Codice Penale art. 177 - Revoca della liberazione condizionale o estinzione della pena (1).

Donatella Perna

Revoca della liberazione condizionale o estinzione della pena (1).

[I]. Nei confronti del condannato ammesso alla liberazione condizionale resta sospesa l'esecuzione della misura di sicurezza detentiva cui il condannato stesso sia stato sottoposto con la sentenza di condanna [442 2, 533 1, 605 1 c.p.p.] o con un provvedimento successivo [679 1 c.p.p.]. La liberazione condizionale è revocata [682 1 c.p.p.], se la persona liberata commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole [101], ovvero trasgredisce agli obblighi inerenti alla libertà vigilata, disposta a termini dell'articolo 230, numero 2. In tal caso, il tempo trascorso in libertà condizionale non è computato nella durata della pena e il condannato non può essere riammesso alla liberazione condizionale (2).

[II]. Decorso tutto il tempo della pena inflitta, ovvero cinque anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, se trattasi di condannato all'ergastolo, senza che sia intervenuta alcuna causa di revoca, la pena rimane estinta e sono revocate le misure di sicurezza personali [215], ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo [205; 2361 coord. c.p.p.].

(1) Articolo sostituito dall'art. 2 l. 25 novembre 1962 n. 1634. Il testo originario recitava: «[I]. La liberazione condizionale è revocata, se la persona liberata commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole, ovvero trasgredisce agli obblighi inerenti alla libertà vigilata, disposta a termini dell'art. 230, n. 2. In tal caso, il tempo trascorso in libertà condizionale non è computato nella durata della pena e il condannato non può essere riammesso alla liberazione condizionale. Decorso tutto il tempo della pena inflitta, senza che sia intervenuta alcuna causa di revoca della liberazione condizionale, la pena rimane estinta e sono revocate le misure di sicurezza personali, ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con un provvedimento successivo».

(2) La Corte cost., con sentenza 25 maggio 1989, n. 282 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma «nella parte in cui, nel caso di revoca della liberazione condizionale, non consente al tribunale di sorveglianza di determinare la pena detentiva ancora da espiare, tenendo conto del tempo trascorso in libertà condizionale, nonché delle restrizioni di libertà subite dal condannato e dal suo comportamento durante tale periodo»; con sentenza 4 giugno 1997, n. 161 «nella parte in cui non prevede che il condannato alla pena dell'ergastolo, cui sia stata revocata la liberazione condizionale, possa essere nuovamente ammesso a fruire del beneficio ove ne sussistano i presupposti» e con sentenza 23 dicembre 1998, n. 418 «nella parte in cui prevede la revoca della liberazione condizionale nel caso di condanna per qualsiasi delitto o contravvenzione della stessa indole, anziché stabilire che la liberazione condizionale è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio».

Inquadramento

La liberazione condizionale produce effetti immediati o diretti (ad es., la sospensione delle misure di sicurezza detentive, cui il condannato sia stato sottoposto con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo), ed effetti differiti, ovvero l'estinzione della pena se, entro i termini previsti dalla legge, non si verifica una causa di revoca (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 290).

Secondo la giurisprudenza i casi di revoca indicati nell'art. 177 sono tassativi, ragion per cui non è consentito applicare la disposizione, di stretta interpretazione in quanto produttiva di effetti sfavorevoli al condannato, al di fuori delle ipotesi espressamente previste.

Profili di costituzionalità

La Corte cost. è intervenuta più volte sull'istituto in esame, sostanzialmente rimodellandone la struttura in conformità ai principi costituzionali.

Con sentenza n. 282/1989 1989 la Corte costituzionaleha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 177, comma 1, in relazione agli artt. 3, 13 e 27, nella parte in cui, nel caso di revoca, non consentiva al Tribunale di sorveglianza di determinare la residua pena detentiva da espiare tenendo conto del tempo trascorso in libertà condizionale, nonché delle restrizioni di libertà subite dal condannato e del suo comportamento durante tale periodo.

La Corte ha osservato che la revoca ha un duplice effetto poiché estingue lo status di vigilato in libertà a seguito di liberazione condizionale, e ricostituisce quello di detenuto, dando vita ad una fattispecie estintiva e costitutiva insieme, a fronte della quale « la carcerazione conseguente alla revoca è nuova e diversa: la pena detentiva residua non può, pertanto, esser determinata senza un nuovo giudizio, che tenga conto anche dell'afflittività sopportata durante la libertà vigilata e senza una necessariamente nuova valutazione prognostica relativa al già condizionalmente liberato » (Corte cost., cit.).

