Codice Penale art. 163 - Sospensione condizionale della pena 1 2 .[I]. Nel pronunciare sentenza di condanna [442 2, 448 1, 533, 605 1 c.p.p.] alla reclusione o all'arresto per un tempo non superiore a due anni, ovvero a pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e ragguagliata a norma dell'articolo 135, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni, il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di cinque anni se la condanna è per delitto e di due anni se la condanna è per contravvenzione [444 3, 445 2, 460 2, 533 3, 599 1, 671 3, 686 1 lett. a) n. 1 c.p.p.]. In caso di sentenza di condanna a pena pecuniaria congiunta a pena detentiva non superiore a due anni, quando la pena nel complesso, ragguagliata a norma dell'articolo 135, sia superiore a due anni, il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena detentiva rimanga sospesa3. [II]. Se il reato è stato commesso da un minore degli anni diciotto, la sospensione può essere ordinata quando si infligga una pena restrittiva della libertà personale non superiore a tre anni, ovvero una pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e ragguagliata a norma dell'articolo 135, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a tre anni. In caso di sentenza di condanna a pena pecuniaria congiunta a pena detentiva non superiore a tre anni, quando la pena nel complesso, ragguagliata a norma dell'articolo 135, sia superiore a tre anni, il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena detentiva rimanga sospesa 4. [III]. Se il reato è stato commesso da persona di età superiore agli anni diciotto ma inferiore agli anni ventuno o da chi ha compiuto gli anni settanta, la sospensione può essere ordinata quando si infligga una pena restrittiva della libertà personale non superiore a due anni e sei mesi ovvero una pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e ragguagliata a norma dell'articolo 135, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni e sei mesi. In caso di sentenza di condanna a pena pecuniaria congiunta a pena detentiva non superiore a due anni e sei mesi, quando la pena nel complesso, ragguagliata a norma dell'articolo 135, sia superiore a due anni e sei mesi, il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena detentiva rimanga sospesa 5. [IV]. Qualora la pena inflitta non sia superiore ad un anno e sia stato riparato interamente il danno, prima che sia stata pronunciata la sentenza di primo grado, mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni, nonché qualora il colpevole, entro lo stesso termine e fuori del caso previsto nel quarto comma dell'articolo 56, si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato da lui eliminabili, nonchè qualora il colpevole, entro lo stesso termine, abbia partecipato a un programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo,il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena, determinata nel caso di pena pecuniaria ragguagliandola a norma dell'articolo 135, rimanga sospesa per il termine di un anno 6.
[1] Articolo sostituito dapprima dall'art. 11 d.l. 11 aprile 1974, n. 99, conv., con modif., nella l. 7 giugno 1974, n. 220, e poi dall'art. 104 l. 24 novembre 1981, n. 689. Il testo, che constava di soli due commi, recitava: «[I]. Nel pronunziare sentenza di condanna alla reclusione o all'arresto per un tempo non superiore ad un anno, ovvero a pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e convertita a norma di legge, priverebbe della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, ad un anno, il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di cinque anni se la condanna è per delitto, e di due anni se la condanna è per contravvenzione. [II]. Se il reato è stato commesso da un minore degli anni diciotto, o da chi ha compiuto gli anni settanta, la sospensione può essere ordinata quando si debba infliggere una pena restrittiva della libertà personale non superiore a due anni, ovvero una pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e convertita a norma di legge, priverebbe della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni». Il testo introdotto nel 1974, era così formulato: «[I]. Nel pronunciare sentenza di condanna alla reclusione o all'arresto per un tempo non superiore a due anni, ovvero a pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e convertita a norma di legge, priverebbe della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni, il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di cinque anni se la condanna è per delitto, e di due anni se la condanna è per contravvenzione. [II]. Se il reato è stato commesso da un minore degli anni diciotto, la sospensione può essere ordinata quando si infligga una pena restrittiva della libertà personale non superiore a tre anni ovvero una pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e convertita a norma di legge, priverebbe della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a tre anni. [III]. Se il reato è stato commesso da persona di età superiore agli anni diciotto ma inferiore agli anni ventuno o da chi ha compiuto gli anni settanta, la sospensione può essere ordinata quando si infligga una pena restrittiva della libertà personale non superiore a due anni e sei mesi ovvero una pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e convertita a norma di legge, priverebbe della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni e sei mesi». [2] Ai sensi dell'art. 60 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 le disposizioni relative alla sospensione condizionale non si applicano alle pene irrogate dal giudice di pace. [3] Periodo aggiunto dall'art. 1, l. 1° giugno 2004, n. 145. [4] Periodo aggiunto dall'art. 1, l. 1° giugno 2004, n. 145. [5] Periodo aggiunto dall'art. 1, l. 1° giugno 2004, n. 145. [6] Comma aggiunto dall'art. 1, l. n. 145, cit. e successivamente modificato dall'art. 1, comma 1, lett. l), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha aggiunto le parole «nonché qualora il colpevole, entro lo stesso termine, abbia partecipato a un programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo,» dopo le parole «da lui eliminabili». Ai sensi dell'art. 92, comma 2-bis d.lgs. n. 150, cit. le disposizioni in materia di giustizia riparativa si applicano nei procedimenti penali e nella fase dell'esecuzione della pena decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Il comma 2-bis è stato da ultimo inserito dall'art. 5-novies d.l. n. 162, cit., in sede di conversione. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. InquadramentoNel Titolo VI del Libro Primo del Codice è contenuta la disciplina normativa delle cause di estinzione del reato e della pena; al Capo primo, tra le cause estintive del reato, si trova la sospensione condizionale della pena. Il testo vigente è il risultato anzitutto dell'intervento dell'art. 104 l. 24 novembre 1981, n. 689, che ha modificato la previgente disposizione, delineata dall'art. 11 d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito con modificazioni in l. 7 giugno 1974, n. 220. L'ultima parte dei primi tre commi è stata aggiunta dall'art. 1 l. 11 giugno 2004, n. 145; la medesima legge ha inserito il quarto comma della norma in commento. L'art. 60 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 esclude l'applicabilità dell'istituto ai reati giudicati dal Giudice di Pace. La causa estintiva in argomento rappresenta una deroga, istituzionalizzata dal legislatore, rispetto al principio generale della indefettibilità della esecuzione della pena. Trova inoltre la sua ragion d'essere nella sussistenza di preminenti esigenze di natura specialpreventiva, tendendo essa alla risocializzazione del soggetto che si