Codice Penale art. 166 - Effetti della sospensione 1 .

Angelo Valerio Lanna

Effetti della sospensione 1.

[I]. La sospensione condizionale della pena si estende alle pene accessorie [19].Nondimeno, nel caso di condanna per i delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis, il giudice può disporre che la sospensione non estenda i suoi effetti alle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione 2.

[II]. La condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione, né d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa.

 

[1] Articolo così sostituito dall'art. 4 l. 7 febbraio 1990, n. 19. Il testo dell'articolo era il seguente «La sospensione condizionale della pena non si estende alle pene accessorie e agli altri effetti penali della condanna, né alle obbligazioni civili derivanti dal reato». In tema di sospensione dal servizio dei dipendenti pubblici v. art. 4 l. 27 marzo 2001, n. 97.

[2] Periodo aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. h), l. 9 gennaio 2019, n. 3in vigore dal 31 gennaio 2019.

Inquadramento

Nel Titolo VI del Libro Primo del Codice è contenuta la disciplina normativa delle cause di estinzione del reato e della pena; al Capo I, tra le cause estintive del reato, si trova la sospensione condizionale della pena. L'articolo in commento offre il quadro degli effetti immediatamente ricollegati dalla legge all'applicazione dell'istituto. La veste attuale della norma in commento è il risultato dell'intervento dell'art. 4 l. 7 febbraio 1990, n. 19.

Per tutto ciò che attiene alla natura ed alla ratio della sospensione condizionale della pena, nonché all'inquadramento dogmatico e sistematico dell'istituto, si può operare un rinvio al commento inerente all'art. 163.

Modifiche introdotte dalla l. n. 3/2019

La recente novella (Legge 9 gennaio 2019, n. 3 , in G.U. n. 13 del 16 gennaio 2019, vigente al 31 gennaio 2019, Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici) ha stabilito delle deroghe al principio – di generale applicazione – secondo il quale la sospensione condizionale della pena principale riverbera i propri effetti anche sulle pene accessorie. È infatti ora previsto che - in caso di sospensione condizionale della pena, comminata in ordine ad una serie di ipotesi delittuose ricomprese nel Capo I ("Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione") del Titolo II ("Dei delitti contro la pubblica amministrazione") del Libro II, nonché in ordine al reato di traffico di influenze illecite ex art. 346 bis [delitto ricompreso nel Capo II ("Dei delitti dei privati contro la pubblica amministrazione") del medesimo Titolo II], il giudice possa disporre la non estensione degli effetti della sospensione condizionale alle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.

Trattasi di norma che – come può leggersi nella relazione illustrativa – si inquadra all'interno di un complessivo intervento operato sulle suddette sanzioni accessorie e che è fortemente orientata all'inasprimento delle stesse. La norma in commento, più nello specifico, è espressamente finalizzata a garantire la maggior effettività sostanziale nell'applicazione di tali pene accessorie (nella suddetta relazione può infatti leggersi che: <<si introducono alcune modifiche, sia sostanziali che processuali, volte a garantire effettività e dissuasività alle sanzioni accessorie nel caso di reati contro la pubblica amministrazione, in chiave di prevenzione sia speciale che generale>>). Trattandosi dell'esercizio di un potere discrezionale il Giudice - nel decidere circa l'opportunità di disporre la non estensione degli effetti della sospensione condizionale, alle pene accessorie sopra dette - non potrà che attenersi ai canoni di giudizio dettati dall'art. 133 c.p. Dovrà quindi valutare ad ampio raggio la natura e le modalità attuative del fatto, nonché la personalità del reo, la sua vita pregressa e infine il contesto storico-ambientale nel quale la condotta punita deve essere incastonata; il tutto in un'ottica di comprensione globale e onnicomprensiva – piuttosto che atomistica e parcellizzata - della vicenda sottoposta a giudizio.

Profili generali (rinvio)

Anche con riferimento ai connotati essenziali dell'istituto della sospensione condizionale della pena, ci si può riportare al commento relativo all'art. 163.

