Codice Penale art. 228 - Libertà vigilata.Libertà vigilata. [I]. La sorveglianza della persona in stato di libertà vigilata [658, 659 2, 678, 679 c.p.p.; 189, 190 att. c.p.p.] è affidata all'Autorità di pubblica sicurezza (1). [II]. Alla persona in stato di libertà vigilata sono imposte dal giudice prescrizioni idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati [231]. [III]. Tali prescrizioni possono essere dal giudice successivamente modificate o limitate [679 c.p.p.; 1901, 5 att. c.p.p.]. [IV]. La sorveglianza deve essere esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento della persona alla vita sociale. [V]. La libertà vigilata non può avere durata inferiore a un anno. [VI]. Per la vigilanza sui minori si osservano le disposizioni precedenti, in quanto non provvedano leggi speciali [232] (2). (1) Vedi artt. 162 t.u. 18 giugno 1931, n. 773 e 55 l. 26 luglio 1975, n. 354. (2) V. art. 23 r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, conv., con modif., in l. 27 maggio 1935, n. 835. InquadramentoLa libertà vigilata è una misura di sicurezza personale, non detentiva, a carattere generale, in quanto si applica ogniqualvolta alla previsione generica di una misura di sicurezza non segua l'individuazione della specie sanzionatoria, sempre che il giudice non ritenga di disporre l'assegnazione ad una colonia agricola o a una casa di lavoro (215, comma 2). Secondo la dottrina essa ha natura “bifronte”, in quanto finalizzata a soddisfare esigenze di difesa sociale, mediante alcune limitazioni della libertà personale del soggetto, e a fornire a quest'ultimo l'assistenza necessaria per il suo reinserimento in società (Musco, Misure di sicurezza). Profili generaliL'applicazione della misura della libertà vigilata è svincolata da qualsiasi declaratoria di delinquenza qualificata o comunque di precedenti penali, e si caratterizza per l'imposizione di prescrizioni il cui contenuto è stabilito dal giudice, il quale deve adeguarle quanto più possibile alle condizioni personali, familiari ed ambientali del sottoposto. Di elaborazione sostanzialmente giurisprudenziale, le prescrizioni sono finalizzate ad evitare l'occasione di nuovi reati, e a promuovere il riadattamento sociale del condannato: esse vanno dal divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche, al divieto di uscire la sera oltre una certa ora e la mattina prima di un'altra; dal divieto di accompagnarsi a persone pregiudicate, a quello di frequentare pubbliche riunioni; dall'obbligo di vivere onestamente e di cercarsi un lavoro, al divieto di detenere armi o altri strumenti atti ad offendere. Devono ritenersi costituzionalmente illegittime le prescrizioni incidenti sulla libertà di pensiero (art. 21 Cost.), o sulla libertà di fede religiosa (art. 19 Cost.), trattandosi di diritti fondamentali dell'individuo che non possono essere in alcun modo limitati. L'unica prescrizione tipizzata è quella costituita dall'obbligo di non trasferire la propria residenza o dimora in un comune diverso da quello stabilito nel provvedimento applicativo, e di informare gli organi deputati alla vigilanza di ogni mutamento di abitazione nell'ambito del comune (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 560). Le prescrizioni — così come stabilite dal magistrato di sorveglianza — vengono trascritte in un documento detto “carta precettiva”, che viene consegnato all'interessato, il quale ha l'obbligo di conservarlo e presentarlo ogniqualvolta gli venga richiesto (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 560). La giurisprudenza ha osservato che la ratio della norma che prevede la carta precettiva, è quella di predisporre un'adeguata difesa sociale contro le persone pericolose, attraverso l'imposizione di speciali condizioni di vita, implicanti una serie di prescrizioni, limitazioni ed obblighi, tra i quali quello di non allontanarsi dal luogo di residenza. Pertanto, per escludere la volontarietà dell'allontanamento, deve essere rigorosamente provata la sussistenza di una causa giustificativa (Cass. I, n. 1502/1973). Competente alla vigilanza e al controllo dell'osservanza delle prescrizioni è l'Autorità di pubblica sicurezza (che nel caso di condannato per contrabbando, può essere la Guardia di Finanza), la quale è affiancata, per la vigilanza del sottoposto, dal servizio sociale; in ogni caso, tale