti hanno poi anche evidenziato come la rinuncia all'applicazione dell'amnistia si risolva, nella sostanza, in un rifiuto opposto dall'avente diritto, rispetto alla possibilità di una fine anticipata della vicenda processuale che lo riguardi (Fassone, 153). Evidenziamo però che, laddove all'esito del processo dovesse risultare acclarata la colpevolezza del soggetto rinunciante, l'amnistia rinunciata ovviamente non potrebbe più trovare applicazione. Infine, è sufficiente che il soggetto eventualmente destinatario risulti solo informato dell'esistenza di un processo a suo carico. Al momento dell'entrata in vigore della legge di clemenza, dunque, il giudice potrà immediatamente pronunciare l'estinzione del reato, senza che vi sia necessità specifica di interpellare l'interessato che risulti informato del processo che lo riguarda, al fine magari di raccogliere una volontà tesa alla rinuncia all'amnistia. Il procedimento ex art. 79 Cost. ed il c.d. condono. Nel decidere questioni di costituzionalità legate all'emanazione dei vari condoni edilizi — in particolare di quello contenuto nella l. . 47/1985 — la Consulta ha chiarito le profonde differenze ontologiche, strutturali ed applicative esistenti fra l'amnistia ed il condono. L'istituto ora in esame, infatti, mutua la propria efficacia in via immediata e diretta dalla legge approvata dal Parlamento, con le maggioranze indicate dall'art. 79 Cost.; il condono è invece il frutto di una articolata vicenda procedimentale, nella quale è essenziale l'impulso dell'avente diritto. La formulazione normativaIl dettato testuale dell'articolo contiene ancora il riferimento al «decreto», essendo chiaramente correlato alla previgente modalità di formazione dell'amnistia, che è stata sopra descritta (emissione di decreto presidenziale, fondato sull'esistenza di una legge-delega). La dizione deve dunque ritenersi implicitamente ora sostituita dal richiamo all'emanazione della legge che decide l'amnistia. In tale legge istitutiva, i reati ricompresi nel provvedimento di clemenza possono essere indicati mediante l'indicazione del numero dell'articolo, o attraverso il rinvio espresso al nomen iuris, ovvero — come più spesso avviene — operando un richiamo al regime sanzionatorio edittale (ciò accade allorquando la legge indichi che è concessa amnistia, ad esempio, per i delitti la cui pena non superi i due anni). Le norme che concedono l'amnistia hanno carattere eccezionale e sono di stretta interpretazione; a causa di tali caratteristiche, esse non si prestano a letture estensive, rispetto alla mera portata letterale e non possono dunque essere applicate a fattispecie che non siano testualmente previste. Giova precisare che — ai fini della delimitazione del campo applicativo dell'istituto in commento — occorrerà individuare la pena edittale che sia in astratto prevista per la singola fattispecie di reato. Non invece quella che in concreto sia stata irrogata, o che potrebbe essere inflitta all'esito del processo. L'esclusione dalla legge che concede l'amnistia di determinati reati, inoltre, non incide sull'applicabilità di tale provvedimento ai corrispondenti delitti tentati; ciò in quanto il tentativo integra una ipotesi criminosa autonoma rispetto alla fattispecie consumata. Anche in tal caso, rimane ferma la possibilità che il provvedimento di clemenza disponga in maniera difforme. Si deve infine fare applicazione dei principi generali che governano il fenomeno della successione delle leggi penali nel tempo. Ossia. Una legge eventualmente intervenuta in epoca successiva rispetto al provvedimento di clemenza, che fosse tale da abbassare i limiti edittali di una data fattispecie, così da farla rientrare nell'alveo previsionale della legge istitutiva dell'amnistia, non renderebbe comunque applicabile il beneficio alla fattispecie stessa così modificata. L'ambito applicativo dell'istitutoL'efficacia temporale Attenendosi