Codice Penale art. 178 - Riabilitazione.InquadramentoLa riabilitazione ha lo scopo di sottrarre il condannato che si sia ravveduto, a quegli effetti penali che possono pregiudicarne il normale reinserimento sociale (Pagliaro, Principi, 754). Essa estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge non disponga diversamente. L'istituto ha radici storiche antiche, dal momento che lo si trova già disciplinato in Francia nel 1670, quindi nel codice penale del 1791 e nel codice d'istruzione criminale del 1808. In Italia, dopo essere stato presente nei vari codici di procedura penale preunitari, trova infine compiuta disciplina nel codice Zanardelli del 1889, come oggetto di concessione graziosa. Nel codice Rocco la riabilitazione è concepita come provvedimento giudiziale, di cui può beneficiare il condannato che, espiata la pena principale, abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta per un certo periodo di tempo, previsto dalla legge, successivamente alla condanna (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 297). Estinzione delle pene accessorie e degli altri effetti penali. LimitiEstinzione delle pene accessorie La riabilitazione, eliminando le pene accessorie, restituisce al beneficiato la capacità giuridica e la capacità di agire perdute, sia pure con effetto ex nunc, nel senso che egli non riacquista la posizione giuridica, le funzioni, e le cariche di cui era titolare, ma dal momento della riabilitazione è nuovamente legittimato, ad es., a partecipare ai pubblici concorsi (Garavelli, 163). Condizione principale per l'operatività dell'istituto è una sentenza di condanna passata in giudicato, anche a pena condizionalmente sospesa, come è dato desumere dall'art. 179, comma 1, nella parte in cui esso, ai fini della decorrenza del termine per poter ottenere la riabilitazione, fa riferimento, oltre che all'avvenuta esecuzione della pena, anche alla sua eventuale estinzione per altra causa, qual è quella prodotta dalla sospensione condizionale, una volta che il relativo termine sia positivamente decorso. La riabilitazione è invece sicuramente esclusa in presenza di sentenza di proscioglimento e di quella che concede il perdono giudiziale, che pure presuppone la colpevolezza dell'imputato (Romano-Grasso Padovani, Commentario, 299). Essa può operare solo con riferimento alle pene accessorie che si applicano indipendentemente dalla durata della pena principale, poiché esplica i suoi effetti dopo che la pena principale sia già stata eseguita o sia in altro modo estinta. Le pene accessorie estinguibili, in caso di riabilitazione, sono le seguenti: — l'interdizione dai pubblici uffici (anche conseguente alla dichiarazione di abitualità, professionalità, tendenza a delinquere (art. 29, comma 2); — l'interdizione da una professione o da un'arte; — l'incapacità di contrarre con la P.A., quando sopravviva alla pena principale; — la decadenza dalla potestà dei genitori e la sospensione dall'esercizio di questa, quando sopravviva alla pena principale; — la sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte. — la sospensione dall'esercizio degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, quando sopravvivano alla pena principale; La riabilitazione non è invece applicabile alle pene accessorie della interdizione legale, né alla pubblicazione della sentenza di condanna, poiché ogni effetto penale delle predette pene accessorie viene meno con l'esecuzione, non determinando uno status di incapacità giuridica (Manzini, Trattato, III, 758). Estinzione degli effetti penali della condanna Il codice non fornisce la nozione degli effetti penali della condanna, né il criterio che valga a distinguerli da altri effetti di natura non penale che pure possono conseguire ad una sentenza di condanna, cosicché è stata la giurisprudenza ad elaborarne i tratti distintivi. Secondo le S.U., essi si caratterizzano (Cass. S.U., n. 7/1994): per essere conseguenza soltanto di una sentenza irrevocabile di condanna; per essere conseguenza che deriva direttamente, ope legis, dalla sentenza di condanna e non da provvedimenti discrezionali della pubblica amministrazione, ancorché aventi la condanna come necessario presupposto; per la natura sanzionatoria