Codice Penale art. 160 - Interruzione del corso della prescrizione 1 2 .

Angelo Valerio Lanna

Interruzione del corso della prescrizione  12.

 

[I]. Interrompono [pure]3 la prescrizione l'ordinanza che applica le misure cautelari personali [292 c.p.p.] e quella di convalida del fermo o dell'arresto [391 4 c.p.p.], l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria, su delega del pubblico ministero, o al giudice [64, 65, 294, 374 2, 388, 391 3, 421 2, 422 3 c.p.p.], l'invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l'interrogatorio [375 c.p.p.], il provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione [409 3, 410 3 c.p.p.], la richiesta di rinvio a giudizio [416, 417 c.p.p.], il decreto di fissazione della udienza preliminare [418 c.p.p.], l'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato [440 1-2 c.p.p.], il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena [447 3 c.p.p.], la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo [450 1, 4 c.p.p.], il decreto che dispone il giudizio immediato [419 5-6, 455, 456, 464 1 c.p.p.], il decreto che dispone il giudizio [424 1, 429 c.p.p.] , il decreto di citazione a giudizio e il decreto di condanna [601 c.p.p.]  4.

[II]. La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell'articolo 157 possono essere prolungati oltre i termini di cui all'articolo 161, secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale5.

 

[1] Per i reati di competenza del giudice di pace, v. l'art. 61 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.

[2] Per i reati in materia tributaria v. art. 17 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. L'articolo era inizialmente composto da un primo comma, abrogato successivamente dall'art. 1, comma 1, lett. f),  n. 1, l. 9 gennaio 2019, n. 3con effetto dal 1° gennaio 2020, ai sensi dell'art. 1, comma 2, l. n. 3, cit. Il testo del comma era il seguente: Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna [442 2, 533, 605 c.p.p.] o dal decreto di condanna [460 c.p.p.].

[3] L'art. 1, comma 1, lett. f),  n. 2, l. 9 gennaio 2019, n. 3, ha disposto la soppressione della parola «pure » presente nel comma. Tale disposizione,  ai sensi dell'art. 1, comma 2, l. n. 3, cit.  è entrata in vigore il 1° gennaio 2020.

[4] Le  parole «, il decreto di citazione a giudizio e il decreto di condanna» sono state sostituite alle parole «e il decreto di citazione a giudizio» dall'art. 2, comma 1, lett. b), l. 27 settembre 2021, n. 134, in vigore dal 19 ottobre 2021. Precedentemente, le parole  « o alla polizia giudiziaria, su delega del pubblico ministero, »  sono state inserite dall’art. 1, comma 12, l. 23 giugno 2017, n. 103. Ai sensi dell’articolo 1, comma 15, della legge n. 103 cit., le disposizioni del suddetto comma si applicano ai fatti commessi dopo la data di entrata in vigore della presente legge. A norma dell’articolo 1, comma 95, della legge n. 103 cit., la stessa legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quella della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 154 del 4 luglio 2017). Il presente comma era stato sostituito, inoltre, dall'art. 239 coord. c.p.p. Anteriormente a questa modifica, il testo del comma quale risultava a seguito della sostituzione delle originarie parole «sentenza di rinvio a giudizio», con quelle «ordinanza di rinvio a giudizio» da parte dell'art. 10 l. 15 dicembre 1972, n. 773, era così formulato: « Interrompono pure la prescrizione il mandato o l'ordine di cattura o di arresto, di comparizione o di accompagnamento, l'interrogatorio reso dinanzi l'Autorità giudiziaria, l'ordinanza di rinvio al giudizio e il decreto di citazione per il giudizio».

[5] Le parole da «ma in nessun caso» alla fine del comma sono state sostituite alle parole «ma in nessun caso i termini stabiliti nell'articolo 157 possono essere prolungati oltre la metà» dall'art. 6 , comma 4, l. 5 dicembre 2005, n. 251. V. l'art. 10 l. n. 251, cit., sub art. 157.

