Codice Penale art. 162 - Oblazione nelle contravvenzioni (1).

Angelo Valerio Lanna

Oblazione nelle contravvenzioni (1).

[I]. Nelle contravvenzioni, per le quali la legge stabilisce la sola pena dell'ammenda, il contravventore è ammesso a pagare, prima dell'apertura del dibattimento [492 1, 555 1e, 557 c.p.p.; 141 att. c.p.p.], ovvero prima del decreto di condanna [460, 565 c.p.p.], una somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento [604 7 c.p.p.].

[II]. Il pagamento estingue il reato [686 1a n. 1 c.p.p.].

(1) Articolo così sostituito dall'art. 7 d.lg.lt. 5 ottobre 1945, n. 679.

Inquadramento

Nel Titolo VI del Libro Primo del Codice è contenuta la disciplina normativa delle cause di estinzione del reato e della pena; al Capo primo, tra le cause estintive del reato, si trova l'oblazione, nel testo sostituito dall'art. 7 d.lgs. lgt. 5 ottobre1945, n. 679.

In linea generale, l'oblazione si sostanzia nella dazione di una somma di denaro — in misura predeterminata e parametrata alla sanzione prevista in relazione alla tipologia di infrazione — mediante la quale è possibile addivenire all'estinzione di un reato di tipo contravvenzionale.

La prima summa divisio interviene fra l'oblazione processuale, che è l'istituto in particolare ora esaminato e quella invece extraprocessuale.

Quest'ultima a sua volta si distingue, secondo il momento nel quale vada a collocarsi, in oblazione in via breve e oblazione mediante conciliazione. La prima — l'oblazione in via breve —si atteggia alla stregua di un ostacolo alla possibilità stessa di promuovere l'azione penale. La seconda — l'oblazione mediante conciliazione in via ordinaria — avviene invece dopo la redazione del relativo verbale, secondo i casi prima o dopo la trasmissione dello stesso all'A.G.

La l. 24 novembre 1981, n. 689 — oltre ad aver inserito l'art. 162 bis, così prevedendo la possibilità di accedere all'oblazione anche in relazione a contravvenzioni punite alternativamente con pena pecuniaria o detentiva — ha anche depenalizzato un gran numero di fattispecie contravvenzionali alle quali era prima possibile applicare l'istituto ora in esame. Le forme di oblazione in via amministrativa — così come le oblazioni previste da norme finanziarie o di altro tipo — non vanno comunque mai confuse con l'oblazione giudiziale o processuale, che è appunto quella disciplinata dagli artt. 162 e 162 bis.

L'oblazione processuale si colloca infatti interamente nell'ambito del procedimento penale, dopo l'iscrizione nel registro delle notizie di reato; essa rappresenta una causa estintiva alla quale è possibile accedere tanto in fase di indagini preliminari, quanto all'indomani dell'esercizio dell'azione penale. La dottrina giustamente tende a distanziare concettualmente — in relazione all'istituto in commento — gli aspetti sostanziali (che valgono a renderlo in toto assimilabile alla morte del reo, all'amnistia, alla prescrizione del reato ed alla sospensione condizionale della pena), dagli aspetti eminentemente processuali che lo stesso presenta. In relazione a tali ultimi profili, l'oblazione viene infatti collocata — in punto di qualificazione dogmatica e funzionale — fra i procedimenti speciali, in ragione della intima sua attitudine deflattiva dei processi (Venditti, 248).

L'oblazione prevista dall'art. 162 è infine catalogata in dottrina come oblazione comune (o ordinaria), per differenziarla da quella prevista dall'art. 162 bis, denominata oblazione speciale.

È infine utile evidenziare come il progressivo ricorso, ad opera del legislatore, alla depenalizzazione dei reati minori — tra i quali ovviamente rientrano in primis proprio le contravvenzioni — abbia finito per restringere fortemente il campo applicativo dell'oblazione comune.

Profili generali

L'istituto in commento attribuisce all'autore di un determinato fatto-reato, di natura contravvenzionale, la unilaterale possibilità di provocare l'estinzione del reato commesso, mediante il pagamento di una certa somma di denaro. La somma da corrispondere è prestabilita in maniera fissa, dunque non è assoggettata — sotto il profilo della dosimetria — alla valutazione discrezionale effettuata dal giudice. Si tratta chiaramente — stante il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, che informa l'intero sistema penale italiano — di uno strumento di applicazione straordinaria, che costituisce una eccezione rispetto allo snodarsi ordinario del processo.