sia reso autore di una determinata fattispecie di reato e che abbia riportato — in conseguenza di ciò — una sanzione contenuta entro limiti prestabiliti. Si è giustamente sottolineato come, in tal modo, la sospensione condizionale della pena vada sostanzialmente a surrogarsi all'esecuzione di pene detentive brevi; queste infatti — piuttosto che fungere da veicolo utile al reinserimento del reo in un contesto di vita virtuoso — possono favorire il “contagio criminale del delinquente primario una volta entrato nel circuito carcerario” (Giunta-Viscusi, 263, v. anche Palazzo, 597). Insomma, mediante l'istituto in esame si vuole eradicare il reo dall'ambiente malavitoso, così impedendo il suo definitivo instradamento verso uno stile di vita aduso al delitto. La ratio dello strumento estintivo in commento è allora da rintracciare non in un mero atto di abdicazione dell'ordinamento, rispetto al momento esecutivo della sanzione; il momento fondante della sospensione condizionale risiede invece nella volontà di saggiare le future capacità di autogoverno comportamentale del reo. Al quale viene data la possibilità di non espiare una determinata pena irrogatagli (e addirittura poi di cancellare il reato commesso); a condizione però che mantenga una data condotta di vita e, naturalmente, con la prospettiva di revoca di tale trattamento in caso di commissione di nuovi fatti (v. art. 168). Dunque, non una rinuncia sic et simpliciter all'esecuzione della pena ma, al contrario, una messa alla prova della condotta di vita del soggetto; Una causa estintiva, quindi, che è connotata da un marcato contenuto di adesione volontaria, da parte del soggetto; questi potrà infatti estinguere il reato commesso — non espiando la relativa pena — solo laddove mantenga un commendevole contegno di vita. Profili generaliSi è sottolineato - da parte di molti interpreti della norma - come l'istituto in argomento comporti una deviazione, rispetto all'idea della pena come retribuzione per il fatto commesso. Si è però anche evidenziato come la sospensione condizionale tenda proprio a far emergere il momento della resipiscenza, della rivisitazione critica del fatto commesso e quindi sostanzialmente anche dell'emenda. In verità, dunque, il meccanismo estintivo delineato dagli artt. 168 e ss. “risponde alla esigenza di estendere il criterio di individualizzare e personalizzare l'illecito penale non soltanto nel momento del giudizio e della conseguente decisione, ma anche a quello punitivo e dell'esecuzione della pena” (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 637). Si tratta così di un istituto che tende ad attribuire grande rilievo al reo, nella sua individualità specifica, conformando il momento esecutivo della pena alla effettiva attitudine e propensione delinquenziale del soggetto stesso. Già la dottrina risalente aveva infatti considerato l'istituto — anche denominato «condanna condizionale» — come uno strumento che tende alla prevenzione del crimine ed il cui “scopo specifico è non solo di sottrarre all'ambiente deleterio del carcere persone che, pur essendosi rese colpevoli di un reato, presentano probabilità di ravvedimento, ma anche di costituire un'efficace remora a violare ulteriormente la legge” (Antolisei, 675). La ratio dell'istituto - nonchè la sua stessa collocazione sistematica e la struttura attribuitagli dal legislatore - delineano la sospensione condizionale della pena come un istituto di natura pubblicistica, espressione di un potere riconosciuto esclusivamente al giudice. Deriva proprio da tale qualificazione dogmatica una delle caratteristiche precipue dell'istituto, che è stato a lungo considerato non disponibile o rinunciabile ad opera del condannato e che — stante proprio la funzione profondamente rieducativa attribuitagli — non necessita di istanza di parte. È però forse opportuno segnalare l'esistenza di un orientamento giurisprudenziale che ha rivisitato tale impostazione; una giurisprudenza che ha dunque ritenuto ammissibile la rinuncia alla sospensione condizionale della pena, qualificando tale manifestazione di volontà alla stregua di atto personalissimo, riservato in via esclusiva all’imputato o al difensore munito di specifica procura (si consulti il paragrafo dedicato alla casistica). La formulazione normativaLa stesura originaria della norma prevedeva la possibilità di accordare la sospensione condizionale della pena, nel caso di condanna a pena detentiva — quindi, alla reclusione o all'arresto — non superiore ad anni due di pena detentiva (ossia, comunque privativa della libertà personale); ovvero nel caso di condanna a pena pecuniaria che irrogasse al soggetto una pena pecuniaria che — sola o unita alla pena detentiva e ragguagliata rispetto a questa secondo il parametro indicato dall'art. 135 portasse ad una pena privativa della libertà non superiore ad anni due. L'art. 135 succitato, come modificato dall'art. 3 l. 15 luglio 2009, n. 94 prevede ora che il ragguaglio fra pene pecuniarie e detentive venga operato mediante il computo di € 250 o frazione di tale somma — e non più di € 38 o frazione di essa — per ogni giorno di pena detentiva. La disposizione normativa in commento ha subito una profonda innovazione ad opera dell'art. 1 l. 11 giugno 2004, n. 145. Trattasi della norma che legittima ora la concessione della sospensione condizionale anche di pena che, ove ragguagliata ex art. 135, supererebbe il limite dei due anni di pena privativa della libertà personale. In altri termini. È ora previsto il caso in cui venga irrogata una pena pecuniaria congiuntamente a pena detentiva e, operando la sopra detta conversione della pena pecuniaria in detentiva, si ottenga una sanzione nel complesso superiore a due anni di pena detentiva. In questo caso, il giudice può ordinare la sospensione della sola porzione detentiva della pena, a patto però che questa — isolatamente considerata — non sia superiore ad anni due. L'innalzamento della soglia di ammissibilità al beneficio ha comportato l'ampliamento del ricorso all'applicazione di pena ex art. 444 c.p.p. (argomento sul quale ci si soffermerà in seguito); tale ricorso era apparso fino a quel momento limitato proprio dall'irrogazione congiunta di pene pecuniarie anche ragguardevoli, con conseguente superamento della complessiva soglia di ammissibilità di anni due, derivante dall'operazione di ragguaglio (Bricchetti-Pistorelli, 19). Con riferimento al colpevole infradiciottenne, la soglia di ammissibilità è fissata ad anni tre. Ed anche in tal caso, si darà luogo al medesimo meccanismo sopra descritto. Il beneficio potrà quindi esser concesso in primo luogo a soggetto nei confronti del quale venga irrogata una pena restrittiva della libertà personale non superiore ad anni tre; oppure a chi venga condannato a pena pecuniaria che — considerata isolatamente, ovvero unita a pena detentiva e, in questo caso, ragguagliata secondo il criterio di calcolo indicato dall'art. 135 — non oltrepassi il limite dei tre anni. Infine, è previsto il caso dell'irrogazione di una pena detentiva che — essa sola considerata — non vada oltre lo sbarramento dei tre anni; in caso di irrogazione, congiuntamente a tale pena, di pena pecuniaria che renda — ove convertita ex art. 135 — la pena complessiva superiore alla soglia dei tre anni — è possibile per il giudice concedere la sospensione condizionale della sola parte detentiva della pena, che sia come detto non superiore ad anni tre. Altra previsione particolare concerne il soggetto ultradiciottenne ma infraventunenne, nonché il colpevole ultrasettantenne. In tal caso, il limite di ammissibilità al beneficio è fissato ad anni due e mesi sei. Limite che opererà sia nel caso di inflizione di sola pena detentiva, sia laddove