Giova però precisare che il testo originario della norma prevedeva la non estensibilità della sospensione condizionale  alle pene accessorie e agli altri effetti penali della condanna; la sopracitata riforma del 1990 ha invece incluso in tale effetto sospensivo le pene accessorie. La ragione di tale ampliamento — rispetto all'ambito di operatività dell'istituto — deve essere evidentemente ricercata nella volontà di potenziare una delle funzioni tipiche dell'istituto, ossia quella specialpreventiva. Si è infatti ritenuto che includere nell'effetto estensivo anche le pene accessorie potesse, per effetto quasi necessitato, ampliare le possibilità di reinserimento del soggetto; favorire quindi il superamento del passato delinquenziale dello stesso ed il suo completo recupero ai valori fondanti dell'ordinamento.

La formulazione normativa

La norma prevede, come sopra accennato, che il beneficio della sospensione condizionale della pena principale produca i suoi effetti anche in relazione alle eventuali pene accessorie. Al secondo comma è cristallizzato il fatto che la condanna a pena sospesa non possa costituire — se non laddove ricorrano ulteriori elementi, previsti da particolari disposizioni normative — motivo autonomo per applicazione di misure di prevenzione. È poi stabilito che tale beneficio non possa costituire ragione ostativa, rispetto all'accesso ai posti di lavoro, siano essi pubblici o privati; è qui fatto ovviamente salvo il caso in cui tale divieto di accesso sia specificamente previsto, da specifiche leggi di settore. Infine, la condanna a pena sospesa non può motivare il diniego del rilascio di concessioni, di licenze o di autorizzazioni, che si rendano necessarie per l'espletamento di determinate attività lavorative.

Le pene accessorie

Il marcato allargamento dell'operatività dell'istituto — giunto ormai a ricomprendere anche le pene accessorie — è stato criticato da parte della dottrina, che lo ha considerato espressione di una politica criminale eccessivamente improntata all'approccio indulgente e perdonista. Si è infatti evidenziata l'esistenza di una sorta di aporia nel sistema. Vero infatti che le pene accessorie presentano spesso una incidenza particolarmente afflittiva, sulla sfera soggettiva del colpevole; una influenza che in effetti non pare sempre collimare alla perfezione, con la finalità di reinserimento del colpevole. Vero però anche che la non operatività della sospensione condizionale, in relazione alle pene accessorie, costituiva sostanzialmente l'ultimo baluardo assicurato alla pur residuale funzione generalpreventiva dell'istituto. L'eliminazione di tale limitazione è pertanto apparsa — a molti interpreti della norma —come l'espressione di una volontà clemenziale persino troppo accentuata (Mantovani, 836).

A tali critiche si è comunque opposta una considerazione ideologica di carattere generale.

Si è infatti ribattuto, da più parti, come la sospensione condizionale della pena sia un istituto tecnicamente riconducibile al novero delle cause di clemenza, alla stregua ad esempio del perdono giudiziale e della liberazione condizionale. Quindi, vere e proprie forme di perdono, peculiarità che vale dunque a rendere perfettamente comprensibile e coerente, sotto il profilo sistematico e teleologico, il sopra detto ampliamento.

In sede applicativa, evidenziamo infine che la giurisprudenza ha definitivamente chiarito come gli effetti propri della sospensione condizionale della pena non si riverberino anche sulla confisca per equivalente. Figura che non è in alcun modo assimilabile ad una pena accessoria.

Gli effetti penali

Le pene accessorie (che accedono de iure alla condanna e che hanno durata tendenzialmente uguale alla pena principale) devono essere tenute nettamente distinte — sia sotto il profilo ontologico, sia per quanto attiene all'aspetto squisitamente funzionale — dagli effetti penali della condanna. La linea di demarcazione esistente fra le due figure costituisce un dato ormai comunemente accettato, tra gli interpreti della norma; e ciò, nonostante il dato testuale ricavabile dall'art. 20, laddove si può leggere che le pene accessorie discendono ex lege dalla condanna, appunto quali effetti penali di essa. Sembra però ormai pacifica la considerazione degli effetti penali discendenti dalla pronuncia di colpevolezza, quali conseguenze distinte rispetto alle pene e ad esse non assimilabili.