al dato testuale della norma vigente, l'amnistia opera sulle fattispecie di reato che siano state commesse fino al giorno antecedente, rispetto alla data del decreto. Tale norma deve ovviamente essere reinterpretata alla luce della succitata novella costituzionale, la quale ha come detto modificato il metodo di formazione del provvedimento clemenziale, sostituendo il decreto presidenziale con la legge qualificata. In ragione di ciò, occorre anzitutto ritenere implicitamente sostituita la parola «decreto» dalla parola «legge». È inoltre opportuno coordinare tale disposizione codicistica con il dettato costituzionale; e qui, all'art. 79 comma terzo, può leggersi che l'amnistia non può estendersi ai fatti che risultino commessi «successivamente alla presentazione del disegno di legge». In definitiva, affinché un certo reato possa esser dichiarato estinto per amnistia, occorre che esso sia giunto a consumazione entro il giorno precedente, rispetto a quello in cui risulti presentato il disegno di legge prodromico alla legge che concede l'amnistia. Sul punto, precisiamo che vi sono alcuni reati, cd. materiali, nei quali è possibile che vi sia uno iato temporale anche ampio, fra il momento commissivo e la verificazione dell'evento (si pensi ad esempio all'omicidio in tutte le sue forme, volontario, preterintenzionale, colposo); in tali casi, per stabilire se un dato fatto-reato possa o meno rientrare nell'ambito applicativo del provvedimento di clemenza, occorrerà far riferimento al momento di verificazione dell'evento e non a quello di commissione della condotta (Camerini, 13). È comunque sempre da tener presente la demarcazione esistente fra reati di evento (in relazione a questi, sarà necessario prendere in considerazione il giorno in cui si sia verificato appunto l'evento) e reati di mera condotta (e qui, verrà in rilievo il giorno in cui risulti compiuta o meno la condotta). In tema di reati fallimentari, la sentenza costitutiva — essendo ormai comunemente considerata quale elemento costitutivo del reato — segna il punto di discrimine dell'applicabilità del provvedimento clemenziale. Evidenziamo infine che — nel caso in cui permanga incertezza circa l'epoca di consumazione del reato — dovrà farsi ricorso al principio del favor rei; sarà quindi doveroso prendere in considerazione, ai fini dell'estensione temporale dell'efficacia del provvedimento di clemenza, l'ipotesi che appaia più favorevole al reo (v. sotto). Resta sempre salva, comunque, la possibilità che il legislatore stabilisca un diverso termine di decorrenza degli effetti del provvedimento clemenziale. L'applicabilità in concreto e le questioni processuali. L'amnistia è anzitutto una causa estintiva che non incontra la preclusione derivante dalla formazione del giudicato. Essa trova dunque applicazione anche in epoca successiva, rispetto al passaggio in giudicato della sentenza. Si è quindi scritto che: “Intervenendo dopo la sentenza di condanna irrevocabile, la causa incide sulla esecuzione e sugli «effetti penali», impedendo il nascere o la continuazione del processo esecutivo” (Ragno, 983) Precisiamo poi che l'applicabilità dell'amnistia è esclusa dalla mancanza di una condizione di procedibilità. Tale causa di improcedibilità, infatti, prevale sulla declaratoria di estinzione per amnistia, dato che quest'ultima presuppone l'esistenza di un reato che sia — pur se in astratto — punibile. È altresì ovvio come tale problema si possa prospettare solo in caso di contestuale sussistenza della causa estintiva in esame e di una causa di improcedibilità o improseguibilità dell'azione penale. Laddove invece tale contemporaneità non ricorra, l'amnistia dovrà trovare immediata applicazione, atteso che questa elide ogni possibilità per il giudice di decidere questioni solo potenziali circa la procedibilità. Evidenziamo però che, allorquando sia acquisita prova certa ed inconfutabile in ordine