Inquadramento

Nel Titolo VI del Libro Primo del Codice è contenuta la disciplina normativa delle cause di estinzione del reato e della pena; al Capo primo, tra le cause estintive del reato, si trova la prescrizione. L'istituto è stato profondamente innovato, in primo luogo, dall'art. 6 l. 5 dicembre 2005, n. 251 (cd. legge ex  Cirielli).

Per quanto riguarda l'inquadramento sistematico, la struttura e la funzione della prescrizione, si può rinviare alla lettura del commento inerente all'art. 157.

Si evidenzia qui che il già esaminato istituto della sospensione della prescrizione trae origine dal fatto oggettivo, rappresentato dall'esistenza di fattori in grado di bloccare l'ordinario scorrere del procedimento penale; in diretta derivazione logica da ciò, l'ordinamento interrompe il decorso del termine di prescrizione, per il periodo di tempo occorrente alla rimozione dell'ostacolo. Il segmento del termine prescrizionale già decorso prima dell'intervento della causa di sospensione resta pertanto qui valido e andrà poi a sommarsi — una volta rimosso l'elemento che ne ha cagionato l'arresto — alla porzione successiva di termine. Trattasi proprio dell'elemento differenziale rispetto all'istituto che ora interessa, ossia quello dell'interruzione della prescrizione.

Vi è poi stata una modifica inserita nell'articolo in commento ad opera della novella del 2017; questa è ovviamente efficace – secondo quanto previsto dall'art. 1, comma 15 della medesima disposizione normativa – in ordine ai soli fatti commessi in epoca posteriore, rispetto all'entrata in vigore della legge stessa di riforma.

L'ultimo, recentissimo intervento sull'istituto della prescrizione è dovuto alla legge n. 134 del 27 settembre 2021, entrata in vigore il 19 ottobre 2021 (cd. Riforma Cartabia); questa ha complessivamente introdotto rilevanti modificazioni nel sistema penale e processualpenalistico. Recependo dunque le numerose richieste provenienti dall'U.E. e dalla Cedu, il Legislatore italiano ha infatti cercato di affrontare il problema della esagerata durata dei processi, soprattutto nella fase delle impugnazioni. Accanto quindi alla prescrizione di tipo sostanziale, viene ora inserita una nuova forma di improcedibilità, che realizzerà la cd. prescrizione processuale. Quest'ultima è ora disciplinata dal nuovo art. 344-bis (introdotto dall'art. 2 l. n. 134/2021e la cui rubrica è appunto intitolata “improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione”). La prescrizione invece di natura sostanziale viene regolamentata, sostanzialmente sul solco della precedente legge cd. Bonafede, mediante le modifiche introdotte agli artt. 159 e 160, nonché per il tramite dell'introduzione del nuovo art. 161-bis. Tale ultima disposizione codicistica stabilisce la definitiva cessazione del termine di prescrizione, al momento della pronuncia della sentenza di primo grado (sia essa di condanna o di assoluzione); tale cessazione, prescindendosi dalla terminologia adoperata dal Legislatore, non è evidentemente definitiva, atteso che un eventuale intervento demolitorio della pronuncia d'appello comporterà la ripresa del termine di prescrizione (è infatti previsto che, in presenza di un annullamento con regressione del procedimento al primo grado o anche a una fase anteriore, la prescrizione riprenda il suo corso, a decorrere dalla pronuncia di annullamento).

Il dubbio che tale novella pone concerne allora la effettiva possibilità che – con le attuali strutture, a organici invariati e soprattutto con le attuali regole processuali – si possa davvero raggiungere l'obiettivo di circoscrivere i tempi dei giudizi di impugnazione entro i termini prestabiliti dalla riforma. Molto probabilmente sarà invece necessario – per pensare che vi possano essere risultati concreti in tal senso - attendere le ulteriori modifiche che saranno entro breve introdotte, sulla base delle deleghe conferite proprio dalla Legge Cartabia.