Con riferimento alla ratio dell'istituto, la dottrina tradizionale ha ritenuto di poterla far coincidere con “l'esigenza dello Stato di definire con economia e sollecitudine i procedimenti concernenti i reati di minima importanza” (Fiandaca-Musco, 467). La dottrina più risalente attribuiva all'istituto anche la precipua caratteristica di far degradare l'illecito penale a fatto di mera rilevanza amministrativa (Manzini, 579; così anche Antolisei, 670, che la definisce una “sanzione pecuniaria amministrativa, il cui pagamento ha per conseguenza di degradare il reato in semplice torto amministrativo, estinguendone tutte le conseguenze penali”); parte della dottrina ha anche considerato l'oblazione quale  modalità volontaria di assoggettamento alla sanzione, assimilandola in tal modo — con procedimento logico forse incongruo — ad una esecuzione della pena, derogatoria rispetto alla regola generale nulla poena sine iudicio.

Si è poi chiarito come non si tratti — oltre che di una esecuzione volontaria — nemmeno di una transazione o di un amichevole componimento oppure di una conciliazione, “quali che siano le espressioni usate da leggi speciali per designare l’oblazione” (Manzini, 581). In dottrina si è anche ritenuto di poter definire l'oblazione quale depenalizzazione di fatto, individuando una equipollenza funzionale fra l'istituto in commento e appunto la depenalizzazione (Fiandaca-Musco, 468).

Sottolineiamo allora anzitutto come si tratti — secondo l'opinione ormai unanime in dottrina e giurisprudenza — di un diritto soggettivo pubblico individuale, che riconosce al soggetto beneficiario la possibilità di estinguere il reato commesso. L'oblazione giudiziale, inoltre, non incide sugli elementi costitutivi del reato, né sull'illiceità della condotta e nemmeno sull'attitudine del fatto contravvenzionale ad esplicare gli effetti suoi propri, in caso di mancato prodursi della causa estintiva rappresentata dal pagamento della somma dovuta. Si è inoltre sottolineato come l'oblazione “[...] in quanto accadimento posteriore al perfezionamento del reato e consistente in un comportamento volontario del contravventore, inciderebbe non già sull'illiceità del fatto quanto piuttosto sulla sua punibilità, intesa quale idoneità del reato a produrre il suo effetto principale” (Venditti, 248).

Ciò che in definitiva deve essere posto in risalto è il peso predominante che l'ordinamento riconosce — in relazione soprattutto al tipo di oblazione ora in commento — alla espressione di volontà promanante dall'interessato, al quale viene attribuito il potere di provocare l'estinzione del reato.

L'oblazione giudiziale in esame è dunque subordinata esclusivamente: a) al fatto che essa venga proposta in relazione a contravvenzioni per le quali la norma stabilisca la sola pena dell'ammenda; b) al fatto che la domanda sia inoltrata dal contravventore (ma anche dal difensore, come ritenuto dalla più recente giurisprudenza), in un momento anteriore rispetto all'apertura del dibattimento, ovvero in epoca antecedente rispetto all'emissione del decreto penale di condanna (ricordiamo però la facoltà di accedere all'oblazione, tramite domanda proposta contestualmente ad opposizione a decreto penale di condanna, ai sensi dell'art. 464, comma 2 c.p.p.; c) al fatto che essa sia seguita dal pagamento — entro i termini indicati dal giudice nel provvedimento ammissivo — della somma dovuta, che corrisponde ad un terzo del massimo edittale previsto per la contravvenzione commessa.

La formulazione normativa

L'art. 162 regolamenta l'istituto dell'oblazione obbligatoria (da tener distinta rispetto a quella disciplinata dall'art. 162-bis, qualificabile come discrezionale). Occorre qui precisare che l'accesso all'oblazione è — per il contravventore — sempre una libera scelta, espressione di un diritto soggettivo. Ciò che può invece essere obbligatorio o discrezionale è il provvedimento ammissivo riservato al giudice e quindi, correlativamente, la possibilità per l'interessato di accedere a tale forma di definizione.

La domanda di definizione a mezzo di oblazione è assoggettata a termini diversi, secondo la fase all'interno della quale essa vada a collocarsi.

Ai sensi dell'art. 141 disp. att. c.p.p., la richiesta proposta prima dell'esercizio dell'azione penale — quindi in fase di indagini preliminari — è depositata presso l'ufficio del pubblico ministero, il quale provvede alla trasmissione della stessa, unitamente al fascicolo processuale, al giudice per le indagini preliminari. È poi prevista una doppia informazione, in favore del contravventore. In primo luogo, il p.m. ha la facoltà di informare l'interessato — al ricorrere dei presupposti di legge — della possibilità di accedere alla definizione mediante oblazione, nonché del fatto che il pagamento della somma che gli sarà indicata andrà ad estinguere il reato. Laddove tale avviso non venga fatto sarà poi preciso obbligo del g.i.p., quello di informare il contravventore della facoltà medesima, nello stesso decreto penale di condanna.

Una volta inoltrata la domanda di oblazione, il giudice acquisisce il parere del pubblico ministero; ciò fatto, il giudice: a) se ritiene di dover disattendere la domanda — risultando carenti i presupposti per l'accesso a tale modalità di definizione — emette ordinanza reiettiva e rende gli atti al pubblico ministero; b) se accoglie la richiesta, pronuncia ordinanza a mezzo della quale fissa la somma da pagare — corrispondente, come detto, ad un terzo del massimo edittale previsto per il reato per il quale si procede — facendone dare avviso al contravventore richiedente.