In altri termini, in caso di revoca della liberazione condizionale, alla quantità di pena detentiva irrogata con la sentenza di condanna va ad aggiungersi un supplemento di afflizione rappresentato dalla libertà vigilata nel frattempo subita, sicché non tenerne affatto conto — nel momento in cui si tratta di computare il residuo da espiare — comporterebbe un illegittimo superamento del quantum di sofferenza stabilito dal giudice della cognizione, il cui provvedimento, soltanto, legittima le limitazioni connesse alla libertà vigilata disposta ex art. 230, comma 1, n. 2 cit., che pertanto diventano parte integrante della stessa pena da espiare.

Il Tribunale di sorveglianza, in sede di revoca della liberazione condizionale, deve determinare la pena residua sottraendo «dalla pena detentiva inflitta in sede di cognizione, il concreto carico afflittivo subito dal condannato durante la libertà condizionata e vigilata, prima della verificazione della causa di revoca o della revoca. Lo stesso Tribunale deve, in particolare, tener conto delle limitazioni patite dal condannato a seguito delle prescrizioni determinate in sede di sottoposizione alla libertà vigilata ex art. 230, n. 2: deve, infatti, valutare i tipi, la concreta afflittività ed ogni altro elemento, strutturale e contenutistico, delle predette prescrizioni, allo scopo di precisare il reale carico afflittivo imposto dalle medesime al condannato; e deve anche tenere in considerazione il sostegno offerto, allo stesso condannato, dai competenti organi, durante lo stato di libertà (condizionale) vigilata » (Corte cost., cit.).

Per le ulteriori pronunce della Corte costituzionale in materia, vedi infra.

Profili generali

La revoca della liberazione condizionale è subordinata a due essenziali presupposti, tra loro alternativi:

1) L'avere il condannato commesso un delitto o una contravvenzione della stessa indole, accertati con sentenza irrevocabile.

2) L'avere il condannato trasgredito gli obblighi inerenti alla misura della libertà vigilata.

Con riferimento al presupposto sub 1), è necessaria la pronuncia di una sentenza definitiva che accerti il reato ascritto al condizionalmente liberato, ma, in ogni caso, la revoca non è automatica: l'art. 177, comma 1, è stato dichiarato illegittimo in riferimento all'art. 27, comma 3 Cost., nella parte in cui non prevedeva che la liberazione condizionale è revocata soltanto se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appaia incompatibile con il mantenimento del beneficio (Corte cost. n. 418/1998).

Ha affermato la Corte che è irragionevole e contrastante con il principio rieducativo della pena parificare, come fa l'art. 177, comma 1, tutti i delitti, senza operare alcuna selezione nel seno di questa vastissima categoria, comprensiva sia di delitti dolosi che di delitti colposi, sia di delitti puniti con la pena detentiva che con la sola pena pecuniaria, sia di delitti della stessa indole di quello per cui il soggetto stava espiando la pena al momento dell'intervenuta liberazione condizionale.

Peraltro, è necessario che il nuovo reato sia commesso durante il periodo di libertà, ma non anche che la sentenza di condanna per tale reato divenga definitiva durante tale periodo; in ogni caso, la sopravvenienza di nuovi «titoli esecutivi» per reati commessi anteriormente alla concessione della liberazione condizionale, non comporta la revoca del beneficio, ma soltanto una sua temporanea inefficacia, conseguente all'instaurazione del diverso rapporto esecutivo, connesso ai titoli sopravvenuti, e di durata pari a quella della pena detentiva risultante da tali titoli.

Quanto, infine, al requisito della medesima indole, è controverso se esso riguardi sia i delitti che le contravvenzioni: secondo la giurisprudenza, riguarda solo le contravvenzioni; tuttavia, non essendo la parola “delitto” seguita dalla virgola, la specificazione della “stessa indole” potrebbe riferirsi tanto ai delitti che alle contravvenzioni.

Con riferimento al presupposto sub 2), la revoca del beneficio presuppone trasgressioni tali da far ritenere il mancato ravvedimento della persona e, pertanto, il giudice deve accertare che l'addebito concretizzi una grave inosservanza al regime di vita cui il liberato era sottoposto, e che la stessa costituisca un sicuro elemento rivelatore della mancanza di ravvedimento e della non meritevolezza dell'anticipato reinserimento nella vita sociale (Cass. I, n. 52020/2017).

La libertà vigilata ordinata in sede di liberazione condizionale è strutturalmente diversa da quella disposta negli altri casi contemplati dalla legge: per essa non è prevista una durata minima, né sussiste la possibilità di proroga. La sua durata è pari alla pena residua da espiare al momento della liberazione, o è di cinque anni nel caso di condannato all'ergastolo. Quanto alla sanzione per le trasgressioni agli obblighi, non è prevista l'applicazione, in aggiunta o in sostituzione, di altra misura di sicurezza, bensì la revoca della liberazione.