Per quanto più specificamente si riferisce alla disposizione codicistica in commento, l'intervento operato dalla Riforma Cartabia ha riguardato l'inserimento, nell'elenco tassativo degli atti in grado di svolgere funzione interruttiva del termine di prescrizione, del decreto penale di condanna. Il dettato normativo è stato infatti modificato, nel senso che le parole <<e il decreto di citazione a giudizio>>, sono sostituite dalle parole <<il decreto di citazione a giudizio e il decreto di condanna>>. Speculare rispetto a tale modifica è quella introdotta nel precedente articolo 159, laddove è stato eliminato il precedente comma secondo; qui era assegnata – alla sentenza di primo grado e al decreto penale - una impropria funzione sospensiva sul corso della prescrizione (si veda sub art. 159, par. 1). 

Qui infatti, al contrario, cade nel nulla la porzione già consumata di termine prescrizionale e questo ricomincia a decorrere ex novo, dal momento della cessazione dell'operatività della causa interruttiva. L'interruzione è dunque l'effetto che deriva dal compimento di un atto giuridico, in grado di fermare lo scorrere del termine prescrittivo, elidendo l'efficacia del segmento di termine già trascorso (si veda Manzini, 510; qui è adoperata una plastica metafora, davvero molto esplicativa: “Per usare un'immagine espressiva, si può dire che la sospensione ferma temporaneamente la costruzione dell'edificio, mentre l'interruzione abbatte tutto ciò che fino ad allora era stato costruito”).

 

Modifiche introdotte dalla l. n. 3/2019

Il comma 1 della norma in commento – ossia quello che stabiliva l'interruzione del corso della prescrizione per effetto della pronuncia della sentenza di condanna o dell'emissione del decreto di condanna - è stato abrogato dalla legge cd. "anticorruzione" (l. n. 3/2019, in G.U. n. 13 del 16 gennaio 2019, vigente al 31 gennaio 2019,  " Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici" ). Dal testo del  comma 2 – contenente la tassativa elencazione degli atti in grado si svolgere funzione interruttiva della prescrizione - è stata invece eliminata la parola "pure". Tale disposizione – resa necessaria dalle già esaminate modifiche introdotte dalla medesima novella al testo dell'art. 159 - è andata in vigore a partire dal 1° gennaio 2020, secondo quanto disposto dall' art. 1 comma 2 della succitata legge). Evidenziamo che l’intera disciplina della prescrizione così delineatasi (con la già esaminata sospensione per così dire definitiva, al momento della pronuncia della sentenza di primo grado o del decreto penale di condanna) presenta effetti palesemente più sfavorevoli per l’imputato, rispetto alla disciplina previgente; ne deriva ovviamente – in ossequio al più volte richiamato carattere sostanziale dell’istituto della prescrizione – che tale disciplina potrà trovare applicazione solo con riferimento ai fatti commessi in epoca posteriore rispetto al 1° gennaio 2020.

Profili generali (rinvio)

Anche per quanto attiene ai profili generali che caratterizzano la figura ora in commento, è possibile richiamare — in primo luogo — l'analisi effettuata in relazione alla prescrizione in generale, in sede di commento all'art. 157.

Giova ora solo aggiungere quanto segue.

Si è già visto come l'istituto della prescrizione trovi la sua ratio dogmatica, nonché la sua funzione di politica criminale, nella convinzione che il decorso del tempo — quando sia connotato dall'inattività e non conduca all'accertamento della penale responsabilità, in relazione ad un determinato fatto — costituisca fattore atto a far scemare in radice l'interesse statale alla punizione del colpevole. Dunque, il tempo vanamente trascorso determina il venir meno del potere pubblico di perseguire e punire i responsabili di un fatto-reato; il precipitato logico quasi obbligato di tale impostazione concettuale, risiede nel fatto che l'interruzione del decorso del termine di prescrizione non possa che essere causata, appunto, da atti riconducibili ai pubblici poteri. Gli atti tipici, dotati di capacità interruttiva del corso della prescrizione, promanano infatti esclusivamente dagli organi che sono riconosciuti — ad opera dell'ordinamento — quali titolari della giurisdizione in campo penale (Romano, 160).

