Codice Penale art. 158 - Decorrenza del termine della prescrizione.

Angelo Valerio Lanna

Decorrenza del termine della prescrizione.

[I]. Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l'attività del colpevole; per il reato permanente o continuato, dal giorno in cui è cessata la permanenza o la continuazione1.

 

[II]. Quando la legge fa dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione [44], il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata. Nondimeno, nei reati punibili a querela [120-126], istanza [9, 10, 130] o richiesta [8-11, 127, 313 ], il termine della prescrizione decorre dal giorno del commesso reato.

[III]. Per i reati previsti dall’articolo 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, se commessi nei confronti di minore, il termine della prescrizione decorre dal compimento del diciottesimo anno di età della persona offesa, salvo che l’azione penale sia stata esercitata precedentemente. In quest’ultimo caso il termine di prescrizione decorre dall’acquisizione della notizia di reato 2.

 

[1]  L'art. 1, comma 1, lett. d), l. 9 gennaio 2019, n. 3, ha disposto la sostituzione del presente comma. Tale disposizione,  ai sensi dell'art. 1, comma 2, l. n. 3, cit.  è entrata in vigore il 1° gennaio 2020. Il testo precedente, come modificato  dall'art. 6 , comma 2, l. 5 dicembre 2005, n. 251, che ha soppresso le parole «o continuato» che figuravano dopo la parola «permanente» e le parole «o la continuazione» che figuravano alla fine del comma (v. l'art. 10 l. n. 251, cit., sub art. 157), era il seguente : «Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione [557]; per il reato tentato [56], dal giorno in cui è cessata l'attività del colpevole; per il reato permanente, dal giorno in cui è cessata la permanenza». 

[2] Comma aggiunto dall’ art. 1, comma 10, l. 23 giugno 2017, n. 103. Ai sensi dell’articolo 1, comma 15, della legge n.103 cit., le disposizioni del suddetto comma si applicano ai fatti commessi dopo la data di entrata in vigore della presente legge. A norma dell’articolo 1, comma 95, della legge cit., la stessa legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quella della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 154 del 4 luglio 2017).

Inquadramento

Nel Titolo VI del Libro Primo del Codice è contenuta la regolamentazione legislativa delle cause di estinzione del reato e della pena; al Capo primo, tra le cause estintive del reato, figura poi la prescrizione. La disposizione normativa in esame è stata dapprima modificata dall'art. 6 l. n. 251/2005 (cd. legge ex Cirielli).

Per ciò che attiene all'inquadramento sistematico, alla natura ed alla funzione dell'istituto della prescrizione, è qui possibile operare un integrale richiamo ai commenti già ampiamente espressi nell'analogo paragrafo concernente l'art. 157.

Sottolineiamo la portata davvero dirompente che – sullo specifico tema della decorrenza del termine di prescrizione – potrà presumibilmente avere la modifica apportata dalla novella di cui alla l. n. 103/2017.Trattasi di una riforma davvero molto opportuna e condivisibile, che evidentemente risponde all'esigenza di non lasciare impunite condotte delinquenziali di enorme gravità e di odiosa natura. Gesti criminali che purtroppo spesso – proprio in quanto perpetrati in danno di soggetti deboli, quali intrinsecamente sono i minori di età – vengono alla luce a distanza di moltissimi anni. Mantenere dunque fermo il nesso fra il decorso del termine di prescrizione ed il tempus commissi delicti, significava correre il serio rischio della caduta nell'oblio di tali fatti; disancorare tale termine dal fatto e saldarlo invece al corso della vita della vittima, determina un forte incremento della possibilità che questa – ormai verosimilmente dotata di una più formata e salda personalità, stante il raggiungimento della maggiore età – si risolva a denunciare quanto subito da minorenne. Del resto, il fatto che questo sia lo spirito informatore della novella può essere agevolmente dedotto dal testo stesso della norma ora modificata; in questa si trova infatti inserita una clausola di riserva, cristallizzata nelle parole «salvo che l'azione penale sia stata esercitata precedentemente». Anche nel caso in cui però – in epoca antecedente rispetto al compimento del diciottesimo anno della persona offesa – sia già stata esercitata l'azione penale, comunque il termine di prescrizione dovrà esser computato a partire dal momento dell'acquisizione della notitia criminis. Sarebbe a dire, ancora una volta, comunque non dal tempo di consumazione del reato.