dell'effetto, ancorché incidente in ambito diverso da quello del diritto penale sostantivo o processuale. La dottrina ha affermato che l'avvenuta riabilitazione osta al computo della condanna ai fini della recidiva (salvo il caso di revoca ex art. 180) e della dichiarazione di abitualità o professionalità a delinquere (art. 106, comma 2); se vi è stata dichiarazione di abitualità professionalità o tendenza a delinquere, la riabilitazione intervenuta per la condanna estingue anche tali effetti (art. 109, u.c.: Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 300). Inoltre essa rende nuovamente concedibile il beneficio della non menzione della condanna successiva alla prima nel certificato del casellario giudiziale (Cass. I, n. 7552/2000); reintegra il condannato nel diritto ad ottenere l'amnistia e l'indulto, la cui concessione sia subordinata all'assenza di precedenti condanne (Padovani, Codice, 1186), e comporta la non preclusione della precedente condanna ai fini del rilascio del porto d'armi (Cons. St., III, n. 3719/2013). Limiti La riabilitazione estingue le pene accessorie e gli altri effetti penali della condanna salvo che la legge disponga altrimenti, e tale clausola di riserva opera con riferimento ai limiti previsti sia dal codice penale che da leggi speciali (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 300). Si è così ritenuto che la riabilitazione non incide sulla cancellazione della sentenza dal casellario giudiziale (Cass. I, n. 45581/2012), che rimane iscritta nei certificati rilasciati a richiesta dell'A.G. (in ogni caso, tale sentenza, a norma degli artt. 24, lett. d, 25 lett. d e 28 d.P.R. n. 313/2002, non compare nel certificato del casellario giudiziale rilasciato a richiesta dell'interessato, di una pubblica amministrazione o di un gestore di un pubblico servizio). La riabilitazione non elimina la valenza ostativa della condanna per delitto alla successiva concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena (Cass. VI, n. 3916/2016); non estingue la destituzione dall'ufficio di notaio, effetto che consegue di diritto a carico del notaio per una delle condanne previste dalla l. n. 891/1913; non estingue la radiazione dall'albo degli avvocati, per cui è necessario un provvedimento del Consiglio dell'Ordine; non estingue l'obbligo di comunicazione al nucleo della polizia tributaria delle variazioni patrimoniali, di cui all'art. 30, l. n. 646/1982, che non costituisce effetto penale di tale sentenza, ancorché essa ne sia presupposto di applicabilità (Cass. II, n. 14332/2006), e, infine, non può essere domandata per estinguere gli effetti penali consistenti nella non concedibilità del perdono giudiziale (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 301). I provvedimenti giudiziali concernenti la riabilitazione sono annotati nel certificato del casellario giudiziale, accanto alla sentenza di condanna cui si riferiscono, e risultano nel certificato rilasciato su richiesta degli uffici che esercitano la giurisdizione e degli uffici del pubblico ministero, nonché del difensore su autorizzazione del giudice procedente nei casi previsti agli artt. 21 e 22 d.P.R. n. 313/2002. EfficaciaLa riabilitazione non ha effetto retroattivo, ma opera ex nunc, ovvero dalla data di passaggio in giudicato della sentenza che la concede, e non da quello in cui si realizzano le condizioni richieste dalla legge per la concessione, poiché è sempre necessario un provvedimento giurisdizionale avente valore costitutivo che la dichiari (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 301). Ciò in quanto la pronuncia non solo si ricollega all'osservanza di alcune condizioni indicate dalla legge (come il decorso del tempo), ma soprattutto perché richiede un apprezzamento discrezionale del giudice, come la valutazione del requisito della buona condotta, dal quale dipende l'accoglimento dell'istanza valutazione che si estende dal momento della esecuzione o estinzione della pena principale sino a quello della decisione, ferma restando l'autonomia valutativa del Tribunale di Sorveglianza in ipotesi di fatto oggetto di decisione non definitiva (Cass. I, n. 42066/2014). Ne consegue che la condanna cui la riabilitazione si riferisce, osterà all'applicazione