È per questa ragione, quindi, che nessun atto riconducibile a privati è in grado di svolgere funzione interruttiva in materia. Non figurano, pertanto, nel tassativo elenco legislativo atti quali la querela o la denuncia.

La formulazione normativa

L'elenco degli atti interruttivi

La disposizione codicistica in commento richiama una serie di atti — promananti dal p.m. o dal giudice — ai quali l'ordinamento riconosce appunto la funzione di interrompere il decorso del termine di prescrizione. Tale elencazione è pacificamente considerata — dalla giurisprudenza, nonché in pratica dalla quasi totalità degli interpreti — di natura tassativa. La caratteristica rigida dell'indicazione degli atti interruttivi discende dalla natura sostanziale dell'istituto e dalla conseguente inammissibilità di interpretazioni estensive in malam partem (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 589).

Sotto l'impero della legge antecedente all'intervento della novella del 2017, era opinione comune che non fosse possibile accordare una funzione interruttiva del termine prescrizionale, ad esempio, all'interrogatorio dell'indagato effettuato dalla p.g. su delega del P.m., ai sensi dell'art. 370 c.p.p. Trattasi di una questione ormai superata dall'espressa previsione legislativa, di cui alla succitata legge di riforma. Non svolge infine tale funzione l'avviso di conclusione indagini di cui all'art. 415-bis c.p.p.

Come sopra chiarito, è stato abrogato il comma che assegnava funzione interruttiva alla sentenza di condanna (qualunque fosse il rito adottato, ma purché si fosse trattato di pronuncia di condanna e non di assoluzione). Per quanto ancora di interesse, precisiamo che il riferimento normativo era alla sentenza non divenuti definitiva , atteso che il passaggio in cosa giudicata avrebbe eventualmente potuto portare alla prescrizione della pena, non più del reato. Stando allora alla attuale formulazione legislativa,  l' ordinanza che applica le misure cautelari personali (stando al tenore letterale della norma, trattasi di tutte le misure cautelari personali, siano esse di natura interdittiva o coercitiva e, in questo caso, inframuraria o meno); l' ordinanza di convalida del fermo o dell'arresto (qui deve ritenersi operante l'effetto interruttivo solo in caso di riscontro positivo, ossia di effettiva convalida — da parte del giudice — dell'operato precautelare della p.g.); l' interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice (e, dopo la recente novella, anche quello tenutosi dinanzi alla polizia giudiziaria delegata) e l' invito — di cui all'art. 375 c.p.p. — a presentarsi al p.m. per rendere l'interrogatorio ; il provvedimento mediante il quale il G.i.p. fissi l'udienza in camera di consiglio per la deliberazione circa la richiesta di archiviazione (il riferimento è qui indifferentemente operato all'udienza fissata ex art. 409 o ex art. 410 c.p.p., dunque vi sia stata o meno l'opposizione ad opera della p.o.); la richiesta di rinvio a giudizio e il decreto di fissazione dell'udienza preliminare ; l' ordinanza che dispone la trasformazione del rito a seguito di opzione per il rito abbreviato (dunque, non ancora il decreto mediante il quale venga solo fissata l'udienza in camera di consiglio, susseguente a richiesta ex art. 458 c.p.p.); il decreto mediante il quale venga fissata l'udienza per la decisione circa la richiesta di applicazione pena, ai sensi e per gli effetti dell'art. 444 c.p.p.; la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo ; il decreto che dispone procedersi con il giudizio immediato e quello di rinvio a giudizio , nonché il decreto di citazione a giudizio . L'art. 2, comma 1, lett. b), l. 27 settembre 2021, n. 134, in vigore dal 19 ottobre 2021, ha introdotto nell'elenco tassativo de quo anche il decreto di condanna; trattasi della medesima previsione che era stata espulsa dal testo della norma, in forza dell'art. 1 comma 1 lett. f) n. 1) l. 9 gennaio 2019, n. 3, con decorrenza 1° gennaio 2020.

