Codice Penale art. 165 - Obblighi del condannato 1 .

Angelo Valerio Lanna

Obblighi del condannato 1.

[I]. La sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull'ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno [185, 186; 4443, 4452, 5333, 538, 539, 543 c.p.p.]; può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna [4422, 5333, 605 c.p.p.]2.

[II]. La sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito [4452 c.p.p.], deve essere subordinata all'adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente 3.

[III]. La disposizione del secondo comma non si applica qualora la sospensione condizionale della pena sia stata concessa ai sensi del quarto comma dell'articolo 1634.

[IV]. Nei casi di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321 e 322-bis, la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata al pagamento della somma determinata a titolo di riparazione pecuniaria ai sensi dell'articolo 322-quater, fermo restando il diritto all'ulteriore eventuale risarcimento del danno 5.

[V]. Nei casi di condanna per il delitto previsto dall'articolo 575, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis, nonché agli articoli 582 e 583-quinquies nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, la sospensione condizionale della pena è sempre subordinata alla partecipazione, con cadenza almeno bisettimanale, e al superamento con esito favorevole di specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati, accertati e valutati dal giudice, anche in relazione alle circostanze poste a fondamento del giudizio formulato ai sensi dell'articolo 164. Del provvedimento che dichiara la perdita di efficacia delle misure cautelari ai sensi dell'articolo 300, comma 3, del codice di procedura penale è data immediata comunicazione, a cura della cancelleria, anche per via telematica, all'autorita' di pubblica sicurezza competente per le misure di prevenzione, ai fini delle tempestive valutazioni concernenti l'eventuale proposta di applicazione delle misure di prevenzione personali previste nel libro I, titolo I, capo II, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, fermo restando quanto previsto dall'articolo 166, secondo comma, del presente codice. Sulla proposta di applicazione delle misure di prevenzione personali ai sensi del periodo precedente, il tribunale competente provvede con decreto entro dieci giorni dalla richiesta. La durata della misura di prevenzione personale non puo' essere inferiore a quella del percorso di recupero di cui al primo periodo. Qualsiasi violazione della misura di prevenzione personale deve essere comunicata senza ritardo al pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di condanna, ai fini della revoca della sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 168, primo comma, numero 1)6.

[VI]. Il giudice nella sentenza stabilisce il termine entro il quale gli obblighi devono essere adempiuti [5433 c.p.p.].

[VII]. Nel caso di condanna per il reato previsto dall'articolo 624-bis, la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata al pagamento integrale dell'importo dovuto per il risarcimento del danno alla persona offesa 7.

[VIII]. Nei casi di condanna per reati contro la persona o il patrimonio commessi nelle aree delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e nelle relative pertinenze, la concessione della sospensione condizionale della pena e' comunque subordinata all'osservanza del divieto, imposto dal giudice, di accedere a luoghi o aree specificamente individuati.8

 

[1] Articolo così sostituito dall'art. 128 l. 24 novembre 1981, n. 689. Il testo originario recitava: « La sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull'ammontare di esso, e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno. [II]. Il giudice, nella sentenza, stabilisce il termine entro cui gli obblighi debbono essere adempiuti».

[2] Le parole da «, ovvero» a «sospesa» sono state inserite dall'art. 2 , comma 1, letta. a),  l. 11 giugno 2004, n. 145.

[3] Le parole «, salvo che ciò sia impossibile», che figuravano in fine al comma, sono state soppresse dall'art. 2, comma 1, lett. b),  l. n. 145, cit.

[4] Comma inserito dall'art. 2, comma 1, lett. c), l. n. 145, cit.

[5] La parola «, 321» è stata inserita dopo la parola «320» e le parole «della somma determinata a titolo di riparazione pecuniaria ai sensi dell'articolo 322-quater,» sono state sostituite alle parole «di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all'ammontare di quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di un pubblico servizio, a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, ovvero, nel caso di cui all'articolo 319-ter, in favore dell'amministrazione della giustizia,»  dall'art. 1, comma 1, lett. g) l. 9 gennaio 2019, n. 3in vigore dal 31 gennaio 2019. Precedentemente il presente comma era stato inserito dall'art. 2, l. 27 maggio 2015, n. 69 .

[6] Comma sostituito dall'articolo 15, comma 1, l. 24 novembre 2023, n. 168; il testo precedente alla sostituzione era il seguente: <<Nei casi di condanna per il delitto previsto dall'articolo 575, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis, nonché agli articoli 582 e 583-quinquies nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati>>. Nel testo in vigore precedente alla sostituzione operata dalla l. n. 168/2023 cit. le parole «per il delitto previsto dall'articolo 575, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati,"» erano state sostituite alle parole «per i delitti» dall' art. 2, comma 13, l. 27 settembre 2021, n. 134, in vigore dal 19 ottobre 2021. Precedentemente il comma è stato inserito dall'art. 6, comma 1, l. 19 luglio 2019, n. 69,  in vigore dal 9 agosto 2019. Ai sensi del comma 2 dell'art. 6 l. n. 69, cit.: «Dall'attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli oneri derivanti dalla partecipazione ai corsi di recupero di cui all'articolo 165 del codice penale, come modificato dal citato comma 1, sono a carico del condannato» ​. 

[7] Comma aggiunto dall'art. 3 l. 26 aprile 2019, n. 36, in vigore dal 18 maggio 2019.

[8] Comma aggiunto dall'art. 13, comma 2, d.l. 11 aprile 2025, n. 48, in corso di conversione in legge.

Inquadramento

Nel Titolo VI del Libro Primo del Codice è contenuta la disciplina normativa delle cause di estinzione del reato e della pena; al Capo primo, tra le cause estintive del reato, si trova la sospensione condizionale della pena. L'articolo in commento offre il quadro degli obblighi restitutori e riparatori ai quali può essere subordinata l'operatività dell'istituto.

Per tutto ciò che attiene alla natura ed alla ratio della sospensione condizionale della pena, nonché all'inquadramento dogmatico e sistematico dell'istituto, si può operare un rinvio al commento inerente all'art. 163.

L'assetto vigente della disposizione normativa in argomento è anzitutto il risultato dell'intervento dell'art. 128 l. 24 novembre 1981, n. 689. Il riferimento alla «prestazione di attività non retribuita a favore della collettività», è stato in seguito introdotto dall'art. 2 l. 11 giugno 2004, n. 145. Per ciò che attiene alle concrete modalità di svolgimento dell'attività non retribuita indicata nel comma 1, si potrà anzitutto leggere quanto disposto dall'art. 18-bis disp. att., laddove si trova un rinvio alle disposizioni di cui agli artt. 44, 54 commi 2, 3, 4 e 6, 59 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (legge istitutiva della figura del giudice di pace). Il penultimo comma — concernente la speciale forma di riparazione per equivalente, stabilita in relazione a delitti contro la pubblica amministrazione — è stato introdotto dall'art. 2 l. 27 maggio 2015, n. 69

Un ulteriore intervento legislativo sul testo dell’articolo in commento, è stato effettuato dalla l. 26 aprile 2019, n. 36 e della l. 19 luglio 2019, n. 69.

La più recente modifica sul dettato codicistico in esame è ricollegabile alla Legge n. 134 del 27 settembre 2021, entrata in vigore il 19 ottobre 2021 (cd. Riforma Cartabia), la quale ha complessivamente introdotto rilevanti modificazioni nel sistema penale e processualpenalistico. Recependo le numerose richieste provenienti dall’U.E. e dalla Cedu, il Legislatore italiano ha infatti cercato di affrontare il problema della esagerata durata dei processi, soprattutto nella fase delle impugnazioni. Per l’esame degli effetti della riforma sull’istituto della prescrizione sostanziale e dell’improcedibilità, si rinvia alla lettura del commenti agli artt. 159 e 160. Il testo della norma ora in esame è stato invece modificato, mediante l’inserimento nel quinto comma di una previsione concernente il delitto di omicidio nella forma tentata. È infatti previsto che le parole <<per i delitti>> debbano essere sostituite dalla frase <<per il delitto previsto dall’articolo 575, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati>>. Per effetto di tale novella, nel caso in cui venga accordata la sospensione condizionale della pena all’autore del reato di tentato omicidio – similmente a quanto già accade in relazione al soggetto agente di tutte le altre fattispecie criminose parimenti elencate nel testo della norma – tale beneficio resterà subordinato alla partecipazione, da parte del condannato, a specifici percorsi di recupero che abbiano luogo presso enti o associazioni che specificamente si occupino di prevenzione, assistenza psicologica e recupero per soggetti condannati per tali ipotesi delittuose.