di amnistia ed indulto concessi con legge anteriore al passaggio in giudicato della sentenza che la concede (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 300). Rapporti con la depenalizzazioneIn caso di abolitio criminis, deve essere applicata la disposizione dell'art. 673 c.p.p. (revoca della sentenza per abolizione del reato) e non la riabilitazione richiesta ai sensi dell'art. 178, poiché secondo quest'ultima norma, la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti: nel caso di abolizione del reato la legge dispone diversamente, stabilendo che il giudice dell'esecuzione, a norma dell'art. 673 c.p.p., revochi la sentenza di condanna, dichiarando che il fatto non è più previsto come reato ed adottando i provvedimenti conseguenti. Rapporti con la sospensione condizionale della penaLa riabilitazione, avendo funzione allo stesso tempo premiale e social-preventiva, può trovare applicazione con riguardo a tutte le condanne, ivi comprese quelle a pena condizionalmente sospesa, com'è desumibile anche dall'art. 179, comma 1, nella parte in cui esso, ai fini della decorrenza del termine per poter ottenere la riabilitazione, fa riferimento, oltre che all'avvenuta esecuzione della pena, anche alla sua eventuale estinzione per altra causa, qual è quella prodotta appunto dalla sospensione condizionale, una volta che il relativo termine sia positivamente decorso. Ne consegue che la persona condannata con pena condizionalmente sospesa ha interesse ad ottenere la riabilitazione, anche quando il reato risulti estinto per il compiuto decorso del termine previsto dalla legge, poiché essa comporta vantaggi ulteriori rispetto a quelli prodotti dalla estinzione del reato ai sensi dell'art 167 (Cass. V, n. 584/2000). Rapporti con il “patteggiamento”Un risalente orientamento negava l'operatività della riabilitazione con riferimento alla sentenza di “patteggiamento” ex artt. 444 ss. c.p.p., ritenendosi che l'eliminazione di ogni effetto penale, che a questa consegue, è in tutto equivalente a quella derivante dall'applicazione della pena su richiesta delle parti, decorso il termine di legge. Tale impostazione è stata tuttavia superata, poiché secondo l'art. 179, come modificato dall'art. 3, comma 1, lett. a), l. n. 145/2004, il termine minimo per chiedere la riabilitazione è di tre anni dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si è in altro modo estinta, sicché il condannato potrebbe avere interesse ad ottenere la riabilitazione prima che maturi in termine di cinque anni previsto dall'art. 445, comma 2, c.p.p. (Cass. I, n. 28469/2007); d'altro canto, se è vero che la condanna patteggiata non risulta dal certificato penale richiesto dai soggetti indicati negli artt. 24, lett. d, 25 lett. d ) e 28 d.P.R. n. 313/2002, l'A.G. ha invece accesso al certificato penale nella sua totale estensione, sicché il condannato ha tutto l'interesse a che tale Autorità possa prendere atto dell'intervenuta riabilitazione anche con riferimento alla sentenza ex art. 445 c.p.p. Rapporti con il decreto penaleLa questione dei rapporti tra riabilitazione e decreto penale è del tutto analoga a quella dei rapporti tra riabilitazione e sentenza di patteggiamento: vi è assoluta corrispondenza di formulazione testuale tra l'art. 445, comma 2, c.p.p., e l'art. 460, comma 5, c.p.p.; inoltre, l'interesse alla riabilitazione sussiste anche nella situazione del condannato con decreto penale, poiché la riabilitazione richiede un più approfondito esame della condotta tenuta dal soggetto istante, non solo in senso negativo quale mancata recidivazione, ma anche in termini di buon comportamento, di cui devono essere acquisite prove «effettive e costanti» come richiesto dall'art. 179, e di positiva attivazione nell'eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli del reato. Siffatto giudizio positivo sul percorso rieducativo svolto dal condannato, non interviene nella dichiarazione di estinzione del reato conseguente a decreto penale: in tal caso l'art. 676, comma 3, c.p.p., prevede che il giudice dell'esecuzione, accertata l'estinzione del reato o della pena, lo dichiara anche d'ufficio, ed adotta i conseguenti provvedimenti, procedendo con una pronuncia meramente ricognitiva al