all'innocenza del soggetto sottoposto a giudizio (elementi di valutazione e conoscenza che inducano insomma a ritenere sicura la inesistenza del fatto-reato, ovvero la sua irrilevanza penale, o ancora che escludano radicalmente la riconducibilità soggettiva dello stesso all'imputato), dovrà prevalere - rispetto alla causa estintiva in commento - la pronuncia nel merito ai sensi dell'art. 129 c.p.p. Si discute poi se — nel caso di amnistia propria — debbano computarsi nel calcolo della pena edittale, finalizzato alla verifica dell'applicabilità dell'amnistia alla singola fattispecie, anche eventuali circostanze. Il problema si pone, come è naturale, solo in caso di amnistia propria, essendovi in quella impropria già una pronuncia di condanna. Parte della dottrina ritiene si debba procedere all'inclusione delle circostanze, purché realizzatesi non oltre l'arco temporale interessato dal provvedimento di clemenza (Dell'Andro, 311). Ad ogni modo, il tema riveste ormai una scarsa rilevanza pratica, visto che è invalsa la prassi legislativa di dettare regole precise in materia, proprio in sede di concessione dell'amnistia. Infine, allorquando dovesse verificarsi il ricorrere congiunto della causa estintiva in esame e della depenalizzazione del fatto contestato, dovrà trovare applicazione l'istituto che sia più favorevole per il reo. E tale istituto è in questo caso l'amnistia, posto che la depenalizzazione lascia pur sempre aperta la strada della perseguibilità del soggetto in altre sedi (si pensi alla trasformazione di fattispecie di reato in illeciti di solo rilievo amministrativo). Segue. L'amnistia propriaL'amnistia si definisce propria, allorquando vada ad incidere su determinati fatti-reato, prima che sia intervenuta una condanna definitiva; si verifica quindi, in tal caso, un effetto estintivo che è di portata completa e definitiva (Mantovani, 835). L'effetto abolitivo dell'amnistia propria comporta che il reato in relazione al quale è stato instaurato il procedimento, sarà da considerare come mai avvenuto, non potendosi in ogni caso pervenire all'irrogazione di alcuna pena (e nemmeno di sanzioni sostitutive). A norma dell'art. 210, l'amnistia impedisce l'applicazione di misure di sicurezza personali e comporta la cessazione di quelle eventualmente già applicate. Per ciò che attiene alle misure di sicurezza patrimoniali, l'amnistia ha un effetto impeditivo, non consentendone più l'adozione. Vi è però l'eccezione rappresentata da quelle misure che intervengono su cose dotate di una intima e connaturata pericolosità; cose delle quali sia quindi sempre vietata la fabbricazione, nonché l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione (art. 240 comma 2 n. 2). Segue. L'amnistia impropriaSi definisce impropria l'amnistia che esplichi i suoi effetti in un momento successivo, rispetto all'emanazione della condanna; in questo caso, cessano sia l'esecuzione della condanna stessa, sia le pene accessorie che eventualmente con questa siano state applicate. Sostanzialmente, l'amnistia impropria non impedisce l'irrogazione della pena, in quanto appunto si colloca — sotto il profilo temporale — in un momento successivo a questa; essa inibisce invece l'esecuzione della sanzione, rendendone poi impossibile la prosecuzione, laddove tale esecuzione abbia già avuto inizio. E a differenza dell'amnistia propria, tale schema estintivo non vieta l'applicazione della misura di sicurezza patrimoniale della confisca, non solo con riferimento alle cose indicate nell'art. 240 comma 2, n. 2), bensì anche in relazione alla confisca cd. facoltativa. Nemmeno inibisce ulteriori effetti penali derivanti dalla condanna. Di tale pronuncia infatti — anche se amnistiata — si deve tenere conto in sede di computo dello status di recidivo, nonché ai fini della dichiarazione di abitualità o di professionalità; e se ne deve tenere infine conto, anche ai fini dell'applicabilità