Si può aggiungere che parte della dottrina ritiene di poter ricomprendere, nella sopra riportata elencazione — per mera analogia e per coerenza sistematica, stante l'equipollenza con altri atti invece ivi enumerati — anche il decreto di citazione nel giudizio d'appello, previsto dall'art. 601 (Romano, 89; contra, individuando comunque in tale estensione un meccanismo di analogia non consentita, Pisa, 87). Trattasi peraltro di questione ormai risolta in senso affermativo da parte della giurisprudenza (vedere sentenza delle Sezioni Unite riportata nell'apposito paragrafo).

È forse anche utile precisare come si sia ormai formata una unanimità di opinioni, nel ritenere importante solo l'adozione dell'atto e non la notifica dello stesso al destinatario. Ciò in quanto la comunicazione dell'atto attiene al profilo dell'effettività di esplicazione dell'attività difensiva, che è però estraneo alla funzione propria dell'istituto dell'interruzione (Molari, 701). La questione è stata comunque affrontata e risolta — proprio nel senso sin qui esposto — dalla Suprema Corte (v. ultra).

Il prolungamento massimo del termine

Il terzo comma della norma stabilisce — in linea con la sopra chiarita struttura e con la funzione propria dell'istituto dell'interruzione — che il termine di prescrizione ricominci a decorrere nuovamente, dal giorno della interruzione. Sarebbe a dire che il termine ordinario di prescrizione — previsto in relazione ad una data fattispecie di reato — riprenderà il suo corso in maniera integrale, con elisione totale della parte già trascorsa, dal momento ad esempio della pronuncia della sentenza di condanna. E nel caso in cui intervenga una pluralità di atti in grado di esplicare una funzione interruttiva, il termine di prescrizione riprenderà a correre dal momento in cui si è avverato l'ultimo di tali atti.

È poi però anche previsto — sempre nel medesimo terzo comma — che il termine complessivo di prescrizione non possa comunque essere prolungato oltre certe soglie, indicate in modo analitico e differenziato dal dettato dell'art. 161.

L'eccezione a tale norma di chiusura è rappresentata da quanto previsto in relazione ai reati previsti dall'art. 51 commi 3 bis e 3 quater c.p.p.. Per quanto infatti afferisce a tali fattispecie — di particolare caratura delinquenziale e di notevole offensività — è anzitutto previsto un termine prescrizionale raddoppiato e non è poi stabilito il muro invalicabile sopra detto, nel caso di prolungamento del termine di prescrizione per effetto di una pluralità di atti interruttivi.

Previsione relativa al giudizio dinanzi al Giudice di Pace

L'art. 61 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 prevede — per quanto attiene al processo che si svolge dinanzi al giudice di pace — una estensione degli atti in grado di svolgere funzione interruttiva del termine di prescrizione. E infatti, oltre che agli atti ricompresi nell'elencazione di cui all'art. 160, tale norma riconnette funzione interruttiva anche alla citazione a giudizio disposta dalla polizia giudiziaria (art. 20 bis d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274) e al decreto di convocazione delle parti, emesso dallo stesso giudice di pace (art. 27 d.lgs. n. 274/2000).

Previsione relativa ai reati finanziari

Per ciò che attiene ai reati finanziari, si segnala che l'art. 17 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 attribuisce funzione interruttiva — oltre che agli atti elencati nella norma in commento — anche al processo verbale di constatazione e all'atto di accertamento delle violazioni finanziarie.

L'efficacia degli atti nulli

Con riferimento al tema dell'attitudine ad espletare un effetto interruttivo del termine di prescrizione — attribuibile agli atti nulli — pare esservi una sostanziale concordia di opinioni, fra gli interpreti della norma. In primo luogo, si considera infatti che l'atto — anche laddove poi destinato ad esser colpito da declaratoria di nullità — è comunque espressivo di una volontà, da parte dell'autorità giudiziaria, di addivenire all'accertamento delle eventuali responsabilità; come tale, esso è l'esatto contrario logico e fattuale, rispetto alla situazione di inerzia che connota il vano scorrere del tempo, ai fini del consolidamento del termine di prescrizione (Romano, 91, Pisa, 89).