vigilanza è esercitata in modo da non rendere difficoltosa alla persona che vi è sottoposta la ricerca di un lavoro, e da consentirle di attendervi con la necessaria tranquillità (art. 190, comma 6, disp. att. c.p.p.). Copia delle prescrizioni è comunicata all'autorità cui è attribuita la sorveglianza, ai soggetti o enti cui il condannato — se minore o infermo di mente — è affidato ai sensi dell'art. 232, nonché al centro di servizio sociale (art. 190, comma 5, disp. att. c.p.p.). Particolare importanza sta assumendo, negli ultimi tempi, l’impiego dell’istituto in questione nei confronti dei soggetti, socialmente pericolosi, infermi o seminfermi di mente, bisognosi di trattamenti sanitari specifici: tenuto conto della residualità della misura di sicurezza detentiva, e dell’obbiettivo problema della cronica mancanza di posti nelle R.E.M.S., la giurisprudenza di merito, in ciò avallata da quella di legittimità, si sta orientando ormai decisamente verso una applicazione sempre più ampia della libertà vigilata all’interno di comunità teraputiche attrezzate per la cura e l’assistenza di soggetti con problemi psichici. In particolare, si è affermato che quando il giudice applica la libertà vigilata, può imporre la prescrizione della residenza temporanea in una comunità terapeutica, a condizione che la natura e le modalità di esecuzione della stessa non snaturino il carattere non detentivo della misura in atto. In particolare, è stato affermato che « l’obbligo di risiedere presso la struttura comunitaria non è assimilabile ex se ad un ricovero obbligatorio con la sostanziale applicazione di una misura detentiva » (Cass., I, n. 33904/2015). Ancora, si è precisato che la prescrizione di risiedere in una comunità terapeutica e seguirne i trattamenti sanitati, è funzionale all'esecuzione del programma terapeutico: essa non snatura il carattere non detentivo della misura di sicurezza, e non comporta alcun sacrificio aggiuntivo alla libertà di movimento rispetto a quello che inerisce a qualsiasi percorso di cura (Cass. I, n. 50383/2019 ; conf. Cass. I, n. 35224/2020).). L'inosservanza degli obblighi non ricade nel paradigma normativo dell'art. 650, e comporta le conseguenze sanzionatorie di cui all'art. 231 (Gallucci, Rassegna, 1246). Durata della misura. La durata minima della misura della libertà vigilata è un anno, ma numerose sono le ipotesi in cui è previsto un periodo minimo diverso, sia nel codice penale (artt. 210, comma 3; 230, comma 1, nn. 1 e 2), che nelle leggi speciali (art. 53, comma 4, l. n. 354/1975). La giurisprudenza ha precisato che la misura non può avere durata inferiore ad un anno anche quando applicata, ai sensi dell'art. 219, comma 3, in sostituzione del ricovero in casa di cura e custodia (Cass. I, n. 15818/2009). Peraltro, poiché l'art. 228, comma 5, prevede la durata minima, nulla vieta che il giudice possa applicare la libertà vigilata per il periodo di tre anni al condannato a pena inferiore a dieci anni di reclusione (Cass. I, n. 35634/2012). Poiché non si tratta di misura di sicurezza detentiva, ad essa non si applica il limite massimo di durata introdotto dall'art. 1, comma 1-quater, d.l. 31 marzo 2014, n. 52, come modificato dalla legge di conversione n. 81/2014, secondo cui le misure di sicurezza detentive, siano esse provvisorie o definitive, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva massima prevista per il reato commesso, determinata a norma dell'art. 278 c.p.p. (in dottrina Gallucci, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1247). Tuttavia, per l'applicazione provvisoria della misura in oggetto, ancorchè non detentiva, continua ad operare il meccanismo previsto dall'art. 313, co. 2 c.p.p., che non prevede termini massimi di durata ma condiziona, con il richiamo all'art. 72 c.p.p., la sua protrazione nel tempo ad uno specifico adempimento costituito dalla rivalutazione periodica semestrale della pericolosità sociale del sottoposto, da eseguirsi con appositi accertamenti affidati, mediate perizia, ad esperti in ragione del carattere eminentemente psichiatrico della forma di pericolosità legata all'infermità mentale; tale verifica periodica rappresenta l'unica garanzia avverso la protrazione senza limiti di tempo di una misura che, sebbene non detentiva, è comunque limitativa della libertà personale. (Cass. VI, n. 12608/2020). La