della sospensione condizionale della pena, nonché della revoca di precedente concessione di questa (Maiello, 399). Segue. L'amnistia condizionataIl quarto comma della disposizione codicistica in esame prevede la possibilità che la concessione dell'amnistia sia sottoposta a condizioni o obblighi. Occorre anzitutto correlare tale norma al dettato dell'art. 672, comma 5, c.p.p., a mente del quale l'amnistia condizionata ha l'effetto di sospendere l'esecuzione della condanna — emessa con sentenza o con decreto penale — fino alla scadenza del termine indicato dalla legge che concede l'amnistia stessa. Laddove invece tale legge non detti un termine, questo avrà una estensione cronologica legalmente fissata in quattro mesi. Allo scadere del termine — di quello generale indicato dal codice, ovvero di quello diverso specificato dal legislatore — si applicherà l'amnistia, ove risultino positivamente adempiuti obblighi o condizioni. Oltre che alla condizione sospensiva sin qui esaminata, è anche possibile che la legge indichi una condizione di tipo risolutivo, all'avverarsi della quale il soggetto già beneficiario decadrà dal beneficio applicato. Nel passato, si sono infatti avute amnistie sottoposte a condizione risolutiva (r.d. 25 settembre 1934, n. 1511, r.d. 18 ottobre 1934, n. 2134 e r.d. 5 dicembre 1935, n. 2147). Si incontrarono però considerevoli difficoltà di tipo pratico, soprattutto collegate alla necessità — in caso di amnistia propria — di riprendere il procedimento, che risultava bloccato per l'applicazione in via provvisoria dell'amnistia (Camerini, 9). Consegue infatti da tale schema che: “In questo caso, la condizione risolutiva opera anche sul piano processuale, in quanto la revoca del beneficio comporta la reviviscenza del procedimento a partire dalla fase processuale sospesa dall'applicazione condizionata dell'amnistia” (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 473). Le esclusioni soggettiveVolendo offrire una definizione a contrario, si può dire che l'amnistia è una causa estintiva che può trovare applicazione solo in relazione a chi sia incensurato o, almeno, che versi in condizioni di recidiva solo generica. Sono dunque esclusi i soggetti che si trovino in condizioni di recidiva qualificata, ossia reiterata, specifica o infraquinquennale. Restano altresì esclusi coloro nei cui confronti sia stata pronunciata la dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza, a norma degli artt. 102, 103 e 105. Trattasi però di disposizione derogabile, come stabilisce l'ultima parte dell'ultimo comma della norma in esame (qui il termine «decreto» è ancora una volta implicitamente sostituito dalla parola «legge»). Occorre poi che tali condizioni soggettive ostative non solo preesistano sotto il profilo per così dire fattuale (ossia, come fatto storico compiuto), rispetto al momento in cui entri in vigore la legge che concede l'amnistia stessa; bisogna poi anche che si tratti di situazioni del soggetto che siano state specificamente dichiarate prima dell'entrata in vigore della legge di amnistia. Segnaliamo Cass. S.U. n. 20808/2019, a mezzo della quale le Sezioni Unite penali hanno cristallizzato il seguente principio di diritto: «La valorizzazione dei precedenti penali dell’imputato per la negazione della attenuanti generiche non implica il riconoscimento della recidiva in assenza di aumento della pena a tale titolo o di giudizio di comparazione tra le circostanze concorrenti eterogenee; in tal caso la recidiva non rileva ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato». In motivazione sono state affrontate questioni di vario genere, relative principalmente alla peculiare natura della recidiva ed alla sua specificità funzionale, quale circostanza non esclusivamente incidente sul trattamento sanzionatorio, bensì anche produttiva di ulteriori effetti indiretti. Tra questi, rientrano evidentemente anche i riflessi in tema di applicabilità dell’amnistia.