A versamento avvenuto, occorre operare un secondo distinguo.

Per cui: 1) se l'intera procedura sopra descritta (domanda del contravventore; parere del p.m.; ordinanza ammissiva; pagamento della somma dovuta) si è snodata durante le indagini preliminari, il g.i.p. trasmetterà il fascicolo al p.m. per le sue determinazioni (e in questo caso, l'esito non potrà essere altro, se non la richiesta di archiviazione ed il successivo decreto ad opera del g.i.p.); 2) se invece risultava già esercitata l'azione penale, il giudice emetterà de plano sentenza dichiarativa dell'avvenuta estinzione del reato.

Giova poi rammentare il dettato dell'art. 141 comma 4 bis disp. att. c.p.p., come introdotto dall'art. 53 comma 1 lett. c) l. 16 dicembre 1999, n. 479. Tale norma prevede la restituzione del contravventore nel termine per proporre domanda di oblazione, nel caso di modifica dell'originaria imputazione, che abbia determinato la contestazione di un reato estinguibile mediante oblazione. Laddove si verifichi tale fenomeno di restituzione in termini, l'imputato è facultato a proporre la relativa domanda ed il giudice — in caso di riscontro positivo — emette ordinanza di ammissione, indicando la somma oggetto di dazione a fini estintivi ed assegnando un termine non superiore a dieci giorni. Il tempestivo pagamento estingue il reato, che verrà dichiarato dal giudice con sentenza.

Si evidenzia infine che — a norma dell'art. 3 d.P.R. 14 novembre 2002 n. 313 — del reato contravvenzionale dichiarato estinto mediante oblazione ex art. 162, non viene fatta menzione nel casellario giudiziale.

Le contravvenzioni estinguibili

Nel caso di ammenda indeterminata nel massimo

Uno dei temi maggiormente dibattuti, tra quelli che sono stati affrontati da dottrina e giurisprudenza, è costituito dalla individuazione del limite di pena da prendere a base del computo dettato dalla norma in esame — ai fini dell'individuazione della somma da corrispondere a titolo di oblazione — nel caso in cui, per un determinato reato, sia prevista una pena pecuniaria non stabilita nel massimo. La soluzione propugnata — in maniera ormai sostanzialmente concorde — da dottrina e giurisprudenza (vedere il paragrafo a ciò dedicato) è nel senso che occorra in tal caso richiamare per relationem il disposto dell'art. 26. Qui è disposto che l'ammenda consista «nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro 20, né superiore a euro 10.000». Quest'ultima sarà dunque la cifra da considerare quale massimo edittale, in relazione al quale operare la determinazione della somma da versare a titolo di oblazione (somma che sarà quindi pari a euro 3.333,00).

Precisiamo, sul punto specifico, che potrà darsi corso all'oblazione anche nel caso in cui — non essendoci comunque una indicazione rigida del massimo di pena edittale — il legislatore abbia affidato tale indicazione ad un computo proporzionale all'entità della violazione (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 610, Padovani, 236).

Ulteriori situazioni non ostative

Non rappresenta un ostacolo all'accesso all'oblazione — in primo luogo — la previsione, unitamente all'ammenda, di una pena accessoria.

Nel caso in cui si verifichi poi un concorso formale di contravvenzioni ed in caso di continuazione, “la pena massima per le contravvenzioni unificate dal vincolo della continuazione dovrà essere considerata con riferimento a quella derivante dall'applicazione delle regole del cumulo giuridico” (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 612).

La richiesta di oblazione

I soggetti legittimati

La domanda di oblazione deve anzitutto provenire dal soggetto a tanto legittimato, ossia in primis dal contravventore. La persona alla quale il codice si riferisce è dunque quella iscritta nel registro delle notizie di reato, quale possibile protagonista del fatto contravvenzionale in ordine al quale si procede. Allorquando del reato contravvenzionale si sia reso protagonista un minore, è chiaro che il diritto di proporre domanda di oblazione spetterà anche al rappresentante.

La possibilità di chiedere l'oblazione è stata tradizionalmente considerata — da parte degli interpreti della norma — quale diritto personalissimo, dunque non esercitabile se non personalmente dall'interessato. Anzi, tale diritto era considerato non trasferibile, nemmeno mediante il rilascio di procura speciale; ciò, sul presupposto che l'art. 122 c.p.p. prevede il compimento di atti processuali per il tramite di un procuratore speciale, ma solo quando ciò sia consentito dalla legge, cosa invece non espressamente indicata dalla norma in commento (Martini, 417). Altri ritenevano invece ammissibile la domanda di oblazione, che fosse stata presentata dal difensore munito di procura speciale.