Si è correttamente osservato, del resto, come la disposizione normativa in esame riconnetta una valenza interruttiva anche alla sentenza di condanna in primo grado, così come al decreto penale ancora non esecutivo; ad atti, cioè, ancora soggetti a gravame e che ben potrebbero, all'esito della successiva fase processuale, essere appunto dichiarati nulli (Molari, 701).

Altri Autori hanno posizionato la linea di demarcazione, in materia di efficacia interruttiva, sul confine fra atti annullabili — in grado di svolgere effetto interruttivo — ed atti invece nulli o addirittura inesistenti, ai quali alcun effetto giuridico potrebbe invece ricollegarsi (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 595, laddove è richiamato Leone, 466). Con riferimento, in particolare, alle sentenze caducate per qualsivoglia ragione, si è scritto che: “[...] mantenendo ad esse forza interruttiva della prescrizione, viene loro riconosciuta non un'efficacia attuale, bensì soltanto la loro innegabile esistenza giuridica precedente. Nulla autorizza a distruggere un effetto ch'esse produssero per legge quando ancora non erano invalidate” (Manzini, 513).

L'effetto estensivo degli atti interruttivi

L'effetto interruttivo, sul decorso del termine prescrizionale, opera in relazione alle posizioni di tutti i soggetti, che siano chiamati a rispondere del medesimo fatto-reato. Quindi, anche in relazione alle posizioni di coloro che magari vengano imputati in epoca successiva, rispetto all'intervento dell'atto interruttivo.

L'atto interruttivo, infatti, manifesta un interesse dell'ordinamento all'affermazione della penale responsabilità nei confronti di quel soggetto che — all'esito del giudizio — ne risulterà responsabile (si potrà consultare la giurisprudenza riportata al paragrafo che segue).

Casistica

Si passerà ora ad enucleare — tra le tante pronunce emesse dalla Suprema Corte sul tema — quelle che sembrano porre i più interessanti profili problematici.

a. Le dichiarazioni che vengano rese al momento della presentazione spontanea dinanzi all'autorità giudiziaria sono esattamente equipollenti all'interrogatorio propriamente detto e possono pertanto svolgere funzione interruttiva del termine di prescrizione. Ciò a patto solo che, nei riguardi del soggetto che le renda, sia stata mossa una contestazione puntuale e compiuta del fatto. La ratio di tale necessità è da ricercare nella peculiarità degli atti interruttivi di cui all'art. 160, i quali si caratterizzano per essere la manifestazione — ad opera dell'ordinamento statale — della volontà di giungere alla punizione del responsabile di un fatto-reato ben individuato. La Corte ha qui anche spiegato come l'indice di chiarezza della contestazione — ai fini che ora interessano — debba essere rapportato allo sviluppo raggiunto dall'attività d'indagine, nel momento in cui vengano rese le suddette dichiarazioni ad opera dell'indagato (Cass. S.U., n. 5838/2013).

b. Prima della novella del 2017, la giurisprudenza aveva ritenuto che l'interrogatorio delegato dal pubblico ministero alla polizia giudiziaria, a norma dell'art. 370 c.p.p., non costituisse atto idoneo ad interrompere il corso della prescrizione. L'elencazione degli atti produttivi di tale effetto, di cui all'art, 160, non è suscettibile di interpretazione estensiva, in ragione del divieto di analogica in malam partem vigente nel sistema penale (Cass. S.U., n. 33543/2001).