L'applicabilità rispetto alle varie manifestazioni dell'agire criminosoSi deve in primo luogo richiamare il disposto dell'art. 170, a mente del quale la causa estintiva che incida su un reato, il quale a sua volta costituisca il presupposto di altra fattispecie tipica, non si potrà estendere al secondo reato (nello specifico, si rinvia alla trattazione contenuta nel commento all'art. 170). Può ora solo precisarsi che la locuzione «reato presupposto» — qui adoperata dal legislatore — descrive un rapporto fra fattispecie, nel quale l'una rappresenti l'antecedente logico-giuridico e fattuale dell'altro. Per maggior chiarezza, è il tipo di relazione che si instaura fra il delitto di furto e la successiva ricettazione: una eventuale amnistia per il primo delitto, dunque, non inciderebbe sull'esistenza e sulla perseguibilità del reato di cui all'art. 648. Oltre che nel caso del reato presupposto, l'art. 170 — alla cui analisi nuovamente si rimanda il lettore — delinea una situazione esattamente analoga anche in relazione al reato complesso. Ossia. Una causa estintiva che intervenga su una singola fattispecie delittuosa, la quale a sua volta rappresenti elemento costitutivo o circostanza aggravante di un reato complesso, non esplicherebbe efficacia sul reato complesso globalmente considerato. Questo si connota infatti per la ricorrenza di elementi specializzanti, rispetto alle fattispecie che lo compongono, tanto che esso diviene figura autonoma da queste. Volendo ricorrere ad un esempio, si potrebbe richiamare il modello legale ex art. 624-bis, reato complesso in senso stretto, risultante dal delitto di violazione di domicilio e dall'elemento specializzante rappresentato dal furto. Una eventuale amnistia per il reato di cui all'art. 614, allora, non opererebbe sulla fattispecie complessa di cui all'art. 624-bis. Ancora l'art. 170 descrive il rapporto esistente fra estinzione del singolo reato e reati ad esso connessi. L'estinzione per amnistia di uno dei reati, che si atteggino fra loro secondo il rapporto di connessione dettato dall'art. 12 c.p.p., non impedirebbe l'aggravamento della pena conseguente proprio all'esistenza della connessione. Il problema del destino dei reati tra loro connessi, del resto, si potrebbe prospettare anche con riferimento al tema della procedibilità. Si è infatti agitata la questione afferente all'estinzione di un reato procedibile d'ufficio, che risulti connesso ad altro procedibile invece a querela, laddove questa non venga presentata (è il caso descritto — in tema di procedibilità per i delitti di violenza sessuale ex artt. 609-bis, ter e quater, dall'art. 609-septies comma 2 n. 4). L'opinione prevalente è qui orientata nel senso che l'estinzione del reato procedibile d'ufficio non possa travolgere anche il reato che sia procedibile per connessione. Con riferimento alle forme di reato cd. scindibili, ossia quelle che sono unificate solo a determinati effetti processuali e quindi solo grazie ad una fictio iuris, occorre scomporre il reato nelle sue singole componenti e verificare poi in concreto — rispetto a queste — la possibilità di applicare l'amnistia. Tale sarà quindi la soluzione da adottare con riferimento al reato continuato. Qui l'unificazione sotto l'egida normativa dell'art. 81 delle diverse condotte, non può andare a riverberare effetti negativi sul trattamento spettante all'imputato; la ragione di ciò è da ricercare nella stessa funzione dell'istituto della continuazione, che è finalizzato all'attenuazione dei rigori sanzionatori derivanti dal cumulo materiale delle pene (Diotallevi, 475). In maniera esattamente similare — ossia, parcellizzando ove consentito i singoli reati, idealmente avvinti solo da una fictio legis — ci si dovrà comportare in presenza di un reato abituale. Diversa è invece la soluzione da adottare in relazione al reato permanente. Questo ha infatti una sua