Codice Penale art. 168 - Revoca della sospensione (1).

Angelo Valerio Lanna

Revoca della sospensione (1).

[I]. Salva la disposizione dell'ultimo comma dell'articolo 164, la sospensione condizionale della pena è revocata di diritto [674 c.p.p.], qualora, nei termini stabiliti, il condannato:

1) commetta un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole [101], per cui venga inflitta una pena detentiva, o non adempia agli obblighi impostigli [165];

2) riporti un'altra condanna per un delitto anteriormente commesso a pena che, cumulata a quella precedentemente sospesa, supera i limiti stabiliti dall'articolo 163.

[II]. Qualora il condannato riporti una altra condanna per un delitto anteriormente commesso, a pena che, cumulata a quella precedentemente sospesa, non supera i limiti stabiliti dall'articolo 163, il giudice, tenuto conto dell'indole e della gravità del reato, può revocare l'ordine di sospensione condizionale della pena.

[III]. La sospensione condizionale della pena è altresì revocata quando è stata concessa in violazione dell'articolo 164, quarto comma, in presenza di cause ostative. La revoca è disposta anche se la sospensione è stata concessa ai sensi del comma 3 dell'articolo 444 del codice di procedura penale (2).

(1) Articolo così sostituito dall'art. 13 d.l. 11 aprile 1974, n. 99, conv., con modif., nella l. 7 giugno 1974, n. 220. Il testo originario recitava: «[I]. La sospensione condizionale della pena è revocata di diritto qualora, nei termini stabiliti, il condannato: 1) commetta un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole, o non adempia gli obblighi impostigli; 2) riporti un'altra condanna per un delitto anteriormente commesso. [II]. Qualora il condannato riporti un'altra condanna per una contravvenzione della stessa indole, anteriormente commessa, il giudice, tenuto conto dell'indole e della gravità di essa, può revocare l'ordine di sospensione condizionale della pena».

(2) Comma aggiunto dall'art. 1 1 l. 26 marzo 2001, n. 128.

Inquadramento

Nel Titolo VI del Libro Primo del Codice è contenuta la disciplina normativa delle cause di estinzione del reato e della pena; al Capo I, tra le cause estintive del reato, si trova la sospensione condizionale della pena. L'articolo in commento descrive le situazioni in presenza delle quali è obbligatoriamente o discrezionalmente disposta la revoca del già disposto beneficio. Il dettato legislativo in esame è l'effetto dell'intervento dell'art. 13 d.l. 11 aprile 1974 n. 99, convertito con modificazioni in l. 7 giugno 1974, n. 220. L'ultimo comma è stato invece aggiunto dall'art. 1 l. 26 marzo 2001, n. 128.

Per tutto ciò che attiene alla natura ed alla ratio della sospensione condizionale della pena, nonché all'inquadramento dogmatico e sistematico dell'istituto, si può operare un rinvio al commento inerente all'art. 163.

La ratio della specifica disposizione normativa in commento viene invece individuata — in maniera ormai sostanzialmente unanime — nell'esigenza di potenziare l'effetto specialpreventivo che è proprio dell'istituto della sospensione condizionale della pena. La disciplina legislativa muove infatti dall'assunto secondo il quale la natura rigorosa delle previsioni relative alla revoca del beneficio possa essere in grado di potenziare la capacità dissuasiva di quest'ultimo, persuadendo il condannato ad adempiere agli obblighi ed a non rendersi autore di ulteriori fatti illeciti, stante appunto la comminatoria di revoca del beneficio (Giunta, 87).

Profili generali (rinvio)

Anche con riferimento ai connotati essenziali dell'istituto della sospensione condizionale della pena, ci si può riportare al commento relativo all'art. 163.

La formulazione normativa

La norma in esame prevede in primo luogo una forma di revoca che è sostanzialmente legata al fallimento della prova di fiducia che era stata in precedenza accordata al condannato, mediante la concessione della sospensione condizionale della pena.

Sono infatti nel primo comma indicati i casi al ricorrere dei quali si verifica la revoca di diritto del beneficio. Cosa che può verificarsi anzitutto — secondo la previsione di cui al comma 1 n. 1) — in ragione di una condotta tenuta dal reo successivamente alla fruizione del beneficio; si tratta quindi del caso in cui sostanzialmente risulti un esito infausto della mancata esecuzione della pena. Oppure — stando al dettato del comma 1 n. 2) — può concretizzarsi il caso di condanne sopravvenute rispetto alla concessione del beneficio, ma che scaturiscano da condotte illecite tenute dal medesimo soggetto in epoca antecedente, rispetto all'irrogazione della pena condizionalmente sospesa. In tale evenienza, laddove la seconda condanna relativa a fatti commessi anteriormente -- cumulata alla pena condizionalmente già sospesa - conduca al superamento delle soglie di ammissibilità al beneficio, si dovrà disporre la revoca della già disposta sospensione condizionale. In ambedue i casi, trattasi comunque di provvedimento dovuto, ossia di revoca operativa per legge al ricorrere di tali condizioni.

Il comma 2 della disposizione normativa in commento regolamenta, al contrario, quei casi nei quali la revoca assume un mero connotato di facoltatività per il giudice. È ciò che accade quando intervenga una condanna per fatti commessi in epoca antecedente, rispetto alla concessione del beneficio; se però la pena scaturente da tale condanna e la pena che già si trova condizionalmente sospesa, cumulate tra loro, non portino al superamento dei limiti di pena utili per l'ammissione al beneficio, la eventuale revoca rientrerà fra le facoltà riservate al prudente apprezzamento del giudice. Non più una revoca di diritto, dunque, bensì un provvedimento discrezionale.