Ricordiamo che tutte le disposizione inserite dalla succitata novella sono applicabili - secondo l'espresso dettato normativo, di cui all'art. 1 comma 15 della stessa - ai fatti commessi in epoca posteriore, rispetto all'entrata in vigore della medesima legge di riforma. Una precisazione legislativa forse superflua, costituendo tale regola il naturale precipitato del meccanismo della successione delle leggi penali nel tempo, di cui all'art. 2, nonché della ormai pacifica natura sostanziale e non processuale delle norme concernenti la prescrizione.  

Per le modifiche introdotte dalla l. n. 3/2019, con riferimento al reato continuato, v. § 6.

Profili generali (rinvio)

Anche in relazione ai profili generali che connotano l'istituto, possono mutuarsi i concetti già enucleati in sede di commento all'art. 157 c.p. 

La formulazione normativa

La disciplina attuale

Il testo della norma in esame — successivo anch'esso al profondo intervento operato dalla succitata legge c.d. ex Cirielli del 2005 — fissa anzitutto la decorrenza iniziale del termine di prescrizione al momento della consumazione dello stesso, laddove appunto si verta in tema di reato consumato.

Qui occorre in primo luogo sottolineare come — nella teoria generale del diritto penale — non vi sia unanimità di vedute, in ordine al concetto stesso di consumazione. Alcuni autorevoli studiosi, infatti, pongono una distinzione ontologica fra i due diversi momenti della perfezione e della consumazione. La perfezione del reato coinciderebbe con la concretizzazione — nel loro minimo contenuto essenziale — di tutti i requisiti costitutivi postulati dalla specifica fattispecie di reato; la consumazione del reato sarebbe invece da fissare al raggiungimento della massima gravità concreta della specifica fattispecie perfetta di reato [Mantovani, 427, il quale propone il seguente esempio, molto significativo: “Perfezione e consumazione possono coincidere (es. la lesione personale inferta con un solo colpo di arma) [...]. Oppure non coincidere, come nel caso di reato di lesioni personali inferte con più colpi, che si perfeziona già col primo colpo ma si consuma solo con l'ultimo”. E quindi: “Mentre la perfezione indica il momento in cui il reato è venuto ad esistere, la consumazione indica il momento in cui è venuto a cessare, in cui si chiude l'iter criminis per aprirsi la fase del post factum” (Mantovani, ibidem). Giova peraltro precisare come tale distinzione sia avversata da altra parte della dottrina, a mente della quale la distinzione fra le due categorie concettuali sarebbe il portato di una impropria commistione di piani logici, dati dalla confusione fra l'aspetto della integrazione del modello legale, rispetto a quello invece della valutazione dell'intensità e gravità dell'offesa, rilevante solo ex art. 133, in sede di irrogazione della pena (Fiandaca- Musco, 228).

Ai fini che ora interessano e per sola facilità di esposizione, possiamo accettare l'impostazione teorica che tende a far coincidere la consumazione con la realizzazione del fatto nei suoi minimi elementi costitutivi; dal momento consumativo di ciascun paradigma normativo, pertanto, inizierà a decorrere il relativo termine prescrizionale. Nel caso in cui si intenda invece individuare il momento iniziale di decorrenza del termine di prescrizione, in ordine al delitto nella forma tentata, dovrà prendersi in considerazione l'epoca in cui risulti cessata l'attività del soggetto agente. Quando cioè sia stato compiuto l'ultimo segmento di condotta facente parte di quello snodarsi di comportamenti idonei — e diretti in modo non equivoco — alla commissione del reato, che segnano la sussistenza del tentativo punibile.

L'attuale veste assunta dalla norma in commento contiene poi — come sarà in seguito meglio sviscerato — il richiamo alla commissione del reato permanente. Qui sarà dunque necessario far riferimento — quale momento iniziale del termine prescrizionale — all’epoca della cessazione della condotta.