unitarietà strutturale, visto che in esso l'antigiuridicità — l'offesa al bene giuridico protetto — si protrae nel tempo per effetto di una condotta volontariamente tenuta dal soggetto agente. Non sarà pertanto consentito, in tal caso, individuare una molteplicità di fattispecie fra loro logicamente o cronologicamente separate ed applicare l'amnistia solo in relazione ad alcune di esse. Segnaliamo infine che, laddove sia ipotizzata l'aggravante della connessione teleologica, l'eventuale estinzione del reato-fine non incide sulla sussistenza della circostanza. CasisticaAll'interno della moltitudine di pronunce adottate dalla giurisprudenza in tema di amnistia, si cercherà di selezionarne solo alcune, scegliendole tra quelle attinenti a temi di maggior rilievo, soprattutto sotto il profilo pratico ed applicativo. a) Laddove vi sia la possibilità di applicare l'amnistia, la Corte ritiene che possa procedersi alla scissione del reato continuato. La soluzione contraria, infatti, renderebbe l'unificazione dei singoli episodi non più una manifestazione del principio del favor rei, ma un istituto in grado di arrecare nocumento all'imputato (Cass. I, n. 3986/1998). b) Nel reato permanente, sia la condotta tenuta dal reo, sia l'evento del reato hanno una connotazione unitaria, ossia non frazionabile. Si tratta quindi di un fenomeno unico, caratterizzato dalla persistente volontà del soggetto agente, tesa a prolungare nel tempo la trasgressione rispetto al comando giuridico. Tale impostazione concettuale ha una conseguenza rilevante: ad un reato permanente, che sia iniziato prima dell'emanazione dell'amnistia, ma che sia proseguito anche dopo tale momento, non potrà essere applicato il provvedimento di clemenza (Cass. II, n. 647/1980). c) L'estinzione del reato-fine per amnistia non esplica effetti sulla configurabilità della circostanza aggravante della connessione teleologica (Cass. V, n. 1702/1979). d) Secondo la Cassazione, laddove sia accertata l'esistenza di una lottizzazione abusiva, la conseguente confisca non deriva dall'art. 240, bensì dal dettato dell'art. 19 della l. n. 47/1985. Questa stabilisce l'obbligatorietà della misura, quale necessario effetto derivato del mero accertamento dell'esistenza di una lottizzazione abusiva, indipendentemente dal profilo attinente alla riconducibilità soggettiva del fatto. Qui la Corte ha anche sottolineato come la confisca abbia una natura reale e non personale, tanto da conseguire anche in caso di estinzione del reato per amnistia e da essere applicabile, inoltre, anche nei confronti dei proprietari delle aree che siano magari restati estranei al processo penale (Cass. III, n. 37086/2004; nello stesso senso, Cass. III, n. 1089/1995). e) Per quanto attiene all'individuazione del momento consumativo nei reati fallimentari, ai fini dell'applicazione dell'amnistia, la Cassazione ha precisato come questo coincida con la pronuncia della sentenza dichiarativa del fallimento. A tale data deve quindi essere correlato il termine finale di efficacia del provvedimento di clemenza, laddove non diversamente previsto dalla legge che lo concede (Cass. V, n. 7814/1999). f) In tema di amnistia, allorquando non sia possibile appurare con certezza l'esatta data di consumazione del reato, occorre far riferimento all'ipotesi di maggior favore per il reo (Cass. V, n. 1702/1979). g) Sono state giudicate prive di fondamento le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione alla norma in esame, per la dedotta disparità di trattamento, che si produrrebbe fra coloro che possano beneficiare dell'amnistia impropria, rispetto a quelli ai quali debba invece applicarsi l'amnistia propria. Si verificherebbe infatti una ingiustificata discriminazione fra fattispecie uguali, che finirebbe per fondarsi esclusivamente sul mero dato cronologico della condanna, piuttosto che sul fatto oggettivo e storico concernente il momento di