L'ultimo comma disciplina invece i casi di concessione della sospensione, verificatasi in spregio della presenza di fattori ostativi. Situazione alla quale pure consegue ex lege la revoca del beneficio, ma in presenza di determinate condizioni, come di seguito si analizzerà.

Segue. La revoca necessaria

Commissione di nuovi fatti o mancato adempimento (comma 1, n. 1)

La perpetrazione, ad opera del soggetto che abbia fruito del beneficio della sospensione condizionale della pena, di fatti nuovi entro il periodo in cui si svolge il cd. esperimento sospensivo, in pratica “smentisce la prognosi favorevole e sancisce l'immeritevolezza del condannato” (Giunta e Viscusi, 271). Rappresenta quindi l'ipotesi classica di naufragio della prova conseguente alla concessione del beneficio, in quanto dimostra l'inutilità — sia a fini specialpreventivi, sia allo scopo del reinserimento sociale del colpevole — della mancata esecuzione della condanna precedente. Cristallizza dunque, essenzialmente, l'incapacità del condannato di mutare rotta.

Giova precisare come il requisito di legittimità — sempre indefettibile — sia qui costituito dall'esistenza di una condanna «pregiudicante». La giurisprudenza ha inoltre chiarito come la revoca derivante da nuova condanna debba riconnettersi ad un'attività del giudice che ha natura meramente ricognitiva; che si limita cioè a prendere atto della sussistenza di un presupposto (la nuova condanna, per fatti commessi durante il periodo di sospensione della prima pena) che esplica efficacia ope legis e che rende immediatamente dichiarabile la revoca. L'elaborazione giurisprudenziale verificatasi sul punto ha poi reso chiaro come tale revoca costituisca una facoltà per il giudice della cognizione; trattasi peraltro di provvedimento comunque riservato anche alla competenza del giudice dell'esecuzione, il quale vi dovrà provvedere anche sulla base dei medesimi elementi che esistevano nell'incarto processuale sottoposto al vaglio del giudice della cognizione, nei casi in cui questi non vi abbia provveduto (si veda la giurisprudenza sotto richiamata).

È anche utile sottolineare come — al fine della revoca del beneficio in commento — il crisma dell'identità del reato, che deve essere perpetrato durante i termini di svolgimento della prova determinata dalla sospensione condizionale, sia postulato dalla norma esclusivamente con riferimento alle contravvenzioni. Sarebbe a dire. La commissione di un ulteriore delitto — anche appartenente a categorie classificatorie del tutto difformi, rispetto al fatto precedentemente commesso e dal quale aveva tratto scaturigine la condanna sospesa — motiva ipso facto, laddove posto in essere entro i termini di legge, la revoca della sospensione condizionale. La revoca ha invece luogo di diritto soltanto quando la nuova contravvenzione commessa presenti la medesima indole di quella precedentemente perpetrata (si potrà vedere nel relativo paragrafo — per le questioni sin qui sviscerate — la giurisprudenza di riferimento).

In relazione alla tematica dell'inadempimento rispetto agli obblighi imposti in sede di sospensione condizionale della pena, pare utile rimarcare come tale causa di revoca operi fino al verificarsi di un limite preclusivo, che è rappresentato dalla oggettiva impossibilità sopravvenuta. La questione si è in particolare posta in ordine alla demolizione del fabbricato abusivo, in caso di reati edilizi (si vedano le sentenze sotto riportate). La giurisprudenza ritiene il condannato sempre legittimato ad allegare la prova della sussistenza di tale condizione di assoluta impossibilità. Facultato, quindi, a documentare la non riconducibilità soggettiva dell'inadempimento.

Condanne inerenti a fatti anteriormente commessi (comma 1, n. 2)

È qui contemplato il caso in cui — rispetto alla concessione del beneficio — intervenga una nuova condanna, scaturente da fatti anteriormente commessi. Laddove il cumulo tra le due pene — la prima condizionalmente sospesa e la successiva, inerente a fatti commessi prima della concessione del beneficio stesso — porti al superamento dei limiti utili per la sospensione condizionale, si determinerà di diritto il venir meno delle condizioni ab origine legittimanti l'applicazione del beneficio. Trattasi però di un elemento sopravvenuto, che assume un valore evocativo del tutto differente, rispetto al caso di commissione ex novo di fatti illeciti durante il periodo di sospensione della pena. Di per sé, infatti, la condanna per fatti temporalmente collocabili in momento precedente rispetto alla pena condizionalmente sospesa, non assume il valore sintomatico di fallimento della prova, ma determina solo il venir meno delle condizioni utili per l'applicazione del beneficio stesso (Giunta-Viscusi, 271).

Inoltre: “Nel caso previsto dall'art. 168, c. 1, n. 2 c.p., per verificare se vi sia stato il superamento dei limiti stabiliti dall'art. 163 c.p., si dovrà tener conto di tutte le condanne riportate nei cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza con pena sospesa e non solo di quelle per le quali sia stato concesso il beneficio della sospensione” (Fusi, 110; vedere anche la giurisprudenza sotto riportata).