riscontro dell'operatività della fattispecie estintiva. In altri termini, l'accoglimento dell'istanza di riabilitazione implica una favorevole considerazione del percorso rieducativo seguito dal condannato con il concreto reinserimento nel contesto sociale e quindi il riconoscimento della meritevolezza del beneficio, oggetto di valutazione discrezionale da parte del giudice, che, al contrario, manca nella pronuncia di estinzione del reato e dei suoi effetti, resa ai sensi dell'art. 460, comma 5, c.p.p. (Cass. I, n. 35893/2012). La riabilitazione minorileL'art. 24, r.d.l. n. 1404/1934, prevede, con disposizione speciale, la riabilitazione minorile, di competenza del Tribunale per i minorenni; essa non presuppone necessariamente una sentenza di condanna, e può essere concessa solo su istanza presentata dall'interessato prima del compimento del 25° anno d'età, superato il quale, per la concessione del beneficio, non può prescindersi dalla verifica delle generali condizioni previste dall'art. 179 per la riabilitazione ordinaria (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 301). Nel caso in cui la prova dell'emenda del condannato minorenne appaia, ad una prima indagine, insufficiente, il giudice può differire la decisione ad un tempo successivo, purché non oltre il compimento del venticinquesimo anno di età dell'interessato; trattasi di un potere-dovere del cui discrezionale esercizio il giudicante deve dar conto nella motivazione (Cass. I, n. 9425/2019; nel caso di specie la Corte ha annullato il provvedimento di rigetto dell'istanza volta ad ottenere la riabilitazione in quanto privo di motivazione sulle ragioni che, pur in presenza di indici favorevoli, espressivi di un percorso di emenda già in atto, non consentivano di differire la decisione ad un momento successivo). Al compimento del 25° anno di età dell'interessato, la competenza a decidere sull'istanza passa al Tribunale di sorveglianza, poiché l'art. 3 d.P.R. n. 448/1988, che prevede la cessazione della competenza del tribunale minorile in materia di sorveglianza al compimento di tale età da parte dell'interessato, è una norma generale di chiusura, non suscettibile di deroghe per il solo fatto che l'istituto in questione presenta alcune peculiarità differenziali rispetto alla riabilitazione ordinaria (Cass. I, n. 786/2002). La riabilitazione militareLa riabilitazione ordinaria non estingue le pene accessorie militari, per le quali occorre la riabilitazione militare (art. 72 c.p.m.p.). Le S.U. hanno affermato che non costituisce effetto penale militare della condanna per diserzione e, pertanto, non è estinguibile a seguito di riabilitazione militare, l'inapplicabilità dei benefici combattentistici disposta dall'art. 11 d.lgs. n. 137/1948, e ciò sia perché tale inapplicabilità non deriva necessariamente da una sentenza di condanna, come chiaramente risulta dalla lett. a) del menzionato art. 11, secondo il quale i benefici non si applicano ai disertori ancorché, per effetto dell'amnistia, non sia intervenuta condanna penale; sia perché l'attribuzione dei benefici in questione ha la funzione di gratificare un merito, talché il mancato riconoscimento degli stessi non può assumere una valenza anche in senso lato sanzionatoria (Cass. S.U., n. 7/1994). Quanto alla competenza, il Tribunale militare di Sorveglianza conosce solo della richiesta di riabilitazione militare, mentre quando è richiesta la riabilitazione di diritto comune la competenza a decidere spetta al Tribunale di Sorveglianza ordinario, anche in ordine a sentenze emesse dai Tribunali militari (Cass. I, n. 20906/2010). La riabilitazione fallimentareL'art. 128, d.lgs. n. 5/2006, ha abolito l'istituto della riabilitazione dei falliti, sostituendola con l'istituto della esdebitazione. A seguito di tale abrogazione, nel certificato generale e nel certificato civile del casellario giudiziale rilasciati a richiesta dell'interessato non deve essere più menzionata la sentenza dichiarativa di fallimento, a meno che la procedura fallimentare, essendo ancora in corso al momento di entrata in vigore della nuova normativa, debba essere definita secondo la legge anteriore (Cass. I, n. 40675/2008). Profili processualiLa riabilitazione parziale La riabilitazione può essere parziale: la giurisprudenza ritiene ammissibile l'istanza di riabilitazione limitata ad alcune sentenze di condanna per le quali sia già maturato il termine previsto dall'art. 179, mentre la presenza di ulteriori condanne per fatti posteriori va esaminata dal giudice competente solo ai fini della valutazione di merito del requisito della buona condotta (Cass. I, n. 21348/2005). Procedimento