consumazione del reato. Alcuni effetti penali, quale ad esempio l'abitualità, si producono infatti solo nel caso di condannati amnistiati. La Consulta ha però sempre sottolineato come tale (presunta) diversità di trattamento, si fondi sull'esistenza di una situazione ormai incontrovertibilmente accertata, a mezzo della pronuncia di condanna; una situazione quindi profondamente diversa, rispetto a quella che si delinea quando sia carente un accertamento definitivo di colpevolezza (Corte cost. n. 69/1975). h) In una pronuncia che aveva riguardo all'ambito di applicabilità dell'amnistia di cui al d.P.R. 12 aprile 1990 n. 75, la Corte ha precisato come il computo della pena vada effettuato prendendo in considerazione il massimo della pena edittale stabilita per ciascun reato consumato o tentato, nonché la minima diminuzione prevista al ricorrere di circostanze attenuanti (Cass. S.U., n. 9567/1995). Profili processualiIn tema di rapporti fra la causa estintiva in esame e la procedibilità, richiamiamo anzitutto una decisione del Supremo Collegio, assunta sotto l'impero della vecchia normativa in tema di delitti contro la libertà sessuale. Ciò che infatti interessa qui è il principio di diritto, a nostro avviso restato immutato. Ebbene, la Corte ha deciso che la procedibilità d'ufficio non possa venir meno - in caso di delitti contro la libertà sessuale per i quali non sia stata inoltrata querela, ma in relazione ai quali si debba comunque procedere per connessione con altro delitto procedibile d'ufficio - allorquando quest'ultimo si estingua per amnistia (Cass. III, n. 9264/1984). La Corte ha anche chiarito che l'amnistia impropria, pur facendo venire meno l'esecuzione della pena principale e l'applicazione della pena accessoria, nonché l'applicazione di eventuali misure di sicurezza di carattere personale, non incide sugli ulteriori effetti penali della condanna. Ne consegue che tale strumento — oltre a non influire sulle obbligazioni civili nascenti dal reato, ad eccezione di quelle indicate dagli artt. 196 e 197 — non tocca gli effetti penali della condanna, ossia le conseguenze afflittive del giudicato. Verrà quindi computata in sede di aumento di pena per recidiva, nonché laddove si debba procedere alla dichiarazione di abitualità o di professionalità, oppure ai fini dell'ottenimento del beneficio della sospensione condizionale della pena e, infine, in sede di revoca delle sospensione già accordata. Addirittura, la condanna amnistiata potrà essere posta a fondamento della revoca dell'indulto condizionato, a meno di difformi lumi forniti da specifiche previsioni legislative (Cass. I, n. 198/1993). Evidenziamo poi come l'obbligo per il giudice di emettere pronuncia assolutoria nel merito, in presenza di una causa estintiva del reato, presupponga l'esistenza di elementi di valutazione e conoscenza che inequivocabilmente conducano alla possibilità di affermare la insussistenza o la irrilevanza penale di un determinato fatto, oppure la non riferibilità soggettiva al giudicabile. Laddove invece vi possano essere difformi interpretazioni del patrimonio probatorio emerso in sede processuale — tutte però dotate della medesima valenza dimostrativa — la mancanza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. non rappresenta un vizio di violazione di legge (Cass. VI, n. 4163/1995). BibliografiaCamerini, Amnistia e indulto, Padova, 1971; Dell'Andro, voce Amnistia, in Enc. dir., II, Milano, 1958; Fassone, Amnistia e indulto nel diritto penale, in D. d. pen., I, Torino, 1987; Fiandaca e Musco, Diritto Penale - Parte generale, Bologna, 1985; Fiorentin, Guida al diritto, 26.10.2013, 43; Maiello, Amnistia e indulto, in Il Diritto, Enciclopedia giuridica1, Milano, 2007; Mantovani, Diritto penale, Parte generale,Padova, 1992; Messina-Spinnato, Manuale breve Diritto Penale, Milano, 2018; Ragno, Estinzione del reato e della pena, in Enc. dir., XV, Milano, 1966. |