Secondo Cass. I,  n. 2329/2020, ai fini della eventuale revoca della sospensione condizionale, in ragione della sopravvenienza di una nuova condanna a pena che - cumulata a quella già in precedenza sospesa – ecceda i limiti di ammissibilità stabiliti dalla norma, vengono in rilievo tutte le condanne comminate al soggetto entro il lasso di tempo indicato dalla legge e non soltanto quelle condanne in relazione alle quali sia stato accordato il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Segue. La revoca discrezionale

Tale forma di revoca della sospensione condizionale (in dottrina anche denominata revoca facoltativa), ricorre in due distinte ipotesi. E precisamente:

a) nel caso di condanna — per fatto commesso in epoca antecedente rispetto alla fruizione del beneficio — a pena che, cumulata con quella già sospesa, non vada oltre le soglie di ammissibilità indicate dall'art. 163;

b) oppure in caso di condanna a pena derivante da delitto o contravvenzione successivamente perpetrata rispetto alla concessione della sospensione condizionale della pena (sarebbe a dire, condanna scaturente da reato commesso durante lo svolgimento dell'esperimento sospensivo), laddove però le due pene cumulate non oltrepassino i limiti utili per la fruizione del beneficio (Diotallevi, 723, Giunta, 87).

Si è giustamente evidenziata l'esistenza di una palese incongruenza, determinata dal fatto che il giudice, nel caso di mancata sospensione della pena scaturente dalla seconda condanna, successiva a quella precedentemente sospesa — potrebbe non revocare il beneficio già in corso di fruizione “[...] anche nei confronti di soggetti destinati a interrompere comunque, con l'ingresso in carcere, la prova in corso” (Giunta e Viscusi, 271, laddove può anche leggersi la seguente osservazione: “Logica imporrebbe [...] di non consentire al Giudice due scelte che confliggono tra loro; quella di non iterare il beneficio e quella di non revocare la precedente sospensione. Con la conseguenza, non proprio ineccepibile, che il colpevole potrebbe scontare la seconda pena ferma restando la sospensione della prima”).

Gran parte degli interpreti della materia propongono quindi di oggettivizzare la scelta discrezionale qui demandata al giudicante, indirizzandola secondo un criterio per così dire di proporzionalità, che tenga dunque conto della tipologia di condanna sopravvenuta e della natura della pena inflitta. Così: “[...] ove quest'ultima consista in una sanzione sostitutiva, la scelta di non revocare la sospensione già concessa si potrà giustificare con l'opportunità di evitare al condannato gli effetti desocializzanti del carcere” (Giunta e Viscuci, 271).

In dottrina si è però scritto che l'ipotesi della condanna inerente a fatti commessi durante il periodo di svolgimento del cd. esperimento sospensivo, a pena detentiva che, cumulata con quella già sospesa, non oltrepassi la soglia di ammissibilità al beneficio, non dovrebbe — sotto l'aspetto dogmatico e sistematico — essere ricompresa nel novero delle revoche c.d. facoltative. Risolvendosi tale evenienza, invece, “[...] in una scelta discrezionale sulla reiterazione del beneficio, che una volta esclusa la possibilità di concederlo, farebbe assumere alla revoca i connotati di una conseguenza di diritto della scelta di commisurazione in senso lato operata” (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 724, Padovani, 789).

La grande latitudine della discrezionalità riservata al Giudice in sede di revoca discrezionale, in uno con l'intento di apportare dei correttivi rispetto magari ad un possibile uso improprio di tale facoltatività, hanno condotto la giurisprudenza alla ricerca di ancoraggi precisi, sul punto. Si è così anzitutto precisato come la revoca discrezionale rappresenti un esercizio specificamente riservato al giudizio di cognizione, non essendo invece esercitabile in sede esecutiva. Ciò in quanto solo il giudice della cognizione ha la pienezza della conoscenza e valutazione, in ordine ai fatti sottoposti al suo vaglio; al giudice dell'esecuzione, pertanto, è riservato il solo esercizio del potere di revoca di diritto. Pacifico è infine il fatto che non sia consentito al p.m. — in fase di esecuzione della pena — disporre la revoca della sospensione condizionale (questa volta, alcun tipo di revoca, sia essa facoltativa o di diritto), essendo comunque sempre necessario un provvedimento di carattere giurisdizionale.

Segue. La revoca determinata da condizioni ostative preesistenti

Richiamiamo anzitutto il dettato dell'art. 674 comma 1-bisc.p.p., come introdotto dall'art. 1, comma 2 l. 26 marzo 2001, n. 128, a norma del quale il giudice dell'esecuzione provvede alla revoca del beneficio, quando rilevi la sussistenza delle condizioni ostative dettate dall'art. 168 comma 3.

L'istituto della revoca per erronea applicazione ha una sua ratio pratica molto precisa.

Avviene infatti nella pratica — purtroppo non di rado, soprattutto a causa dei tempi occorrenti per l'aggiornamento delle iscrizioni nel casellario giudiziale — che si proceda alla concessione della sospensione condizionale della pena, anche in presenza di fattori ostativi. In particolare, dunque, avviene che si accordi il beneficio a chi magari ne abbia già fruito due volte in passato. La nuova veste assunta dall'art. 168 intende allora apprestare un efficace rimedio, rispetto a tale vizio genetico del provvedimento; mira quindi a consentire la revoca del beneficio, allorquando questo risulti concesso nonostante la sussistenza di fattori impeditivi, ossia praticamente in maniera erronea. Parte della dottrina, proprio valorizzando il fatto che l'art. 168 comma 2 si debba inquadrare nell'alveo delle applicazioni patologiche dell'istituto, ha considerato il meccanismo ora in esame alla stregua quasi di una impugnazione straordinaria. Altri Autori hanno invece catalogato tale strumento come il modo per riparare ad un errore di giudizio (si veda, per una ampia disamina della questione, Martini, 292 ss.).