venga irrogata una pena pecuniaria congiunta a detentiva che non sia superiore ad anni due e mesi sei, allorquando — operata la sopra detta conversione della pena pecuniaria in detentiva — si ottenga una sanzione privativa della libertà personale che non superi il limite dei due anni e sei mesi. Anche in questo caso, ovviamente, sarà possibile sospendere solo l'esecuzione della porzione detentiva — che non oltrepassi lo sbarramento dei due anni e sei mesi — di pena complessiva superiore a tale limite. Per quanto concerne i casi di sospendibilità della pena non superiore ad un anno, si legga il sottoparagrafo che segue. Con riferimento alle condizioni che fungono da ostacolo alla concessione — in tutte le ipotesi — della sospensione condizionale della pena, rinviamo al commento che sarà fatto in relazione all'art. 164. Sono infatti colà tipizzate le condizioni personali del reo, al ricorrere delle quali non è consentito accordare il beneficio in esame; è anche lì sancito come non sia possibile fruire del beneficio per più di una volta, salvo il caso in cui la pena da infliggere — unita a quella che già risulti sospesa a seguito di precedente condanna — non oltrepassi i limiti di pena indicati nell'art. 163. La sospensione breve L'ultimo comma della disposizione normativa in esame stabilisce invece una forma speciale di sospensione condizionale, che è la cd. sospensione breve; sospensione anche denominata “speciale” (Bricchetti-Pistorelli, 20). Il connotato peculiare di tale forma di sospensione è proprio la brevità del periodo durante il quale può disporsi la sospensione; tale lasso di tempo è indicato dalla norma — in maniera onnicomprensiva, ossia facendo riferimento tanto ai delitti quanto alle contravvenzioni — in un anno. L'ammissibilità di tale forma speciale di sospensione è subordinata alla ricorrenza di un primo presupposto di natura rigida ed oggettiva, che è rappresentato dall'emissione di una condanna a pena detentiva non superiore ad un anno (ovvero a pena pecuniaria che — una volta convertita mediante l'applicazione del sopra detto parametro — non oltrepassi tale limite). È poi stabilito uno sbarramento temporale: è infatti necessario che — prima dell'emissione della sentenza di primo grado — ricorrano congiuntamente due presupposti; ossia: a) che risulti avvenuta la integrale riparazione del danno, mediante risarcimento dello stesso e, laddove possibile, tramite le dovute restituzioni; b) fuori del caso del recesso attivo indicato dal quarto comma dell'art. 56, che il colpevole si sia adoperato — di sua spontanea volontà ed in maniera che sia risultata in concreto efficace — al fine di elidere o comunque attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato (il legislatore ha qui ovviamente avvertito l'esigenza di aggiungere le parole «da lui eliminabili», a significare che la norma si spinge fino a pretendere l'azzeramento delle sole conseguenze che siano in qualche modo ancora governabili dal reo, il quale sia quindi in grado in qualche modo di gestire gli effetti del reato perpetrato). In relazione alla sospensione condizionale breve la dottrina ha giustamente osservato che essa “...non si giustifica solo in ragione della minore gravità del reato commesso. Essa premia lo spontaneo ravvedimento del colpevole, intervenuto prima del provvedimento del giudice” (Giunta-Viscusi, 264). Modifiche introdotte a seguito della Legge 27 settembre 2021 n. 134. In attuazione della Legge 27 settembre 2021 n. 134, recante delega al governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, e del successivo D. Lgs. delegato n. 150 del 2022, sono state fra l'altro introdotte modifiche al testo dell'art. 163, segnatamente all'ultimo comma. Qui è stata aggiunta - dopo le parole: «da lui eliminabili» - la frase «ovvero abbia partecipato a un programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo,». Viene pertanto ampliato il campo di applicabilità della cd. sospensione breve. L'esecuzione della pena, determinata in caso di pena pecuniaria attraverso il criterio di ragguaglio indicato dall'art. 135, potrà quindi restare sospesa non solo in caso di elisione o attenuazione delle conseguenze dannose o pericolose eliminabili ad opera del colpevole, bensì anche nel caso di partecipazione – da parte di quest'ultimo - a un programma di giustizia riparativa portato a termine con esito riparativo. L'art. 92, comma 2-bis, D. Lgs. n. 150 del 2022, introdotto, in sede di conversione del d.l. n. 166 del 2022, dalla legge n. 199 del 2022, prevede che la disposizione, come tutte le disposizioni in materia di giustizia riparativa, si applichi, nei procedimenti penali e nella fase dell'esecuzione della pena, decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore del D. Lgs. n. 150 del 2022, ovvero a partire dal 30 giugno 2023. Trattandosi di previsione di favore, essa – ricorrendone le condizioni – potrà retroagire, ovvero essere applicata anche in riferimento ai reati commessi prima del 30/12/2022, data di entrata in vigore del D. Lgs. n. 150 del 2022, che la ha introdotta nell'ordinamento. La previsione affidata al giudice (rinvio)La formula legislativa che disciplina la valutazione affidata al giudice è contenuta nel primo comma dell'art. 164, per cui è in tal sede che il tema sarà più diffusamente affrontato. Sarà qui bastevole accennare come la sospensione condizionale possa essere concessa solo allorquando — orientandosi secondo i parametri dettati dall'art. 133 — il giudice ritenga di poter prevedere che il colpevole non commetterà in futuro nuovi reati. La prognosi circa la non reiterazione di ulteriori condotte illecite rappresenta dunque proprio l'elemento fondante e l'architrave stessa dell'istituto: deriva infatti da tale convincimento un giudizio di non pericolosità del soggetto, tale da far reputare sufficiente — a fini specialpreventivi, dunque di intimidazione circa la condotta di vita prossima a venire — la sola irrogazione della condanna e non la sua materiale esecuzione (Fiandaca-Musco, 470). Operatività in caso di continuazione tra reatiLa valutazione dei più reati unificati dal vincolo della continuazione, quale fenomeno unitario ad ogni effetto giuridico, comporta che la misura della pena alla quale occorre avere riguardo — ai fini dell'applicazione del beneficio — sia la pena irrogata mediante la sentenza. I singoli reati perdono dunque la loro individualità, agli effetti che ora interessano. La riunione in continuazione di più fatti-reato che siano il frutto di una ideazione unitaria — sebbene siano stati giudicati separatamente tra loro — comporta la possibilità di concedere il beneficio della sospensione condizionale a tutti i reati, non potendo esso venir limitato solo ad alcuni tra quelli unificati ex art. 81. Rapporti con il rito alternativo ex art. 444 c.p.p.Stando al convincimento ormai unanime — in dottrina come in giurisprudenza — deve reputarsi non consentito al giudice procedere ex officio alla concessione del beneficio in commento, nel caso in cui il processo venga definito mediante il rito alternativo del cd. patteggiamento. La concessione della sospensione condizionale della pena, infatti, può formare oggetto dell'accordo intervenuto tra le parti; tanto che all'interessato è testualmente riservata la facoltà, a norma dell'art. 444 comma 3 c.p.p., di subordinare l'efficacia dell'accordo proprio alla concessione della sospensione condizionale della pena concordata. Il giudice sarà in tal caso tenuto a pronunciarsi sullo specifico aspetto, valutando la concedibilità della sospensione condizionale in relazione all'entità della pena contenuta nel progetto sottoposto al suo vaglio. E dovrà — nel caso in cui reputi che non sussistano i presupposti di legge