Una vera e propria rivoluzione copernicana si è però verificata in materia, grazie all'intervento delle Sezioni Unite della Cassazione. A mente dell'orientamento formatosi sul punto, infatti, la domanda promanante dal difensore — pur se non munito di specifica procura — deve considerarsi pienamente legittima e produttiva di effetti. Si è infatti argomentato dal dettato dell'art. 99 comma 1 c.p.p., per dedurne come la mera domanda di oblazione non rientri propriamente fra i diritti — pur se riservati all'imputato — esercitabili esclusivamente da questi. La domanda in sé considerata, peraltro, è improduttiva di effetti, visto che l'effetto estintivo si ricollega poi esclusivamente al pagamento della somma stabilita dal giudice (vedere la giurisprudenza sotto riportata).

Pacifico è al contrario che non sia legittimata a presentare domanda di oblazione la persona civilmente obbligata per l'ammenda, posto che “la posizione giuridica di quest'ultimo soggetto è condizionata alla insolvibilità dell'imputato” (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 614; Mazza, 590).

Evidenziamo poi che — in caso di reato contravvenzionale ascrivibile a più soggetti in concorso tra loro — ciascuno di essi sarà tenuto, ove lo ritenga opportuno, a inoltrare una distinta domanda di oblazione; il relativo effetto estintivo, ovviamente, si produrrà soltanto in relazione al singolo imputato richiedente (si veda, anche sul punto, la giurisprudenza sotto riportata).

Lo sbarramento processuale

Sotto il profilo funzionale e strutturale, giova precisare come l'atto di oblazione costituisca un negozio giuridico unilaterale che è irrevocabile, una volta che venga condotto a termine. Il rapporto processuale, infatti — allorquando sia stata corrisposta la somma indicata dal giudice a titolo di oblazione — risulterà definitivamente estinto, proprio grazie all'iniziativa del contravventore.

Ciò chiarito, occorre dire che il legislatore individua un momento finale per l'ammissibilità della modalità estintiva in commento. Uno sbarramento processuale che è rappresentato dalla dichiarazione di apertura del dibattimento; questo è infatti il termine ultimo, utile per esercitare il diritto di ricorrere all'oblazione. Tale termine ha natura tassativa.

Ci si è interrogati, circa le motivazioni in base alle quali occorra attribuire a tale sbarramento una natura non modificabile, inflessibile, perentoria. Ebbene, la non prorogabilità del limite temporale e processuale di ammissibilità rappresenta proprio una derivazione diretta, della funzione assegnata dalla legge al termine stesso; il quale è a sua volta  diretta espressione della ratio informatrice della causa estintiva in commento. Se infatti si riconosce all’oblazione una preminente funzione deflattiva, rispetto a forme di aggressione a beni giuridici che — sebbene tutelate dall'ordinamento penale — non paiono atte a destare un eccezionale allarme, si deve anche convenire circa il fatto che tale funzione resterebbe sostanzialmente vanificata, laddove si consentisse all'imputato di far ricorso alla causa estintiva praticamente a piacimento. Magari anche dopo l'inizio della effettiva fase della raccolta delle prove. Questa è — come espresso dalla giurisprudenza sotto riportata — la ragione per la quale il legislatore ha avvertito l'esigenza di porre un limite processuale invalicabile.

Disciplina delle spese

Si sottolinea, in primo luogo, che l’oblazione è una modalità di estinzione del reato che impedisce l’ammissibilità della condanna al ristoro delle spese sostenute dalla parte civile.

Sono invece poste a carico dell'imputato le spese del procedimento penale.

L'imputato è inoltre tenuto — in caso di estinzione del reato per il tramite dello strumento consentito dalla disposizione normativa in esame — al pagamento delle spese derivanti dall'esecuzione di sequestri di tipo preventivo o probatorio; trattasi infatti di un caso non riconducibile entro l'alveo previsionale dell'art. 84 disp. att. c.p.p., ora abrogato dall'art. 299 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Si precisa che la regolamentazione attinente al pagamento delle spese in caso di restituzione di beni sottoposti a sequestro è ora rintracciabile nel dettato dell'art. 150 del medesimo d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115T.U.S.G., come modificato dall'art. 9-bis comma 1 lett. f) d.l. 30 giugno 2005, n. 115, convertito in l. 17 agosto 2005, n. 168. Il principio di diritto — come peraltro scolpito nella sentenza del Supremo Collegio che si riporta nel paragrafo a ciò dedicato — è comunque restato ovviamente immutato.

In relazione al reato permanente

La giurisprudenza è ormai concorde nel ritenere l'inammissibilità dell'estinzione mediante oblazione nei reati permanenti, almeno fino al momento della cessazione della permanenza dei medesimi (si potrà leggere l'estratto, sotto riportato, della relativa decisione delle Sezioni Unite).