Rientrano nell'ampio genus degli effetti penali, quelli che discendono direttamente dalla commissione di alcuni reati, unitamente agli effetti civili (quali ad esempio la perdita della capacità di succedere) ed in uno agli effetti amministrativi (si pensi alla revoca di provvedimenti autorizzativi, quale l'abilitazione alla conduzione di veicoli).

La differenza fra pene accessorie ed effetti penali è stata così scolpita: “[...] le pene accessorie sono vere e proprie sanzioni, mentre gli effetti penali costituiscono piuttosto uno status che generalmente si traduce in una serie di limitazioni alla possibilità di godere di benefici [...]. Sono effetti penali per esempio le situazioni ostative alla concessione del perdono giudiziale della sospensione condizionale della vita e della non iscrizione nel casellario giudiziale, nonché la revoca dei benefici predetti” (Licci, 519, per una ampia disamina del tema).

Effetti penali sono allora quelle conseguenze della condanna, che sopravvivono anche all'applicazione del beneficio della sospensione condizionale. Essi riguardano, come detto, la possibilità di nuova concessione del beneficio, la possibilità di considerare la fruizione di tale beneficio ai fini della recidiva, oppure in sede di declaratoria quale delinquente o contravventore abituale o professionale.

Il Supremo Collegio ha precisato come l'istituto della confisca per equivalente abbia una natura eminentemente sanzionatoria, che è desumibile dalla carenza del connotato di pericolosità dei beni alla stessa assoggettabili (requisito al contrario presente, nei beni che possono essere oggetto di confisca diretta), nonché una funzione che non è equipollente alla sanzione principale (essendo ad essa sconosciuta la funzione repressiva insita nella pena), né alle sanzioni accessorie (perché non è in essa rinvenibile la tipica funzione preventiva di tali sanzioni satellite). La confisca per equivalente ha infatti caratteristiche di rigidità (visto che il quantum da confiscare non è discrezionalmente liquidabile dal giudice, essendo esso invece commisurato alla quantificazione inerente al profitto e al prezzo del reato) e di obbligatorietà (non essendo essa suscettibile di rientrare negli eventuali accordi ex art. 444 c.p.p. intercorsi fra le parti). Una volta inquadrata la confisca per equivalente – sotto il profilo strutturale e funzionale – quale presidio ripristinatorio di tipo autonomo, rispetto alle sanzioni principali e accessorie e una volta delineata l'essenza di tale strumento quale obbligatorio e rigido, non può che derivarsene la inapplicabilità ad essa della sospensione condizionale della pena. La quale sospensione attiene invece – in modo incontestato - alle sole sanzioni propriamente dette (si veda sent. Cass. II, n. 8538/2019).

Le obbligazioni civili nascenti dal reato

La norma previgente, rispetto alla succitata novella di cui all'art. 4 l. 7 febbraio 1990, n. 19, testualmente stabiliva quanto segue: «La sospensione condizionale della pena non si estende alle pene accessorie e agli altri effetti penali della condanna, né alle obbligazioni civili derivanti dal reato».

Sostanzialmente tutti i più accorti commentatori della norma avevano però, all'epoca, sottolineato come tale disposizione fosse in pratica superflua. L'art. 198, infatti, già prevede in linea generale come tutti i meccanismi estintivi, incidenti sul reato ovvero sulla pena, non comportino la estinzione anche delle obbligazioni civili derivanti dal fatto illecito; la sola eccezione prevista attiene alle disposizioni di cui ai precedenti artt. 196 e 197. Il legislatore del 1990 dunque, sposando le tesi della dottrina prevalente, ha semplicemente proceduto alla elisione del riferimento alle obbligazioni civili, restando dunque pacificamente applicabile la norma generale della non estensibilità degli effetti, ex art. 198.

Conseguenze escluse per legge

Queste si identificano, come sopra specificato, nel divieto normativamente imposto di porre la condanna a pena condizionalmente sospesa a fondamento — quale motivo unico — dell'applicazione di misure di prevenzione; nell'esclusione, inoltre, della possibilità che tale tipologia di condanna sia ostativa all'accesso a impieghi, o all'ottenimento di concessioni, licenze o autorizzazioni. La ragione ideologica e sistematica del disposto in esame è da ricercare, nel complesso, nella volontà del legislatore di limitare il meccanismo automatico di irrogazione di quelle che sono state definite «pene accessorie occulte» (Palazzo, 69). Veniamo quindi alla trattazione separata di tali situazioni.