utili per la concessione del detto beneficio — rigettare in toto la richiesta di applicazione pena concordata. Laddove infatti il giudice accordasse d'ufficio la sospensione condizionale della pena, in assenza di specifica indicazione in tal senso all'interno dell'accordo intervenuto fra le parti, incorrerebbe chiaramente in un vizio di ultrapetizione rispetto al contenuto dell’accordo intervenuto fra le parti ex art. 444 c.p.p. D'altra parte, esproprierebbe il pubblico ministero — laddove questi ritenesse non opportuno sospendere l'esecuzione della pena — della possibilità di rifiutare il consenso, rispetto al progetto di pena prospettatogli. Allorquando poi il soggetto venga giudicato separatamente per due reati che non appaiano frutto di ideazione preventiva unitaria e che non vengano perciò unificati dal vincolo della continuazione, potrà subordinare la seconda sentenza — emessa ai sensi e per gli effetti dell'art. 444 c.p.p. —, alla concessione del beneficio della sospensione condizionale. Ciò al fine di non oltrepassare — mediante il cumulo delle due condanne — la soglia massima di ammissibilità del beneficio. In caso di richiesta di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. che sia condizionata alla concessione della sospensione condizionale, il giudice – laddove si risolva ad accogliere la richiesta, condizionando però la concessione di tale beneficio all'espletamento di attività lavorativa non retribuita in favore della collettività – dovrà obbligatoriamente motivare in modo congruo anche relativamente al luogo di svolgimento della prestazione di pubblica utilità (Cass. II, n. 14337/2018). Ancora in tema di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., si segnala un contrasto giurisprudenziale relativo al caso in cui l'accordo sia subordinato alla concessione della sospensione condizionale della pena. Si controverte infatti in tal caso in ordine alla possibilità di ricorrere – nel caso in cui il giudice ometta in dispositivo di indicare tale beneficio – alla procedura finalizzata alla correzione degli errori materiali. Si sono infatti pronunciate in senso positivo Cass. I, n. 37243/2019 (che ha posto l'accento sul fatto che tale mancata pronuncia sia da ricondurre ad una mera omissione, integrante un errore materiale emendabile – in mancanza di cause ostative - anche ad opera della Corte di Cassazione) nonché, fra le altre, Cass. VI, n. 6418/2016 (laddove è richiamato – quale strumento adoperabile - il disposto dell'art. 620, lett. l) c.p.p.), Cass. IV, n. 41582/2010 (che ha valorizzato la possibilità che - in virtù del tenore complessivo della decisione - si possa ricollegare la mancata pronuncia ad una semplice omissione materiale, per tale intendendosi la fortuita divergenza tra l'espressione letterale ed il giudizio, cui resta estranea la sostanza di quest'ultimo, ossia la manifestazione del pensiero all'atto della formazione del provvedimento cagionata da svista o disattenzione, per questo percepibile e rilevabile ictu oculi), Cass. VI, n. 20819/2013 (secondo la quale la enunciazione del beneficio della sospensione condizionale - che sia stato espressamente concordato - può essere oggetto di rettificazione integrativa, trattandosi di statuizione obbligatoria e conseguenziale alla pronuncia, non frutto dell'esplicazione di potere discrezionale ad opera del giudice). In contrario avviso sono fra le altre andate Cass. I, n. 1768/2017 (secondo la quale l'omissione de qua integrerebbe un vizio attinente al contenuto decisionale della sentenza, censurabile tramite ricorso per cassazione; la Corte ha peraltro qui evidenziato come l'art. 130 comma 1-bis c.p.p., introdotto dalla L. 23 giugno 2017 n. 103, consenta effettivamente la procedura di correzione dell'errore materiale della sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p., ma nei soli casi in cui si debba procedere alla rettificazione della specie e della quantità della pena per errore di denominazione e di computo ed ha altresì ricordato il testo dell'art. 448 comma 2-bis c.p.p., introdotto dalla medesima legge, laddove si individua tra i casi di ricorso per cassazione appunto il difetto di correlazione fra richiesta e sentenza), nonché Cass. VI, n. 12516/2008 (secondo la quale tale omissione si traduce nella oggettiva carenza di un capo di sentenza, con invalidità della stessa in ragione della natura non scindibile della richiesta) e infine Cass. I, n. 36257/2010. In caso di irrogazione di sanzioni sostitutiveLaddove si verifichi la sostituzione di pene detentive brevi con le sanzioni sostitutive, d'ufficio ad opera del giudice, dunque ai sensi dell'art. 53 l. 24 novembre 1981, n. 689, non vi sono dubbi, circa la possibilità che il giudice stesso proceda ad accordare il beneficio della sospensione condizionale (Diotallevi, 656, Coppetta, 368; si veda anche la giurisprudenza sotto riportata). Rammentiamo qui incidentalmente che la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 53 suddetto, nella parte in cui non prevede che le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi possano essere applicate anche ai reati militari (Corte cost. n. 284/1995). Si era invece esclusa la concedibilità del beneficio, in caso di applicazione delle sanzioni sostitutive ai sensi dell'art. 77 l. 24 novembre 1981, n. 689; ciò sul presupposto che in tal caso non si verificasse una sentenza equiparabile a sentenza di condanna. Ricordiamo però che l'art. 234 d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 ha disposto che: «Salvo quanto stabilito dall'articolo 248 comma 4, sono abrogati gli articoli 77, 78, 79 e 80 della legge 24 novembre 1981 n. 689.» Il successivo art. 248 ha poi sancito che: «Continuano ad osservarsi le disposizioni relative alla applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato, a norma della legge 24 novembre 1981 n. 689, se la richiesta medesima è stata formulata anteriormente all'entrata in vigore del codice e sempre che l'interessato non si avvalga delle facoltà previste dall'articolo 247 e dal presente articolo». Trattasi quindi di questione che riveste ormai un valore applicativo praticamente nullo, stante la suddetta abrogazione dell'art. 77 l. n. 689/1981. Né estenderà i propri effetti - la sospensione condizionale della pena - alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, prevista dall'art. 186 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285. In relazione alle sanzioni amministrativeRicordiamo brevemente che l'art. 167 — al cui commento si rinvia — prevede che, laddove il condannato nei termini indicati dalla legge, non commetta un delitto o una contravvenzione della medesima indole e adempia gli obblighi impostigli, il reato risulterà estinto e non si darà pertanto luogo all'esecuzione della pena. Stando al disposto dell'art. 166, la sospensione condizionale della pena principale si estende alle pene accessorie (anche in tal caso, si rimanda alla lettura del relativo commento). La sospensione condizionale non si estende però, come sopra già accennato, alle sanzioni amministrative. In tema di reati edilizi La sospensione della pena principale e di quella accessoria — appunto in ragione dell'indipendenza della sanzione amministrativa rispetto al beneficio della sospensione condizionale — non coinvolgerà l'obbligo di demolizione del manufatto abusivo, irrogata dal giudice ex art. 31 comma 9 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Parte della dottrina, sul punto specifico, ha dato risalto alla natura di reato permanente dell’illecito edilizio; circostanza questa che stricto sensu non autorizzerebbe la qualificazione dell'organismo edilizio abusivo come conseguenza del reato di cui all'art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Si