Infine, vi sono casi nei quali la legge riconnette la punibilità di una data fattispecie di reato al verificarsi di una condizione (vedere sul punto il commento all'art. 44). In tal caso, il termine prescrizionale decorrerà dal momento della realizzazione di tale condizione obiettiva di punibilità; però, nei reati procedibili solo a seguito di presentazione di querela, istanza o richiesta, il termine dovrà esser fatto decorrere dalla consumazione del reato.

Precisiamo anche che il termine di prescrizione si calcola facendo riferimento al criterio indicato dall'art. 14 comma 2 (dies a quo non computatur), ossia senza tener conto del giorno iniziale (sarebbe a dire, di quello nel quale si collocano — secondo i casi — la consumazione del fatto, il compimento dell'ultimo atto della sequenza criminale, ovvero la cessazione dell'attività illecita). Come da consolidata giurisprudenza, inoltre, il computo inizia con il compimento delle ore zero del giorno iniziale (ossia, del giorno successivo rispetto a quello in cui risulta consumata la previsione incriminatrice) e termina con lo spirare delle ore ventiquattro del giorno finale. Laddove infine siano noti anno e mese di consumazione del reato, ma non se ne conosca il giorno esatto, il principio del favor rei impone di prendere quale riferimento il primo giorno del mese conosciuto.

La disciplina previgente

La riforma suddetta aveva espunto il riferimento al reato continuato. Prima dell’intervento della  l. n. 3/2019 (vedere infra), laddove si riteneva sussistente una ideazione unitaria preventiva e pertanto, - per fictio iuris, - si procedeva all'unificazione delle varie fattispecie sotto l'egida normativa del reato continuato, occorreva comunque far riferimento al termine di prescrizione vigente in relazione a ciascuna fattispecie di reato. Il vincolo ex art. 81, veniva allora idealmente scisso al momento dell'individuazione del termine di decorrenza della prescrizione; si aveva quindi a tal fine riguardo al termine stabilito in relazione ad ognuna delle fattispecie accertate, sebbene esse venissero considerate unitariamente secondo l'istituto della continuazione.

Il momento iniziale in relazione al reato permanente

Si tratta, come noto, di quei modelli di reato nei quali la condotta antigiuridica presenta una connotazione stabile, ossia si protrae ininterrotta nel tempo, in ragione della persistente condotta volontaria del soggetto attivo del reato stesso.

La norma ora in esame costituisce dunque il frutto, logicamente ineludibile, della natura stessa del reato permanente. Questo presenta infatti una conformazione intimamente unitaria, ferma, immutabile entro un certo arco temporale; una struttura che non è poi possibile frantumare in una pluralità di fattispecie di reato tra loro autonome “essendo unico il bene giuridico leso nel corso della durata dell'azione o dell'omissione, così da renderlo insensibile all'intervento di cause estintive, che operano solo se la permanenza sia cessata” (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 555). Insomma, la maggioranza degli Autori esprime uniformità di posizioni, circa il fatto che il reato permanente sia una fattispecie di reato unica (Pagliaro, 500).

Con la categoria del reato permanente non devono esser confuse le ulteriori schematizzazioni, che hanno condotto molti interpreti della teoria generale del diritto ad individuare anche le figure del reato eventualmente permanente (quello caratterizzato da un'offesa al bene giuridico protetto che viene protratta nel tempo, in base ad un'opzione attuativa del soggetto attivo) e del reato istantaneo con effetti permanenti (che si connoterebbe per il mero prolungarsi delle conseguenze del fatto entro un ampio arco cronologico). Nel ritenerle infatti categorizzazioni sostanzialmente prive di un effettivo substrato contenutistico, riportiamo quanto scritto in proposito: “Non si tratta di categorie peculiari di reati, perché esse si limitano a registrare un mero dato fenomenico, e cioè la circostanza che la lesione al bene protetto può durare per un certo periodo di tempo” (Fiandaca-Musco, 82).

Nel reato commissivo permanente

In ordine a tali tipologie di condotte, occorrerà aver riguardo — al fine di fissare il dies a quo del termine prescrizionale — al momento della cessazione volontaria della condotta antigiuridica, ovvero anche al momento in cui la prosecuzione della stessa sia divenuta ormai non più consentita al soggetto agente, per effetto dell'intervento di fattori estranei da lui stesso non governabili.