c. Anche l'atto che sia nullo — purché rientrante nell'elencazione tassativa ex art. 160 — produce l'effetto interruttivo del corso della prescrizione, in quanto rileva sotto il profilo oggettivo, per la sua valenza di manifestazione di interesse alla punizione da parte dello Stato (Cass. III, n. 29081/2015). Nello stesso senso si è pronunciata Cass. IV, n. 5121/2022, la quale ha ribadito come debba ricondursi agli atti interruttivi della prescrizione una valenza oggettiva, atteso che essi denotano la persistenza dell’interesse dello Stato a perseguire il reato. La medesima pronuncia ha chiarito come tali principi siano applicabili anche nell'ipotesi di c.d. reato degli enti.

d. Il generico richiamo al decreto di citazione a giudizio, inserito nella previsione dell'art. 160 comma 2, induce a ricondurre, entro l'alveo degli atti interruttivi del termine prescrittivo, anche il decreto di citazione per il giudizio d'appello (Cass. VI, n. 27324/2008).

e. Gli atti ai quali la legge riconnette una efficacia interruttiva del termine di prescrizione, rappresentano un numerus clausus, che non è suscettibile di estensione in sede di interpretazione, pena la violazione del divieto di analogia in malam partem in campo penale. In ragione di ciò, non rientra in tale ambito l'avviso di conclusione indagini ex art. 415-bis c.p.p. (Cass. S.U., n. 21833/2007). Nella medesima direttrice interpretativa si pone Cass. V, n. 9696/2015, a mente della quale la modifica dell'imputazione operata dal p.m. — a norma degli artt. 516 e 517 c.p.p. — non è atto produttivo di un effetto interruttivo della prescrizione, vista la natura tassativa ed insuscettibile di ampliamento dell'elencazione contenuta nell'articolo in commento.

f. Il momento al quale occorre fare riferimento — per individuare l'interruzione del corso del termine di prescrizione — è quello dell'adozione dell'atto da parte dell'autorità giudiziaria e non quello della comunicazione dello stesso al soggetto destinatario (Cass. S.U., n. 3760/1994) ). Cass. II, n. 1012/2022 ha ribadito come – ai fini della realizzazione dell'effetto interruttivo - rilevi la data della notifica del decreto di citazione a giudizio, piuttosto che quella della adozione del provvedimento (in conformità al sopra riportato dictum delle Sezioni Unite si erano espresse anche Cass. V, n. 25033/2020 e Cass. I, n. 13554/2009). Cass. II, n. 46261/2019 ha anche precisato come – in sede di computo del termine  prescrizionale – debba aversi riguardo al momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non a quello posteriore del deposito della medesima.

Profili processuali

Per ciò che attiene al profilo più genuinamente procedurale, segnaliamo che il decreto emesso dal g.i.p. a seguito di opposizione a decreto penale di condanna è produttivo dell'effetto interruttivo in esame, essendo tale atto riconducibile alla più vasta categoria del decreto di giudizio immediato, atto indicato nell'elenco normativo ex art. 160 (Cass. III, n. 38207/2011).

La proposizione di azione civile, in seno al processo penale, interrompe il corso della prescrizione del relativo diritto per l'intera durata del giudizio penale; la prescrizione riprenderà poi a correre dal momento del passaggio in giudicato della sentenza penale (Cass. V, n. 1463/2011).

Evidenziamo infine che nel corso del processo — affinché non si consolidi il termine di prescrizione — occorre che, in presenza di più atti interruttivi, non venga superato il tetto massimo di cui all'art. 160 comma 3, ma anche che non si consolidi il termine ordinario di prescrizione tra l'uno e l'altro dei più atti interruttivi (Cass. II, n. 20654/2014 e Cass. V, n. 51475/2019).

Bibliografia

Leone, Lineamenti di diritto processuale penale, Napoli, 1956; Manzini, Trattato di Diritto penale italiano, III, Torino, 1950; Molari, voce Prescrizione del reato e della pena, in Nss. d. I., Torino, 1966; Pisa, voce Prescrizione, in Enc. dir., XXXV, Milano, 1986; Romano, in Romano-Grasso-Padovani, Commentario, Parte generale, III, Milano, 2011.

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