Né a difformi lumi conduce la considerazione dell'esistenza di fattispecie contravvenzionali con condotta antigiuridica avente carattere permanente, pure previste come oblabili. Il riferimento è qui ad esempio alla regolamentazione dettata dall'art. 127 l. 24 novembre 1981, n. 689, laddove è previsto che la disposizione in materia di oblazione (sebbene testualmente prevista ex art. 162 bis) debba trovare applicazione anche in relazione ai reati esclusi dalla depenalizzazione indicati nel precedente art. 34, alle seguenti lettere:

l) leggi in materia urbanistica ed edilizia;

h) l. 13 luglio 1966, n. 615, concernente provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico (disposizione normativa ormai abrogata dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152);

i) l. 31 dicembre 1962, n. 1860 e d.P.R. 13 febbraio 1964, n. 185, relativi all'impiego pacifico dell'energia nucleare (quest'ultimo abrogato dal d.lgs. 17 marzo 1995, n. 230);

n) leggi relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro ed all'igiene del lavoro (vedere d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81).

Si è infatti giustamente sottolineato come si tratti di una normativa particolare, frutto di “[...] una settoriale e specifica scelta di politica criminale operata dal legislatore e non una conseguenza di un dato ontologico-strutturale della particolare fattispecie criminosa (Diotallevi, 612, laddove si trova altresì il richiamo alle statuizioni dettate dagli artt. 38 e 39 l. 28 febbraio 1985, n. 47, oltre che dall'art. 221 r.d. 18 giugno 1931, n. 773T.U.L.P.S. ed è altresì citato Favalli, 1904).

Forme particolari presenti nell'ordinamento

Ricordiamo in primo luogo il dettato dell'art. 110 l. 17 luglio 1942, n. 907 che concerne l'estinzione dei delitti di contrabbando punibili con la sola multa. In relazione a questi, l'Amministrazione dei Monopoli può ammettere il colpevole al pagamento di una somma da determinare ad opera dei propri organi, entro una forchetta minima e massima stabilita dalla legge. L'Amministrazione ha qui riguardo all'entità del fatto ed alla personalità del colpevole. La corresponsione della somma indicata estingue il reato, ma non impedisce la confisca delle merci, che viene disposta con provvedimento della stessa Amministrazione dei Monopoli.

Per ciò che attiene all'estinzione — mediante pagamento di una somma di denaro — dei delitti di contrabbando punibili con la sola multa — si veda altresì l'art. 334 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43. Segnaliamo che — come da giurisprudenza sotto riportata — la legge doganale ha carattere speciale rispetto a quella penale. Ciò comporta che, dichiarata l’estinzione in via amministrativa del reato, i provvedimenti di confisca e di attribuzione delle spese di custodia spetteranno all’autorità amministrativa e non a quella giudiziaria.

Si ricorda poi l'art. 10 l. 3 gennaio 1951, n. 27, che inerisce al monopolio dei sali e tabacchi. Qui è prevista la competenza dell'intendente di finanza e si stabilisce che - in ordine ai reati previsti dalla l. 17 luglio 1942, n. 907, oltre che dalle altre leggi relative a generi di monopolio ed a generi a questi assimilati, in relazione ai quali non siano previste pene detentive - il denunciato può chiedere all'intendente di finanza competente per territorio l'ammissione alla dazione di una certa somma di denaro, unitamente al diritto di monopolio omesso. La somma è stabilita muovendosi entro limiti di pena ovviamente predeterminati, ma comunque avendo riguardo alla gravità del reato «desunta a norma del Codice penale». Il pagamento della somma indicata estingue il reato, ma non esonera dalla confisca.

Per la parte relativa all'urbanistica, ricordiamo il condono edilizio disciplinato dall'art. 38 l. 28 febbraio 1985, n. 47 e dall'art. 32 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni in l. 24 novembre 2003, n. 326.

Questioni di legittimità costituzionale

La Consulta ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità proposta in relazione alla norma in esame - oltre che, congiuntamente, in ordine all'oblazione speciale ex art. 162-bis - per asserito contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. Era stata infatti prospettata l'esistenza di una incongrua differenziazione della norma scrutinata, rispetto all'istituto del cd. patteggiamento ex art. 444 c.p.p., nella parte in cui non è qui previsto che il giudice liquidi le spese sostenute dalla parte civile, in caso di estinzione del reato per pagamento dell'oblazione. Ha infatti osservato la Corte che, in primo luogo, la sentenza di applicazione pena — pur non essendo propriamente una sentenza di condanna — è però a questa assimilata a taluni effetti, proprio ad opera del disposto dell'art. 445 c.p.p. Inoltre, il soggetto che si ritenga leso potrà sempre adire il giudice civile ed ottenere, in tal sede, la condanna del convenuto (imputato prosciolto per estinzione susseguente ad oblazione) alla rifusione anche delle spese sostenute nel processo penale (C. cost. n. 73/1993 e C. cost n. 381/2003).