In tema di reati edilizi, si è ad esempio scritto che “La permanenza cessa con il completamento dell'opera, comprese le rifiniture, ovvero con la totale sospensione dei lavori, sia essa volontaria o dovuta a provvedimento autoritativo (sequestro, ordinanza di sospensione dei lavori od altro); oppure, nell'ipotesi in cui i lavori siano proseguiti successivamente all'accertamento senza che sia intervenuto alcun provvedimento sospensivo, fino alla sentenza di condanna di primo grado” (Sandulli, 520).

Nel reato omissivo permanente

In relazione a tale categoria dogmatica, occorre operare una differenziazione. Esistono infatti tipologie di reato in ordine alle quali è legislativamente fissato un termine ultimo, di natura perentoria per l'adempimento; l'inutile spirare di tale termine integra il momento realizzativo di tali fattispecie, alle quali dovrà pertanto attribuirsi natura istantanea. Qui infatti il compimento dell'azione dovuta — in momento successivo allo spirare del termine previsto — è impossibile per il soggetto agente.

Allorquando invece sia fissato un termine non ultimativo, bensì ordinatorio, l'inutile spirare di tale termine vale solo quale momento qualificativo dell'antigiuridicità della condotta. È però riservata al soggetto la possibilità di compiere comunque l'azione tipica dovuta, elidendo così la situazione contra legem. In tale ultimo caso — appunto, nel reato omissivo permanente — la permanenza cessa con il compimento del comportamento obbligatorio ignorato; ovvero, in mancanza di adempimento, con la pronuncia della sentenza di primo grado.

Ad ogni modo, si rimanda alla lettura della giurisprudenza sotto riportata.

Segue... e in relazione al reato abituale

Il reato abituale, come noto, postula la sussistenza di una serie di fatti i quali — laddove isolatamente considerati — potrebbero anche non costituire delitto; fatti che però rinvengono la ratio dell'antigiuridicità penale proprio nella loro ripetizione, in quella reiterazione che si prolunga entro un esteso arco cronologico, che appunto ha  natura non istantanea ed episodica. La corrente invisibile che lega i singoli episodi — costituenti o meno reato, nella loro singolarità — è data dalla persistenza dell'elemento intenzionale.

I singoli fatti di prevaricazione, pertanto, devono esser legati dal tratto comune dell'abitualità, avente natura oggettiva, nonché dalla immutabilità del necessario coefficiente doloso.

Il termine iniziale di prescrizione — in relazione a tali fattispecie — dovrà esser fissato al momento del compimento dell'ultimo fatto, che appaia evocativo dell'abitualità del reato.

Segue … e in relazione al reato continuato (modifiche introdotte dalla l. n. 3/2019)

La l. 9 gennaio 2019, n. 3  ("Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici"), ha modificato il primo comma dell'articolo in commento, con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2020, sostanzialmente ripristinando – sul punto specifico della decorrenza del termine di prescrizione – il quadro normativo esistente in epoca antecedente, rispetto all'intervento dell'art. 6 comma 2, l. n. 251/2005. Si prevede dunque che il termine di prescrizione inizi a decorrere, in relazione al reato continuato, dal giorno in cui cessi la continuazione stessa. La riforma è ispirata alla considerazione della natura sostanzialmente unitaria del reato continuato, che solo apparentemente risulta frazionabile nei singoli reati che lo compongono; i segmenti di condotta sono pertanto tra loro inscindibilmente avvinti, rappresentando niente altro, se non tappe intermedie di un percorso criminoso di carattere unitario. Un iter criminis unico, che giunge alla conclusione soltanto con la commissione dell'ultimo dei fatti, che sono stati oggetto di ideazione preventiva. Restano ovviamente ferme le ulteriori previsioni – inerenti alla decorrenza del termine di prescrizione in presenza di reato consumato, tentato o permanente - contenute nella norma in commento. In sostanza, si ritorna all'idea primigenia dell'istituto, che è quella di far partire il computo del termine di prescrizione dal momento in cui possa considerarsi definitivamente cessata ogni situazione di illiceità (Mantovani, 830).