è però opposto come la permanenza di tale reato debba ritenersi cessata almeno con la sentenza di condanna in primo grado; deriverebbe da ciò la possibilità di operare una qualificazione del manufatto abusivo appunto quale conseguenza del reato suddetto (Giunta-Viscusi, 269; Magnini-Nencini, 1622). E proprio tale ultima considerazione sorregge l'impostazione giurisprudenziale oggi consolidata. Si ritiene infatti legittimo che il giudice subordini la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena proprio alla demolizione dell'organismo edilizio abusivamente edificato, trattandosi di una modalità di eliminazione delle conseguenze dannose del reato contravvenzionale perpetrato. Altre sanzioni amministrative La sospensione condizionale della pena, parimenti, non si estenderà alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione per un anno della concessione o autorizzazione alla diffusione radiotelevisiva, ai sensi dell'art. 171 ter comma 4 lett. c) l. 22 aprile 1941, n. 633. Segnaliamo poi la questione inerente alla sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida, nel caso di condanna ex art. 186 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, ; trattasi di sanzione, che in ogni caso discende dalla condanna per guida in stato di ebbrezza, anche in caso di cd. patteggiamento. Qui la giurisprudenza è anche concorde nel ritenere che l'istituto della sospensione condizionale della pena sia inconciliabile con quello della sostituzione della pena principale con il lavoro di pubblica utilità (si vedano le pronunce sotto riportate). La inapplicabilità dell'istituto al giudizio dinanzi al Giudice di PaceStabilisce l'art. 60 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 che l'istituto ora in esame non si possa applicare alle pene irrogate dal Giudice di Pace. Parte della dottrina ha ritenuto di poter individuare, nello spirito della suddetta legge istitutiva di tale magistratura onoraria, un intento squisitamente teso alla composizione dei conflitti sociali. Il condannato sarebbe dunque un soggetto da considerare — accettando tale impostazione ideologica — del tutto indifferente rispetto alle opzioni indirizzate a tale composizione; cosa che dovrebbe renderlo immeritevole del beneficio della sospensione condizionale. È stato però agevole opporre come l'istituto in commento — depurato da una visione introspettiva e soggettivistica — abbia di mira non il ravvedimento propriamente detto, bensì l'elisione del rischio di recidiva. Si è sottolineato, allora, come l'esclusione della possibilità di sospendere le pene irrogate dal giudice di pace discenda proprio dalla natura stessa, nonché dalla funzione attribuita dal legislatore all'istituto in commento. Se infatti si considera il beneficio quale strumento per evitare le pene detentive brevi, è chiaro che esso non avrebbe alcun senso, in relazione alla tipologia di pene irrogabili ad opera del giudice di pace. A difformi lumi si perverrebbe, laddove si intendesse privilegiare la funzione specialpreventiva della sospensione condizionale. In questo caso, “[...] specie per i delinquenti primari resisi autori di fatti non gravi, la scelta di congelare la punizione e di surrogarla con una messa alla prova del condannato consente di conciliare le finalità preventive della pena con l'esigenza di edulcorare l'impatto del reo con il volto repressivo dell'ordinamento” (Giunta-Viscusi, 274). Non vi è chi non rilevi, peraltro, come l'istituto della sospensione condizionale abbia finito per assumere ambedue le funzioni sopra specificate. Da più parti si è pertanto ritenuta incoerente con i principi generali, nonché con la ratio e con la funzione dell'istituto, l'esclusione dello stesso rispetto alle pene irrogate dal giudice di pace. E ciò, soprattutto in funzione di un possibile futuro ampliamento dei reati devoluti alla competenza del giudice di pace. Si è infatti sottolineato quanto segue: “... la non operatività della sospensione condizionale fa sì che, per i reati attribuiti alla nuova giurisdizione, le pene accessorie risultino indefettibili, con conseguente trattamento peggiorativo rispetto ai reati più gravi rimasti di competenza del giudice ordinario, dato che quest'ultimo può sospendere, assieme alla pena principale, anche quelle accessorie a norma dell'art. 166, comma 1, c.p.” (per una analisi molto approfondita, Giunta e Viscusi, 275; si veda anche Giunta in Giostra, Illuminati, 416). Precisiamo che la giurisprudenza, investita della questione, ha ritenuto insussistenti eventuali profili di contrasto con principi costituzionali. In particolare, il Supremo Collegio era stato chiamato a vagliare la questione inerente alla possibile configurabilità di una violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., nel dettato dell'art. 60 succitato. La Corte ha ritenuto manifestamente infondata la questione: ha infatti sottolineato come si sia in presenza di una scelta di politica criminale, del tutto legittima da parte del legislatore; il quale ha qui evidentemente ritenuto opportuno privilegiare l’effettività della sanzione penale, rispetto ad altre considerazioni. Evidenziamo che, secondo la giurisprudenza, laddove un giudice diverso — a seguito di riqualificazione del fatto contestato in origine — pronunci condanna in relazione a reato rientrante nella competenza del giudice di pace, non potrà comunque far ricorso al beneficio della sospensione condizionale. A meno che non sentenzi anche in relazione a reati non di competenza del giudice di pace, non connessi con questi ultimi (si veda la giurisprudenza sotto richiamata). Compatibilità con l'indultoLa questione afferente alla compatibilità fra i due diversi istituti della sospensione condizionale della pena e dell'indulto si è molto agitata, in dottrina ed in giurisprudenza. Alcuni Autori hanno infatti sottolineato come l'indulto in realtà esiga proprio l'esistenza di una pena eseguibile; sarebbe a dire, che esso postula l'esistenza di quel requisito specifico della sanzione che la sospensione condizionale impedisce. Quest'ultima, peraltro, esplica effetti maggiormente favorevoli al reo, circostanza che dovrebbe far propendere per la sua applicazione prioritaria (si vedano Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 664 e Martini, 1270). La Cassazione a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 36837/2010), dopo ripetuti contrasti giurisprudenziali, ha ricondotto ad unità il dibattito. Ha infatti stabilito la discordanza logica fra i due istituti, fra i quali deve prevalere quello della sospensione condizionale della pena (la relativa pronuncia èriportata infra). L'obbligo di motivazionePrecisiamo che la giurisprudenza ha sul punto assunto un atteggiamento condivisibilmente rigorista. E dunque in primo luogo - laddove siano ictu oculi insussistenti i presupposti postulati dalla legge per l’ammissibilità al beneficio - il giudice potrà limitarsi a non concedere la sospensione condizionale, senza che incomba un obbligo di specifica motivazione sul punto. E laddove ritenga di non concedere il beneficio, non avrà l’obbligo di esaminare tutti i requisiti indicati dall’art. 133; sarà infatti esaustivo il fatto che si limiti a motivare circa la ricorrenza di quei presupposti negativi, sui quali egli intenda fondare la decisione reiettiva. La concessione della sospensione condizionale della pena, insomma, costituisce espressione di potere discrezionale riservato al giudice di merito, il quale non è tenuto a chiarire nel dettaglio, in maniera troppo analitica, le ragioni che lo abbiano orientato, Si rinvia, per lo specifico argomento della motivazione del diniego, alla giurisprudenza sotto richiamata.Cass. IV, n. 41988/2017 ha affrontato il tema