Il computo della pena residua: pene temporanee

All'indomani della sentenza della Corte cost. n. 282/1989, che ha dichiarato parzialmente illegittimo l'art. 177, comma 1, nella parte in cui, nel caso di revoca, non consentiva di determinare la pena detentiva ancora da espiare tenendo conto del tempo trascorso in libertà condizionale, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il Tribunale di sorveglianza non può più rifiutarsi di operare una pur minima riduzione della pena residua (Cass. I, n. 1620/1996).

Il quantum dello sgravio va determinato tenendo conto del tempo trascorso in libertà condizionale, delle restrizioni di libertà subite dal condannato, e del suo comportamento durante tale periodo (Cass. I, n. 2889/1991), e va computato avendo riguardo all'intervallo tra l'inizio dell'esperimento e la data della violazione che ha dato causa alla revoca, e non anche all'ulteriore periodo intercorso tra detta data e la formale adozione del provvedimento di revoca (Cass. I, n. 4060/1992).

Il computo della pena residua: ergastolo

Quanto all'ergastolo, trattandosi di pena perpetua, non è possibile operare alcuna riduzione in rapporto al tempo trascorso in liberazione condizionale.

La Consulta, cui è stata sottoposta la questione della costituzionalità dell'art. 177 sotto tale profilo, ha affermato che « la perpetuità della pena irrogata non può costituire un ostacolo sufficiente per precludere in assoluto l'opera «di scomputo» », perché altrimenti si creerebbero disparità di trattamento con i condannati a pene temporanee, e ne risulterebbe vulnerato l'art. 27, comma 3, Cost. (Corte cost. n. 270/1993). Ciò nonostante, ha aggiunto la Corte, la questione non può essere risolta in sede di giudizio di costituzionalità, implicando un'attività di integrazione legislativa, riservata, come tale, al legislatore (sent. cit.).

Pertanto, in caso di revoca della liberazione condizionale a seguito di condanna per un altro reato, il giudice di sorveglianza non può sostituire, in contrasto con il giudicato, alla pena dell'ergastolo altra pena detentiva, tenendo conto del periodo di liberazione, rideterminando la pena detentiva ancora da espiare (Cass. I, n. 48823/2003).

Tale rigido orientamento è stato però in parte mitigato dalla stessa Corte costituzionale, sebbene sotto altro profilo: è stata infatti dichiarata, con riferimento al solo condannato all'ergastolo, la incostituzionalità dell'art. 177 nella parte in cui stabiliva che in caso di revoca, il condannato all'ergastolo non potesse essere riammesso al beneficio (Corte cost. n. 161/1997).

La sentenza introduce un nuovo strumento di natura premiale, e quindi soltanto eventuale: la possibilità per il condannato all'ergastolo di essere riammesso alla liberazione condizionale nonostante sia intervenuta la revoca, beneficio che comunque il soggetto deve “rimeritare”.

La dottrina ha osservato che in tal modo si è certamente attenuata la posizione di chi si trovi nella condizione di condannato a pena perpetua (la quale ontologicamente rimane tale), pur senza intervenire esplicitamente sulla necessità di eliminare l'ergastolo dal nostro ordinamento (Sartarelli, 1356).

Estinzione della pena

La giurisprudenza ha precisato che in caso di ammissione alla liberazione condizionale, il rapporto esecutivo della pena carceraria è sostituito dal rapporto esecutivo della libertà vigilata, che va necessariamente applicata, ai sensi dell'art. 230, comma 1, n. 2.

La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Firenze in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, degli artt. 177, secondo comma, e 230, primo comma, n. 2, c.p., nella parte in cui stabiliscono l'obbligatoria applicazione, in misura predeterminata e fissa, della misura della libertà vigilata al condannato alla pena dell'ergastolo ammesso alla liberazione condizionale e non consentono di disporne la revoca anticipata.

La Corte costituzionale ha osservato che:

liberazione condizionale e libertà vigilata costituiscono un tutt'uno e si delineano, unitamente considerate, come una misura alternativa alla detenzione. La libertà vigilata è fattispecie tutta particolare, quale attenuazione, in sede d'ammissione alla liberazione condizionale, dell'originaria pena detentiva; la misura, in inscindibile binomio con la liberazione condizionale, non è configurabile né come sanzione nuova né aggiuntiva, ed è solo nominalmente ascrivibile al genus delle misure di sicurezza, rispondendo ad una ben diversa logica e soddisfacendo ben diverse necessità, tra cui garantire i terzi, la collettività tutta, dai pericoli derivanti dall'anticipata liberazione del condannato. In particolare, l'applicazione della libertà vigilata non dipende da una valutazione in concreto del rischio che chi ne usufruisce nuovamente commetta reati, ma si lega inscindibilmente, derivandone quale conseguenza, alla condizione di liberato condizionalmente. A seguito della approvazione della legge n. 354 del 1975, l'istituto è assimilabile alle misure alternative alla detenzione, funzionalmente analogo alle modalità di esecuzione extramuraria della pena, finalizzato a consentire il graduale reinserimento del condannato nella società, attraverso la concessione di uno sconto di pena. La liberazione condizionale va ricondotta all'obiettivo costituzionale della risocializzazione di ogni condannato. In questa prospettiva, le prescrizioni e gli obblighi derivanti dalla sottoposizione a libertà vigilata del condannato ammesso a liberazione condizionale trovano razionale fondamento, ex art. 27, terzo comma, Cost., nel sostegno e controllo che essi possono e devono offrire alla prova in libertà del condannato, per cui l'applicazione della misura, pur vincolata nell' an e nel quantum , non lo è nel quomodo, in quanto il suo contenuto non tipizzato permette al magistrato di sorveglianza di individualizzare la portata e l'inevitabile afflittività della libertà vigilata, e così di adattare la misura alle esigenze del singolo caso. Il regime della libertà vigilata conseguente a liberazione condizionale non è di ostacolo alla risocializzazione della persona, ovvero all'effettivo reinserimento del condannato nel consorzio civile. L'art. 27, terzo comma, Cost. non si applica alle sole pene in senso stretto, irradiandosi su ogni aspetto e momento del percorso trattamentale (Corte cost. n. 66/2023).

Viene così a realizzarsi una fattispecie estintiva e costitutiva insieme, in virtù della quale il condannato è da un lato « formalmente scarcerato e svincolato dalla misura privativa della libertà personale consistente nella detenzione, dall'altro sottoposto alla misura limitativa della libertà personale consistente nella libertà vigilata, ed assume cioè un nuovo diverso status (di vigilato in libertà) che implica la sottoposizione al controllo di altri, diversi organi statali » (Cass. I, n. 32896/2014).

L'estinzione della pena non è dunque un effetto certo conseguente all'ammissione alla liberazione condizionale, ma è subordinata a due requisiti:

1) L'assenza di cause di revoca.

2) Il decorso del tempo (in stato di libertà vigilata ex art. 230, comma 1, n. 2), per una durata pari alla pena residua da espiare all'atto della liberazione, o pari ad anni cinque, nel caso di condannati all'ergastolo e di condannati a pene temporanee ancora da espiare, superiori ad anni cinque (Cass. I, n. 29728/2011).

La pena è estinta, qualora non sopravvenga nel periodo di osservazione una causa di revoca (la causa deve verificarsi in detto periodo, ma non è richiesto che il provvedimento di revoca intervenga prima della sua scadenza); restano però in vita le pene accessorie e tutti gli altri effetti della condanna (Mantovani, Diritto, p.g., 825). In tale materia, infatti, non può accedersi ad un'interpretazione analogica, sia pure in bonam partem, di altri istituti clemenziali (Cass. I, n. 11771/2012).

Profili processuali

Il giudice competente è il Tribunale di sorveglianza (avente giurisdizione sull'istituto di pena dove si trova l'interessato al momento della richiesta: art. 682 in rel. all'art. 677, comma 1, c.p.p.(in dottrina Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 295) che, oltre a pronunciare l'eventuale revoca della liberazione condizionale (e a determinare in tal caso la pena residua da espiare, tenendo conto dei criteri dettati da Corte cost. n. 282/1989, sopra ricordata), è competente anche a dichiarare, in caso di esito positivo della prova, l'estinzione della pena e delle misure di sicurezza (art. 236, comma 1, disp. att. c.p.p.; Cass. I, n. 2326/1989).

Trattasi di competenza funzionale, il cui difetto va rilevato d'ufficio e comporta l'annullamento senza rinvio del provvedimento emesso dal giudice incompetente (Cass. I, n. 29728/2011).

Casistica

 Quanto ai rapporti con la liberazione anticipata, la S.C. ha ritenuto che al condannato ammesso alla liberazione condizionale possa essere concesso il suddetto beneficio, allo scopo di far cessare in anticipo la misura della libertà vigilata e conseguire anticipatamente l'estinzione della pena (Cass. I, n. 793/1990).

E può esservi ammesso anche il condannato alla pena dell'ergastolo, con riferimento ai periodi trascorsi in liberazione condizionale con sottoposizione alla libertà vigilata, al fine di conseguire, ai sensi dell'art. 177 c.p., l'anticipazione della cessazione della misura di sicurezza e dell'estinzione della pena (Cass. I, n. 13934/2017).

Bibliografia

Sartarelli, La Corte costituzionale tra valorizzazione della finalità rieducativa della pena nella disciplina della liberazione condizionale e mantenimento dell'ergastolo: una contradictio in terminis ancora irrisolta. (In particolare riflessioni sulla sentenza n. 161/1997), in Cass. pen. 2001, II, 1356.

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