Non è comunque forse superfluo ricordare il principio generale in base al quale – in sede di calcolo della prescrizione e in presenza di una situazione di incertezza, in ordine alla collocazione del tempus commissi delicti - il momento iniziale del termine deve essere sempre fissato secondo il criterio maggiormente favorevole per l'imputato.

Il principio secondo il quale in dubio pro reo ha infatti una portata applicativa che è  onnicomprensiva, quindi estesa anche alle cause estintive del reato (in giurisprudenza si potrà vedere, fra tante, Cass. II, n. 3292/2005).

Si segnala infine come la nuova disposizione sia destinata ad andare in vigore a partire dal giorno 1° gennaio 2020. (così dispone l'art. 1 comma 2 della succitata legge).

 

La novella ha come detto portato ad una reviviscenza del regime ante-Cirielli in tema di inizio del termine di prescrizione, con riferimento ai casi nei quali possa individuarsi una unicità di disegno criminoso. Ritenendo pertanto tornati pienamente in vigore i principi di diritto enucleati dalla giurisprudenza sotto la vigenza di tale sistema, ne riportiamo una ampia panoramica.

a) L'inizio del decorso del termine di prescrizione è fissato al momento della cessazione della continuazione, in quanto il reato continuato è considerato dalla norma alla stregua di un'unità reale, come tale non passibile di alcun frazionamento nei singoli fatti che lo compongono, abbiano essi natura istantanea o permanente. La prescrizione inizia quindi a decorrere dal momento della cessazione della continuazione, in relazione a tutti i reati unificati nella figura complessa ex art. 81; ossia dalla consumazione dell'ultimo dei reati avvinti dal vincolo della continuazione, fermo restando il termine di prescrizione che è proprio di ognuno dei reati (Cass. IV, n. 46546/2004; conf. Cass. VI,  n. 10404/1992 e Cass. III, n. 6155/1990);

b) Il principio secondo il quale il termine di prescrizione è legato al momento finale del reato continuato, opera anche laddove l'esistenza del vincolo ex art. 81 non sia oggetto di espressa enunciazione in imputazione, ma venga ritenuto al momento dell'emissione della sentenza. Ciò in quanto – nell'ambito dell'estinzione per prescrizione – la continuazione costituisce un fenomeno unitario; il relativo termine non può pertanto iniziare a decorrere, fin quanto la condotta facente parte dell'ideazione unitaria preventiva sia ancora in fase di svolgimento (così Cass. III, n. 16090/1990 e Cass. I, n. 2809/1998; nello stesso senso, si veda Cass. II, n. 42790/2003).

c) L'inizio del termine di prescrizione è legato alla cessazione della continuazione e della permanenza: da un lato si considera il reato continuato alla stregua di un'unità reale non scindibile nei singoli fatti costituenti reato, dai quali essa è composta (indifferentemente dal fatto che si tratti di reati istantanei o permanenti), per cui la prescrizione origina dalla cessazione della continuazione per tutti i reati unificati nella complessa figura prevista dall'articolo 81 cpv.; dall'altro, laddove si sia in presenza di un reato a condotta permanente, il termine di prescrizione decorrerà dalla cessazione della permanenza della condotta criminosa (coincidente questa con il momento dell'esaurimento della condotta stessa in ragione della realizzazione dello scopo al quale essa tendeva, ovvero coincidente con l'elisione del connotato di antigiuridicità della condotta stessa, o con la desistenza del reo, o con l'intervento preventivo dell'A.G., oppure con la pronuncia di una sentenza di condanna in primo grado (Cass. III,  n. 7878/1999). 

d) Allorquando si riconosca la sussistenza del vincolo della continuazione, si può escludere il cumulo giuridico che ne derivi, se esso abbia a rivelarsi maggiormente afflittivo rispetto al cumulo materiale delle pene; non è però possibile escludere l'accertamento dell'unicità del disegno criminoso, per il fatto che il termine prescrizionale di ciascun reato decorre dalla data di cessazione della continuazione a norma dell'art. 158. Nella prima ipotesi, la continuazione non può infatti determinare un risultato confliggente con la sua ratio, che consiste nello stabilire una pena unitaria derivante dall'esistenza di una ideazione preventiva dei singoli reati, con esclusione del cumulo materiale. Nella seconda ipotesi, invece, essa non può essere disapplicata per assicurare un vantaggio non congruo, rispetto  a tale ragione di previsione, visto che l'art. 158 postula proprio la statuizione di unicità del reato (Cass. V, n. 5097/2000).