dell’omessa pronuncia ad opera dei Giudici di secondo grado, in ordine allo specifico motivo d’appello attinente alla mancata concessione del beneficio in primo grado. In presenza dunque di un imputato gravato da unico pregiudizio non ostativo alla reiterazione del beneficio, il giudice deve valutare adeguatamente la richiesta ed esprimere una compiuta motivazione in ordine alla decisione. Laddove infatti l'imputato formuli una doglianza specifica finalizzata alla concessione della sospensione condizionale della pena e la Corte d’Appello non valuti tale richiesta, non pronunciandosi quindi sul punto, si realizzerà un difetto assoluto di motivazione; tale vizio determinerà il parziale annullamento della sentenza con rinvio al giudice d’appello (nello stesso senso si erano espresse Cass. 6, n. 26539/2015 e Cass. 5, n. 44891/2015). Tale orientamento del Supremo Collegio muove dalla considerazione che la concessione del beneficio implichi una valutazione di merito attinente al giudizio prognostico ex art. 164, che è preclusa al giudice di legittimità. Pacifico è poi che – stando al dettato dell'art. 624 c.p.p. - l'eventuale annullamento in parte qua, con rinvio finalizzato esclusivamente alla valutazione concernente i presupposti atti a legittimare la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, determini l’irrevocabilità della sentenza con riferimento al profilo della responsabilità dell'imputato. . Sul tema è di recente tornata Cass. V, n. 845/2021, esprimendo un contrario avviso. Qui infatti il Supremo Collegio ha premesso l'inesistenza di un obbligo di motivazione circa il diniego di concessione della sospensione condizionale della pena, allorquando però il beneficio risulti immediatamente non concedibile ex art. 164 (così anche Cass. III, n. 6573/2016). Nel caso in cui però il giudice d'appello non si sia pronunciato in ordine alla specifica richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, la sentenza impugnata può essere annullata anche senza rinvio. Ciò a norma del disposto dell'art. 620, co. 1, lett. l), c.p.p. – nel testo novellato dalla l. 23 giugno 2017 n. 103 – dato che il riferimento ivi contenuto, alle statuizioni del giudice di merito, autorizza la Corte di Cassazione ad assumere una decisione in punto di concedibilità del beneficio. Ciò ovviamente nel caso in cui le deduzioni e gli elementi fattuali sussunti nella motivazione del giudice di merito pongano il Giudice di legittimità nelle condizioni di esplicare la propria discrezionalità vincolata senza che si prospetti la necessità di operare nuovi accertamenti (che sarebbero intrinsecamente inconciliabili con la sede di legittimità e non potrebbero che determinare il rinvio). Profili di costituzionalitàLa Consulta ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma in commento — questione posta in relazione all'art. 3 Cost. — nella parte in cui non esclude, dall'ambito del ragguaglio da compiere, onde giungere ad individuare la soglia massima di ammissibilità del beneficio, la parte di pena pecuniaria eccedente il limite massimo commutabile in libertà controllata (Corte cost. n. 475/2002). La Corte di Cassazione ha poi ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 60 d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274 — per asserito conflitto con il principio di cui all'art. 3 Cost. — nella parte in cui esclude l'applicabilità della sospensione condizionale della pena ai reati giudicati dal giudice di pace. Il fatto di voler esaltare l'importanza dell'effettività della sanzione, infatti, rappresenta una scelta legislativa del tutto legittima, nonché consentita per ragioni di politica criminale (Cass. IV, n. 41992/2006). È infondata la questione di legittimità costituzionale — prospettata in riferimento all'art. 3 Cost. — dell'art. 671 c.p.p., nella parte in cui prevede il potere del giudice dell'esecuzione di concedere la sospensione condizionale della pena, in caso di riconoscimento dell'unicità del disegno criminoso fra più pronunce. Il reato continuato costituisce infatti un fenomeno unitario, essendo tutti i comportamenti da considerare non più secondo una visione atomistica e parcellizzata, bensì quali espressioni di ideazione preventiva unitaria. È questa la ragione per la quale è consentito al giudice dell'esecuzione di applicare il beneficio in commento, in caso di rideterminazione complessiva della pena (Cass. III, n. 528/1996). CasisticaDi seguito alcune pronunce del Supremo Collegio, scelte — tra la moltitudine di sentenze emesse sulla complessa e vastissima materia — in base all'importanza dei principi di diritto enunciati. a. La sospensione condizionale della pena è un istituto che ha una natura pubblicistica, la quale lo rende non passibile di alcuna forma di disposizione o di rinuncia. E la decisione che concede la sospensione non può essere oggetto di impugnazione, nemmeno per dar luogo eventualmente all'applicazione dell'indulto (Cass. V, n. 11748/1992). b. Ai fini della concessione della sospensione condizionale della pena non è necessaria una istanza di parte. Ed il beneficio non è nemmeno rinunciabile da parte dell'imputato, nella prospettiva di mantenere integra la possibilità di fruire del beneficio in caso di future condanne. Tale riserva, infatti, si porrebbe in insanabile contrasto proprio con l'elemento basilare dell'istituto, che è rappresentato dalla previsione di non commissione di ulteriori fatti illeciti (Cass. I, n. 10791/1999; nello stesso senso Cass. III, n. 39406/2013, che ha invece ritenuto inammissibile il ricorso in Cassazione proposto contro sentenza di condanna a pena pecuniaria condizionalmente sospesa, mediante il quale il condannato intenda ottenere la revoca del beneficio per eventualmente riservarlo in via integrale a future condanne, sul presupposto della non meritevolezza del motivo di ricorso; per un orientamento contrario, vedere Cass. III, n. 11104/2014, che ha ritenuto essere la rinuncia alla sospensione condizionale un atto personalissimo, realizzabile solo dall'imputato o dal difensore munito di specifica procura). c. Può concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, laddove si proceda alla sostituzione della pena detentiva breve con pena pecuniaria (Cass. III, n. 46458/2009; nello stesso senso, Cass. I, n. 41442/2005, a mente della quale la sostituzione di pena detentiva breve con la pena pecuniaria exart. 53 l. 24 novembre 1981, n. 689 è da ritenersi pienamente legittima). d. In presenza di una pluralità di reati unificati dal vincolo della continuazione, l'entità massima della pena alla quale occorre fare riferimento onde stabilire la concedibilità del beneficio è la pena complessiva indicata in sentenza. Non deve quindi aversi riguardo alla pena applicata in relazione a ciascun reato. Le diverse pene concorrenti vengono infatti considerate in maniera unitaria ad ogni effetto giuridico, tranne che nei casi in cui sia diversamente disposto dalla legge. In concreto, allorquando si proceda all'unificazione di più reati espressione del medesimo progetto delinquenziale e, pertanto, riuniti tra loro in continuazione sebbene oggetto di giudizi diversi, il beneficio della sospensione condizionale della pena non può essere limitato solo ad alcuni dei reati in ordine ai quali è stata inflitta la pena nei confronti dell'imputato (Cass. I, n. 39217/2014); Cass. I, n. 5579/2008 aveva anche chiarito come — in caso di continuazione riconosciuta in executivis — una volta che il giudice dell'esecuzione abbia ritenuto l'unicità del disegno criminoso tra vicende oggetto di giudizi distinti, non si verifichi revoca automatica della sospensione condizionale della pena concessa in relazione ad uno solo dei più fatti. Il giudice sarà infatti tenuto