Codice Penale art. 215 - Specie.Specie. [I]. Le misure di sicurezza personali si distinguono in detentive e non detentive. [II]. Sono misure di sicurezza detentive: 1) l'assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro [216-218]; 2) il ricovero in una casa di cura e di custodia [219-221]; 3) il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario [222] (1). 4) il ricovero in un riformatorio giudiziario [223-227]. [III]. Sono misure di sicurezza non detentive: 1) la libertà vigilata [228-232]; 2) il divieto di soggiorno in uno o più comuni, o in una o più province [233]; 3) il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche [234]; 4) l'espulsione dello straniero dallo Stato [235]. [IV]. Quando la legge stabilisce una misura di sicurezza senza indicarne la specie, il giudice dispone che si applichi la libertà vigilata, a meno che, trattandosi di un condannato per delitto, ritenga di disporre l'assegnazione di lui a una colonia agricola o ad una casa di lavoro. (1) V. ora art. 62 l. 26 luglio 1975, n. 354, ove si precisa che la misura di sicurezza prevista dal n. 3 del comma 2 dell'art. 215 si esegue negli «ospedali psichiatrici giudiziari». V. sub art. 148. InquadramentoL'art. 215, in ossequio al principio di legalità accolto nell'art. 199 del codice, e ribadito anche a livello costituzionale dall'art. 25, comma terzo, Cost., fornisce un elenco tassativo delle misure di sicurezza del nostro ordinamento, distinguendo tra misure di sicurezza personali, limitative della libertà personale, e misure di sicurezza patrimoniali, limitative della sfera patrimoniale dell'individuo. L'ultimo comma della disposizione in esame — norma di chiusura del principio di legalità — prevede che, quando la legge non stabilisce espressamente la specie di misura di sicurezza da applicare, il giudice deve applicare la libertà vigilata, considerata la meno afflittiva in quanto non detentiva. Profili generaliLa dottrina ha precisato che l'elencazione contenuta nell'art. 215, per le misure di sicurezza personali, e nell'art. 236, per quelle patrimoniali, è da considerarsi tassativa, in ossequio al principio di legalità, sicché non è consentito al giudice applicare misure di sicurezza diverse da quelle espressamente indicate, o fuori dei casi espressamente previsti (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 514). La rigidità del principio, baluardo di un ordinamento democratico, e irrinunciabile strumento di difesa nei confronti di ogni autoritarismo, si scontra tuttavia con la realtà quotidiana, in cui devono trovare soluzione problemi per i quali i rimedi disponibili risultano a volte inadeguati. Soprattutto negli ultimi tempi, a proposito del trattamento della pericolosità sociale connessa alla malattia mentale, si è via via manifestata in maniera sempre più evidente l'esigenza di calibrare gli strumenti disponibili sui singoli casi concreti, vuoi per la carenza di strutture pubbliche idonee, vuoi per l'inadeguatezza dei trattamenti in esse somministrati. Si è così assistito in diversi casi, in particolare nella giurisprudenza di merito, alla rielaborazione di istituti già esistenti, come la misura di sicurezza della libertà vigilata, aggiungendovi la prescrizione del ricovero obbligatorio presso una comunità terapeutica, in modo da dare vita a figure nuove, che la giurisprudenza di legittimità non ha esitato a definire di creazione pretoria, dunque non consentite, in quanto contrastanti con i principi di legalità e tassatività vigenti in materia. È stato quindi affermato che è illegittima la misura provvisoria di sicurezza della libertà vigilata con ricovero presso una comunità terapeutica, perché il giudice non può imporre con la misura della libertà vigilata, stante il principio di legalità, prescrizioni che ne snaturino il carattere non detentivo (Cass. II, n. 49497/2014). In ossequio al principio di legalità, lo ius superveniens, in quanto più favorevole, è immediatamente applicabile ai procedimenti nei quali sia stata applicata una misura di sicurezza personale; inoltre, tutte le misure di sicurezza sono temporanee, nel senso che deve trascorrere un tempo minimo per la revoca anticipata; quanto alla durata massima, si rinvia sub art. 222. Misure di sicurezza e privazione della libertà personaleÈ del tutto