e) Cass. I,  n. 43006/2005  ha poi ribadito  come la prescrizione in presenza di continuazione parta dalla consumazione dell'ultimo dei reati avvinti da tale vincolo, facendo salvo il tempo di prescrizione che è proprio di ogni singolo reato e anche laddove il vincolo, non rientrante nell'imputazione, venga poi ritenuto in sentenza. Ha però chiarito come faccia eccezione il caso in cui il Giudice abbia pronunciato sentenza di non luogo a procedere ex art. 129 c.p.p.; in questa ipotesi, infatti, non è più consentito procedere al recupero del reato che sia stato già dichiarato estinto, unificandolo sotto il vincolo della continuazione con gli altri.

f) Laddove per alcuni dei reati uniti dal vincolo della continuazione spiri il termine di prescrizione, deve procedersi ad immediata declaratoria di estinzione ex art. 129 c.p.p.; non è invece consentito applicare la continuazione tra i reati, con conseguente decorrenza del termine prescrizionale dalla data di cessazione della consumazione, come previsto dall'art. 158 (Cass. fer., n. 32194/2002).

g) Al ricorrere dell'unicità del disegno criminoso, il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la continuazione; il periodo di tempo occorrente perché tale termine maturi, resta però quello previsto in relazione ai singoli reati uniti in continuazione (Cass. S.U., n. 10928/1981 e Cass. S.U., n. 2780/1996).

h) Nel caso in cui - in relazione ad una delle violazioni contenute nell'incolpazione - venga emessa declaratoria di estinzione per prescrizione, non è poi più ammissibile far decorrere il più esteso termine prescrizionale in relazione alle residue fattispecie contestate dal momento, eventualmente successivo,  in cui si collochi la violazione dichiarata prescritta. Ciò in quanto – mediante la declaratoria di estinzione per prescrizione – viene eliminata la possibilità di giungere ad un accertamento circa la penale responsabilità dell'imputato; il reato dichiarato estinto non può pertanto mai – a nessun effetto penale – esser ritenuto unificato dal vincolo della continuazione rispetto agli altri, né tale vincolo può essere preso in considerazione ai limitati fini di posporre la decorrenza del termine di prescrizione, in ordine alle altre fattispecie non estinte (Cass. I, n. 30802/2002).

Segue... e nel caso di concorso formale di reati

Sul punto, giova precisare come l'art. 81 funga da elemento unificatore ai soli fini della pena. Per ciò che invece attiene all'individuazione del dies a quo del termine prescrizionale, sarà necessario stabilirlo in relazione a ciascuna fattispecie di reato. Sarà quindi necessario avere riguardo al momento di consumazione di ognuno dei reati; i quali reati sono espressione di una unicità che è solo ricostruita ex post (sarebbe a dire che essa ha una connotazione fittizia, piuttosto che reale).

Nei reati assoggettati a condizione obiettiva di punibilità o a condizione di procedibilità

Nel primo caso — ossia quando sono previste condizioni obiettive di punibilità — il momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale è fissato al giorno del verificarsi della condizione stessa; nel secondo caso invece — laddove sia prevista una condizione di procedibilità quale la querela, l'istanza o la richiesta — tale termine coinciderà con il tempus commissi delicti.

Si è condivisibilmente osservato come il motivo di tale differenziazione sia pacificamente da rintracciare nella diversa natura dei due istituti. Le condizioni obiettive di punibilità infatti — sebbene in posizione, come dire, defilata rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie — sono comunque riconducibili entro l'alveo dei requisiti materiali prodromici rispetto al profilo della punibilità; le condizioni di procedibilità sono invece intrinsecamente avulse rispetto al nucleo essenziale della figura tipica e attengono solo al versante processuale della vicenda (Romano, 78).

Nel caso di reato sottoposto a condizione obiettiva di punibilità, ma anche a condizione di procedibilità, il momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale coinciderà con l'avverarsi della prima (vedere la giurisprudenza sotto richiamata).