Profili generali (rinvio)

Anche con riferimento ai connotati essenziali dell'istituto della sospensione condizionale della pena, ci si può riportare al commento relativo all'art. 163.

La formulazione normativa

La norma stabilisce anzitutto che la concessione della sospensione condizionale possa esser subordinata al verificarsi di determinate condizioni. Trattasi quindi — secondo l'impostazione generale ed originaria dell'istituto — di una facoltà attribuita al giudice in sede di applicazione del beneficio.

Segue la elencazione degli elementi subordinanti il beneficio. Questi sono rappresentati dall'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, ovvero dal pagamento della somma che sia stata liquidata a titolo di risarcimento del danno, oppure che — sull'ammontare globale di questa — sia stata indicata a titolo di provvisoria assegnazione. Oppure è possibile che il beneficio venga subordinato alla pubblicazione della sentenza di condanna (che andrà così a fungere essa stessa da riparazione del danno prodotto), oppure alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose scaturenti dal reato. Vi è poi la possibilità di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena alla prestazione di attività non retribuita, in favore della collettività.

Sono poi stabilite due deroghe, rispetto a tale regime di facoltatività, come detto improntato ad una scelta discrezionale demandata al giudice.

E dunque, nel caso di seconda fruizione del beneficio — ossia di concessione della sospensione condizionale della pena a soggetto che già ne abbia beneficiato in passato — l'operatività dell'istituto è obbligatoriamente subordinata all'adempimento di uno dei sopra detti obblighi. Qui sottolineiamo come l'art. 2 comma 1 lett. b) l. 11 giugno 2004, n. 145 abbia eliminato l'inciso finale «salvo che ciò sia impossibile». Sembra logicamente corretto riferire l'elisione di tale formula derogatoria soprattutto al tema degli obblighi di tipo risarcitorio, restitutorio o riparatorio eventualmente posti a carico del condannato. La dottrina concordemente infatti evidenzia come sia abbastanza arduo ipotizzare che vi possa essere una sopravvenuta impossibilità — se non forse in caso di invalidità fisica — rispetto all'adempimento dell'obbligo di prestazione di attività lavorativa non retribuita.

Vi è poi la tipologia speciale di riparazione prevista dal penultimo comma, in relazione ad alcune fattispecie tipiche di delitti contro la pubblica amministrazione.

L'ultimo comma prevede infine l'indicazione di un termine per l'adempimento degli obblighi.

La disposizione codicistica in commento è stata modificata dall’art. 15 legge 24 novembre 2023, n. 168 (Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica, in G.U. del 24/11/2023, entrata in vigore in data 09/12/2023), che ne ha interamente sostituito il quinto comma, disponendo che, nei casi di condanna per una serie di fattispecie criminose (art. 575 cod. pen., nella forma tentata; delitti - consumati o tentati – ex artt. 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies,609-octies e 612-bis cod. pen., oltre che 582 e 583-quinquies, nelle ipotesi aggravate ex artt. 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1. e 577, primo comma, numero 1 e secondo comma), la concessione della sospensione condizionale della pena debba essere sempre subordinata alla partecipazione, con una cadenza almeno bisettimanale - nonché al superamento con esito favorevole - di specifici percorsi di recupero; tali percorsi dovranno svolgersi presso enti o associazioni che si occupino di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati, accertati e valutati dal giudice, <<anche in relazione alle circostanze poste a fondamento del giudizio formulato ai sensi dell'articolo 164>>. È poi noto come, a norma dell’art. 300, comma 3 cod. proc. pen., le misure cautelari in esecuzione perdano efficacia, allorquando la pena comminata venga condizionalmente sospesa; del relativo provvedimento, dichiarativo della perdita di efficacia delle misure cautelari, la nuova norma dispone venga data immediata comunicazione - a cura della cancelleria - anche per via telematica, all'autorità di pubblica sicurezza competente per le misure di prevenzione. Ciò in vista del compimento di tempestive   valutazioni, in ordine alla formulazione della eventuale   proposta    di applicazione delle misure di prevenzione personali (Libro I, Titolo I, Capo II, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, d.lgs. 06 settembre 2011, n. 159, fermi rimanendo gli effetti di cui all’art. 166, secondo comma, cod. pen. È poi previsto che il Tribunale competente debba decidere, in ordine alla eventuale proposta applicativa di misure di prevenzione personali, inoltrata a norma delle sopra dette disposizioni, a mezzo di decreto da adottare entro il termine di dieci giorni dalla richiesta. La durata della misura di prevenzione personale non deve essere, secondo la nuova normativa, di durata più breve, rispetto a quella fissata per l’effettuazione del percorso di recupero di cui sopra. Le violazioni commesse, rispetto alle prescrizioni imposte a mezzo di misura di prevenzione personale vanno comunicate senza ritardo al Pubblico ministero presso il Giudice che ha emesso la sentenza di condanna; ciò al fine della revoca della sospensione condizionale della pena, a norma dell’art. 168, primo comma, numero 1) cod. pen. La novella è intervenuta, altresì, sul testo dell’art. 18-bis delle disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale (r.d. 28 maggio 1931, n. 601), aggiungendo, alla fine dello stesso, il seguente comma:    «Nei casi di cui all'articolo 165, quinto comma, del codice penale, la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza la trasmette, al passaggio in giudicato, all'ufficio di esecuzione penale esterna, che accerta l'effettiva partecipazione del condannato al percorso di recupero e ne comunica l'esito al pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza. Gli enti o le associazioni presso cui il condannato svolge il percorso di recupero danno immediata comunicazione di qualsiasi violazione ingiustificata degli obblighi connessi allo svolgimento del percorso di recupero all'ufficio di esecuzione penale esterna, che ne dà a sua volta immediata comunicazione al pubblico ministero, ai fini della revoca della sospensione ai sensi dell'articolo 168, primo comma, numero 1), del codice penale».

Si è sottolineato in dottrina come vi sia una ragione ideologica precisa, sottesa tanto all'allargamento dell'alveo delle facoltà discrezionali riservate al giudice, quanto in relazione all'ampliamento degli obblighi ripristinatori, concernenti le conseguenze dannose o pericolose del fatto-reato. La ratio che sorregge tale quadro normativo è infatti precipuamente indirizzata a valorizzare la funzione specialpreventiva della norma; contestualmente, si tende a favorire il reinserimento del colpevole, mediante emenda e ricostruzione di un rapporto organico, fondato sulla partecipazione ai valori della comunità e sulla riedificazione del grado di fiducia che la collettività possa riporre nel reo ormai reinserito. Si è infatti scritto che: “La ratio dell'ampliamento della discrezionalità del giudice in tema di concessione del beneficio, garantito dall'estensione degli obblighi di eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, è riconducibile alla funzione specialpreventiva dell'istituto sia sotto il profilo negativo (l'autore viene dissuaso dalla commissione di ulteriori reati dalla minaccia di essere assoggettato ad oneri personali e patrimoniali), sia in ottica positiva, atteso che l'onere personale o patrimoniale imposto al reo contribuisce a ricostruire il rapporto di fiducia tra la collettività ed il soggetto che abbia pagato (sebbene non attraverso l'esecuzione della pena) il proprio debito” (Bonilini-Confortini, 996; sul tema della funzione dell'istituto quale modalità di recupero e reinserimento del reo, si veda Vinciguerra, 441).

Il Supremo Collegio ha chiarito come le due ipotesi indicate dall'articolo in commento – adempimento dell'obbligo restitutorio e pagamento della somma liquidata quale risarcimento del danno – debbano essere nettamente distinte tra loro. Solo nel caso quindi in cui la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena venga subordinata all'adempimento rispetto all'obbligo di risarcire il danno, vi sarà necessità di una preventiva domanda giudiziale, inserita nel processo penale mediante la costituzione di parte civile. L'obbligo restitutorio infatti – a differenza di quello risarcitorio – può anche essere indipendente dalla specifica domanda dell'avente diritto. Deriva da ciò come la concessione del beneficio in esame possa essere legittimamente subordinata alla eliminazione delle conseguenze dannose del fatto commesso attraverso adempimento dell'obbligo di restituzione, anche allorquando manchi una diretta richiesta in tal senso, in ragione della mancata costituzione di parte civile della persona offesa (Cass. II, n. 42583/2019).