 Le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione hanno stabilito la legittimità della revoca, in executivis – dunque, a norma del combinato disposto degli artt. 674 comma 1-bis cod. proc. pen., 168 terzo comma e 164 quarto comma cod. pen. - della sospensione condizionale della pena che sia stata accordata, appunto in violazione del disposto dell'art. 164, comma quarto, cod. pen., perché in presenza di una causa ostativa al tempo non conosciuta dal giudice di primo grado e divenuta nota, successivamente, al giudice di appello, il quale nel processo di cognizione non sia stato investito - sul punto specifico della concessione del beneficio ad onta della presenza di causa ostativa - dell'impugnazione del pubblico ministero né, quantomeno, di una formale sollecitazione da questi proveniente, circa la natura illegittima del beneficio.

Segue. Successione di leggi

Secondo la giurisprudenza, la revoca del beneficio in esame — concessa in mancanza dei presupposti fondanti — è consentita ai sensi del nuovo art. 168 comma 4, ma solo a patto che la sentenza nella quale sia stata assunta tale statuizione non sia divenuta irrevocabile prima dell'entrata in vigore della succitata l. 26 marzo 2001 n. 128. Quest'ultima è infatti la norma che ha introdotto, nel testo della norma in esame, la suddetta disposizione normativa, che riveste il connotato tipico delle norme processuali. Ne deriva come l'ambito di operatività della stessa risulti circoscritto alle situazioni ancora non consolidatesi con l'irrevocabilità (si veda, sul punto, specifico, la giurisprudenza sotto richiamata).

Sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p.

Si è qui in presenza di uno dei temi più spinosi posti dall'istituto. E in effetti, sono state prospettate svariate problematiche, di carattere sia teorico, sia di tipo più genuinamente processuale (quali interessanti contributi dottrinali e per eventuali approfondimenti, segnaliamo la lettura di Lozzi, 71, Gialuz, 373, Carcano, 193). Si segnala, dunque, l'esistenza di una serie di importanti arresti giurisprudenziali succedutisi nel tempo.

Il primo orientamento seguito dal Supremo Collegio valorizzava la natura della sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p., considerandola ontologicamente e funzionalmente non equiparabile a quella di condanna. Per dedurne come essa non avesse l'attitudine ad essere assunta quale presupposto per la revoca, ex art. 168, comma 1, n. 1, del beneficio in esame. Dunque, il primo principio espresso nel tempo dalla Corte si era attestato nel senso che dal cd. patteggiamento non potesse discendere l'effetto della revoca del beneficio della sospensione condizionale precedentemente concessa (Cass. S.U., n. 11/1996).

Insegnamento sostanzialmente ribadito in seguito da Cass. S.U., n. 31/2000. Qui la Corte ritenne che il beneficio della sospensione condizionale, accordato in relazione ad una pena patteggiata, non potesse essere revocato in ragione di una sentenza posteriore emessa ai sensi e per gli effetti dell'art. 444 c.p.p. Si ragionava infatti nel senso che quest'ultima statuizione fosse intrinsecamente priva dell'accertamento di penale responsabilità, che a sua volta rappresenta il presupposto indefettibile, perché sia possibile disporre la revoca del beneficio. La Corte però, nell'ambito della medesima pronuncia, affermò anche che — in presenza di beneficio concesso in relazione a sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. — questo non potesse essere concesso per una nuova sentenza, laddove il cumulo fra le due pene conducesse al superamento dei limiti di concedibilità ex art. 163. Anzi, al ricorrere di tale situazione, il beneficio si riteneva addirittura dovesse essere revocato. E infatti, tanto il divieto di ulteriore concessione di cui all'art. 164 comma 2 n. 1, quanto la necessità di revoca in ragione di condanna successiva, ex art. 168 comma 1 n. 2) sono del tutto indipendenti, rispetto al tipo di provvedimento dal quale derivino tali fattori ostativi, essendo essi solo riferiti al fatto che nuova condanna vi sia stata, sebbene inflitta a seguito di patteggiamento.

La Corte ha invece in seguito ritenuto che la sospensione condizionale della pena precedentemente concessa possa essere revocata, ai sensi del disposto dell'art. 168 comma 1 n. 1, anche a seguito dell'emissione di sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. Tale tipologia di pronuncia, infatti, è normativamente equipollente ad una sentenza di condanna e — stante l'assenza di disposizioni codicistiche di segno contrario — costituisce titolo idoneo perché si possa disporre la revoca (Cass. S.U., n. 17781/2005).

Orientamento che la Corte aveva del resto già assunto in tema di patteggiamento cd. allargato, come introdotto dalla l. 12 giugno 2003, n. 134. I Giudici di Piazza Cavour avevano infatti reputato tale tipo di sentenza pienamente idonea, a rappresentare il fondamento per la revoca del beneficio ex art. 168 comma 1 n. 1. Tale pronuncia presenta infatti la natura dell'accertamento sul fatto-reato e dell'affermazione di penale responsabilità, come evincibile dagli effetti peculiari e difformi, rispetto alla pronuncia ordinaria ex art. 444 c.p.p.; si tratta infatti di sentenza che non preclude l'applicazione delle misure di sicurezza o delle pene accessorie e che è anche passibile di revisione ex art. 629 c.p.p. (Cass. III, n. 18163/2005 e, conf. Cass. III, n. 12296/2005).