Un orientamento giurisprudenziale (Cass. V, n. 13910/2017) ha qualificato la sentenza dichiarativa di fallimento – in quanto accadimento avulso rispetto alla sfera tipica dell’offesa, nonché estraneo alla sfera volitiva del soggetto agente – alla stregua di una condizione estrinseca di punibilità. Condizione dunque che riduce l’area del penalmente rilevante, imponendo la punizione del colpevole esclusivamente laddove al fatto del debitore - già intrinsecamente lesivo degli interessi dei creditori - consegua la dichiarazione di fallimento. Tale impostazione ermeneutica non determina però modifiche, nella disciplina operativa adoperabile in materia di prescrizione. Deve infatti trovare applicazione la regola generale dettata dal secondo comma della norma in commento, secondo la quale – laddove la punibilità di una determinata fattispecie sia correlata al verificarsi di una condizione obiettiva – il termine di prescrizione inizierà a decorrere dall’epoca di verificazione della condizione stessa.

Nei reati commessi in danno di minori

La riforma introdotta di cui alla l. n. 103/2017 ha modificato il termine iniziale di decorrenza, in relazione ai reati inseriti nella previsione di cui all'art. 392 comma 1-bis c.p.p., quando commessi in danno di minori. Si prevede dunque in tal caso che il termine suddetto non debba coincidere con la consumazione del reato, bensì debba esser fissato al momento del compimento – da parte della persona offesa dal reato – della maggiore età. La chiarissima ratio della norma è stata già esaminata nel § 1. Si potrà qui ricordare come l'art. 392-bis c.p.p. contenga l'elencazione di una serie di ipotesi delittuose di particolare gravità e tali da destare notevole allarme sociale (si spazia dai maltrattamenti in famiglia alla riduzione in schiavitù; dalla prostituzione minorile alla detenzione di materiale pedopornografico; dai fatti di violenza sessuale al delitto di atti persecutori). Quando tali fatti vengano perpetrati in danno di soggetti appartenenti ad una tipica fascia debole — quale appunto quella rappresentata dai minori — è allora coerente con il sistema e con i principi costituzionali traslare avanti nel tempo la fissazione del momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale.

Casistica

Si proporrà ora la lettura di poche sentenze del Supremo Collegio, selezionate fra quelle che presentano spunti di riflessione maggiormente significativi.

In relazione al delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, che ha natura di reato permanente, allorquando la condotta sia riportata in incolpazione mediante la sola specificazione della data iniziale, il termine prescrizionale inizierà il proprio iter dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado e non dal momento dell'emissione del decreto di citazione. Questo nel caso in cui — in corso di dibattimento — emerga la protrazione della condotta antigiuridica anche in epoca successiva all'esercizio dell'azione penale (Cass. VI, n. 33220/2015; nello stesso senso si è espressa Cass. VI, n. 16561/2016).

Il reato di detenzione di arma clandestina rappresenta una figura di reato commissivo permanente; la consumazione dello stesso ha inizio nel momento in cui il soggetto attivo acquisisca la disponibilità dell'arma ed ha fine con la cessazione della detenzione. Il termine iniziale di prescrizione del reato decorre dal momento in cui, grazie al venir meno della detenzione, cessi anche la permanenza (Cass. I, n. 3031/1988).

Con riferimento al tema dell'individuazione della cessazione della permanenza in relazione al reato di cui all'art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, al dissequestro del manufatto illegittimamente edificato può seguire una prosecuzione dell'attività illecita. Ciò determina il differimento del termine iniziale di decorrenza della prescrizione, ma esclusivamente nel caso in cui l'avente diritto riottenga la disponibilità dell'opera. Laddove invece ciò non si verifichi, la condotta penalmente rilevante deve collocarsi — quanto a consumazione — al momento in cui avvenne il sequestro originario, con apposizione dei sigilli (Cass. III, n. 11646/2014).