Il procedimento inizia ad istanza dell’interessato, istanza nella quale devono essere indicati gli elementi dai quali possa desumersi l sussistenza delle condizioni di cui all’art. 179. Ne consegue che la riabilitazione non può essere concessa d’ufficio, né può essere d’ufficio estesa a condanne per le quali non è stata espressamente richiesta. A norma dell’art. 678, comma 1-bis, c.p.p., aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b), d.l. n. 146/2013 (conv. in l. n. 10/2014, recante «misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria», entrata in vigore il 21 febbraio 2014), il Tribunale di sorveglianza, nelle materie relative alle richieste di riabilitazione, procede a norma dell'art. 667, comma 4, c.p.p.; quest'ultimo stabilisce, a sua volta, che il giudice dell'esecuzione provvede senza formalità con ordinanza, contro la quale il pubblico ministero, l'interessato e il difensore possono proporre opposizione davanti allo stesso giudice, il quale dovrà procedere con le forme dell'incidente di esecuzione di cui all'art. 666 c.p.p., previa fissazione dell'udienza (Cass. I, n. 7884/2015). Ne deriva che la decisione del Tribunale di sorveglianza in materia di riabilitazione, adottata senza formalità, ossia senza fissare l'udienza in camera di consiglio e instaurare il contraddittorio delle parti, è passibile di opposizione allo stesso Tribunale e non di ricorso immediato alla Corte di cassazione; con l'ulteriore conseguenza, in forza del principio di conservazione di cui all'art. 568, comma 5, c.p.p., applicabile a tutte le impugnazioni, che il ricorso per cassazione, ove ugualmente proposto, va qualificato come opposizione, e gli atti vanno trasmessi allo stesso Tribunale di sorveglianza (Cass. I, n. 13342/2015). Onere della prova ed onere di allegazione Non vi è un onere probatorio a carico del soggetto che invochi la riabilitazione, ma solo un onere di allegazione, il dovere, cioè, di prospettare e indicare al giudice i fatti sui quali la sua richiesta si basa, poiché incombe, poi, all'autorità giudiziaria, il compito di procedere ai relativi accertamenti (Cass. I, n. 34987/2010); tuttavia, la dimostrazione di fatti o circostanze favorevoli alla parte privata dichiarante non può essere fornita in sede processuale mediante autocertificazione (Cass. I, n. 47889/2013). CasisticaL'adempimento delle obbligazioni civili derivanti da reato integra una condizione di concedibilità del beneficio della riabilitazione, sicché spetta all'istante allegare l'impossibilità economica di soddisfare le medesime obbligazioni ovvero il già avvenuto adempimento delle stesse (Cass. I, n. 35630/2012). Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza, non è di per sé ostacolo all'accoglimento dell'istanza di riabilitazione, in ragione della presunzione di non colpevolezza, la semplice esistenza di una o più denunce e la sola pendenza di un procedimento penale a carico, per fatti successivi a quelli per i quali è intervenuta la condanna cui si riferisce l'istanza stessa (Cass. I, n. 15471/2014); altro orientamento, peraltro minoritario, ritiene che la domanda di riabilitazione può essere rigettata anche sulla base della valutazione di fatti criminosi commessi dall'istante e storicamente accertati, che non abbiano formato oggetto di una pronuncia di condanna (Cass. I, n. 11821/2009). In tema di applicazione di misure cautelari, si è affermato che anche la condanna per cui sia intervenuta la riabilitazione può essere valutata ai fini del giudizio prognostico ex art. 274 c.p.p., potendo desumersi dalla stessa la possibilità di commissione di ulteriori reati da parte del riabilitato (Cass. III, n. 9382/2018). BibliografiaCerquetti, voce Riabilitazione,in Enc. dir., vol. XL, Milano, 1989, 302 ss.; Garavelli, voce Riabilitazione, in Dig. d. pen., Torino, 1997. |