scadenza del termine minimo, non determina la cessazione dello stato di libero vigilato, che perdura sino al provvedimento di revoca, previo accertamento della cessazione della pericolosità: è quindi legittimo il provvedimento di proroga della misura adottato successivamente alla scadenza di detto termine (Cass. I, n. 51660/2018). Peraltro, la persistenza della pericolosità accertata in sede di riesame comporta il prolungamento della misura di sicurezza originariamente applicata, ma non può determinarne, in assenza di trasgressione agli obblighi imposti, l'aggravamento (Cass. I, n. 4717/2013). L'estinzione della misura, a norma dell'art. 210, consegue all'estinzione dell'intera pena (nella specie solo parzialmente condonata) e non già alla sua espiazione (Cass. I, n. 47524/2008). Libertà vigilata e misure di prevenzioneLa dottrina ha rilevato che la libertà vigilata, pur presentando molte affinità con la sorveglianza speciale, misura di prevenzione ante delictum,se ne differenzia per i presupposti di applicazione. Infatti, mentre i presupposti della misura di sicurezza sono la commissione di un fatto-reato e la pericolosità sociale del soggetto, la misura di prevenzione ha come finalità principale quella di evitare la commissione di reati da parte di determinate categorie di soggetti considerati socialmente pericolosi, e prescinde dalla commissione di un fatto-reato. Gli artt. 10 e 12 l. n. 1423/1956 [ora artt. 13 e 15 d.lgs. n. 159/2011], disciplinano i rapporti tra le due misure, stabilendo il divieto di applicare la sorveglianza speciale durante l'esecuzione della libertà vigilata, e l'obbligo di farne cessare gli effetti ove abbia inizio l'esecuzione di quest'ultima misura (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 559). La giurisprudenza ha affermato che la ratio delle disposizioni suindicate, per le quali le misure di sicurezza, in particolare la libertà vigilata, prevalgono su quella di prevenzione, anche se con obbligo di soggiorno, se già irrogata, o ne impediscono l'applicazione, va ricercata non solo nell'analogia delle finalità cui le distinte misure tendono, ma anche nella coincidenza, se si tratta di libertà vigilata, delle loro modalità di esecuzione, o, qualora il soggetto sia internato, nella maggiore afflittività della misura detentiva. Peraltro, gli artt. 10 e 12, l. n. 1423/1956 [ora artt. 13 e 15 d.lgs. n. 159/2011], nulla dispongono in ordine al concorso tra libertà vigilata e sorveglianza speciale con divieto di soggiorno. In argomento, la S.C. ha affermato che la sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno e la misura di sicurezza della libertà vigilata sono compatibili sul piano applicativo, sia pure in successione, nel senso che la prima prevale sulla seconda, la quale è eseguibile successivamente (Cass. I, n. 49581/2016). Libertà vigilata e liberazione condizionaleLa libertà vigilata ordinata in sede di liberazione condizionale si differenzia dal punto di vista strutturale da quella disposta negli altri casi contemplati dalla legge, in quanto non ne è prevista una durata minima né sussiste la possibilità di proroga. La sua durata, infatti, corrisponde alla pena residua da espiare all'atto della liberazione o è di cinque anni se trattasi di condannato all'ergastolo (arg. ex art. 177, comma 2), mentre la sanzione nel caso di trasgressione degli obblighi imposti non è costituita dall'applicazione, in aggiunta o in sostituzione, di un'altra misura di sicurezza, bensì dalla revoca della liberazione (Cass. I, n. 18669/1991). Ma la differenza è anche funzionale: la libertà vigilata ordinata in sede di liberazione condizionale si distingue dalla libertà vigilata-misura di sicurezza, in quanto non ha lo scopo di fronteggiare una pericolosità sociale del condannato (anzi in tanto è ordinata in quanto sia stato accertato che questi non è più socialmente pericoloso), ma quello di consentire un controllo dello stesso al fine di verificare se il giudizio sul ravvedimento trovi rispondenza nella realtà dei fatti. Tuttavia, il periodo trascorso in libertà vigilata dal soggetto che fruisce della liberazione condizionale, deve ascriversi all'espiazione della pena a tutti gli effetti, sicché ad esso può essere applicato il beneficio della liberazione anticipata (Cass. I, n. 39854/2012). Libertà vigilata ed assegnazione a casa di cura