In relazione alle misure di prevenzione

Con riferimento all'impossibilità che la condanna condizionalmente sospesa possa assurgere al rango di elemento unico, fondante l'applicazione di misure di prevenzione, la dottrina ha ben scandagliato la ratio di tale disposizione. Si è insomma partiti dalla considerazione che le misure di prevenzione hanno riguardo proprio al tasso di pericolosità sociale, che connota una determinata persona. Se questo è il dato di partenza, sarebbe poi in stridente, insanabile contrasto con i canoni della logica e del buon senso, immaginare di poter basare un giudizio di pericolosità, su pronunce di colpevolezza condizionalmente sospese. Ossia, giungere alla conclusione della pericolosità in via assiomatica, muovendo però dalla valorizzazione di condanne in relazione alle quali l'ordinamento ha invece accordato fiducia al condannato, consentendone un periodo di prova, finalizzato poi addirittura all'estinzione del reato. Un giudizio prognostico quindi favorevole, che risulterebbe inconciliabile con la valutazione di pericolosità, che è sottesa all'istituto delle misure di prevenzione (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 701; Padovani, 780).

Nell'elaborazione giurisprudenziale della complessa materia, si è comunque raggiunto un ancoraggio sicuro, rappresentato dall'esistenza di una limitazione, rispetto a tale divieto, riscontrabile nell'inciso «di per sé sola». Fermo dunque il divieto di fondare l'applicazione della misura di prevenzione, sulla sola esistenza di una pena condizionalmente sospesa, nulla inibisce però al giudice di valutare comunque gli ulteriori dati conoscitivi, emersi nell'ambito del processo culminato con l'emissione di tale sentenza. E di trarne magari utili elementi di giudizio, in base ai quali formulare — unitamente agli altri elementi ricavabili aliunde — un giudizio in termini di pericolosità (si veda la giurisprudenza sotto riportata).

Si veda Cass. VI, n. 50343/2018, a mente della quale il dettato del secondo comma dell'articolo in esame – che sancisce il divieto di basare sulla sola condanna a pena sospesa l'applicazione di misure di prevenzione – non vieta al giudice di pervenire comunque ad un giudizio di pericolosità qualificata, prendendo congiuntamente in esame sia i dati di fatto emersi nell'ambito del giudizio penale culminato nel riconoscimento del beneficio della sospensione della pena, sia gli ulteriori elementi evocativi della pericolosità che risultino acquisiti durante il procedimento di prevenzione.

Il divieto di ulteriori effetti preclusivi

Vale anche in relazione agli ulteriori effetti preclusivi il carattere non assoluto della previsione, ricavabile dal sopra detto inciso «di per sé sola». Nulla dunque esclude che effetti impeditivi possano comunque prodursi, allorquando gli elementi fattuali ricavabili dal giudizio conclusosi con l'applicazione del beneficio in commento consenta, comunque, una valutazione sfavorevole. Il sopra detto inciso sembra infatti riferito a tutti gli effetti ostativi in seguito elencati (la tesi non è per la verità pacifica, fra gli interpreti della norma; per l'affermativa, vedere in particolare Palazzo, 64).

La tesi estensiva, ossia quella che è incline a leggere l'inciso «di per sé sola» come riferito in modo sequenziale a tutti gli ulteriori effetti ivi elencati (e non al solo effetto preclusivo inerente all'irrogazione delle misure di prevenzione) sembra preferibile forse per un aspetto specifico. Ossia. Riportando l'inciso limitativo a tutti gli effetti poi elencati, risulta sostanzialmente inesistente un effetto di derivazione necessaria, fra il beneficio della sospensione condizionale della pena e l'accesso a posti di lavoro o titoli abilitativi variamente denominati. Effetto necessario in forza del quale risulterebbe fortemente limitata la valutazione discrezionale amministrativa.