Revoca e reato continuato

In tema di rapporti fra la revoca della sospensione condizionale della pena e l'istituto della continuazione, giova precisare che la materia è governata da un principio di diritto molto preciso. Già la più risalente giurisprudenza aveva infatti affermato come — nel caso in cui una pluralità di fatti, espressione della medesima ideazione unitaria, fossero stati giudicati mediante sentenze diverse — l'intervento di una pronuncia successiva, dichiarativa della sussistenza dell'unicità del disegno criminoso, non potesse comunque comportare l'obbligatorietà della revoca di benefici eventualmente già accordati. L'inesistenza di un vincolo di necessità, quindi, obbliga il giudice ad una ponderazione unitaria ed a stabilire se sia preferibile procedere ad una estensione del beneficio all'intera pena così unificata, ovvero alla revoca della precedente sospensione condizionale della pena (Ristori, 121).

Nel caso in cui avvenga la unificazione fra reati giudicati con condanna a pena sospesa e reati che, rispetto a questi, mostrino l'esistenza di un vincolo di continuazione, procedendosi poi all'estensione del beneficio precedentemente concesso, una eventuale revoca del beneficio complessivamente accordato comporta che i termini ex art. 163 debbano decorrere dall'irrevocabilità della prima pronuncia. La revoca deve però restare limitata alla porzione di pena unificata ex art. 81, ma dovrà essere imputata alla prima sentenza (Diotallevi, 725; vedere giurisprudenza sotto richiamata).

Rapporti con l'estradizione

Per ciò che attiene al tema dei rapporti giurisdizionali con autorità estere, si è deciso in giurisprudenza quanto segue. Nel caso di emissione di mandato di arresto europeo, al giudice dell'esecuzione non è consentito procedere alla revoca del beneficio concesso, in ordine a condanne scaturenti da reati commessi in epoca antecedente e quindi diversi, rispetto a quelli per i quali è stata accordata la consegna del soggetto. Il medesimo giudice può però sospendere la procedura di esecuzione, finalizzata a far divenire eseguibili condanne per le quali il soggetto abbia fruito della sospensione condizionale, attendendo così che venga eventualmente concessa una estradizione suppletiva.

In virtù del generale principio di specialità vigente in materia la eventuale condanna, susseguente al giudizio relativo a reati in ordine ai quali risulti accordata l'estradizione da altro Paese, non legittima la revoca di benefici — quali la sospensione condizionale della pena o l'indulto — che siano stati anteriormente concessi per reati estranei rispetto alla concessa estradizione (si potranno vedere, per le problematiche qui richiamate, le sentenze riportate nel paragrafo a ciò dedicato).

Tematiche applicative

In tema di reati edilizi, a Corte ha precisato che l'impossibilità di procedere alla demolizione di un manufatto abusivo — laddove tale adempimento risulti assunto quale elemento subordinante la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena — non rileva quale causa legittimante la revoca del beneficio, allorquando essa non sia in alcun modo riconducibile alla sfera volitiva ed alle possibilità realizzative del condannato (Cass. III, n. 35072/2010). Secondo i principi di diritto enunciati da Cass. III, n. 35972/2010, l'impossibilità di natura tecnica di procedere alla demolizione di un fabbricato abusivamente edificato — nel caso in cui ciò funga da elemento subordinante la sospensione condizionale della relativa pena — non incide quale causa di revoca del beneficio, laddove non appaia ascrivibile al condannato. Nella concreta fattispecie, peraltro, si sosteneva l'impossibilità di demolire il piano terra abusivamente realizzato, adducendo possibili conseguenze attinenti alla corretta statica del piano superiore legittimamente edificato. Ma la Corte ha precisato come tale impossibilità materiale, fisica, fosse invece riconducibile proprio alla volontà dell'imputato, per aver egli stesso proceduto all'esecuzione di una sopraelevazione, in spregio della legge urbanistica e dell'esistenza di un vincolo cautelare, o almeno per aver tollerato tale esecuzione.

Il termine di prescrizione della pena, la quale sia diventata eseguibile in ragione del verificarsi delle condizioni necessarie per la revoca della sospensione condizionale, rappresentate dall'inadempimento dell'obbligo di demolizione delle opere abusive cui tale sospensione era stata subordinata, inizia a decorrere dal giorno successivo rispetto a quello entro cui l'interessato avrebbe avuto la possibilità di procedere alla suddetta demolizione (Cass. III, n. 15589/2019).

Il Supremo Collegio reputa inoltre adottabile anche ex officio, da parte della Corte stessa, la revoca del beneficio; questa infatti consegue in via automatica all'accertamento di determinate condizioni di legge. In questo caso, la Cassazione procederà alla revoca previo annullamento senza rinvio del provvedimento oggetto di impugnazione (Cass. III, n. 10534/2008).

In rapporto all'amnistia, in caso di contemporanea ricorrenza di una causa estintiva del reato e di una che invece estingua la sola pena, deve prevalere la prima, a norma dell'art. 183. Ciò anche nel caso in cui tale causa estintiva intervenga in epoca successiva rispetto all'altra. In fase esecutiva, il condannato non ha dunque facoltà di optare — una volta trascorso positivamente il quinquennio di prova — per l'applicazione dell'amnistia e per la revoca della sospensione condizionale della pena. Non osta a tale impostazione il dettato dell'art. 672, comma 4 c.p.p., che dispone l'applicazione dell'amnistia e dell'indulto, a richiesta del condannato, anche laddove sia ormai terminata l'esecuzione della relativa pena. Quest'ultima previsione deve infatti essere letta nel senso che — perché si possa chiedere l'applicazione dell'indulto — non devono assumere rilievo le vicende sopravvenute concernenti la pena; influiscono, invece, gli eventi di attitudine estintiva più radicale, quale appunto quelli che producono l'effetto estintivo del reato, da cui deriva una evidente carenza di interesse all'applicazione dell'amnistia (Cass. I, n. 6388/1995).

Per ciò che attiene all'indulto, la Corte ritiene pienamente legittimo che si proceda alla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, laddove intervenga una condanna posteriore a pena interamente condonata in ragione dell'applicazione dell'indulto. Quest'ultimo, infatti, provoca l'estinzione della pena e ne fa cessare l'eventuale espiazione già iniziata; non ha invece attitudine ablativa rispetto agli ulteriori effetti penali che derivano ope legis dall'affermazione di penale responsabilità (del tutto concordi Cass. I, n. 5689/2014 e Cass. I, n. 18124/2010).

In materia di tutela ambientale, ricordiamo il disposto dell'art. 255 comma 3 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152; è qui prevista la possibilità, per il giudice, di subordinare la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena al ripristino dello stato di fatto precedente. L'assolvimento dell'onere riparatorio si concretizza — per espressa previsione normativa — nell'adempimento rispetto alle prescrizioni contenute nell'ordinanza sindacale emessa ex art. 192 comma 3 stesso decreto (ordinanza che detta le modalità attuative delle operazioni di ripristino), ovvero nell'adempimento dell'obbligo di cui al precedente art. 187 comma 3 della medesima disposizione normativa.

Questioni di costituzionalità

È stata giudicata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del terzo comma della norma in esame, laddove è prevista la possibilità di revoca in executivis del beneficio, anche se questo sia stato accordato in relazione ad una applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., subordinata proprio alla concessione della sospensione condizionale della sanzione. La Consulta ha qui chiarito come l'operatività dell'ipotesi di revoca introdotta dalla l. 26 marzo 2001, n. 128 debba considerarsi esclusa, in relazione a benefici accordati mediante sentenze pronunciate prima di tale novella. La medesima sentenza della Corte ha poi parimenti giudicato manifestamente infondata la questione di legittimità posta in relazione al quarto comma della norma, nella parte in cui è prevista la revoca, anche in fase esecutiva, dei benefici concessi in presenza delle condizioni ostative indicate dall'art. 164. La Consulta ha qui valorizzato l'indirizzo giurisprudenziale ormai predominante, secondo il quale la valenza della norma debba intendersi circoscritta ai soli casi di mancata conoscibilità dell'elemento ostativo durante la fase di cognizione (Corte cost., n. 363/2007; si veda, per una compiuta disamina della decisione, Giors, laddove può fra l'altro leggersi quanto segue: “Nell'esaminare la questione prospettatale, la Corte costituzionale sottolinea in primo luogo come la disposizione censurata non possa ritenersi applicabile in relazione ai benefici concessi con sentenza divenuta irrevocabile prima dell'entrata in vigore della l. 128/2001 [...]. Il problema di diritto intertemporale è stato effettivamente risolto nel senso richiamato dalla pronuncia da numerose decisioni della Corte di cassazione, per lo più evocando la natura sostanziale della nuova disciplina e comunque sottolineando che anche qualora si ritenesse di attribuirle carattere meramente processuale ne sarebbe preclusa un'applicazione retroattiva, stante il limite naturale del rispetto degli atti e dei fatti esauriti sotto l'impero della legge anteriore”; la Corte inoltre ha ribadito la correttezza di quell'orientamento giurisprudenziale ormai definitivamente consolidatosi, in base al quale “[...] coerentemente agli obiettivi della norma, la revoca in sede di esecuzione può operare solo se la causa ostativa non era conosciuta dal giudice del merito: diversamente, infatti, si violerebbe il giudicato formatosi”).

La Corte di Cassazione ha poi ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità della norma in commento, nella parte in cui non è previsto, al primo comma, che il termine di sospensione debba decorrere dalla consumazione del reato in ordine al quale è stata pronunciata la condanna sospesa. Si era infatti sostenuto che agganciare il decorso iniziale di tale termine all'esecutività della sentenza, dilatasse la durata di tale periodo in maniera irragionevole, subordinandola peraltro a fattori non governabili dall'imputato ed estranei alla sua sfera di volizione. Il Supremo Collegio ha però qui ritenuto che l'irrevocabilità dell'accertamento inerente alla responsabilità del soggetto rappresenti — sotto il profilo logico e sistematico — proprio il presupposto immancabile dell'istituto. Dal momento del passaggio in giudicato della condanna a pena condizionalmente sospesa, infatti, inizierà a prodursi quell'effetto di deterrenzaconnotato tipico della funzione specialpreventiva dell'istituto — che porterà il colpevole, sotto comminatoria di revoca del beneficio, a non reiterare reati (Cass. IV, n. 692/1996).

Casistica

Verranno ora estrapolate, fra la moltitudine di pronunce disponibili, quelle che pongono i più interessanti spunti di riflessione, soprattutto dal punto di vista pratico ed applicativo.

La sospensione condizionale della pena può essere passibile di revoca cd. facoltativa ex art. 168 secondo comma, ma tale provvedimento giurisdizionale a carattere discrezionale compete soltanto al giudice della cognizione e non è quindi adottabile in sede esecutiva. Al giudice dell'esecuzione, infatti, non sono riservati poteri di valutazione discrezionale; ne deriva che la competenza funzionale di quest'ultimo è circoscritta alla sola revoca di diritto (Cass. I, n. 19936/2013).

Alla revoca obbligatoria prevista dall'art. 168, comma 1 deve sempre provvedere anche il giudice dell'esecuzione, indipendentemente dal fatto che la causa di revoca fosse già nota al giudice della cognizione e che questi non abbia provveduto in tal senso. Il giudice della cognizione è infatti semplicemente facoltizzato a disporre la revoca; nei confronti del giudice dell'esecuzione, però, non si produce in ordine alla revoca di diritto alcuna forma di preclusione (Cass. I, n. 34237/2015).

La revoca di diritto della sospensione condizionale della pena opera anche nel caso in cui questa sia stata concessa in sede di applicazione di pena ai sensi e per gli effetti dell'art. 444 c.p.p. Questa deve quindi essere revocata qualora il condannato a pena sospesa si renda protagonista — entro il termine di legge — di un delitto o di una contravvenzione della stessa indole, in relazione alla quale venga inflitta una pena detentiva (Cass. I, n. 13799/2008).

In tema di estradizione, si vedano:

Cass. I, n. 38761/2013, con riferimento all'illegittimità della revoca del beneficio, che venga disposta dal giudice dell'esecuzione, in relazione a condanne derivanti da reati anteriormente commessi ed estranei all'estradizione. In tal caso, lo stesso giudice può sospendere il procedimento finalizzato a rendere eseguibili tali pene, in attesa di estradizione suppletiva.

Cass. V, n. 16129/2002, a mente della quale la condanna, che sia scaturita dal giudizio inerente a reato ricompreso nel provvedimento di estradizione, non consente la revoca di benefici concessi per fatti commessi prima di tale epoca ed estranei rispetto all'estradizione stessa.

Allorquando il giudice dell'esecuzione proceda all'unificazione fra condanne diverse, scaturite da fatti in relazione ai quali venga riconosciuta l'unitarietà del progetto delinquenziale, la sospensione condizionale della pena concessa per uno solo di tali reati non risulterà automaticamente revocata. Sarà invece compito del giudice verificare se tale beneficio — concesso in relazione ad una sola delle condanne ormai riunite — debba o meno estendersi alla pena complessivamente individuata, ovvero se debba procedersi alla revoca in ragione del venir meno dei requisiti legittimanti (Cass. I, n. 24571/2009). Sempre in tema di rapporti con l'istituto del reato continuato, si è precisato in giurisprudenza quanto segue. Nel caso in cui si debba procedere alla revoca, ex art. 168, comma 1, n. 1), del beneficio in commento — che sia stato accordato mediante una prima sentenza e che sia stato poi esteso, a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione, alla pena complessivamente determinata — i termini di durata indicati dall'art. 163 debbono essere computati assumendo, quale termine iniziale, il passaggio in giudicato della prima sentenza. La revoca, peraltro, deve essere circoscritta alla porzione di pena complessiva che — in sede di unificazione ex art. 81 — era stata determinata per il reato, o per i più reati, giudicati mediante la sopra detta pronuncia e non alla pena originariamente irrogata (Cass. I, n. 40522/2008).

Il requisito dell'anteriorità del fatto giudicato dopo la concessione, per altro reato, di sospensione condizionale della pena, deve essere valutato con riferimento al momento del passaggio in giudicato della sentenza che accorda il beneficio, e non con riferimento al tempus commissi delicti al quale essa di riferisce (Cass. I, n. 607/2015).

In ordine al tema della revoca di sospensione condizionale concessa in presenza di presupposti ostativi, nonchè alla esclusione di tale possibilità, in relazione a condanne già definite con sentenza passata in cosa giudicata in epoca anteriore rispetto all'entrata in vigore della norma che ha modificato l'art. 168 comma 4, si veda Cass. I, n. 49888/2015.

Quando la sospensione condizionale della pena sia subordinata all'adempimento di determinati obblighi, il mancato adempimento di questi ultimi non determina la revoca automatica del beneficio, visto che al condannato è sempre riservata la facoltà di provare, mediante allegazioni, l'esistenza di uno stato di assoluta impossibilità di adempiere (Cass. VI, n. 3944/1993).

In tema di revoca della sospensione condizionale, motivata dalla commissione entro i termini di un nuovo reato, la norma postula l'identità dell'indole del reato commesso solo laddove si tratti di contravvenzioni e non quando venga commesso un ulteriore delitto. Ne deriva che il nuovo delitto, commesso nei termini di sospensione, comporta sempre ex lege la revoca del beneficio, quale ne sia la natura (Cass. VI, n. 10349/2013; conf. Cass. I, n. 31365/2008; Cass. I, n. 1058/2000; Cass. I, n. 4585/1999).

Il giudice dell'esecuzione procede di diritto alla revoca della sospensione condizionale della pena, quando risulti irrogata una pena non sospesa, per un delitto commesso in epoca posteriore rispetto a quello in relazione al quale sia stato già accordato il beneficio. Ciò anche nel caso in cui il cumulo tra le due pene non porti al superamento dei limiti di ammissibilità del beneficio, atteso che la valutazione di meritevolezza spetta esclusivamente al giudice della cognizione (Cass. I, n. 24639/2015; Cass. I, n. 44620/2008  ha poi precisato come — ai fini della revoca del beneficio de quo — vengano in rilievo tutte le condanne riportate dal condannato entro il periodo di sospensione, al fine di constatare l'eventuale superamento dei limiti di ammissibilità. Devono quindi essere prese in considerazione non soltanto quelle in relazione alle quali sia stato concesso il beneficio della sospensione).

Non è consentita la revoca della sospensione condizionale della pena sulla base di una seconda condanna a sua volta condizionalmente sospesa; ciò è quanto si evince dal disposto dell'art. 168, che stabilisce appunto una eccezione con riferimento alla ricorrenza del caso di cui all'art. 164 (Cass. VI, n. 2245/1997).

La revoca di diritto del beneficio postula che la condanna relativa a reato anteriormente commesso sia divenuta esecutiva dopo il passaggio in cosa giudicata della sentenza che ha accordato il beneficio ed entro i termini di operatività della sospensione (Cass. IV, n. 45716/2008).

Profili processuali

Sotto il profilo processuale, evidenziamo come i Giudici di Piazza Cavour ritengano non violativa del divieto di reformatio in peius, la pronuncia di appello che — in assenza di doglianza interposta dal P.M. — corregga la pronuncia di primo grado che abbia mancato di revocare il beneficio della sospensione condizionale, accordato a seguito dell'emissione di sentenza precedente. Sul punto, la Corte ha chiarito come la revoca — al ricorrere di determinati presupposti — operi di diritto. Il relativo provvedimento giurisdizionale, pertanto, riveste una mera valenza ricognitiva e non ha funzione essa stessa costitutiva (Cass. II, n. 3540/1983).

Più di recente, Cass. VI, n. 51131/2019 ha ritenuto non violativa del divieto di reformatio in peius la decisione del giudice di rinvio, che proceda alla revoca del beneficio della sospensione condizionale, ai ricorrere di uno dei casi indicati dai commi primo e terzo dell'art. 168. In tali evenienze, infatti, vengono in rilievo provvedimenti di natura meramente dichiarativa, concernenti effetti che si producono ope legis e che postulano non un'attività di tipo discrezionale o valutativo, bensì soltanto ricognitiva, fondata esclusivamente sull’accertamento del venir meno delle preesistenti condizioni legittimanti. Tale principio è valido anche nel caso in cui si proceda al giudizio di rinvio conseguente ad annullamento disposto dalla Suprema Corte, in ragione del fatto che appunto la natura soltanto dichiarativa della decisione non crea conflitto con il criterio devolutivo.

Nel giudizio di appello, è possibile la sola revoca obbligatoria, in caso di appello proposto dall'imputato (Cass. I, n. 21872/2003). Il rimedio esperibile avverso la concessione di sospensione condizionale della pena illegittimamente accordata, in presenza di presupposti ostativi è dunque quello dell'impugnazione proposta ad opera del P.M.

Il Supremo Collegio — ancora in tema di revoca di diritto derivante da delitto anteriormente commesso — ha precisato come tale tipologia di revoca richieda l'esistenza di una condanna (appunto, derivante da delitto collocabile in epoca precedente rispetto alla concessione della sospensione), che sia passata in giudicato in epoca posteriore, rispetto all'irrevocabilità della sentenza che ha accordato il beneficio e prima della scadenza dei termini di durata dello stesso (Cass. I, n. 39867/2012).

La Corte, dirimendo un contrasto lungamente protrattosi, ha poi stabilito che la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena — laddove questa sia stata concessa in violazione dei requisiti postulati dall'art. 164 comma 4 — è consentita al giudice dell'esecuzione, a patto però che la sussistenza di tali fattori di ostacolo non risultasse per tabulas già entro la sfera di conoscenza del giudice della cognizione. A tal fine, è anche consentito al giudice della fase esecutiva prendere visione dell'incarto processuale, sul quale si è fondata la erronea decisione assunta dal giudice della fase di cognizione (Cass. S.U., n. 37345/2015).

Al ricorrere di uno dei casi – indicati dall’art. 168 comma 1 c.p. - di revoca obbligatoria e di diritto della sospensione condizionale della pena, il giudice dell'esecuzione deve provvedere a disporre tale revoca, indipendentemente dalla circostanza che la sussistenza di detta causa di revoca di diritto del beneficio emergesse magari già dagli atti a disposizione del giudice della cognizione, semplicemente facoltizzato alla revoca (Cass. I, n. 14853/2020).

Cass. I, n. 11612/2021 ha ribadito la natura obbligatoria - per il giudice dell'esecuzione - della revoca della sospensione condizionale della pena, allorquando intervenga - entro i termini di cui all'art. 163 – una nuova condanna a pena non sospesa, relativa a un delitto che sia stato commesso in epoca successiva rispetto a quello in ordine al quale il soggetto abbia già fruito del beneficio. Tale obbligatorietà della revoca vige anche nel caso in cui il cumulo delle pene comminate mediante le due decisioni sia ricompreso entro i limiti che consentono la reiterazione del beneficio. E infatti, la valutazione inerente al fatto che il condannato sia o meno meritevole di fruire del beneficio della sospensione condizionale è demandata in via esclusiva al giudice della cognizione, restando invece preclusa alla fase dell’esecuzione.

Bibliografia

Carcano, È legittima la pronuncia, con la sentenza di patteggiamento, di revoca di precedente sospensione della pena?, in Giust. pen., 3/1996; Fusi, Manuale dell'esecuzione penale, Milano, 2013; Gialuz, La virata delle Sezioni Unite in tema di patteggiamento e revoca della sospensione condizionale: verso l'abbandono dell'orientamento anticognitivo?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2007; Giors, Nota in tema di revoca della sospensione condizionale patteggiata e poteri del giudice dell'esecuzione, in Leg. pen., 1/2008; Giunta, voce Sospensione condizionale della pena, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990; Giunta-Viscusi, in Il Diritto Enciclopedia giuridica, 15, Milano, 2007; Lozzi, Una sentenza sorprendente in tema di patteggiamento allargato, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2004; Martini, in Padovani, Codice Penale, Milano, 2011; Messina-Spinnato, Manuale breve Diritto Penale, Milano, 2018; Ristori, Il reato continuato, Padova, 1988.

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