e custodiaLa libertà vigilata può essere applicata, in luogo della misura dell'assegnazione ad una casa di cura e di custodia, anche nei confronti del condannato affetto da vizio parziale di mente, se in concreto detta misura sia capace di soddisfare le esigenze di cura e tutela della persona e di controllo della sua pericolosità sociale (Cass. III, n. 14260/2016). Le S.U. hanno a loro volta affermato che la misura di sicurezza della libertà vigilata applicata per effetto della dichiarazione di abitualità nel reato non può essere sostituita, per sopravvenuta infermità psichica, con la misura del ricovero in casa di cura e custodia, essendo inapplicabile a tale ipotesi la disposizione di cui all'art. 232, comma 3, che riguarda esclusivamente la situazione della persona già dichiarata pericolosa per infermità di mente (Cass. S.U., n. 34091/2011). Libertà vigilata ed affidamento in prova al servizio socialeL'estinzione della pena conseguente al buon esito del periodo di affidamento in prova al servizio sociale, in applicazione dell'art. 47 l. 26 luglio 1975, n. 354, non estingue anche la misura di sicurezza della libertà vigilata, eventualmente disposta con la sentenza, in quanto l'esito positivo della misura alternativa alla detenzione non comporta l'automatico venir meno della pericolosità sociale del condannato (Cass., I, n. 17019/2003). Profili processualiÈ illegittimo il provvedimento con cui il magistrato di sorveglianza dichiari inammissibile de plano l'istanza di revoca anticipata della misura di sicurezza (nella specie libertà vigilata), avanzata da condannato in espiazione di pena (nella specie in forma di detenzione domiciliare) sul rilievo della non imminente fine di quest'ultima, poiché il giudizio relativo implica valutazioni discrezionali che impongono l'instaurazione del contraddittorio con l'attivazione del procedimento in camera di consiglio (Cass. I, n. 46986/2007). Sotto altro aspetto, la S.C. ha affermato che la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale opera anche nel procedimento di sorveglianza, in relazione al termine per il riesame della misura di sicurezza, posto che questa non determina uno «stato di custodia cautelare» (Cass., I, n. 872/2014). Va poi precisato che il giudice d'appello, anche quando appellante sia il solo imputato, può modificare in modo peggiorativo le modalità di esecuzione della libertà vigilata applicata dal primo giudice, in quanto, dovendo essere le prescrizioni idonee ad evitare occasione di nuovi reati, esse sono suscettibili di successive modifiche o limitazioni. Ciò diversamente da quanto accade in relazione alla disciplina della misura del ricovero in casa di cura o di custodia, per la quale non è possibile una successiva modifica peggiorativa delle condizioni applicative in appello, non essendo prevista l'individuazione di modalità esecutive (Cass. I, n. 48569/2017). Va da ultimo ricordato che l'applicazione della libertà vigilata non richiede la preventiva contestazione di alcuna circostanza di fatto, trattandosi di una misura di carattere essenzialmente amministrativo, applicabile ex officio purché sussistano le relative condizioni di legge (Cass., VI, n. 27137/2011). CasisticaE' legittima la misura di sicurezza della libertà vigilata provvisoriamente applicata nei confronti di un soggetto affetto da malattia psichiatrica, che ne prescriva il ricovero in una struttura sanitaria con divieto di allontanamento in determinate fasce orarie e, comunque, per finalità incompatibili con il programma terapeutico, trattandosi di prescrizioni funzionali all'esecuzione di tale programma che non snaturano il carattere non detentivo della misura di sicurezza non comportando alcun sacrificio aggiuntivo alla libertà di movimento rispetto a quello che inerisce a qualsiasi percorso di cura (Cass. I, n. 50383/2019). La misura di sicurezza della libertà vigilata, anche in materia di violazioni doganali, può essere applicata soltanto previo accertamento della pericolosità sociale del condannato, senza il ricorso ad alcuna forma di presunzione (Cass. III, n. 15574/2020). BibliografiaAlessandri, Pena e infermità mentale, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1976; Caraccioli, I problemi generali delle misure di sicurezza,Milano, 1970; Musco, voce Misure di sicurezza, in Enc. dir. Aggiornamento, I, Milano, 1997. |