a verificare se la sospensione condizionale già concessa per uno dei fatti possa estendersi alla pena nel suo complesso, ovvero se debba procedersi alla revoca, essendone venuti meno i requisiti fondanti. Secondo Cass. I, n. 35842/2015, laddove vi sia una richiesta di nuova determinazione della pena, ottenuta mediante unificazione di più precedenti sentenze emesse ai sensi dell'art. 444 c.p.p. e tale richiesta venga subordinata all'estensione, alla pena complessiva, del beneficio della sospensione condizionale (già concesso in relazione ad una sola delle vicende giudicate), il giudice dell'esecuzione, in caso di accoglimento dell'istanza ed in presenza di consenso del P.M., non può negare la concessione del beneficio stesso, potendo solo scegliere di conformarsi o meno al progetto concordato. e. Il giudice, nell'irrogare sentenza di condanna per reato edilizio, può legittimamente subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivamente edificato. Trattasi infatti di ordine che è finalizzato all'eliminazione delle conseguenze dannose scaturenti dal reato commesso (Cass. III, n. 28356/2013). f. La sospensione condizionale della pena non si estende alla sanzione amministrativa accessoria ex art. 171 ter comma 4 lett. c) l. 22 aprile 1941, n. 633 (Cass. III, n. 39499/2008). g. In tema di guida in stato di ebbrezza, la sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità è incompatibile con la sospensione condizionale della pena sostituita. Trattasi infatti di due istituti tra loro radicalmente inconciliabili (Cass. IV, n. 30365/2015; così anche Cass. IV, n. 10939/2014). Anzi, la richiesta di sostituzione della pena con lavoro di pubblica utilità costituisce proprio una implicita rinuncia alla sospensione condizionale della pena (Cass. III, n. 20726/2012). h. Laddove un giudice diverso emetta — a seguito di riqualificazione giuridica del fatto originariamente ascritto — una condanna per reato di competenza del giudice di pace, non potrà comunque concedere la sospensione condizionale della pena. L'eccezione è qui rappresentata dal fatto che il giudizio concerna anche altri reati, che non siano di competenza del giudice di pace e che non siano a questi ultimi connessi (Cass. V, n. 3198/2012). Nell'ambito della medesima pronuncia di condanna, non possono trovare contemporanea applicazione la sospensione condizionale della pena e l'indulto, dal momento che il primo istituto deve comunque prevalere sull'altro (Cass. S.U., n. 36837/2010). i. Laddove siano restate incerte le esatte generalità dell'imputato, non è possibile concedergli la sospensione condizionale della pena. Se infatti non si possono conoscere gli effettivi dati personali del soggetto, non sarà nemmeno possibile essere certi del fatto che questi non abbia in passato fruito del medesimo beneficio; e nemmeno – ancor più in generale - si potrà confidare, nel fatto che sia meritevole di una apertura di credito, mediante formulazione di prognosi favorevole in ordine alla sua futura condotta di vita a (Cass. I, n. 49725/2009; nello stesso senso, Cass. I, n. 17447/2005). In senso contrario Cass. VI, n. 12425/2011, a mente della quale, allorquando l'imputato fornisca le sue generalità, ma permanga una situazione di incertezza sul punto, si concretizza una situazione che non può considerarsi ostativa per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. l. Per ciò che attiene alla motivazione del provvedimento di diniego, il giudice non è tenuto ad esplicitare i motivi, quando risulti palese la carenza dei presupposti pretesi dalla legge (Cass. VI n. 20383/2009). Nemmeno è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi indicati dall'art. 13, essendo sufficiente che specifichi in base a quali tra questi si sia risolto al rigetto (Cass. III, n. 6641/2010). La concessione o meno del beneficio costituisce facoltà discrezionale rimessa al convincimento del giudice; su questi non incombe un obbligo di analitica spiegazione, in ordine I motivi posti a fondamento della decisione positiva o negativa (Cass. II, n. 1148/1990). m. Si è precisato come - in tema di reati riguardanti le sostanze stupefacenti – dal fatto che sia riconosciuta l'attenuante exart. 73, comma 7, d.P.R. n. 309/1990 non derivi in via immediata la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Si tratta infatti di istituti che presentano una diversa ratio e che postulano una autonoma valutazione ad opera del giudice: l'attenuante mira a premiare l'attività collaborativa del reo nel corso del processo, laddove la sospensione condizionale è fondata sulla resipiscenza del colpevole e finalizzata al reintegro di questi nel consesso sociale (Cass. III n. 20404/2018). n. Non è consentito subordinare la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento di una provvisionale prima del passaggio in giudicato della sentenza, dato che ciò cagionerebbe una esecuzione ante iudicatum delle statuizioni penali contenute nella pronuncia (Cass. V, n. 36154/2018). o. Secondo il consolidato orientamento dei Giudici di legittimità, la sentenza che accorda uno solo tra i benefici della sospensione condizionale e della non menzione della condanna deve dare specificamente conto dei motivi in base ai quali gli stessi elementi - che siano risultati favorevolmente apprezzabili ai fini della concessione di un beneficio - non siano invece apparsi meritevoli di legittimare la concessione dell'altro, ovvero specificare ulteriori elementi, che siano di segno contrario rispetto alla concessione del beneficio negato (Cass. II, n. 20178/2022 e, nello stesso senso, Cass. IV, n. 32963/2021). La Corte ha poi ricordato come il beneficio della non menzione persegua il fine di favorire il ravvedimento del reo, attraverso l'elisione della conseguenza profondamente negativa che è costituita dalla pubblicità della condanna; la sospensione condizionale della pena sottrae invece alla punizione il colpevole, laddove questi mostri una prospettiva di resipiscenza. Che venga quindi accordato uno solo dei benefici non risulta pertanto intrinsecamente illogico o contraddittorio (Cass. III, n. 56100/2018). Occorre però che tale determinazione discrezionale risulti fondata su una motivazione coerente e preciso, che dia conto dei peculiari profili per i quali gli elementi valutabili in senso favorevole per la concessione di uno dei benefici, non siano poi adeguati a fondare la concessione dell'altro. p. Secondo Cass. 1, n. 37899/2024, non è possibile concedere, in executivis, il beneficio della sospensione condizionale della pena, al condannato nei confronti del quale – in ragione della mancata impugnazione della sentenza di condanna, assunta all'esito di un giudizio celebrato secondo le forme del rito abbreviato – sia stata decurtata la pena in ragione di un sesto, ai sensi dell'art. 442, comma 2-bis, c.p.p., riconducendola entro i limiti fissati dall'art. 163; ciò in quanto la concessione del beneficio in sede esecutiva non è consentita in maniera generalizzata, bensì nei soli casi indicati dalla legge. Profili processualiIn tema di riti alternativi, segnaliamo che lo spirare del termine di due (in caso di contravvenzioni) o cinque anni (in caso di delitti) produce l'effetto estintivo di cui all'art. 445 comma 2 c.p.p., ma solo laddove sia stata applicata una pena esclusivamente pecuniaria, ovvero una sanzione sostitutiva. In tali casi, l'estinzione degli effetti penali ex art. 445 c.p.p. non impedirà la possibilità di nuova concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Diverso è il caso in cui risulti irrogata una pena detentiva. In questo caso, di tale sanzione dovrà comunque tenersi conto — ai sensi degli artt. 163 e 164 — ai fini della reiterabilità del beneficio (Cass.S.U., n. 