Per quanto attiene alla lottizzazione abusiva — nella forma cd. negoziale — l'operazione consistente nell'accatastamento del terreno realizza una delle modalità esecutive di tale modello legale. Trattasi di attività rilevante anche allo specifico fine di determinare la permanenza del reato, purché la relativa volontà sia riconducibile ai soggetti attivi della lottizzazione medesima; quindi l'accatastamento medesimo non è una condotta in grado di integrare il suddetto reato permanente, nel caso in cui costituisca niente altro che l'adempimento di un obbligo prescritto dall'amministrazione (Cass. III, n. 37641/2015).

La permanenza del reato di costruzione in violazione della normativa antisismica perdura fino alla persistenza dell'attività costruttiva. Ciò è conseguenza del fatto che non è previsto un obbligo — la cui violazione sia accompagnata da sanzione penale — di procedere all'eliminazione degli abusi, posto che peraltro tale obbligo sarebbe in contrasto con il disposto dell'art. 25 l. 2 febbraio 1974, n. 64, che prevede l'ordine di demolizione, in caso di estinzione del reato per qualsiasi causa, (Cass. III, n. 8100/1994).

Laddove si verifichi un falso in bilancio seguito dal fallimento della società, occorre ricondurre il tutto non ad un'ipotesi di reato societario (sub specie di fattispecie aggravata di false comunicazioni sociali) bensì alla figura specifica della bancarotta fraudolenta impropria da reato societario. La conseguenza di tale impostazione è nel fatto che il momento iniziale dei termini prescrizionali non coincide con quello della consumazione delle distinte condotte presupposte, ma con la data di emissione della sentenza di fallimento (Cass. V, n. 15062/2011).

Il computo del termine di prescrizione parte dalle ore zero del giorno successivo, rispetto a quello in cui si sono manifestati, nella loro interezza, gli elementi costitutivi di una determinata figura tipica; finisce invece al compimento delle ore ventiquattro del giorno finale (Cass. VI, n. 4698/1998; conf. Cass. III, n. 23259/2015). Laddove siano invece noti anno e mese di consumazione di una data fattispecie, ma non sia invece assolutamente individuabile — neppure facendo ricorso ad un procedimento concettuale di carattere logico-deduttivo — il giorno esatto, occorre far riferimento al primo giorno del mese noto (Cass. VI, n. 4268/1987; nel medesimo senso, Cass. III, n. 1182/2008).

Cass. II, n. 12644/2024 ha ribadito come, nell’individuare la decorrenza del termine di prescrizione, debba farsi iniziare il relativo computo alle ore zero del giorno successivo, rispetto  a quello in cui si è manifestata compiutamente la previsione criminosa; tale termine giungerà a completamento, poi, alle ore ventiquattro del giorno finale, calcolato in base al calendario comune.

Profili processuali

Per ciò che attiene al tema della prova da fornire in giudizio, segnaliamo quanto segue. Il Supremo Collegio ha evidenziato come l'onere di allegare elementi di prova, dai quali si possa desumere una decorrenza del termine di prescrizione che sia diversa da quella risultante dagli atti, gravi sull'imputato. Quindi, colui che in dibattimento intenda anticipare la data di consumazione di una certa fattispecie riportata in incolpazione, ha poi anche lo specifico compito di introdurre nell'incarto processuale quegli elementi di valutazione e conoscenza, che consentano di fissare la consumazione del reato a data diversa, rispetto a quella risultante dagli atti, con conseguente spostamento dell'inizio e della fine del relativo termine di prescrizione (Cass. III, n. 27061/2014).

Bibliografia

Beltrani, Prescrizione del reato”, in ilPenalista.it, 15 luglio 2015; Cardile, Zanotti, “Le diverse declinazioni della rinnovata disciplina della prescrizione, in Insolera, “ La legislazione penale compulsiva”, Padova, 2006; Fiandaca-Musco, Diritto penale - Parte generale, Bologna, 1985; Mantovani, Diritto Penale, Parte generale,Padova, 1992; Micheletti, “Commento all’art. 10 l. 5.12.2005, in LP, 2006; Padovani, “Una novella piena di contraddizioni che introduce disparità inaccettabili, in G. Dir., 2006;Pagliaro, Principi di diritto penale, Milano, 1980; Romano, in Romano-Grasso-Padovani, Commentario, Parte generale, III, Milano, 2011; Sandulli, Testo Unico dell'edilizia, Milano, 2004.

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