Parte della dottrina ha inoltre sottolineato un problema di tenuta della norma rispetto al principio costituzionale di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., introducendo essa una disciplina praticamente fondata sul censo e quindi, almeno tendenzialmente, discriminatoria nei confronti dei soggetti meno facoltosi. In tal senso, si è considerato non conforme allo spirito della Costituzione, il mantenimento di uno strumento estintivo legato esclusivamente al pagamento di una determinata somma di denaro; somma che per avventura può anche a volte risultare di rilevante entità, quindi non da tutti agevolmente sopportabile (Cadoppi, 186).

La questione è stata comunque reputata infondata dalla Consulta, la quale ha sottolineato come il ricorso all'oblazione permetta comunque al soggetto di sopportare un costo economico inferiore, rispetto a quello potenzialmente derivante dall'irrogazione di una condanna (Corte cost. n. 207/1974).

La Consulta, con decisione interpretativa di rigetto, ha inoltre ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale attinente all'art. 464 comma 2 c.p.p., affermando che – laddove in sede di opposizione a decreto penale di condanna venga chiesta l'ammissione all'oblazione - non è inibita al g.i.p., all'interno del subprocedimento ex art. 141 disp. att. c.p.p., la eventuale pronuncia ai sensi dell'art. 129 c.p.p., che sia stata specificamente chiesta dall'opponente con argomentazioni articolate all'uopo nell'atto di opposizione (Corte cost. n. 14/2015). Sviluppando poi i principi di diritto esplicitati dal Giudice delle leggi in tale pronuncia, la Cassazione ha chiarito come l'opposizione a decreto penale di condanna costituisca una sede procedimentale nella quale si può legittimamente porre una duplice questione: la domanda di ammissione all’oblazione (il cui accoglimento prescinde ovviamente dalla verifica in ordine al profilo della colpevolezza) e, in via preliminare, anche l’esame della ricorrenza delle ipotesi dettate dall'art. 129 c.p.p. (Cass. I, n. 23856/2016).

Casistica

Di seguito, alcune delle pronunce di maggiore interesse che sono state emesse — sullo specifico argomento — dal Supremo Collegio.

L'oblazione, con riferimento ai reati permanenti, può essere ammessa esclusivamente quando la permanenza sia completamente cessata (Cass.S.U., n. 10/1999).

L'oblazione — nella forma sia obbligata che discrezionale, dunque sia essa ex art 162 o 162-bis — può essere applicata in relazione alla categoria dei reati eventualmente permanenti. A condizione, però che sia cessata la permanenza. Qui la Corte ha ritenuto oblabile la contravvenzione ex art. 659, realizzata mediante installazione di impianto di condizionamento molto rumoroso, sul presupposto che — nonostante il reato sia appunto da qualificare come eventualmente permanente — nel caso di specie non risultasse provata la prosecuzione delle conseguenze moleste (Cass. I, n. 7758/2012).

La Corte ha poi chiarito che — ai fini dell'ammissione all'oblazione — occorre che la contravvenzione per la quale si procede preveda soltanto la pena dell'ammenda. Non può farsi rientrare in tale previsione, dunque, il caso in cui la pena dell'ammenda derivi dal riconoscimento di una circostanza attenuante speciale, oltre che da una valutazione discrezionale del fatto, nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi (Cass. I, n. 23383/2015).

All'interno della previsione di cui all'art. 4 l. 18 aprile 1975 n. 110, il caso di lieve entità — in relazione al quale la legge stabilisce la sola pena dell'ammenda — rappresenta una circostanza attenuante dell'ipotesi principale (in ordine alla quale sono previste congiuntamente tanto la pena  pecuniaria, quanto quella detentiva), piuttosto che una autonoma figura di reato. Discende da tale impostazione il fatto che l'oblazione relativamente ai fatti di lieve entità, per i quali è irrogabile dal giudice la sola pena dell'ammenda, non è ammissibile (Cass. I, n. 8530/1996).

Solo in relazione alle contravvenzioni per le quali siano previste in via alternativa la pena detentiva e quella pecuniaria si pone il problema della attitudine ostativa, ricollegabile alla permanenza delle conseguenze dannose del fatto. L’oblazione prevista in ordine alle fattispecie sanzionate con la sola pena dell’ammenda, invece, costituisce un diritto soggettivo pubblico riconosciuto all’imputato (Cass. III, n. 6592/1994).

L'unico ostacolo all'estinzione delle contravvenzione mediante la forma di oblazione prevista dalla norma in esame, può essere rappresentato dalla natura della pena; sarebbe a dire che l'ostacolo risiede nel fatto che sia prevista la pena dell'arresto. Non è invece ostativa la eventuale previsione di sanzioni accessorie, che conseguono ex lege alla pronuncia di colpevolezza, come effetto necessitato della stessa. Tale principio ha carattere generale ed è applicabile ad ogni forma di oblazione, dunque anche a previsioni in tal senso magari inserite in leggi speciali (Cass. III, n. 2972/1973).

Non è ammessa la rateizzazione della somma di denaro dovuta dal contravventore a titolo di oblazione. Tale somma è infatti prestabilita dalla legge, senza che rilevi la situazione finanziaria del soggetto (Cass. III, n. 8973/2010).