È stata dichiarata manifestamente inammissibile, a causa della incompleta ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale, la questione di legittimità costituzionale proposta in relazione all'art. 165 comma 2, nel testo novellato ad opera dall'art. 2, comma 1, lett. b) l. n. 145/2004, nella parte in cui viene subordinata la concessione del beneficio in esame a chi ne abbia in precedenza già fruito, alla condizione che venga risarcito il danno oppure operate le restituzioni, non venendo in tal modo dato adeguato rilievo al caso dell'impossibilità di effettuare risarcimento o restituzioni. Secondo il Giudice delle leggi, la questione si fonda su una fallace interpretazione della norma, posto che non tiene adeguatamente conto della sussistenza della possibilità che il beneficio della sospensione condizionale della pena venga invece subordinato alla prestazione di attività non retribuita in favore della collettività, come previsto dall'art. 165 comma 1. Secondo poi il costante orientamento della Cassazione, la richiesta del beneficio formulata da soggetto che già in passato ne abbia fruito – pur se inserita nel rito ex art. 444 c.p.p. – rappresenta una intrinseca e implicita non opposizione del reo, alla subordinazione del beneficio all'adempimento di uno degli obblighi suddetti (Corte Cost. 229/2020).

 

Segue. Le restituzioni

Con riferimento alle restituzioni vi è una regola di base, che ha validità generale (logica, prima ancora che giuridica). La valutazione discrezionale demandata al giudicante non può infatti comportare l'imposizione di oneri restitutori che — in concreto — si rivelino inattuabili e quindi non pretendibili. Sarebbe allora da considerare tamquam non esset — e pertanto non in grado di comportare la successiva revoca del beneficio — l'imposizione di una reintegrazione in forma specifica ormai impossibile in rerum natura. Obblighi di tal genere, infatti, sarebbero contrari proprio alla funzione specialpreventiva che connota l'istituto. Si è dunque scritto: “La discrezionalità giudiziale relativa all'an delle prescrizioni è logicamente subordinata al divieto di disporre oneri che risultino, già ab origine, inesigibili e pertanto inutiliter dati” (Giunta e Viscusi, 267).

Segue. Il risarcimento del danno

In ordine al tema del risarcimento del danno si è molto agitata — sia in dottrina che in giurisprudenza — la questione attinente alla necessità, perché il giudice possa dar luogo all'imposizione dell'obbligo risarcitorio, di una specifica azione proposta all'interno del processo penale e finalizzata proprio all'ottenimento del risarcimento del danno. La grande maggioranza degli interpreti della norma, conformemente alla giurisprudenza ormai consolidata, propende per la necessità di una previa costituzione di parte civile, affinché il giudice possa subordinare l'effettività del beneficio in commento al risarcimento — totale o parziale — del danno causalmente ricollegabile al reato.

La dottrina ha quindi precisato che “... l'obbligo delle restituzioni e del risarcimento, cui può essere subordinata la sospensione condizionale della pena, presuppone la condanna (sia pure implicita) dell'imputato all'adempimento in favore della persona danneggiata, e quindi, l'esercizio da parte di quest'ultima dell'azione civile nel processo penale, altrimenti la condanna si risolverebbe in una pronuncia abnorme, emessa senza la domanda della parte che aveva il potere di chiedere l'attuazione della volontà della legge” (Diotallevi, 688; vedere anche la giurisprudenza sotto riportata).

Riannodando le fila della tematica inerente alla inammissibilità dell'imposizione di “oneri inesigibili”, si dirà che parte della dottrina ha giustamente sottolineato come l'obbligo di risarcimento non possa non avere un limite — ai fini che ora interessano — nelle capacità stesse di adempimento del soggetto, dunque nella sua effettiva solvibilità. Per maggior chiarezza. Il risarcimento del danno può essere legittimamente posto, quale prescrizione subordinante l'operatività del beneficio della sospensione condizionale della pena; non può però considerarsi inadempiente — e così essere escluso dalla fruizione del beneficio stesso — un soggetto che non adempia un obbligo risarcitorio superiore, rispetto alle sue accertate disponibilità finanziarie. L'entità del risarcimento del danno al quale tale soggetto sarà tenuto, dunque, sarà quella non ultronea rispetto alle sue effettive capacità patrimoniali (Giunta-Viscusi, 267).

Sullo specifico tema si è  pronunciata la Corte di Cassazione, la quale ha chiarito che – in caso di sospensione condizionale della pena – allorquando la concessione di tale beneficio sia subordinata all'adempimento di un obbligo di risarcimento del danno, il giudice della cognizione non deve porre in essere alcun accertamento, in ordine alle capacità finanziarie del reo. L'unica eccezione a tale principio è costituita dal caso in cui sussista una situazione palese - che eventualmente può anche essere oggetto di prova ad opera della parte interessata - tale da far immediatamente dubitare della possibilità che il soggetto sia in grado di far fronte a tali obblighi. I Giudici hanno qui incidentalmente osservato come la verifica circa l'eventuale impossibilità di adempiere agli obblighi risarcitori, da parte del condannato, rientri più propriamente nella competenza del giudice dell'esecuzione (Cass. IV, n. 50028/2017).

Cass. S.U., n. 37503/2022 si è pronunciata in ordine alla seguente questione: “se, in caso di sospensione condizionale della pena subordinata all'adempimento di un obbligo risarcitorio, il termine entro il quale l'imputato deve provvedere allo stesso, qualora non fissato in sentenza, coincida con la data del passaggio in giudicato di quest'ultima o con la scadenza del termine, di cinque o due anni, previsto dall'art. 163 c.p.”. I Giudici hanno deciso che, in tal caso, il termine entro il quale l'imputato è tenuto a provvedere all'obbligo risarcitorio – quale elemento essenziale dell'istituto – deve essere fissato dal giudice in sentenza o, in mancanza, dal giudice dell'impugnazione o da quello dell'esecuzione. Nel caso in cui tale termine non venga comunque stabilito, esso coinciderà con lo spirare del termine di cinque o due anni ex art. 163.

All'udienza del 27/04/2023 la Corte di cassazione, nel massimo consesso, ha sancito che si può subordinare - ai sensi dell'art. 165 c.p. - il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma dovuta quale risarcimento del danno, oltre che all'adempimento dell'obbligo della restituzione di quei beni, che siano stati conseguiti grazie alla commissione del reato, soltanto allorquando vi sia stata costituzione di parte civile (Cass. S.U., n. 32939/2023).

Cass. II, n. 47918/2023 ha precisato come la determinazione in concreto degli obblighi, al cui adempimento venga subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena, ai sensi dell'art. 165 c.p., non sia riconducibile alla nozione di pena illegale; tale determinazione non rientra, pertanto, nell'ambito applicativo dell'art. 448, comma 2-bis, c.p.p.  

Segue. La pubblicazione della sentenza

La norma in commento faculta il giudice a subordinare l'operatività dell'istituto in esame, tra l'altro, anche alla pubblicazione della sentenza di condanna a titolo di riparazione del danno. Trattasi qui della pubblicazione quale strumento riparatorio del danno e non della medesima pubblicazione quale pena accessoria. Il riferimento è quindi da intendere alla disposizione inserita nell'art. 186, piuttosto che a quella leggibile nell'art. 36.

Da tale natura, la giurisprudenza ha desunto l'impossibilità di subordinare l'operatività del beneficio alla pubblicazione della sentenza, nel caso in cui il processo si definisca mediante applicazione di pena concordata ai sensi e per gli effetti degli artt. 444 e ss. c.p.p. La sentenza di patteggiamento, infatti, non contiene statuizioni in ordine ai profili attinenti all'azione civile inserita nel processo penale. Alla sfera dell'accordo raggiunto fra l'imputato ed il p.m., peraltro, è estraneo l'aspetto prettamente risarcitorio, proprio in quanto dello stesso non partecipa il soggetto che si sia costituito parte civile (v. giurisprudenza sotto riportata).

Segue. L'eliminazione delle conseguenze

Giova qui subito precisare come le conseguenze dannose o pericolose, alle quali si riferisce il testo della norma, siano quelle direttamente ricollegabili al danno così detto criminale; sarebbe a dire che il richiamo non è qui operato al danno di tipo civilistico, conseguente al fatto-reato. Non si deve quindi aver riguardo al nocumento economico eventualmente oggetto di ristoro, bensì alla effettiva lesione — ovvero al pericolo di lesione — inerente al bene giuridico protetto dalla norma.