31/2001). Cass. S.U., n. 23400/2022 ha precisato che – in sede di procedimento ex art. 444 c.p.p. - l'accordo fra le parti relativo all'applicazione di pena detentiva, della quale si chieda la sospensione condizionale, deve ricomprendere anche gli obblighi ulteriori, che possano risultare per legge correlati al beneficio; ne deve in tal caso venir indicata, ove necessario, anche la durata. Deriva da ciò il fatto che – laddove risultino carenti tali pattuizioni - la sospensione non possa esser concessa. Inoltre, se l’efficacia della richiesta di applicazione di pena sia stata subordinata alla concessione della sospensione, la richiesta di applicazione stessa dovrà essere disattesa per intero. Nel caso in cui la sentenza di primo grado erroneamente accordi il beneficio della sospensione condizionale della pena, ciò che si verrà a produrre sarà un errore di tipo giuridico e non un mero errore materiale; con la conseguenza che non si potrà procedere ad emenda dello stesso per il tramite della procedura di correzione degli errori materiali ex art. 130 c.p.p., ma dovrà farsene oggetto di doglianza in appello (Cass. III, n. 33960/2010). Con riferimento al tema dell'interesse dell'imputato ad impugnare la concessione della sospensione condizionale della pena accordatagli d'ufficio in relazione a pena solo pecuniaria, si registrano due differenti orientamenti del Supremo Collegio, peraltro espressi quasi in contemporanea tra loro. Stando dunque alla prima impostazione, dovrebbe ritenersi inammissibile per carenza di interesse il ricorso per cassazione avverso condanna alla sola pena dell'ammenda, in relazione alla quale sia stata concessa la sospensione condizionale, atteso che l'art. 5, comma 2, lett. d) d.P.R. 14 novembre 2002 n. 313 è stato colpito da declaratoria di incostituzionalità (Corte cost. n. 287/2010). Si trattava della disposizione normativa che impediva l'eliminazione dal casellario dei provvedimenti mediante i quali fosse stata irrogata la pena dell'ammenda, laddove a questa si fosse accompagnato uno dei benefici indicati dagli artt. 163 e 175. Deriverebbe da ciò la mancanza di un interesse ulteriore ad impugnare la concessione ex officio della sospensione condizionale della pena (Cass. IV, n. 18072/2015). Si contrappone a tale indirizzo un diverso filone giurisprudenziale a mente del quale, invece, colui che sia stato condannato a pena pecuniaria poi condizionalmente sospesa ex officio conserva un interesse ad impugnare la decisione sul punto specifico, al fine di giungere alla revoca di tale beneficio. Si produrrebbe infatti, comunque, il nocumento nei confronti di un interesse giuridico qualificato; tale lesione sarebbe rappresentata dalla permanenza dell'iscrizione di tale condanna nel casellario, per il periodo di tempo di dieci anni, posteriore al momento dell'esecuzione o dell'estinzione della pena stessa (Cass. IV, n. 15688/2015 e Cass. I, n. 35315/2022). Nel senso dell'ammissibilità del ricorso in Cassazione nei confronti di sentenza di condanna alla pena detentiva dell'ammenda, accompagnata dalla concessione d'ufficio della sospensione condizionale, si è nuovamente pronunciata di recente la Corte. La quale ha spiegato come – pure all'indomani della già evidenziata dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 5 co. 2 d.P.R. 313/2002 – si concretizzi comunque in tal caso la lesione di un interesse giuridicamente rilevante in capo al condannato. E infatti, laddove si vada a individuare la pena complessiva ai fini della ammissibilità al beneficio per la seconda volta, verrà comunque in rilievo – ex artt. 163 e 164 e previo ragguaglio rispetto alla pena detentiva - anche la pena pecuniaria in precedenza irrogata, ma sospesa con la prima pronuncia (Cass. III, n. 48569/2016). Si è poi precisato come la richiesta di sospensione condizionale della pena, formulata in uno ai motivi d’appello, debba formare oggetto di specifico vaglio e motivazione da parte del Giudice di secondo grado. La concessione del suddetto beneficio coinvolge infatti valutazioni attinenti al merito, con specifico riguardo al profilo prognostico ex art. 164; trattasi però di una analisi che non può essere effettuata in sede di legittimità. La conseguenza dell’omessa ponderazione e pronuncia – da parte della Corte d’Appello – in ordine alla specifica questione, è che la relativa sentenza debba essere parzialmente annullata con rinvio (Cass. IV, n. 41988/2017). Nello stesso senso si è espressa Cass. VI, n. 22233/2021, la quale ha precisato come la mancata pronuncia del giudice d’appello, in ordine alla richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, porti all’annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Si è infatti ribadito come alla Corte di Cassazione sia preclusa la possibilità di decidere nel merito e quindi di operare una valutazione di tipo prognostico, quale quella necessaria per la concessione di tale beneficio. Ancora sotto il profilo processuale, evidenziamo che la sospensione condizionale della pena privativa della libertà personale — disposta dal giudice di merito in relazione a pena già interamente espiata — sarebbe illegittima. La sospensione condizionale, al contrario, postula proprio la sussistenza di una sanzione che attenda di venir espiata. L'assenza di tale requisito renderebbe del tutto vana la funzione stessa dell'istituto (Cass. V, n. 23240/2011). Infine, la Corte si è ancora pronunciata sul tema dei rapporti fra concessione della sospensione condizionale della pena e fase esecutiva. Hanno quindi chiarito i Giudici di legittimità come - nel caso in cui il giudice dell’esecuzione pronunci ordinanza di revoca di sospensione condizionale, che sia stata accordata in modo illegittimo in fase di cognizione e tale provvedimento non sia poi fatto oggetto di specifica ed immediata impugnativa, ad opera dell’interessato – non sia successivamente proponibile una domanda di revoca di tale ordinanza. Tale decisione si fonda sul presupposto che l’accoglimento di una istanza formulata in tal modo (si ripete: richiesta di revoca di ordinanza emessa in sede esecutiva, avente quest’ultima ad oggetto una illegittima concessione – durante il giudizio di merito – del beneficio della sospensione condizionale della pena), sostanzialmente si risolverebbe in una nuova concessione della sospensione condizionale. Ma tale beneficio, nella fase dell’esecuzione, può essere accordato esclusivamente all’esito dell’applicazione delle regole sul concorso formale o sulla continuazione (Cass. I, n. 50478/2016). BibliografiaAntolisei, Manuale di Diritto penale - Parte generale, Milano, 1982; Barbarano, Se la condizionale diventa "postuma". Le Sezioni Unite: l'abolitio criminis ha efficacia omnicomprensiva, in DeG, 2006, 42; Bricchetti-Pistorelli, Via libera al lavoro di pubblica utilità anche se si è già usufruito del beneficio, in Guida dir., 2004, n. 25; Coppetta, In tema di sospendibilità delle sanzioni sostitutive” in Giust. pen., II, 1982 Giunta, “Inapplicabilità delle sanzioni sostitutive ed esclusione della sospensione condizionale”, in Il giudice di pace nella giurisdizione penale, a cura di Giostra-Illuminati, Torino, 2001; Diglio, Sospensione condizionale e pena pecuniaria, in CP, 1995; Giunta-Viscusi, in Il Diritto Enciclopedia giuridica, 15, Milano, 2007; Magnini-Nencini, Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, a cura di Giunta, Padova, 2007; Martini, in Padovani, Codice Penale, Milano, 2011; Palazzo, Corso di Diritto penale, Parte generale, Torino, 2006; Palazzo, Bartoli, Certezza o flessibilità della pena. Verso la riforma della sospensione condizionale della pena, Torino, 2007; Reale, Art. 163, in Codice Penale, in Cadoppi, Canestrari, Veneziani (a cura di), Piacenza, 2011. |