Allorquando in sentenza il giudice riqualifichi l'originaria contestazione, individuando la sussistenza di un reato estinguibile mediante oblazione, è assicurato all'imputato il diritto di chiedere l'oblazione solo nel caso in cui — rassegnando le conclusioni prima dell'emissione della pronuncia — abbia espressamente domandato di essere ammesso all'oblazione, appunto nel caso di derubricazione della contestazione (Cass. II, n. 40037/2011; nella concreta fattispecie la difesa — formulando le conclusioni — aveva appunto chiesto di essere ammessa all'oblazione, nel caso in cui l'originaria incolpazione per ricettazione fosse stata riqualificata ai sensi dell'art. 712. La sentenza interessa più propriamente la disposizione codicistica che segue; pare però opportuno richiamarla per l'enunciato di diritto che contiene, che ovviamente concerne anche casi eventualmente ricadenti sotto l'impero della norma ora in commento).

Lo sbarramento temporale — coincidente con la dichiarazione di apertura del dibattimento — stabilito dalla legge quale termine ultimo per esercitare il diritto di ricorrere all'oblazione, ha natura tassativa. Il fondamento della natura rigida e inderogabile di tale termine discende direttamente dalla funzione dello stesso, nonché dalla ratio della causa estintiva in commento. La funzione dell'oblazione risiede infatti precipuamente nel soddisfacimento di una funzione deflattiva, rispetto alla repressione penale; funzione che risulterebbe profondamente monca, laddove si consentisse al contravventore di accedere a tale modalità di estinzione, anche una volta intrapresa la fase della raccolta delle prove. Da tanto deriva la necessità assoluta dell'esistenza di uno sbarramento processuale (Cass. III, n. 4851/1998).

Si deve ritenere legittimamente proposta e produttiva di effetti la richiesta di oblazione proveniente dal difensore anche non munito di specifica procura, sulla base del disposto dell'art. 99 c.p.p. (Cass.S.U., n. 47923/2009).

L'imputato al quale siano stati ascritti — nell'ambito della medesima vicenda processuale — contestualmente reati oblabili e reati invece non estinguibili mediante oblazione — è comunque legittimato a proporre oblazione in relazione ai primi, non essendovi di ostacolo la ulteriore contestazione per reati non oblabili (Cass. V, n. 16488/2006).

Nel caso in cui l’incolpazione riporti un reato non oblabile, l’imputato — allorquando ritenga che il fatto sia invece riconducibile sotto l’egida normativa di una fattispecie estinguibile mediante oblazione — ha l’onere di sottoporre la questione al giudice e di proporre egli stesso tale diversa qualificazione giuridica. Restando carente tale sollecitazione e laddove non venga questa accompagnata da istanza di definizione mediante oblazione, resta poi inibito all’imputato il diritto di beneficiare della causa estintiva in commento, laddove il giudice si risolva alla riqualificazione ex officio, a norma dell'art. 521 c.p.p. (Cass. S.U., n. 32351/2014).

In caso di estinzione del reato mediante oblazione, il contravventore è comunque tenuto al pagamento delle spese connesse a provvedimenti di sequestro probatorio o preventivo, non rientrando il caso in esame nella previsione dell'art. 84 disp. att. c.p.p. Qui i Giudici di Piazza Cavour hanno anzi spiegato che proprio il pagamento delle spese costituisce — secondo il dato normativo testuale — uno dei presupposti indefettibili per l'operatività della causa estintiva in commento (Cass. III, n. 11949/1994).

In tema di contrabbando, la definizione amministrativa comporta la declaratoria di non doversi procedere nei confronti dell’imputato, per essersi il reato estinto per oblazione. Deriva da ciò — stante la specialità della legge doganale, rispetto alle disposizioni codicistiche penali — che la competenza a disporre la confisca spetta all’autorità doganale (non essendovi spazio ulteriore per la confisca disposta ai sensi dell’art. 301 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43), così come all'attenzione dell'autorità amministrativa dovranno pure condursi le questioni attinenti alle spese di custodia dei veicoli (Cass. III, n. 2246/1997).

In tema di caccia, la Cassazione ha stabilito che — nel caso in cui intervenga declaratoria di estinzione per oblazione, in relazione a uno dei reati indicati dall’art. 28 l. comma 2 l. n. 157/1992 non è consentito procedere alla confisca delle armi adoperate per l'attività venatoria (Cass. III, n. 3301/2017).

Profili processuali

Sotto l'aspetto squisitamente processuale, segnaliamo come il Supremo Collegio ritenga abnorme la sentenza emessa dal g.i.p. prima dell'esercizio dell'azione penale e a seguito del pagamento della somma stabilita a titolo di oblazione, se non preceduta dall'invio degli atti al pubblico ministero perché formuli le sue determinazioni (Cass. IV, n. 2648/2011).