Aggiungiamo che anche la giurisprudenza amministrativa pare effettivamente orientata proprio in tal senso. Il Consiglio di Stato ha infatti deciso che le condanne penali, in relazione alle quali la pena sia stata sospesa, non sono ostative — ex art. 4, l. 7 febbraio 1990, n. 19 — all'accesso agli impieghi pubblici. Nulla però osta alla possibilità che i fatti oggetto di tale giudizio vengano rivalutati in sede disciplinare e conducano, eventualmente, alla destituzione dal servizio del soggetto condannato (Cons. Stato IV, 5 dicembre 1994, n. 984). Ricordiamo comunque come l'art. 4 l. 27 marzo 2001, n. 97 preveda che la condanna — anche non definitiva e benché condizionalmente sospesa — inflitta in relazione ad uno dei reati previsti dal precedente art. 3 comma 1 (art. 314 comma 1, 317, 318, 319, 319 ter, 319-quater, 320, nonché art. 3 l. 9 dicembre 1941, n. 1383) comporti sempre per i dipendenti pubblici la sospensione dal servizio.

Problemi interpretativi si sono infine posti in relazione all'accezione secondo la quale si debba intendere il requisito della «buona condotta», preteso dalle norme che disciplinano l'accesso a numerose professioni. A puro titolo esemplificativo, si potrà vedere il D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221 sull'esercizio della professione medica, con particolare riguardo ai requisiti richiesti per la nuova iscrizione del sanitario radiato, di cui all'art. 50 (Regolamento per la esecuzione del d.lgs. 13 settembre 1946, n. 233).

Tematiche applicative

In tema di reati elettorali, è opportuno richiamare il disposto dell'art. 113 D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Testo Unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati). Qui è sancito come, dalla condanna alla pena della reclusione per reati elettorali — emessa nei confronti di un candidato — scaturisca sempre la sospensione del diritto elettorale e di eleggibilità, per una durata non inferiore ad anni cinque e non superiore ad anni dieci. Tale privazione del diritto elettorale e della eleggibilità rappresenta un effetto extrapenale della condanna e non una pena accessoria rispetto alla stessa. Dunque, si tratta di un effetto indipendente dalla eventuale concessione della sospensione condizionale della pena, relativamente alla pena principale. Il beneficio non si estenderà quindi alla suddetta sospensione prevista in campo elettorale (Cass. I, n. 31499/2013). Nel caso invece di condanne per reati elettorali di cui all'art. 102 d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione ed elezione degli organi dell'amministrazione comunale) la sospensione del diritto elettorale e dai pubblici uffici, ivi previste, sono dalla giurisprudenza considerate quali pene accessorie. Quindi, nel caso in cui il giudice accordi la sospensione condizionale della pena principale, anche tali pene accessorie dovranno rimanere sospese. La circostanza poi che la legge sulle elezioni locali preveda un principio scarsamente combaciante con questo — consistente appunto nel divieto invece di sospendere tali pene accessorie — non esplica effetti sul principio generale, secondo il quale la legge posteriore prevale, nel caso in cui si verifichi una divergenza, su quella anteriore anche se speciale (Cass. I, n. 31708/2010).

L'art. 222 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 qualifica espressamente la sospensione e la revoca della patente quali sanzioni amministrative accessorie rispetto all'accertamento di reati. Tale inconfutabile dato testuale supera il precedente orientamento giurisprudenziale, propenso invece ad individuare in tali figure delle pene accessorie. Consequenzialmente, non opera in relazione alla sospensione ed alla revoca della patente l'effetto estensivo disposto dalla norma in commento — in relazione alle pene accessorie — nel caso in cui si accordi il beneficio della sospensione condizionale della pena.

L'art. 1 sexies d.l. 27 giugno 1985, convertito in l. 8 agosto 1985, n. 431 prevede che — in sede di emissione di sentenza di condanna — il giudice ordini la rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi a spese del condannato. La giurisprudenza ha considerato tale ordine come una sanzione amministrativa e non come una pena accessoria. Se ne deduce la esclusione dell'istituto dall'ambito di operatività dell'art. 166.