Anche sullo specifico tema — così come sopra spiegato in relazione al risarcimento del danno — si è nel corso del tempo molto raffinato il concetto di oneri esigibili (secondo la definizione corrente tra gli studiosi dell'istituto). Si accetta quindi — in maniera pressoché unanime — l'idea che non possa essere prescritta al condannato una attività di ripristino dello status quo ante, che sia esageratamente onerosa, ovvero praticamente impossibile per il soggetto. In tal caso, infatti, “La funzione specialpreventiva della previsione normativa sarebbe fatalmente destinata ad acquisire una natura sanzionatoria impropria, utilizzabile poi in modo quasi automatico ai fini dell'applicazione della revoca del beneficio concesso” (Diotallevi, 692). Molti Autori — proprio per superare tale possibile incongruità applicativa — prospettano la possibilità di limitare l’alveo delle conseguenze riparabili al profilo esclusivamente fenomenico delle stesse, parametrando però poi le riparazioni su una “visibile adesione ai valori dell’ordinamento, cioè al bene giuridico protetto dalla norma, secondo le modalità indicate dal giudice per ogni fattispecie concreta”(Diotallevi, ibidem; vedere anche Giunta, 114).

Segue. La prestazione di attività

Giova qui precisare come sia compito specifico del giudice — laddove ritenga di subordinare l'operatività del beneficio alla prestazione, ad opera del condannato, di attività lavorativa in favore della collettività — quello di fornire adeguata motivazione in ordine sia alle modalità esecutive, sia alla durata di tale prestazione lavorativa. Obbligo di completezza motivatoria che, in particolare, sussiste nel caso in cui la prestazione imposta si discosti in maniera significativa dai minimi edittali.

La prestazione di attività lavorativa in favore della collettività presenta poi il connotato tipico della afflittività, che caratterizza le sanzioni. Da tale caratteristica, la giurisprudenza ha dedotto come tale attività possa anche essere destinata in favore di ente diverso dalla P.A. («onlus» o organizzazioni di volontariato, ad esempio), ma comunque sempre in forza di una delega o concessione di esercizio da parte della pubblica amministrazione (si veda la giurisprudenza sotto richiamata).

Precisiamo che la norma generale di riferimento, in tema di prestazione lavorativa non retribuita in favore della collettività è — come sopra accennato — il d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (si veda, sul punto, il succitato art. 18  bis disp. coord. att.; tale norma dispone appunto che il lavoro in favore della collettività debba svolgersi «osservando, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 44, 54, commi 2, 3, 4 e 6 e 59 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274»). Ai sensi del succitato art. 54, il lavoro di pubblica utilità ha una durata minima e massima prestabilita, rispettivamente non inferiore a dieci giorni e non superiore a sei mesi; la previsione in commento — che pare sul punto espletare una efficacia derogatoria — dispone però che l'attività non retribuita in favore della collettività, oltre ad avere, come del resto ovvio, una durata ben determinata, possa giungere ad estendersi per un tempo comunque non superiore alla durata della pena che viene sospesa. Si tratta però di una questione in ordine alla quale non sembra esservi concordia di opinioni. Per ciò che attiene invece alla durata giornaliera della prestazione, non sembrano esservi perplessità: si ritiene infatti operativo il limite delle otto ore, di cui all'art. 54 comma 4 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274. Ricordiamo infine che l'art. 44 della medesima disposizione normativa prevede — al ricorrere dell'indefettibile presupposto rappresentato dallo stato di assoluta necessità — la possibilità per il giudice dell'esecuzione di procedere a modifica delle modalità esecutive della prestazione lavorativa specificate in sentenza (art. 666 c.p.p.).

Secondo il dictum dei Giudici di legittimità (Cass. V, n. 52743/2017), la regola dettata dall'art. 165, laddove è stabilito che la prestazione di attività lavorativa a favore della collettività non possa oltrepassare la durata della pena sospesa, esplica efficacia soltanto allorquando sia stata  comminata una pena detentiva e non nel caso di sospensione di pena pecuniaria (in relazione alla quale opera invece l'art. 18-bis disp. trans. e non l'art. 135).

La succitata Cass. S.U. n. 23400/22 ha statuito come - nel procedimento speciale ex art. 444 c.p.p. - l'accordo fra le parti inerente all'applicazione di una pena detentiva con correlata istanza di sospensione condizionale, deve ricomprendere anche gli eventuali obblighi ulteriori che, a norma di legge, derivino dalla concessione del beneficio; se ne deve in tal caso altresì specificare – laddove previsto -  la durata. Deriva da ciò il fatto che, allorquando sia carente l'espressa pattuizione su tali punti, la sospensione condizionale non può essere concessa e – se al riconoscimento della stessa sia stata subordinata l'efficacia della richiesta di patteggiamento – deve procedersi all'integrale rigetto di quest'ultima. Nel corpo della medesima decisione, le Sezioni Unite si sono anche pronunciate su una seconda questione oggetto di contrasto, ossia «se il computo della durata della prestazione di attività non retribuita a favore della collettività debba essere effettuato con riferimento solo al criterio dettato dall'art. 165, comma 1, c.p., di non superamento della durata della pena sospesa, ovvero anche con riferimento al criterio, di cui al combinato disposto degli artt. 18-bis disp. coord. trans. cod. pen. e 54, comma 2, d. lgs. n. 274 del 2000, della durata massima di sei mesi»; sul punto, i Giudici hanno deciso che vigono – con riferimento alla durata massima della prestazione di attività non retribuita a favore della collettività - due limiti massimi che sono cumulativi; l'uno è quello di sei mesi, desumibile dal combinato disposto degli artt. 18-bis disp. coord. trans. e 54, comma 2, D.Lgs. n. 274/2000 e – nei casi in cui risulti inferiore – quello di cui all'art. 165, comma 1, in relazione alla durata della pena comminata e condizionalmente sospesa.

Segue. In relazione ai delitti contro la pubblica amministrazione

La l. 27 maggio 2015, n. 69 ha — come sopra accennato — introdotto il penultimo comma della norma, laddove sono previsti peculiari obblighi di tipo riparatorio e restitutorio, in caso di commissione di alcune tipologie delittuose. Trattasi specificamente dei reati indicati dagli articoli che vanno da 314 a 322-bis. È in questo caso previsto che, obbligatoriamente, la sentenza di condanna possa essere condizionalmente sospesa, solo a patto che avvenga il pagamento di una somma di denaro corrispondente al profitto del reato, ovvero all’ammontare di ciò che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio abbiano percepito, in diretta derivazione causale rispetto alla commissione del fatto illecito.

Sul punto, è nozione comune il fatto che il profitto del reato sia rappresentato dal lucro derivante dalla commissione dello stesso; ossia dal vantaggio, dal beneficio che il reo incamera per effetto — diretto ed immediato, ovvero anche indiretto — della commissione del fatto. Tale nozione deve restare ontologicamente ben distinta da quelle di prodotto del reato (id est  l’esito fenomenico, materialmente apprezzabile, dell’opera illecita e quindi le cose che, per effetto della stessa, vengono comunque ad esistenza) e di prezzo dello stesso (controprestazione stabilita per la commissione di un fatto-reato).

Attenendosi ancora al dettato normativo in esame, la somma di denaro — corrispondente alternativamente al profitto o al prezzo della commissione di uno dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione suddetti — varrà quale riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione che sia stata lesa dalla condotta illecita tenuta dall'intraneus del reato (dunque, dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio). Si è in proposito scritto quanto segue: “La subordinazione, allorquando riguardi il pagamento della somma stabilita a titolo di “riparazione pecuniaria”, è applicabile, solo nei confronti del pubblico funzionario condannato al relativo pagamento ex art. 322-quater c.p. Ma lo stesso discorso sembra da fare anche per la subordinazione al pagamento di «una somma equivalente al profitto del reato» e proprio per le medesime ragioni: anche in questo caso è assorbente il mancato richiamo all'art. 321 c.p., che estende al privato corruttore le pene previste per il pubblico funzionario corrotto. La subordinazione non varrebbe, quindi..., con riferimento alla posizione del privato nel reato di cui all'art. 319-quater c.p., rispetto al quale, evidentemente, il vantaggio indebito perseguito (che giustifica la punizione ex art. 319-quater, comma 2, c.p.) è considerato cosa diversa dal profitto del reato conseguito dall'agente pubblico infedele.

Ciò non esclude, per il privato, la possibilità di subordinare il beneficio della sospensione condizionale alle condizioni in generale previste nel comma 1 dell'art. 165 c.p., in quanto ritenuto applicabili e utili.” (Amato, 47).

Nel caso di cui all'art. 319-ter, tale somma dovrà esser destinata all'amministrazione della giustizia.

È poi inserita una norma di chiusura, secondo la quale rimane comunque fermo l'eventuale diritto al risarcimento di danni ulteriori.

I più autorevoli interpreti della norma così novellata, peraltro, non hanno mancato di sottolineare subito l'esistenza di palesi incongruenze nel relativo testo. In particolare, la previsione relativa alla sospensione colloca in una situazione di alternatività i profili, tra loro ontologicamente ben distanti, del profitto del reato e dell'ammontare «di quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale» (che sarebbe come dire del prezzo del reato). Manca infatti qui una precisa indicazione legislativa, circa il fatto che “l'alternativa stessa si riferisca alla condotta tenuta in concreto, nel senso che il corrotto debba riversare il prezzo del reato e il corruttore il profitto, o sia invece rimessa a una scelta giudiziale” (Padovani, GD, 10).

Modifiche introdotte dalla l. n. 3/2019

La novella del 2019 (l. n. 3/2019, in G.U. n. 13 del 16 gennaio 2019, vigente al 31 gennaio 2019, Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici) ha profondamente innovato il tema del rapporto fra l'istituto della sospensione condizionale della pena e i reati contro la pubblica amministrazione. Si è infatti previsto che la sospensione condizionale della pena – in relazione alle fattispecie di reato di cui agli artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321 e 322-bis – debba comunque esser sempre subordinata al pagamento di una somma avente la veste di riparazione pecuniaria. Tale somma dovrà essere determinata attenendosi ai parametri indicati dall'art. 322-quater. Rinviando per una più puntuale analisi allo specifico commento, ricordiamo solo trattarsi della norma che impone al Giudice – in caso emetta sentenza di condanna per tali reati – di ordinare al condannato il pagamento di una somma di denaro che sia pari all'ammontare di quanto il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio abbiano indebitamente ricevuto. Il tutto a titolo appunto di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione di appartenenza del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio ovvero – nel caso dell'art. 319-ter – in favore dell'amministrazione della giustizia. Resta fermo il diritto al risarcimento del danno.

Segue . In relazione al delitto ex art. 624- bis (le modifiche introdotte dalla l n. 36/2019)

L'art. 3 l. n.36/2019 (“Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa”), ha novellato la norma in commento, stabilendo che – laddove intervenga condanna per il delitto di furto in abitazione o con strappo, di cui all'art. 624-bis - l'eventuale concessione della sospensione condizionale della pena comminata debba esser sempre subordinata, all'integrale pagamento dell'importo dovuto a titolo di risarcimento del danno patito dalla persona offesa. Notiamo immediatamente come tale subordinazione venga strutturata dal Legislatore quale onere strettamente condizionante la fruizione del beneficio; pare quindi assente – sul punto specifico - ogni spazio di discrezionalità per il Giudice. La norma sembra allora coerentemente inquadrarsi nell'ambito dell'intervento di modifica del sistema penalistico, palesemente orientato ad assicurare una più accentuata tutela alle ragioni del soggetto che si trovi ad essere aggredito da condotte di natura criminale.

Segue. In relazione  al tentato omicidio,  ai reati sessuali e ai delitti commessi in ambito domestico

L'art. 6 l. 19 luglio 2019, n. 69  - intitolata  “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”(su  G.U. n. 173 del 25 luglio 2019 e vigente dal 9 agosto 2019) - ha modificato il testo della norma in commento inserendo, dopo il quarto comma, un comma ulteriore. Mediante tale integrazione si è stabilito che, allorquando venga pronunciata condanna in relazione ad alcune tipologie delittuose cd. da codice rosso (trattasi degli artt. 572, 609-bis,, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e  612-bis, oltre che 582 e 583-quinquies nelle ipotesi aggravate ex artt. 576, comma 1, nn. 2, 5 e 5.1, nonché 577, comma 1 n. 1 e comma 2), la sospensione condizionale della pena debba comunque sempre essere subordinata alla partecipazione del condannato a specifici percorsi di recupero, da svolgersi presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati. Ogni onere connesso alla partecipazione a tali corsi resterà comunque sempre a carico del condannato e non potrà gravare sull'Erario.

L'art. 2, comma 13, l. 27 settembre 2021, n. 134 (in G.U. n. 237 del 4 ottobre 2021, in vigore dal 19 ottobre 2021) ha novellato il quinto comma della presente disposizione codicistica, sostituendo le parole <<i delitti>> con la frase <<per il delitto previsto dall'articolo 575, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati>> e lasciando invariata la residua parte del testo dell'articolo. Per effetto di tale riforma, fermo restando il sopra analizzato regime introdotto ad opera dell'art. 6 l. 19 luglio 2019, n. 69 e attinente i reati sessuali, nonché la violenza domestica e di genere, resta assoggettata alla medesima disciplina anche la fattispecie di omicidio nella forma tentata. La possibilità che venga accordato il beneficio della sospensione condizionale della pena, a persona condannata per il delitto di tentato omicidio – così come già accade in relazione ai condannati per i delitti sopra riportati (trattasi degli artt. 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e  612-bis, oltre che 582 e 583-quinquies nelle ipotesi aggravate ex artt. 576, comma 1, nn. 2, 5 e 5.1, nonché 577, comma 1 n. 1 e comma 2) – è quindi ora immancabilmente subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso gli enti o associazioni indicate nella norma.

Si è scritto che: “La misura confida in percorsi di recupero che dovrebbero coinvolgere l'autore del reato al fine di sedare gli impulsi aggressivi generati dal decadimento della relazione ed è coerente con la scelta di prevedere un trattamento psicologico endocarcerario per i condannati per i reati previsti dagli artt. 609-bis, 609-octies, 572, 583-quinquies e 612-bis c.p.” (Recchione, 6).

Termini per adempiere

Precisiamo anzitutto come la norma stabilisca la necessità di fissazione di un termine; non colma però di contenuti tale generica indicazione, circa il momento iniziale e finale, nonché con riferimento alla durata complessiva. Alla luce di ciò, la discrezionalità lasciata al giudicante risulta davvero molto ampia; può infatti esser stabilito un adempimento sostanzialmente immediato, ma anche un rinvio ad epoca successiva, rispetto alla formazione di cosa giudicata (scelta, quest'ultima, spesso propugnata dalla giurisprudenza).

Nel caso di indicazione del termine da parte del giudice — sia esso coincidente con il passaggio in giudicato della pronuncia, ovvero collocato in un momento successivo — il mancato adempimento agli obblighi imposti, da parte del condannato, non potrà che comportare come conseguenza la decadenza dal beneficio.

Molto controversa è peraltro la possibilità che il termine venga posizionato dal giudice in maniera indipendente, rispetto al passaggio in giudicato della sentenza. Con la conseguenza che l'imputato — per non rischiare di incorrere nella perdita del beneficio — si troverebbe a dover adempiere agli obblighi impostigli, prima ancora di aver assunto la veste di condannato in via definitiva.

Segnaliamo poi un orientamento giurisprudenziale, a mente del quale — in caso di concessione del beneficio subordinata al pagamento di una somma a titolo di provvisionale — il giudice può indicare un termine antecedente rispetto al passaggio in giudicato della sentenza.

 I Giudici di legittimità hanno di recente ben chiarito alcuni punti fondamentali in materia.

Hanno infatti anzitutto ribadito l'orientamento largamente maggioritario, a mente del quale non è consentito subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile, laddove il pagamento sia da effettuare in epoca antecedente al passaggio in giudicato della sentenza. Ciò in ragione del fatto che le decisioni attinenti alla concessione del beneficio de quo sono ontologicamente assimilabili ai capi strettamente penali della pronuncia; e di questi, non è ovviamente consentita una esecuzione antecedente alla formazione di una decisione definitiva.

Ci si è però contemporaneamente interrogati circa i rimedi adottabili nel giudizio in Cassazione, laddove il Giudice di merito abbia assunto una statuizione del genere, ossia abbia subordinato la fruizione del beneficio in esame alla corresponsione di una data somma a titolo di provvisionale, fissando però erroneamente l'adempimento ad epoca anteriore, rispetto al passaggio in giudicato della pronuncia. Si è infatti prospettato - da parte di alcuni interpreti della norma – il ricorso allo strumento dell'annullamento senza rinvio, quale unico rimedio esperibile in presenza di siffatta situazione.

L'insegnamento della Corte sembra invece muoversi in senso diametralmente opposto.

Si è infatti stabilito che, allorquando la sospensione condizionale della pena sia stata subordinata al risarcimento del danno, ovvero anche alla avvenuta elisione di tutte le conseguenze dannose scaturenti dal reato, il termine per l'esecuzione debba iniziare a decorrere dal momento della formazione del giudicato e possa essere oggetto di correzione, anche d'ufficio e in sede di legittimità. In presenza dunque di tutti i requisiti postulati dalla norma, l'incongrua imposizione di un adempimento ante iudicatum (pagamento di una provvisionale) non comporta la perdita di efficacia della statuizione inerente alla concessione del beneficio della sospensione condizionale; in maniera più limitata, invece, il dies a quo per l'adempimento potrà essere differito d'ufficio dal Giudice di legittimità, finendo così per coincidere con il momento del passaggio in giudicato della sentenza (Cass. V, n. 26811/2016, v. infra).

La problematica applicativa che più spesso si pone agli operatori della giustizia, però, concerne il tema delle conseguenze da riconnettere alla eventuale mancata indicazione del termine, ad opera del giudice. Si tende generalmente ad accettare la tesi che — in caso di carenza di indicazione del termine — preferisce far coincidere questo con il momento finale del prodursi degli effetti estintivi connessi al beneficio (due anni in relazione alle contravvenzioni e cinque anni in caso di delitti). Non manca peraltro un orientamento che — sempre in caso di mancata indicazione del termine da parte del giudice della cognizione — attribuisce un potere di supplenza al giudice dell'esecuzione (si veda la giurisprudenza sotto riportata; vedere anche Guglielmo, 293).

Segnaliamo l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale inerente al caso in cui il beneficio della sospensione condizionale della pena venga subordinato al pagamento dell'assegno di mantenimento stabilito con la sentenza di separazione consensuale; si sono infatti formati due diversi orientamenti – nella giurisprudenza della Corte di Cassazione – con riferimento all'individuazione in tal caso del termine per l'adempimento. Secondo un primo filone interpretativo, il termine entro il quale l'imputato sarà tenuto ad adempiere al versamento di tale assegno – se non stabilito in sentenza – coinciderà con il momento in cui la sentenza stessa divenga irrevocabile, trattandosi di obbligazione pecuniaria immediatamente esigibile (così Cass. I, n. 47649/2019 e Cass. I, n. 6368/2020). Di diverso avviso Cass. I, n. 42109/2013, Cass. I, n. 41428/2004 e Cass. V, n. 9855/2018 che – premettendo come l'omessa indicazione del termine per l'adempimento dell'obbligo non determini violazione dell'art. 165 - fanno coincidere tale termine con quello di due o di cinque anni indicato dall'art. 163, rappresentando dunque il passaggio in giudicato della sentenza solo il dies a quo.

La reiterazione del beneficio

Il secondo comma della norma stabilisce che, allorquando il beneficio in esame venga nuovamente accordato a persona che in passato ne abbia già fruito, esso debba obbligatoriamente essere subordinato all'adempimento di uno degli obblighi indicati nel primo comma del medesimo articolo. Ciò che nella parte generale della disposizione costituisce quindi una facoltà lasciata alla prudente valutazione del giudice, diviene quindi - in caso di seconda applicazione del beneficio - un obbligo per il giudicante.

La ratio di tale disciplina differenziata, in relazione alla reiterazione del beneficio, risponde evidentemente “... all'esigenza di rafforzare il recupero sociale del reo, costretto a ripercorrere a ritroso l'iter criminoso” (Bonilini e Confortini, 996; Padovani, RIDPP, 1264).

 Vi è contrasto di giurisprudenza, sul tema della valenza da attribuire alla richiesta incondizionata di nuova concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Nello specifico – stando a Cass. V, n. 19721/2019 – l’istanza non sottoposta a condizioni, proveniente da soggetto che abbia già in passato fruito del medesimo beneficio, comporta automaticamente una manifestazione di non opposizione – ad opera dell’imputato – alla subordinazione del beneficio a uno degli obblighi di cui all'art. 165, co. 1; tale implicita accettazione non necessiterebbe pertanto di esplicita accettazione, in quanto trattasi di beneficio che – per testuale indicazione normativa – può esser concesso solo nella forma condizionata. Contraria a tale impostazione teorica è però Cass. III, n. 26259/2018, a mente della quale la concessione – ad imputato che ne abbia già fruito - della sospensione condizionale della pena, subordinata alla prestazione di attività non retribuita in favore della collettività, postula necessariamente l’espressione di consenso da parte dell’imputato. Tale consenso non potrebbe infatti esser desunto dal compimento di atti riservati al difensore, anche laddove il beneficio della sospensione condizionale della pena venga riconosciuto a persona che ne abbia già fruito in passato.

 

Tematiche applicative

Ritenendo utile attribuire alla presente parte della trattazione un taglio eminentemente pratico, riportiamo alcune tra le problematiche più spinose che l'istituto ha posto in sede applicativa.

In tema di inquinamento delle acque, viene anzitutto in rilievo il disposto degli artt. 257 e 260 (abrogato dall'art. 7, comma 1, lett. q), d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21 – v. ora art. 452-quaterdecies) d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. La prima norma punisce l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee, mediante il superamento delle concentrazioni soglia di rischio; prevede poi che — tanto in caso di emissione di sentenza di condanna per la contravvenzione di cui ai commi 1 e 2, quanto in sede di sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p., il beneficio della sospensione condizionale della pena possa essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale. L'art. 260 (v. ora art. 452-quaterdecies) d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 sanziona invece lo svolgimento di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e prevede l'obbligo per il giudice — in sede di emissione di sentenza di condanna, ovvero di sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. — di ordinare il ripristino dello stato dell'ambiente, anche subordinando l'operatività del beneficio della sospensione condizionale della pena all'eliminazione del danno o del pericolo per l'ambiente. In tale ultima disposizione, in particolare, l'ordine di ripristino dello stato dell'ambiente sembra costituire un effetto consequenziale, discendente ex lege dalla sentenza di condanna. L'azzeramento del danno, o anche della possibilità di lesione all'ambiente stesso, invece, può costituire elemento subordinante la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Tale disposizione è in effetti apparsa — agli occhi di molti interpreti della norma — come una possibile duplicazione della eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, menzionata nell'art. 165. Si è infatti scritto quanto segue: “Non è dato comprendere il motivo dell'apparente ripetizione, se non valutandola come un richiamo al Giudice stesso, perché reputi la facoltà concessa dall'art. 165 come ineludibile laddove danno o pericolo per l'ambiente vi siano effettivamente stati o si presume che esistano” (Bottino, 2121).

Evidenziamo poi come il giudice — laddove subordini il beneficio in commento all'adempimento degli obblighi di messa in sicurezza, di ripristino e di bonifica — abbia anche il potere di dettare in concreto le relative modalità attuative. Modalità che saranno dunque prescelte fra quelle che appaiano maggiormente idonee al raggiungimento dell'esito del completo risanamento del sito inquinato, non essendo il giudice vincolato dalle procedure, eventualmente difformi, adottate in sede amministrativa (Cass. II, n. 20681/2007).

In tema di tutela del patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale, occorre fare anzitutto riferimento al reato di danneggiamento di cose d'arte di cui all'art. 59 l. 1 giugno 1939, n. 1089 (abrogato dal d.l. 22 dicembre 2008, n. 200, convertito in l. 18 febbraio 2009, n. 9). Nonostante l'avvenuta abrogazione di tale fattispecie tipica, si ritiene opportuno richiamare la giurisprudenza allora sviluppatasi, potendosene comunque mutuare i principi di diritto. Quindi. Il Supremo Collegio aveva ritenuto che tale modello legale fosse riconducibile entro l'alveo di quei casi residuali, in relazione ai quali la legge esclude che il beneficio della sospensione condizionale possa essere subordinato all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose, mediante valutazione discrezionale operata dal giudice. E infatti, occorreva secondo la Corte dare risalto proprio alla clausola di chiusura di cui all’art. 165, laddove è appunto previsto che il beneficio de quo possa essere sì subordinato all'eliminazione delle conseguenze dannose derivanti dal reato, ma «salvo che la legge disponga altrimenti». E stante la particolarità delle cose sulle quali si compiva il reato suddetto, era da considerare la discrezionalità amministrativa riservata al Ministro per i Beni Culturali ed Ambientali. A quest'ultimo, e non al giudice, si riteneva pertanto riservato il potere di dettare le prescrizioni utili affinché venissero riparati i danni provocati alla cosa (Cass. III, n. 2927/1998).

In materia di truffa avente ad oggetto titoli di credito, segnaliamo la decisione della Corte secondo la quale è legittimo subordinare la concessione del beneficio in commento, al fatto che il reo tenga indenne la persona offesa dal peso dell'obbligazione cartolare; si tratta infatti di conseguenza dannosa scaturente dal reato, della quale il giudice può ordinare l'eliminazione, appunto subordinando a ciò la concessione della sospensione (Cass. II, n. 2684/1999).

Con riferimento al demanio marittimo, la Corte ha ritenuto legittimo il provvedimento che subordini la concessione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dei manufatti costruiti in maniera abusiva su terreno appartenente al demanio marittimo. Non si è infatti in presenza di una violazione alla normativa edilizia e, peraltro, trattasi di obbligo di rimessione in pristino al quale può anche adempiere l'autore del fatto (Cass. II, n. 27/1992).

Per quanto afferisce ai reati edilizi, l’ordine di demolizione dell’opera edificata abusivamente (in assenza di permesso di costruire o con variazioni essenziali rispetto a questo), di cui all'art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, deve sempre essere pronunciato; ciò anche nel caso in cui il giudice accordi al condannato il beneficio in argomento, subordinandolo alla demolizione delle opere abusive ed assegnando un termine che inizi a decorrere dall'esecutività della sentenza. Trattasi infatti di statuizioni fra loro nettamente differenziate, tanto per ciò che attiene al contenuto, quanto in ordine alla funzione (Cass. III, n. 42697/2015). Precisiamo anche che l'unico soggetto passivamente legittimato all'obbligo di demolizione sopra detto è il proprietario. Ciò significa che il beneficio della sospensione condizionale della pena, allorquando riguardi l'esecutore dei lavori, non può essere subordinato alla demolizione dell'immobile abusivo (Cass. III, n. 41051/2015). Si è posta, in dottrina e giurisprudenza, la questione inerente alle conseguenze ricollegabili al mancato adempimento dell'obbligo di demolizione, da parte del condannato la cui pena sia stata condizionalmente sospesa con subordinazione del beneficio alla eliminazione del manufatto abusivo. Questione che è stata discussa tanto con riferimento al reato di cui all'art. 44 lett. c) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, quanto in ordine al reato ex art. 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 I giudici di Piazza Cavour hanno qui valorizzato il fatto che la condanna, susseguente all'edificazione abusiva in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, legittimi l'imposizione, in sentenza, di obblighi finalizzati alla rimozione delle conseguenza dannose del fatto accertato. E il fatto che il beneficio in esame possa essere subordinato proprio a tale adempimento tende a corroborare l'ordine impartito. Già Cass. S.U., n. 714/1996 aveva del resto ritenuto pienamente ammissibile, che l'operatività del beneficio della sospensione condizionale della pena potesse essere subordinata all'assolvimento di un obbligo positivo di fare (quale appunto è la demolizione del fabbricato abusivo).

Il principio di diritto ormai consolidato in giurisprudenza è dunque quello della legittimità della suddetta subordinazione e, correlativamente, della automatica decadenza dal beneficio in caso di inadempimento, salva assoluta impossibilità (si veda, per una diffusa trattazione, Scarcella, 1219).

Questioni di costituzionalità

La Corte di Cassazione ha giudicato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma — proposta per asserito contrasto con il principio di cui all'art. 3 Cost. — nella parte in cui non esclude che, allorquando l'accesso al beneficio sia subordinato alla corresponsione della somma indicata a titolo risarcitorio, debba dal giudice compiersi anche una specifica valutazione in ordine alle condizioni economiche e sociali del condannato. La norma, infatti, non contempla l'obbligo per il giudice di effettuare tale tipo di indagine. Solo in sede esecutiva, dunque, si otterrà la constatazione circa l'attitudine del soggetto ad adempiere agli obblighi di tipo risarcitorio impostigli (Cass. VI, n. 713/2004; i principi di diritto sono analoghi a quelli sussunti in Cass. III, n. 35501/2003; già Cass. II, n. 1652/1970 aveva peraltro ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma in commento, nella parte in cui attribuisce al giudice la facoltà di subordinare l'ammissione al beneficio all'adempimento dell'obbligo al risarcimento, ritenendo tale normativa non contrastante con il principio di eguaglianza dei cittadini di cui all'art. 3 Cost., da interpretare in senso relativo e non assoluto).

Casistica

Si riporteranno ora alcune pronunce del Supremo Collegio, scelte fra quelle che — in linea generale — sembrano offrire i più interessanti spunti di riflessione.

a. Il beneficio della sospensione condizionale della pena può legittimamente risultare assoggettato alla elisione delle conseguenze dannose ricollegabili al fatto commesso, anche mediante adempimento dell'obbligo di tipo restitutorio nei confronti della persona offesa dal reato e pure indipendentemente dal fatto che vi sia stata costituzione di parte civile, situazione nella quale ovviamente sarà carente una richiesta in tal senso proveniente dal soggetto portatore dell'interesse giuridico leso (Cass. III, n. 1324/2014). 

Secondo Cass. I, n. 10867/2020, allorquando la sospensione condizionale della pena venga subordinata al pagamento di una determinata somma quale risarcimento del danno, il termine per adempiere all'obbligo risarcitorio da parte dell'imputato – se non indicato in sentenza -  coincide con l'irrevocabilità della medesima, venendo in rilievo una obbligazione pecuniaria immediatamente esigibile.

La Corte - ribadendo un orientamento già piuttosto consolidato - ha poi recentemente precisato come non sia consentito subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento di una provvisionale, da corrispondere in favore della parte civile, mediante fissazione del termine per l'esecuzione ad un momento antecedente alla formazione del giudicato. Il rimedio adottabile in presenza di tale statuizione non consentita (si ripete: subordinazione del beneficio in esame all'esecuzione di un adempimento economico, in assenza però di pronuncia definitiva; situazione dunque equivalente all'esecuzione ante iudicatum di un capo penale della sentenza), non è però quello dell'annullamento senza rinvio. Annullamento che travolgerebbe l'intera statuizione, provocandone la totale perdita di efficacia, pur in presenza di tutti gli altri requisiti di legge. Ritengono invece i Giudici di legittimità che sia consentito correggere, anche d'ufficio, la fissazione di tale termine; questo andrà allora correttamente fatto decorrere dal momento del passaggio in giudicato della pronuncia (Cass. V, n. 26811/2016; per le massime conformi, in relazione alla possibilità di differire alla formazione del giudicato, anche d'ufficio, il termine utile per il pagamento della provvisionale, si vedano Cass. III, n. 19316/2015 e Cass. III, n. 13456/2006; si veda anche Cass. IV, n. 29889/2013, per il principio della non assoggettabilità del beneficio della sospensione condizionale della pena, al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile, laddove il termine per la corresponsione di tale somma venga fissato dal Giudice ad epoca antecedente alla formazione di cosa giudicata).

b. La subordinazione del beneficio al risarcimento del danno ed alle restituzioni non può avere contenuto generico ed approssimativo; la condizione deve essere corredata da una adeguata specificazione contenutistica del tipo e dei limiti della prestazione richiesta al reo. Il giudice dovrà quindi procedere ad una particolareggiata indicazione dell'entità dell'importo monetario dovuto dal condannato; dovrà altresì specificare quale sia la somma che l'imputato sia tenuto a pagare — in corrispettivo della mancata riconsegna dei beni — per liberarsi del vincolo dell'adempimento (Cass. II, n. 1656/1998).

c. Il beneficio in argomento può legittimamente essere subordinata alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato, per mezzo dell'adempimento dell'obbligo restitutorio. Ciò può avvenire anche in assenza di una specifica istanza in tal senso, a causa della mancata costituzione di parte civile della persona offesa (Cass. III, n. 1324/2014). La Corte però — in una diversa pronuncia — ha anche specificato come non sia possibile subordinare l'efficacia della sospensione condizionale della pena all'adempimento dell'obbligo di restituzione di determinati beni, ottenuti dal reo proprio mediante la perpetrazione del reato, laddove sia carente la costituzione di parte civile. Qui la Corte ha precisato che le restituzioni ed i risarcimenti ai quali si riferisce la norma sono solo quelle concernenti il danno di tipo civilistico; le conseguenze di tipo pubblicistico scaturenti dal fatto commesso, invece, costituiscono il danno criminale e quindi ineriscono specificamente alla lesione o alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma penale.  Conseguenze di tale ultimo genere — di tipo pubblicistico e quindi derivanti in maniera immediata dal reato — assumono rilievo, a norma dell'art. 165, soltanto laddove i loro effetti non siano ancora cessati (Cass. II, n. 12895/2015). Si è infine chiarito come non sia consentito subordinare la concessione del beneficio in parola al pagamento – prima ancora che la sentenza diventi esecutiva - della provvisionale  accordata alla parte civile; si realizzerebbe infatti, in tal caso, una esecuzione ante iudicatum della sentenza (Cass. V, n. 26811/2016).

d. Laddove vi sia una applicazione di pena concordata ex art. 444 c.p.p. e la sospensione della stessa venga subordinata allo svolgimento di attività lavorativa non retribuita in favore della collettività, incombe sul giudice l'obbligo di motivare in modo consono in ordine ai modi di esecuzione ed alla durata della prestazione imposta; tale obbligo è particolarmente stringente nel caso in cui la suddetta durata si discosti in maniera significativa dai minimi edittali (Cass. III, n. 17131/2015).

e. È consentito destinare la prestazione di attività lavorativa, cui il giudice ritenga di subordinare l'effettività del beneficio della sospensione condizionale della pena, ad ente diverso dalla p.a.; dunque ad una Onlus o ad altre organizzazioni — comunque denominate — che si propongano scopi benefici, sociali, di volontariato et similia. Sempre però che a monte esista una delega in tal senso da parte dello Stato. Ciò deriva dalla natura stessa della prestazione imposta — in assenza di opposizione proveniente dall'interessato — al condannato, la quale prestazione partecipa della natura afflittiva che è propria delle sanzioni (Cass. I, n. 4723/2010).

f. La Suprema Corte ha chiarito come la pubblicazione della sentenza sul sito internet del Ministero della Giustizia – ordinariamente da effettuarsi per estratto, ma anche in maniera integrale, laddove ciò venga espressamente stabilito dal giudice – rivesta la funzione di sanzione accessoria ex art. 36, da eseguirsi dunque d'ufficio ed a spese del condannato. Diverso è il caso della pubblicazione della sentenza che espleti una funzione riparatrice del danno. Quest'ultima può infatti essere imposta dal giudice, alla stregua di adempimento al quale venga subordinata l'operatività della sospensione condizionale della pena, a norma dell'art. 165 . In tale ultimo caso, inoltre, il giudice dovrà indicare le modalità di pubblicazione e le testate interessate, così da mettere il condannato in condizioni di eseguire l'obbligo, che in questo caso non è eseguibile d'ufficio (Cass. I, n. 47216/2016).

g. Si segnala l'esistenza di un duplice orientamento giurisprudenziale, con riferimento al tema dell'esistenza di un interesse della parte civile a interloquire in ordine al riconoscimento del beneficio in commento. Parte della giurisprudenza ritiene infatti che non sussista un interesse dalla parte civile a pronunciarsi, circa la subordinazione o meno del beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme dovute quale risarcimento del danno o restituzione. Tali statuizioni non sarebbero inerenti all'azione civile o agli interessi civilistici, bensì agli obblighi riguardanti l'elisione delle conseguenze dannose del reato; le disposizioni che consentono la subordinazione del beneficio alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato atterrebbero pertanto non già al danno inteso sotto il profilo patrimoniale e civilistico, ma al danno criminale, quindi agli effetti – non strettamente coincidenti con il pregiudizio economico valutabile e risarcibile - correlati alla lesione o messa in pericolo del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice (cosìCass. VI n. 43188/2004, Cass. VI, n. 38558/2015, Cass. IV, n. 32205/2020). In contrario avviso sono andate Cass. II, n. 22342/2013 e, recentemente, Cass. II, n. 28559/2021, che ha valorizzato il dato testuale della norma e l'evoluzione storica della stessa, per concludere come essa si riferisca tanto al danno civilistico patrimonialmente inteso, quanto alla riparazione del danno criminale).

Ha precisato il Supremo Collegio che la richiesta incondizionata di sospensione condizionale della pena, proveniente da un imputato che di tale beneficio abbia già fruito, presuppone il fatto che questi accetti che tale sospensione venga subordinata all'adempimento di uno degli obblighi dettati dall'art. 165, comma 1; non vi è quindi bisogno alcuno, sul punto specifico, di una espressa manifestazione di volontà in tal senso, visto che il tal caso il beneficio può essere ex lege concesso solo condizionato (Cass. VI, n. 12079/2020). Laddove poi venga emessa una sentenza ex art. 444 c.p.p. attraverso la quale venga accordata – a un imputato che ne abbia già fruito in passato – il beneficio in esame non subordinato all'adempimento degli obblighi ex art. 165, si determina una nullità della pronuncia nel suo insieme e non soltanto relativamente alla sospensione; ciò per avere il giudice mancato di controllare la possibilità di concedere il beneficio, disattendendo – al ricorrere di condizioni impeditive - la richiesta di applicazione pena (Cass. II, n. 11611/2020).

h. Cass. II, n. 6017/2024 , pronunciandosi in tema di estinzione del reato ex art. 167 c.p. e di estinzione degli ulteriori effetti penali della condanna, ha precisato come la estinzione del reato a seguito della sospensione condizionale della pena non determini anche l'estinzione di quegli effetti penali della condanna, che differiscano da quelli espressamente previsti. Della condanna stessa, quindi, occorre tener conto, a norma dell'art. 165, comma secondo, anche quanto alla necessità di subordinare l'ulteriore concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, all'adempimento di uno degli obblighi previsti dall'art. 165, comma primo.

Profili processuali

Laddove sia raggiunto un accordo in ordine ad un progetto di pena concordata exart. 444 c.p.p., il giudice è tenuto ad accettare tale intesa per mezzo dell'emanazione della relativa sentenza, ovvero a rigettare la richiesta sic et simpliciter. Non gli è invece consentito modificare il contenuto dell'accordo subordinando l'operatività del richiesto beneficio della sospensione condizionale della pena all'adempimento di un obbligo, alla cui imposizione egli è pure facultato dalla legge. Nella concreta fattispecie, si trattava della demolizione di manufatto abusivo, che — salvo rimanendo l'obbligo per il giudice di ordinarla anche in caso di emissione di sentenza di cd. patteggiamento — non può divenire elemento condizionante il beneficio della sospensione (Cass. S.U., n. 10/1993). In ordine al medesimo tema, la Corte ha anche precisato come sia illegittima — perché violativa del divieto di reformatio in peius — la decisione assunta ex officio dal giudice d'appello, di subordinare l'operatività del beneficio alla demolizione del manufatto abusivamente edificato (Cass. III, n. 30557/2011).

Secondo la notizia di decisione attualmente disponibile, all'udienza del 27 gennaio 2022, le S.U. si sono pronunciate sul seguente tema: “se, nell'applicare la pena su richiesta delle parti, il giudice possa subordinare d'ufficio il beneficio della sospensione condizionale della pena ad uno degli obblighi previsti dall'art. 165, comma primo, c.p. e, in particolare, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, pur in mancanza di esplicito consenso dell'imputato”. Il secondo tema di decisione era il seguente: “se il computo della durata della prestazione di attività non retribuita a favore della collettività debba essere effettuato con riferimento solo al criterio dettato dall'art. 165, comma 1, c.p., di non superamento della · durata della pena sospesa, ovvero anche con riferimento al criterio, di cui al combinato disposto degli artt. 18-bis disp. coord. c.p. e 54, comma 2, del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, della durata massima di sei mesi”,

In ordine al primo problema, le Sezioni Unite hanno optato per una soluzione negativa, statuendo che << Nel procedimento speciale di cui all'art. 444 cod. proc. pen., l'accordo delle parti sulla applicazione di una pena detentiva, con efficacia subordinata alla concessione della sospensione condizionale della pena stessa, deve estendersi anche agli obblighi ulteriori eventualmente connessi ex lege alla concessione del beneficio, indicandone, quando previsto, la durata, con la conseguenza che, in mancanza di pattuizione pure su tali elementi, la richiesta deve essere integralmente rigettata”. Il secondo tema è stato invece così risolto: <<La durata della prestazione di attività non retribuita a favore della collettività soggiace a due limiti massimi cumulativi: quello di sei mesi, previsto dal combinato disposto degli artt. 18-bis disp. coord. c.p e 54, comma 2, del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, e, se inferiore, quello stabilito dall'art. 165, comma 1, c.p. (non superamento della durata della pena sospesa)”.

Ancora sotto il profilo squisitamente processuale, evidenziamo che il giudice dell'esecuzione — al momento di effettuare la verifica demandatagli, in ordine all'adempimento dell'obbligo di prestazione di attività non retribuita in favore della collettività — deve verificare l'esigibilità in concreto della prestazione imposta (Cass. I, n. 6314/2010).

Stando alla notizia di decisione attualmente disponibile, all'udienza del 28/09/2023, le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione hanno deciso per la non ammissibilità del ricorso per cassazione ad opera del Pubblico ministero, nei confronti di sentenza emessa ex art. 444 cod. proc. pen. che – in riferimento alla subordinazione della sospensione condizionale della pena, oggetto dell'accordo intervenuto tra le parti - abbia mancato di disporre l'adempimento degli obblighi previsti ai sensi dell'art. 165, comma quinto, cod. pen., nei casi dei reati ivi indicati. Viene a determinarsi, infatti, una situazione che non è qualificabile alla stregua di pena illegale, atta a legittimare l'esperimento del ricorso a norma dell'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.

Bibliografia

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