Ricordiamo poi il disposto dell'art. 464 c.p.p., laddove è previsto il caso della domanda di oblazione presentata contestualmente all'opposizione a decreto penale di condanna. In tal caso, il giudice dovrà procedere — prima di poter eventualmente emettere i provvedimenti indicati dal primo comma della norma — ad una preliminare delibazione della richiesta di oblazione.

Cass. III, n. 35442/2016 ha poi ricondotto alla categoria degli atti abnormi il provvedimento mediante il quale il G.i.p. – dopo la presentazione di opposizione a decreto penale, corredata da istanza di ammissione all'oblazione – dichiari immediatamente esecutivo il decreto opposto, ritenendo di non poter ammettere l'imputato a tale modalità estintiva (in quanto inibita dal reato ascritto e non potendosi in tal sede procedere alla riqualificazione dell'originaria contestazione). Tale conclusione sottrae infatti all'imputato l'opportunità di provare – nel contraddittorio tra le parti – la propria innocenza.

In sede di opposizione a decreto penale si può poi presentare istanza di oblazione, in via subordinata rispetto alla richiesta di pronuncia ex art. 129 c.p.p. Ciò perché il G.i.p. può legittimamente essere adito in sede di opposizione, tanto ai fini dell'accertamento dei presupposti necessari all'ammissione all'oblazione, quanto perché compia una analisi preliminare in ordine alla possibilità di concludere il procedimento mediante la più favorevole pronuncia ex art. 129 c.p. (sebbene entro i confini rappresentati dalla prospettazione dell'opponente circa la ricorrenza di una causa di non punibilità e rimanendo comunque l'irrevocabilità della domanda di oblazione, pure laddove il G.i.p. rigetti la richiesta formulata in sede preliminare (Cass. I, n. 23856/2016).

Il riferimento contenuto nella norma in esame all'apertura del dibattimento, deve essere inteso stricto sensu, ossia come un richiamo esclusivo al giudizio dibattimentale. Ciò comporta che — laddove l'imputato opti per la trasformazione del rito in abbreviato — non può poi mutare rotta e chiedere invece la definizione mediante oblazione (Cass. III, n. 40694/2002).

Stando al dictum di Cass. I, n. 20573/2021 - pronunciata in tema di giudizio abbreviato non sottoposto a condizione – laddove venga in origine contestato un reato non oblabile, l’imputato che ritenga il fatto diversamente qualificabile in un reato che invece consenta l’oblazione, ha l’onere non solo di sollecitare al giudice, in sede di formulazione delle conclusione, tale riqualificazione, ma anche di presentare una esplicita richiesta di oblazione. Su quest’ultima il p.m. potrà interloquire a norma degli artt. 421, comma 2 e 441, comma 1 c.p.p. Discende da tale situazione che, allorquando il giudice ritenga di giungere alla invocata riqualificazione al momento di emissione della sentenza, deve nel contempo ammettere l’imputato – laddove la nuova qualificazione giuridica assunta dal fatto lo consenta – all’applicazione del beneficio; deve altresì fissare termini e modi per l’effettuazione del versamento della somma utile per il perseguimento dell’effetto estintivo del reato, in ossequio allo schema cristallizzato dall’art. 141, comma 4-bis, disp. att. c.p.p.

Nel caso di domanda di oblazione erroneamente rigettata in fase di indagini preliminari, la medesima richiesta può essere riformulata in limine litis in dibattimento (Cass. S.U., n. 47923/2009).

Il ricorso in Cassazione proposto nei confronti di provvedimento che — a seguito di opposizione a decreto penale di condanna — abbia disatteso la domanda di estinzione mediante oblazione, è inammissibile. Trattasi infatti di doglianza proponibile per il tramite di motivi d'appello, avverso la sentenza che definisce il giudizio susseguente all'opposizione al decreto penale (Cass. IV, n. 34667/2010).

Bibliografia

Antolisei, Manuale di Diritto penale - Parte generale, Milano, 1982; Bontempi, sub art. 162, in Commentario Dolcini, Marinucci, Parte generale, Milano, 2006; Cadoppi, Oblazione vecchia e nuova e principi costituzionali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983; Favalli, Reato permanente e limitazioni all'oblazione, in Giur. it., 1999; Fiandaca-Musco, Diritto penale - Parte generale, Bologna, 1985; Manzini, Trattato di Diritto penale italiano, III, Torino, 1950; Martini, voce Oblazione in D. I., VIII, Torino, 1994; Mazza, voce Oblazione volontaria, in Enc. dir., XXIV, Milano, 1979; Messina-Spinnato, Manuale breve Diritto Penale, Milano, 2018;  Padovani, Diritto penale del lavoro, Milano, 1983; Scarcella, “Modifica dell'imputazione originaria, diritto sostanziale all'oblazione ed applicabilità della sentenza "condizionata" nel processo penale”, in Dir. pen. e proc.  2005;  Venditti, in Il Diritto Enciclopedia giuridica, in Enc. giur., 10, Milano, 2007.

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