evidente che le misure di sicurezza detentive comportano una privazione della libertà personale, e quindi un grado di afflittività analogo a quello della pena detentiva. Si è pertanto posto il problema della fungibilità tra pena e misura di sicurezza, inteso come possibilità — di fronte al valore assoluto della libertà personale — di detrarre dalla durata della misura di sicurezza ogni periodo di privazione della libertà personale ingiustamente sofferto, per mancanza o decadenza del titolo giustificativo (Gallucci, in Rassegna Lattanzi-Lupo). La dottrina ha sempre ritenuto ammissibile tale fungibilità (Peluso, 156), mentre la giurisprudenza è sostanzialmente contraria, attese la diversa natura e finalità dei due istituti (Cass., I, n. 3178/1980). Con l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, che all'art. 657, comma 1, c.p.p., prevede l'obbligo di computare la durata di una misura di sicurezza applicata provvisoriamente, nella durata complessiva della pena, l'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato ha iniziato a modificarsi, sicché ora si ammette la fungibilità fra pena e misura di sicurezza detentiva quando quest'ultima sia stata provvisoriamente applicata per la stessa causa, determinandosi così una ininterrotta privazione della libertà personale dell'imputato, riferibile in parte a custodia cautelare e in parte ad applicazione provvisoria di misura di sicurezza. Ma il criterio non opera quando venga applicata definitivamente la misura di sicurezza, poiché l'intero periodo di privazione della libertà personale non può essere computato al contempo come internamento per misura di sicurezza detentiva e come espiazione della pena inflitta (Cass., I, n. 38336/2014; Cass. V, n. 5815/2017). È stata invece sempre esclusa la fungibilità tra misura di sicurezza non detentiva e pena detentiva (Cass., I, n. 4740/2011). Rapporti con la sospensione condizionale della penaA norma dell'art. 164, comma 3, la sospensione condizionale della pena rende inapplicabili le misure di sicurezza personali, ma solo quelle la cui applicazione sia affidata alla discrezionalità del giudice (Cass., I, n. 9824/2014). Per converso, l'applicazione di una misura di sicurezza personale detentiva (assegnazione a casa di cura e custodia) impedisce la concessione della sospensione condizionale, essendovi incompatibilità tra pericolosità sociale del colpevole e presunzione di astensione dalla commissione di ulteriori reati (Cass., III, n. 12277/2013). Rapporti con i riti alternativi
Decreto penale di condanna. L'art. 459, comma 5, c.p.p., stabilisce espressamente che il procedimento per decreto non è ammesso quando risulta la necessità di applicare una misura di sicurezza personale. La ragione risiede nell'incompatibilità tra rito monitorio ed accertamento della pericolosità, che costituisce il presupposto delle misure di sicurezza personali (Gallucci, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1172). Applicazione della pena su richiesta. In caso di c.d. patteggiamento ordinario, l'art. 445, comma 1, c.p.p., stabilisce espressamente che la sentenza di applicazione della pena su richiesta (quando la pena non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria), non comporta l'applicazione di misure di sicurezza, fatta eccezione per la confisca nei casi di confisca obbligatoria (art. 240, comma 2). Nell'ipotesi di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., nell'ambito del procedimento ex art. 444 c.p.p., in relazione alle ipotesi di c.d. quasi reato, nel silenzio della legge sul punto, si ritiene che ugualmente non possa disporsi la misura di sicurezza personale, ostandovi la previsione di cui agli artt. 25 Cost. e 199 c.p., secondo cui le misure non possono essere applicate se non nei casi previsti dalla legge (Gallucci, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1178). In caso di c.d. patteggiamento allargato (quando la pena da applicare superi i due anni di reclusione ma non i cinque), nei casi previsti dalla legge e previo accertamento della pericolosità sociale dell'imputato, è possibile l'applicazione della misura di sicurezza personale (Gallucci, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1173). Con sentenza n. 21368 del 26 settembre 2019, le S.U. della corte di cassazione hanno