Con riferimento al tema delle turbative nello svolgimento di competizioni agonistiche, si sottolinea quanto segue. Le modifiche normative introdotte all'art. 6 l. 13 dicembre 1989 n. 400, ad opera prima del d.l. 17 agosto 2005, n. 162 (convertito con modificazioni in l. 17 ottobre 2005, n. 210) e, in seguito, mediante il d.l. 8 febbraio 2007, n. 8 (convertito con modificazioni in l. 4 aprile 2007, n. 41) hanno lasciato intonsa la natura giuridica e la regolamentazione sia del divieto di accesso ai luoghi di svolgimento delle competizioni agonistiche, sia dell'obbligo di presentazione — durante lo svolgimento di tali competizioni — presso un ufficio o comando di polizia. Tali misure vengono dunque irrogate dal giudice ex lege, tanto nel caso di sentenza emessa ai sensi e per gli effetti dell'art. 444 c.p.p., quanto laddove sia accordato il beneficio della sospensione condizionale della pena. Il Supremo Collegio ha poi anche specificato che, essendo tali misure de iure derivanti dalla condanna, incombe sul giudice l'obbligo di motivare esclusivamente in ordine alla durata delle statuizione, ma non in relazione ai presupposti applicativi (Cass. III, n. 32553/2010).

Questioni di costituzionalità

La Consulta ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità della norma in esame e dell'art. 2 comma 45 l. 25 agosto 1991, n. 287 — proposta in relazione agli artt. 3 e 35 Cost. — laddove tale norma impedisce l'iscrizione nel registro degli esercenti di pubblici esercizi commerciali di chi abbia riportato condanne condizionalmente sospese. La Corte ha qui ritenuto conforme ai principi costituzionali tale regime derogatorio rispetto alla disciplina generale, sul presupposto delle caratteristiche peculiari del settore (C. cost. n. 72/2001; v. Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 703).

Casistica

Ci si limiterà a riportare solo poche pronunce, facendo riferimento ai temi di maggior rilievo sopra enucleati.

L'estinzione del reato, susseguente alla concessione della sospensione condizionale della pena, non incide sugli effetti penali scaturenti dalla pronuncia di colpevolezza. Della condanna a pena sospesa, pertanto, si tiene conto ai fini del computo della recidiva (Cass. III, n. 28746/2015).

La disposizione che impedisce di porre a base dell'applicazione di misure di prevenzione la pena condizionalmente sospesa non impedisce che i dati oggettivi emersi nel medesimo procedimento, del quale tale condanna rappresenta l'epilogo, possano essere comunque valutati — unitamente a tutti gli altri elementi rilevanti sul punto — onde desumerne un giudizio di pericolosità, atto a legittimare la suddetta applicazione (Cass. VI, n. 921/2014 ; il principio di diritto si trova anche in Cass. I, n. 24939/2014).

Allorquando la pena per reati di natura sessuale venga condizionalmente sospesa, saranno di diritto sospese anche le pene accessorie di cui all'art. 609 novies. Non occorre infatti, sul punto, alcuna statuizione espressa ad opera del giudice (Cass. III, n. 763/2010).

La confisca per equivalente, in quanto misura di sicurezza e non pena accessoria, non risente degli effetti della sospensione condizionale della pena (Cass. II, n. 45324/2015).

Profili processuali

Per ciò che attiene agli aspetti processuali che involgono l'applicazione della norma, evidenziamo che la condanna concernente il pagamento delle spese processuali è giuridicamente qualificabile come obbligazione civile derivante dall'affermazione di colpevolezza e non quale pena accessoria. Discende da tale connotazione strutturale il fatto che il condannato a pena sospesa resterà tenuto, comunque, all'adempimento di tale obbligazione (Cass. V, n. 28081/2013).

Bibliografia

LICCI, Figure del diritto penale - Il sistema italiano,Milano, 2013; Mantovani, Diritto penale - Parte generale, Padova, 1992; Martini, sub art. 166, in Padovani, Codice penale, Milano, 2011; Padovani, Codice penale, Milano, 2011; Palazzo, Commento all'art. 4 l. 19/1990, in Leg. pen. 1990.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario