Codice Penale art. 169 - Perdono giudiziale per i minori degli anni diciotto.Perdono giudiziale per i minori degli anni diciotto. [I]. Se, per il reato commesso dal minore degli anni diciotto, [la legge stabilisce una pena restrittiva della libertà personale non superiore nel massimo a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore nel massimo a 5 euro, anche se congiunta a detta pena,]1 il giudice può astenersi dal pronunciare il rinvio a giudizio, quando, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'articolo 133, presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati. [II]. Qualora si proceda al giudizio il giudice può, nella sentenza, per gli stessi motivi, astenersi dal pronunciare condanna. [III]. Le disposizioni precedenti non si applicano nei casi preveduti dal numero 1 del primo capoverso dell'articolo 164. [IV]. Il perdono giudiziale non può essere conceduto più di una volta [237 coord. c.p.p.; 152 min.; 18, 19 att. min.] 2.
[1] Le parole tra parentesi quadre devono intendersi superate per effetto della disciplina dettata dalla legge sul tribunale per i minorenni . V. art. 19 r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, conv., con modif., nella l. 27 maggio 1935, n. 835, nel testo introdotto dall'art. 112 l. 24 novembre 1981, n. 689. [2] La Corte cost., con sentenza 5 luglio 1973, n. 108, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma «nella parte in cui non consente che possa estendersi il perdono giudiziale ad altri reati che si legano col vincolo della continuazione a quelli per i quali è stato concesso il beneficio» e con sentenza 7 luglio 1976, n. 154 «nella parte in cui esclude che possa concedersi un nuovo perdono giudiziale in caso di reato commesso anteriormente alla prima sentenza di perdono e di pena che, cumulata con quella precedente, non superi i limiti per l'applicazione del beneficio» (materialmente corretta con Corte cost., ordinanza 29 dicembre 1976, n. 274). InquadramentoIl perdono giudiziale è una causa di estinzione del reato specificamente riservata agli imputati minorenni che non abbiano ancora compiuto i diciotto anni di età, ma abbiano già compiuto i quattordici. L'istituto è stato introdotto nel nostro ordinamento dal codice penale del 1930, ed è ispirato da finalità di prevenzione speciale in forza delle quali il legislatore ha previsto la possibilità di non infliggere la pena al minore delinquente primario, pur in presenza di tutte le condizioni previste dalla legge per irrogare la sanzione: esso si basa sul concetto che, in determinate circostanze, la non applicazione delle sanzioni penali giova, per un reinserimento del reo nella normale vita sociale, più della loro applicazione (Pagliaro, Principi). Profili di costituzionalitàLa Corte costituzionale si è occupata più volte dell'istituto in esame: - con sentenza n. 108/1973, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 169, ultimo comma, per contrasto con l'art. 3, « nella parte in cui non consente che possa estendersi il perdono giudiziale ad altri reati che si legano con vincolo di continuazione a quelli per i quali è stato concesso il beneficio » sicché, se la pena in concreto irrogabile lo consente, l'istituto è applicabile anche ad altri reati uniti in continuazione a quelli per i quali il beneficio è stato concesso; - con sentenza n. 154/1976, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma quarto dell'art. 169, « nella parte in cui esclude che possa concedersi un nuovo perdono giudiziale nel caso di reato commesso anteriormente alla prima sentenza di perdono, e di pena, che, cumulata con quella precedente, non superi i limiti per l'applicabilità del beneficio: si era rilevata una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro nei cui confronti si è proceduto congiuntamente per tutti i reati, e che hanno potuto godere del beneficio, e coloro nei confronti dei quali si sia invece proceduto disgiuntamente per impossibilità di riunire i procedimenti, a prescindere dalla applicazione dell'istituto del reato continuato. È stata ritenuta infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 169 e 89, in relazione agli artt. 98 e 169, c.p., nella parte in cui non prevedono la concessione del perdono giudiziale nel caso di imputati affetti da vizio parziale di mente temporaneo al momento del fatto, e nei confronti dei quali il giudice formuli una prognosi favorevole di astensione dalla commissione di futuri reati: ciò in quanto la concessione del perdono giudiziale non si fonda sulla scemata capacità di intendere e di volere dell'imputato minorenne, ma sulla previsione del giudice che il minore si asterrà dalla commissione di futuri reati (Corte cost., n. 120/1977). Ancora, i Giudici costituzionali hanno dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 169, comma 3, in relazione all'art. 164, comma 1, n. 1, c.p. nella parte in cui stabilisce il divieto di concessione del perdono giudiziale a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche nel caso in cui la condanna riguardi reati commessi dopo il compimento del diciottesimo anno d'età: poiché il presupposto indefettibile della concessione del beneficio è la prognosi favorevole di astensione dalla commissione di futuri reati, la Corte ha ritenuto non irrazionale, anzi congruo, che una nuova condanna per fatto successivo al compimento della maggiore età sia ostativa alla concessione del beneficio (Corte cost., n. 153/1983). È stata, invece, ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 169, in relazione all'art. 2 Cost., nella parte in cui non consente il perdono giudiziale una seconda volta per reati commessi in epoca successiva alla sentenza con la quale il beneficio è stato concesso: il giudice delle leggi ha ritenuto che in tal caso — rilevatasi inesatta la prognosi di astensione dalla futura commissione di ulteriori reati, formulata dal giudice che per primo ha concesso il perdono — l'applicazione della pena nel secondo giudizio deve ricondursi ad una scelta non irrazionale del legislatore, finalizzata alla rieducazione del minore, cui non tendono solo le misure liberatorie, ma anche le pene (Corte cost., n. 295/1986). Da ultimo, è stata ritenuta non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 169 in relazione all'art. 24 Cost., nella parte in cui prevede che il Giudice per l'udienza preliminare possa pronunciare sentenza di non luogo a procedere per perdono giudiziale, decidendo allo stato degli atti (Corte cost., n. 261/1993). Natura giuridica ed effettiLa giurisprudenza è costante nell'affermare che il perdono giudiziale equivale ad affermazione di responsabilità e si concreta non già nella rinunzia da parte dello Stato alla esecuzione della pena, bensì come rinuncia alla condanna, che l'imputato avrebbe meritato per aver commesso il reato e, in quanto tale, può essere valutato quale precedente penale e giudiziario ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche (Cass. II, n. 6303/1986). Tuttavia, non può valere come sentenza di condanna agli effetti della recidiva, determinando comunque il proscioglimento dell'imputato (Cass. V, n. 2655/2016). Esso non costituisce un diritto per l'imputato, ma è rimesso, come la sospensione condizionale della pena, al potere discrezionale del giudice, il quale ha solo l'obbligo di fornire adeguata motivazione della propria scelta, evidenziando, in considerazione della ratio e delle finalità dell'istituto, anche uno solo dei criteri indicati dall'art. 133 c.p. o anche altri elementi valutativi dai quali dedurre l'effetto positivo che in concreto può derivare dal beneficio prescelto (Cass. V, n. 19258/2019). Quanto alle sue conseguenze, il perdono giudiziale travolge la totalità degli effetti del reato, tra i quali rimane in vita soltanto l'impossibilità di concedere ancora il perdono giudiziale. Presupposti di applicabilitàIl beneficio del perdono può essere concesso in presenza dei seguenti presupposti: a) il colpevole, al momento della commissione del reato, non deve avere compiuto i diciotto anni di età. b) la pena irrogabile dal giudice in concreto non può essere superiore ai due anni in caso di pena detentiva, ed ai 1.549 euro in caso di pena pecuniaria, anche se congiunta alla pena detentiva. Originariamente la norma — rimasta formalmente invariata — prevedeva un limite edittale di pena non superiore nel massimo a due anni, se detentiva, ovvero a lire diecimila, se pecuniaria, sola o congiunta alla pena detentiva. Con l'art. 19 del r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404 (lex posterior, che deve ritenersi abbia tacitamente abrogato la diversa previsione dell'art. 169, comma 1, prima parte) il criterio del limite edittale è stato abbandonato per quello della pena applicabile in concreto dal giudice, il quale è dunque legittimato a non pronunciare il rinvio a giudizio, ovvero la condanna, quando questa non sia superiore a due anni o a 1549 euro, se pecuniaria (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 217). La giurisprudenza ritiene che nessun limite derivi dalla natura del reato commesso, purché la pena applicabile in concreto non superi i due anni, se detentiva, o i 1549 euro se pecuniaria, e nel computo di essa può tenersi conto sia delle circostanze attenuanti generiche che della diminuente della minore età (Cass. II, n. 2239/1991). c) il beneficio non può essere concesso a chi ha già riportato una condanna a pena detentiva per delitto, anche se intervenuta la riabilitazione, ovvero a delinquenti e contravventori abituali e professionali. Per precedente condanna deve intendersi anche quella relativa a delitti commessi posteriormente ai reati per cui si procede, purché giudicati con sentenza irrevocabile, anteriormente a quella pronunciata nel secondo procedimento (Cass. I, n. 2566/1982). d) l'imputato non deve avere già goduto del perdono giudiziale. e) il giudice, avuto riguardo alle circostanze indicate dall'art. 133 c.p., deve presumere che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati. La giurisprudenza ha precisato che la prognosi di buon comportamento non può basarsi solo sulla incensuratezza del'imputato, dovendo considerarsi ulteriori elementi rivelatori della personalità del minore, quali le circostanze e le modalità dell'azione, l'intensità del dolo, le condizioni familiari e sociali, la condotta di vita anche susseguente al reato (Cass. I, n. 45080/2008). In particolare, la prognosi favorevole non può essere esclusa per la mancata presentazione dell’imputato, una volta divenuto maggiorenne, al dibattimento, in assenza di alcuna disposizione di legge che consenta di enucleare un siffatto onere (Cass. II, n. 19410/2019). Nell'esercizio del suo potere discrezionale di concedere o negare il perdono giudiziale, il giudice può tener conto anche delle denunce, non come indici definitivi di colpevolezza, ma come denotanti una condotta equivoca, incompatibile con la prognosi positiva di astensione da ulteriori reati. La dottrina ha osservato che il contenuto della prognosi non appare difforme da quello posto a fondamento della concedibilità della sospensione condizionale della pena, suscitando le stesse perplessità, dovute alla assenza di parametri reali di valutazione della personalità, cosi da risolversi in una sorta di predizione del futuro (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 221). In ogni caso, per negare la concessione del beneficio, il giudice può prendere in considerazione anche uno solo degli elementi indicati nell'art. 133 c.p. ApplicazioniPerdono giudiziale e reato continuato La giurisprudenza ha affermato che, qualora il minore infradiciottenne risponda, in un processo cumulativo, di più reati concorrenti, ai fini della applicabilità del perdono giudiziale deve aversi riguardo alle singole pene che andrebbero inflitte in concreto per ciascun reato, e non anche a quella irrogabile in concreto complessivamente, a seguito della applicazione della continuazione (Cass. IV, n. 6970/2012). Perdono giudiziale ed amnistia In argomento si rinvia sub art. 183. Perdono giudiziale e sospensione condizionale della pena In argomento si rinvia sub art. 183. Perdono giudiziale e messa alla prova In un’interessante applicazione giurisprudenziale si è affermato che il comportamento dell’imputato minorenne ammesso al programma di trattamento nel caso di sospensione del processo con messa alla prova, può rilevare non solo ai fini del buon esito della prova, ma anche ai fini della concedibilità del perdono giudiziale, in quanto significativo della eventuale propensione del soggetto a commettere ulteriori reati (Cass. II, n. 30435/2016). Profili processualiIn base all'attuale art. 10 d.P.R. n. 448/1988, cit., nel procedimento penale davanti al tribunale per i minorenni non è ammesso l'esercizio dell'azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato. Rapporti con gli artt. 27 e 28 d.P.R. n. 448/1988: cenniGli artt. 27 e 28 d.P.R. n. 448/1988 hanno introdotto due istituti che presentano significativi profili di interferenza con il perdono giudiziale. L'art. 27 d.P.R. n. 448/1988, cit., prevede che, se durante le indagini preliminari risultano la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento, e l'ulteriore corso del procedimento pregiudicherebbe le esigenze educative del minore, il p.m. può chiedere al giudice una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto. L'art. 28 d.P.R. n. 448/1988, cit., prevede, a sua volta, che nell'udienza preliminare o nel corso del giudizio, il giudice può disporre la sospensione del procedimento (per un tempo non superiore a tre anni o ad un anno, rispettivamente quando si proceda per un reato punibile con l'ergastolo o con la reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni, o negli altri casi), allorché ritenga di dover valutare la personalità del minorenne all'esito di una prova. Con l'ordinanza di sospensione, il minore è affidato ai servizi minorili di amministrazione della giustizia per lo svolgimento delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Decorso il periodo di messa alla prova è fissata una nuova udienza: se il giudice ritiene che la prova sia stata positivamente superata, tenuto conto del comportamento del minore e della evoluzione della sua personalità, dichiara l'estinzione del reato con sentenza. La dottrina ha osservato che l'istituto della messa alla prova per i minorenni, ha un ambito di applicazione ben più ampio del perdono giudiziale, poiché è suscettibile di riferirsi a qualunque reato, a prescindere dalla sua gravità e da eventuali precedenti penali del minore (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 224). Entrambi gli istituti previsti agli artt. 27 e 28 d.P.R. n. 448/1988, cit., inducono a dubitare che il perdono giudiziale conservi ancora un apprezzabile margine di applicazione pratica, posto che per i fatti più lievi sarebbe auspicabile un sistematico ricorso all'art. 27, e per tutti gli altri all'art. 28, che prevede anche un concreto coinvolgimento dei servizi sociali nel trattamento del minore, che al perdono giudiziale di fatto manca. In definitiva, l'ambito di applicabilità del perdono sembra ormai limitato a fatti non così tenui da consentire una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza; e neppure così complessi da implicare la necessità di una messa alla prova con sospensione del processo penale (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 225). BibliografiaCongiu, La scelta tra perdono giudiziale e sospensione condizionale della pena ed il suo controllo in cassazione, in Cass. pen. 1993, 71.; Macchia, In tema di perdono giudiziale e di «precedente condanna» ostativa alla sua concessione, in Giur. it. 1983, II, 134. |