stabilito quanto segue: - se la misura di sicurezza è parte dell'accordo tra le parti, il giudice, nel ratificare tale accordo complesso, potrà ricorrere a una motivazione sintetica, tipica del rito, e comunque la sentenza sarà ricorribile per cassazione nei limiti previsti dall'art. 448, comma 2-bis, c.p.p.; - se, a seguito del ricorso per cassazione, l'applicazione concordata della misura di sicurezza dovesse risultare "illegale", la conseguenza sarà l'annullamento senza rinvio della sentenza di "patteggiamento", dal momento che la rilevata illegalità rende invalido l'intero accordo; - l'applicazione, obbligatoria o facoltativa, di una misura di sicurezza, personale o patrimoniale, non concordata fra le parti, può essere comunque disposta, ai sensi dell'art. 445, comma 1, c.p.p., con la sentenza prevista dall'art. 444, comma 2, in relazione al quantum della «pena irrogata». - In tal caso, se la sentenza dispone una misura di sicurezza sulla quale non è intervenuto accordo tra le parti, la statuizione relativa - che richiede accertamenti circa i previsti presupposti giustificativi e una pertinente motivazione che non ripete quella tipica della sentenza di "patteggiamento", ed è inappellabile, alla luce del disposto del, tuttora vigente, art. 448, comma 2, c.p.p. - è impugnabile con ricorso per cassazione anche per vizio della motivazione, ex art. 606, comma 1, c.p.p. Giudizio abbreviato. Nell'ambito del giudizio abbreviato sono certamente applicabili le misure di sicurezza, dal momento che a tale rito si applicano le medesime regole decisionali della fase dibattimentale del giudizio ordinario (art. 529 c.p.p.). Va tra l'altro precisato che la misura di sicurezza dovrà essere applicata per l'intero, senza la diminuzione del terzo del rito, che ha natura eminentemente processuale (Cass., I, n. 46930/2009). Durata massima delle misure di sicurezza personali detentiveL'art. 1, comma 1 quater d.l. 31 marzo 2014, n. 52, come modificato dalla legge di conversione del 30 maggio 2014, n. 81 ha introdotto una rilevante novità in tema di misure di sicurezza personali detentive, stabilendo che — siano esse provvisorie o definitive — non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva massima prevista per il reato commesso, determinata a norma dell'art. 278 c.p.p.: ciò per evitare i c.d. ergastoli bianchi, ovvero il triste fenomeno di soggetti che, pur avendo commesso fatti di reato puniti con pene modeste, rimangono internati per periodi di tempo di gran lunga superiori alla relativa pena edittale massima, in quanto ritenuti ancora socialmente pericolosi (Gallucci, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1174). Profili processualiLa competenza esclusiva in tema di misure di sicurezza personali detentive — tranne i casi di confisca e quelli di applicazione provvisoria di misura di sicurezza — è attribuita al magistrato di sorveglianza. La giurisprudenza ha poi precisato che il divieto di reformatio in peius, previsto dall'art. 597, comma 3, c.p.p., ha carattere generale, e trova quindi applicazione anche nei procedimenti in cui il Tribunale di sorveglianza svolge funzioni di giudice d'appello (Cass. V, n. 48786/2013). Tuttavia, non viola il suddetto principio il giudice d'appello che, riformando la sentenza di condanna, applichi la misura di sicurezza prevista dalla legge quale conseguenza del proscioglimento per vizio di mente dell'appellante (Cass., VI, n. 42026/2010). CasisticaLa misura di sicurezza della libertà vigilata applicata per effetto della dichiarazione di abitualità nel reato non può essere sostituita, per sopravvenuta infermità psichica, con la misura del ricovero in casa di cura e custodia, essendo inapplicabile a tale ipotesi la disposizione di cui all'art. 232, comma 3 c.p., esclusivamente rivolta a disciplinare la situazione della persona già dichiarata pericolosa per infermità di mente (Cass. S.U., n. 34091/2011). BibliografiaBoscarelli, Appunti critici in materia di misure di sicurezza, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1964, 349; Canepa-Merlo, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 1996; Caraccioli, I problemi generali delle misure di sicurezza, Milano, 1970, 577; Peluso, voce Misure di sicurezza, (profili sostanziali), in Dig. d. pen., VIII, Torino, 1994, 156. |